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Autore: _ayachan_    26/12/2016    4 recensioni
A cinque anni dalle vicende de "Il Peggior Ninja del Villaggio della Foglia", che ne è stato delle promesse, dei desideri e delle recriminazioni dei giovani protagonisti?
Non si sono spenti con l'aumentare dell'età. Sono rimasti sotto la cenere, al caldo, a riposare fino al giorno più opportuno. E quando la minaccia è che la guida scompaia, quando tutt'a un tratto le scelte sono solo loro, quando le indicazioni spariscono e resta soltanto il bivio, è allora che viene fuori il carattere di ognuno.
Qualunque esso sia.
Versione riveduta e corretta. Gennaio 2016
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'eroe della profezia'
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Penne 42
Capitolo quarantaduesimo

Non c’è due senza tre




I tanto decantati geni dei Nara avevano dei limiti, dunque.
Chiharu dovette constatarlo con amarezza quando fu costretta a rileggere per la quarta volta un minuscolo paragrafo sugli scambi ormonali, di cui non stava capendo assolutamente niente.
Il salotto era invaso dalla cultura in tutte le sue forme – libri, modellini, schemi e appunti, tutti etichettati dalla biblioteca dell’ospedale e segnati sul registro dei prestiti. Chiharu era seduta sul tappeto con un dizionario medico sulle ginocchia e tre libri ammonticchiati sul tavolo, circondata da fogli scribacchiati nei margini e appallottolati con negligenza.
Stava per dare forfeit.
Per quanto uno fosse un genio e avesse una schiera di geni tra gli antenati, evidentemente le basi erano sempre le basi: senza un maestro che le spiegasse come funzionavano le cose, era praticamente impossibile capire il corpo umano soltanto dai libri. Finalmente aveva anche capito perché i medici studiavano tutti quegli anni. Arrivata in fondo al paragrafo per l’ultima volta decise di chiudere il libro e appoggiarci la testa.
Stava studiando da tutto il giorno, cosa che non aveva mai fatto prima, e la schiena da un po’ di tempo si lamentava per la carenza di esercizio fisico. D’altronde in quel momento il suo cuore minacciava di lasciarla a piedi se provava ad allenarsi per più di mezzora filata, quindi o così o niente. Tanto più che, le poche volte che aveva provato ad allenarsi, Fay l’aveva controllata per tutto il tempo, e lei non aveva nessuna voglia di mostrarle quanto fosse debole.
«Ehi, ho un problema con le ghiandole surrenali...» disse senza alzare la testa, rivolta alla donna che fumava dall’esterno, appoggiata contro lo stipite della finestra aperta. «Mi dai una mano, tu che sei medico? E smettila di far entrare il fumo.»
Fay le scoccò un’occhiata irritata. Aveva convissuto con Chiharu abbastanza a lungo per iniziare a sospettare che sapesse della sua copertura. Non aveva elementi per dirlo, ma la sensazione era fortissima... Le piaceva sempre meno.
«Tu non sei una studentessa di medicina» disse stizzita, espirando volutamente all’interno della casa. «Non dovresti neanche avere quei libri.»
Chiharu si alzò da terra e la raggiunse. «Il fumo», borbottò richiudendo la finestra.
Fay dovette spegnere la sigaretta e rientrare. Che nervi quella ragazzina, dei santissimi! Con espressione scocciata la donna si lasciò cadere sul divano, fissandola.
«Che c’è?» sbottò Chiharu.
«Non pensare di essere l’unica persona intelligente in tutta Konoha. E’ stato il tuo errore finora, e lo sarà anche in futuro.»
Chiharu lo aveva già sentito dire da persone che stimava più di lei, non le faceva più effetto. E comunque non pensava di essere l’unica persona intelligente in tutta Konoha, però sapeva che di sicuro non era inferiore a Fay.
Certo, la sua opinione avrebbe fatto meno male se una certa parte di lei, a causa delle recenti conversazioni con Baka e Jiraya, non fosse stata d’accordo. Tanto più che le visite dei giorni precedenti le avevano fatto capire che saggia proprio non era...

«Sei tornata a casa.»
Hitoshi. Chiharu se lo ritrovò sulla porta a tradimento. Non pensava che sarebbe venuto così presto, lo faceva più orgoglioso.
«Ciao...»
«Ciao. Mi fai entrare?»
«Veramente ho ospiti.»
Hitoshi sbirciò oltre la sua spalla e vide Fay che lo guardava dal divano, sdraiata a leggere un libro.
«Perché la conosci?» chiese stupito, avendola vista altre volte insieme a Sasuke.
Fay subodorò il rischio di essere smascherata e balzò accanto a Chiharu in un istante. «Guarda un po’, il rampollo Uchiha» disse con un sorriso. «E’ il tuo fidanzato?»
Sia Hitoshi sia Chiharu fecero una smorfia, anche se di natura profondamente diversa.
«Dicevo, un’ospite molto sgradevole» disse Chiharu tra i denti. «Facciamo che torni un’altra volta?»
Hitoshi si guardò intorno a disagio. Adesso basta. Fare lo zerbino per un po’ andava anche bene, ma così era troppo... Aveva fatto una fatica dell’accidente a trovare il coraggio di bussare a quella porta!
«Allora non è il tuo fidanzato?» insisté Fay, che di psicologia adolescenziale un po’ ne sapeva, in fondo. «Peccato, lui è più carino di quello che è venuto ieri.»
Chiharu levò gli occhi al cielo quando vide il lampo d’ira nello sguardo di Hitoshi.
«Sì, è meglio se torno un’altra volta» disse il ragazzo con rabbia.
«Ciao» sospirò Chiharu.
E, dopo la partenza di Hitoshi, scrutò Fay con aria indagatrice. «Lo hai fatto filare proprio in fretta...» mormorò.
«Non era mia intenzione. Ho sbagliato?» rispose lei vaga, tornando al divano. Evitava il suo sguardo.
«In realtà no» ammise Chiharu.
Ma capì che Hitoshi forse conosceva la vera identità di Fay, e questo le confermò che aveva a che fare con le forze dell’ordine di Konoha.

Che poi, era vero che il giorno prima era venuto qualcun altro, ma Hitoshi non aveva chiesto chi.
Si trattava di Kotaro.

«Mi hanno dimesso, finalmente! Come stai?»
Neanche il tempo di finire con i saluti, che già aveva tirato fuori la domanda sbagliata.
«Congratulazioni per le dimissioni. Ora prova a chiedere qualcosa di diverso» suggerì Chiharu.
«Oh. Ehm... Ti hanno dato il permesso di tornare al lavoro?»
Chiharu roteò gli occhi.
«Scusa, scusa, scusa! Aspetta, ci riprovo... Chi è lei?» domandò Kotaro additando Fay. Lei, appoggiata al muro con aria da bodyguard, gli rivolse un cenno di saluto. Kotaro arrossì.
«Il mio medico di fiducia» disse Chiharu, scambiando con Fay un sorriso falso. «Anzi, è proprio qui per visitarmi.»
«Quindi non posso entrare?»
«Sono un po’ impegnata...»
«Ma...»
Chiharu si rendeva conto di essere orribile. Una buona compagna avrebbe invitato Kotaro a prendere un tè, gli avrebbe chiesto come stava, avrebbe parlato dei suoi problemi e avrebbe tirato fuori un bel pomeriggio tranquillo.
Ma una buona compagna non era una kunoichi agli arresti domiciliari, quindi almeno era coerente con sé stessa.
E, soprattutto, non aveva la forza di guardare in faccia Kotaro e sentirsi dire che sarebbe andato tutto bene, che le cose si sarebbero sistemate, che era pieno di energie e avrebbero trovato il modo di far funzionare la baracca. Lo avrebbe preso a cazzotti, ci giurava.
«Scusa. Facciamo un’altro giorno, ok?»
Quindi aveva chiuso la porta.

Insomma, c’erano due persone che si preoccupavano di lei – e due non era metaforico, era proprio il numero totale – e lei le cacciava via a calci. Sapeva bene che non era una mossa saggia né intelligente. Nessuno le avrebbe detto brava, così si fa!, nemmeno lei se lo diceva. D’altronde, facendoli entrare avrebbe dovuto spiegare loro perché non usciva più in missione, e avrebbe dovuto ripensare a Naruto e alle loro faccende in sospeso, ai suoi problemi, a Yoshi... Non aveva voglia. Prima o poi sarebbe stato inevitabile, ma per il momento poteva ancora posticipare.
Questo la rendeva una persona poco lungimirante e sicuramente non saggia, ma rispondeva benissimo al suo bisogno di proteggersi.
Proprio in quel momento bussarono alla porta di casa. Di nuovo.
Baka?, si chiese Chiharu. Suo malgrado avvertì un minuscolo sussulto interno. O Naruto? Le si contrasse lo stomaco.
Ma non era nessuno dei due.
Era Sai.
«Ok. Questo è inaspettato» commentò Chiharu vedendolo. Sentì le sopracciglia che si corrucciavano automaticamente.
«Ciao Chiharu. Anche io sono felice di vederti. Tutto bene, grazie, sono ancora vivo» ribatté lui sorridendo.
Ora che lei ci pensava, l’ultima volta che lo aveva incrociato erano successe cose oltremodo imbarazzanti. Sentì il sangue risalire alle guance velocissimo.
«Cosa fai qui?» chiese, balbettando leggermente.
«Ho sentito un po’ di voci sul tuo conto, sono venuto a vedere come stai.»
Chiharu si gettò un’occhiata alle spalle e vide Fay che li fissava, in piedi dietro il tavolino. Veramente fissava più Sai che lei, ma di certo non sembrava intenzionata ad andarsene.
«Mi offri un tè?» domandò lui, cogliendo la sua esitazione.
«Veramente...»
Sai sorrise sornione. «Con i biscotti. Fay, vuoi unirti a noi?»
Chiharu guardò lui e guardò lei. Vide Fay scrutare Sai, intuì qualche tipo di sottinteso di cui non era a conoscenza, e poi cedette.
Al diavolo. Sai non sono mai riuscita a controllarlo.
«Trova un posto dove sederti...» sospirò, accennando al salotto invaso dalla carta. «Io vado a preparare il tè.»
Mentre era in cucina tentò disperatamente di origliare la conversazione tra Sai e Fay, ma i pochi frammenti che captò erano commenti casuali sul clima, sulla guerra e sul disordine della casa. Sapeva perfettamente che i due stavano confabulando, e una parte di lei temeva che stesse succedendo qualcosa alle sue spalle, ma non riuscì a sentire niente di strano.
Quando tornò in salotto, Sai aveva spostato i libri dal divano e si era seduto in un angolo, con aria perfettamente rilassata. Fay si era ranicchiata su una poltrona in un modo che a Chiharu ricordò un felino sulla difensiva.
«Hai portato anche i biscotti» disse Sai adocchiando il vassoio. «Quelli che ti piacciono.»
Chiharu arrossì di nuovo, ricordando la ridicola merenda a casa di Sai, una vita prima. «Mi pareva che piacessero anche a te.»
«Sono i miei preferiti. Fay, tu puoi mangiarli? Sono pieni di olio di palma, so che ai medici non piace.»
Chiharu vide un guizzo sulla guancia di Fay, che rifiutò i biscotti con un borbottio. Posò il vassoio sul tavolo e ignorò il posto libero accanto a Sai, sedendosi a gambe incrociate sul tappeto.
Dopo i primi momenti di shock, preparando il tè aveva riacquistato l’autocontrollo. L’ultima volta che aveva visto il Jonin erano successe cose imbarazzanti, sì, ma poi lei aveva avuto a che fare con Hitoshi e Akeru in modi molto pragmatici, e ricordarlo le aveva dato coraggio: adesso era una donna.
«Perché stai seduta per terra?» chiese Sai, battendo una pacca sul divano. «Qui c’è posto.»
Chiharu avvampò.
Fanculo.
«Non sei mai venuto in ospedale, perché ti presenti adesso?» divagò, cacciandosi in bocca un biscotto .
«Ero via. Faccio parte delle micro delegazioni che Naruto ha formato per cercare di trattare con i paesi tra noi e la Roccia: vuole provare a fermare la guerra, anche se c’è già stata la dichiarazione ufficiale; noi andiamo a incontrare i capivillaggio offrendo trattati di non aggressione in cambio della neutralità.»
«Quindi non è detto che si finisca per combattere?»
«Oh no, combatteremo di sicuro. La Roccia ci prova da vent’anni: ora che ha trovato un pretesto farà di tutto per invaderci...» Era inquietante sentirlo parlare di quelle cose con tono tanto lieve. «Magari non combatteremo subito, ecco.»
«Improbabile» mormorò Fay dalla sua tazza di tè.
Sai le rivolse un sorriso educato. «In effetti è improbabile. Tutti i clan nobili della Foglia si stanno attrezzando per prepararsi al peggio. Ho sentito che gli Hyuuga stanno organizzando il matrimonio di Neji per non rischiare di interrompere la dinastia.»
Questa volta Chiharu vide distintamente il volto di Fay che si oscurava, appena prima che lo nascondesse nel tè. Le sembrò che la tazza sussultasse leggermente, ma non ne fu sicura.
«Se il capoclan morisse senza eredi dovrebbero rivolgersi ad Hanabi, cosa che non piace a nessuno» proseguì Sai fingendo di non essersi accorto di nulla. «In quel caso probabilmente busserebbero alla porta di Naruto per reclamare i figli di Hinata, ma sappiamo tutti come andrebbe a finire.»
Chiharu ridacchiò, anche se non ne aveva l’intenzione – era ancora arrabbiata con Naruto: non aveva più avuto sue notizie dopo la visita in cui era sparito tanto in fretta.
«Sono affari del clan Hyuuga» disse però Fay, in tono più brusco di quanto volesse. «Immagino che anche gli altri clan stiano facendo gli stessi ragionamenti.»
«I Nara no, posso garantire» disse Chiharu alzando una mano.
«Aspetta che tua madre torni da Suna, potrebbe avere un’opinione diversa» suggerì Sai allegramente.
«Prima che mia madre scelga di diventare nonna entro i quarant’anni il deserto del Paese del Vento diventerà un lago con carpe, sirene e fate.»
Sai rise, e Chiharu sorrise di riflesso.
Mai avrebbe pensato che una visita di Sai sarebbe stata divertente; invece sentirlo punzecchiare Fay la metteva di buonumore. Non sapeva cosa c’entrasse la donna con il clan Hyuuga, ma sicuramente si stava irritando.
«Esco a fumare» annunciò infatti, mollando il tè sul tavolo e alzandosi di scatto.
Chiharu scrollò le spalle, inzuppò un biscotto e lo masticò con soddisfazione. Attese che Fay fosse uscita, e allora prese il suo posto sulla poltrona, accoccolandosi con il tè tra le ginocchia ripiegate.
«Cosa c’entra con il clan Hyuuga?» chiese in un sussurro rapido.
«Non ti riguarda» sussurrò Sai in risposta. «Sono sicuro che riuscirai a gestirla anche senza il mio aiuto.»
Chiharu arricciò le labbra, delusa.
«Tu invece cos’hai combinato?» lui smise di sorridere. «Ti ho lasciata che dovevi solo recuperare la segretaria del Kazekage, e ti ri trovo in un mare di guai.»
Chiharu si fece indietro leggermente, spostando lo sguardo sui suoi piedi. «Sono stata sfortunata» borbottò.
«Chi si mette contro Naruto non è sfortunato, è pazzo.»
«Non mi sono messa contro Naruto, è lui che ha fatto le cose di fretta.»
«Cioè ha fatto le cose da Naruto. E il tuo cuore? E cosa ci fa qui Fay?»
«E’ il mio medico» sibilò Chiharu, inarcando le sopracciglia fin quasi all’attaccatura dei capelli. «Non chiedermi altro, se no finisco in carcere.»
Sai ridacchiò, controllando che la schiena di Fay fosse fuori dalla finestra chiusa. Stranamente non stava vigilando con la solita attenzione: sembrava quasi che fosse uscita per stare davvero da sola,forse perché si fidava di Sai.
«Comunque, tieniti stretto Naruto» suggerì il Jonin smettendo di sorridere. «Qualunque cosa accada, se lui è tuo amico ne verrai fuori.»
E in questo momento, anche se tu non sei stata informata, non può permettersi di avere un problema in più, aggiunse dentro di sé. Metti la testa a posto, sciocca.
Chiharu annuì lentamente. Lo sapeva, in fondo; a Konoha tutti sapevano che il migliore amico in ciroclazione era Naruto, nonostante spesso fosse irascibile e insopportabile... Ma era così difficile mettere da parte l’orgoglio e chiedere aiuto: avrebbe voluto che lui la vedesse sempre splendida e senza debolezze, invece ogni volta faceva più schifo della precedente.
Sai la scrutò per qualche secondo, poi incurvò un angolo della bocca. «Cos’è successo a Suna?»
Chiharu ebbe un secondo di vuoto mentale. Poi, di colpo ricordò Hitoshi e Baka e sentì le orecchie in fiamme.
Come diavolo fa a saperlo?
«Se te lo stai chiedendo, ho tirato a indovinare» sottolineò lui, appoggiando un gomito allo schienale del divano con aria interessata. «Non sapevo niente finché non me lo hai detto tu adessoma mi pareva che ci fosse qualcosa di diverso... Hitoshi Uchiha?»
«Non ho idea di cosa tu stia parlando» farfugliò lei.
«Aspetta. A Suna è venuto anche Baka Akeru...»
«Non ti ascolto!»
«O Kotaro Lee?»
«Smettila!»
«Davvero? Kotaro?»
Chiharu sbattè la tazza sul tavolino. Non era mai stata più in crisi di quel momento.
Sai la studiò attentamente. Il suo sorriso si allargò. «Tutti e tre?»
«Vuoi davvero che mi venga un infarto qui e ora?» sibilò lei.
«No. Ero solo curioso. E’ sempre divertente quando i ragazzini sono alle prime cotte.»
«Non lo è altrettanto quando i vecchi si intromettono!»
«Adesso sono vecchio?»
«Cosa mi sono persa?»
Chiharu si voltò di scatto, scoprendo che Fay era rientrata senza che lei se ne accorgesse. Esausta, si lasciò andare contro lo schienale della poltrona.
«Degli ottimi biscotti» disse Sai, pronto. «Sicura di non volerne?»
Fay passò lo sguardo da lui a Chiharu, e si chiese se avesse commesso una leggerezza a lasciarli soli.
«Andiamo, non fare quella faccia» rise lui. «L’ho solo presa in giro. Se vuoi prenderle i parametri, da bravo medico, scoprirai che è in perfetta salute.»
Francamente ne dubito, pensò Chiharu, passandosi una mano sulla fronte. Sentiva un inizio di emicrania. Ma Fay non fece altri commenti, e invece chiese a Sai se non aveva di meglio da fare, possibilmente altrove.

Eppure non riuscì a smettere di pensare alla sua visita.
Da tempo Fay sapeva che il clan Hyuuga faceva pressioni a Neji perché prendesse moglie e producesse un degno erede. Quando era scoppiata la guerra aveva immaginato che il consiglio interno del clan avrebbe chiesto un matrimonio con maggiore insistenza, ma poi c’era stata la faccenda di Chiharu e lei non era più riuscita a vederlo. Da quando era stata incastrata in quell’orribile missione non aveva più saputo niente di Neji: nessuna notizia, nessun messaggio. Come poteva essere sicura che lui avrebbe resistito alle pressioni? Forse aveva già ceduto. Dopotutto non le aveva mai detto di amarla, né le aveva fatto promesse... In fondo sapevano entrambi che la loro relazione era destinata a finire male.
Però era difficile lasciar perdere così.
Non voleva rinunciare ai loro anni insieme senza vederlo, senza parlargli... Voleva provarci, almeno. Forse, se fosse stata abbastanza convincente, le necessità del clan sarebbero passate in secondo piano. Forse avrebbe potuto convincerlo che il matrimonio non era inevitabile, e sarebbero rimasti così come erano finché il clan non avesse scelto Hanabi per la successione... Forse, in qualche modo, lo avrebbe convinto a rinunciare ai suoi eredi. Era improbabile, ma non poteva abbandonare senza un tentativo.
Aveva provato a prendere sonno per ore, invano. Girandosi e rigirandosi nel letto si era figurata infinite conversazioni mentali con Neji, ma non era riuscita a calmarsi. Alla fine, nel cuore della notte, si alzò. Si tormentò nella stanza degli ospiti dei Nara per quasi un’ora, camminando avanti e indietro, avanti e indietro...
Chiharu, dalla sua camera, si svegliò e rimase con l’orecchio teso.
La sentì aprire i cassetti, richiuderli. La sentì frugare tra le sue cose. Poi sentì la finestra della camera che si apriva, lentissima, quasi senza fare rumore. Trattenendo il respiro per captare i fruscii più lievi, sentì Fay che scavalcava, anche se cercò di essere silenziosa.
E poi la sua guardia fu fuori.
Chiharu gettò indietro le lenzuola, onestamente sbalordita.
«Ma non mi dire!» mormorò, tirandosi a sedere. Di colpo era sveglia.
La brava Fay, il cane da guardia inossidabile, aveva appena abbandonato la postazione. Che diavolo le aveva sussurrato Sai quel giorno? Quali tasti aveva toccato per farla partire così?
Avrei dovuto insistere per farmi svelare i suoi punti deboli!, disse a sé stessa, tutto sommato ammirata.
Poi si alzò, senza accendere la luce. Non aveva cattive intenzioni – anche perché, dove sarebbe potuta andare? - ma avere la casa di nuovo libera era una sensazione troppo bella.
Canticchiando, raggiunse la cucina a tentoni. Aprì il frigorifero, tirò fuori un frutto e un vasetto di yogurt. Poteva fare uno spuntino notturno in mutande, finalmente! Senza avere l’ossessione di doversi vestire perché quella là sarebbe sicuramente spuntata a controllarla.
Sempre senza accendere le luci passò al salotto. Spalancò le finestre, lasciò che il profumo di giugno la avvolgesse. Il divano era rimasto libero dopo la visita di Sai, e lei ci si tuffò allungando le gambe nude come non avrebbe mai osato fare con Temari in casa. Si stiracchiò, si grattò la pancia. Fece finire una gamba sopra lo schienale, soltanto perché poteva farlo, e addentò la mela che aveva preso dal frigorifero. La libertà doveva avere quel sapore...
A metà del terzo morso qualcuno scavalcò la finestra più vicina.
Chiharu rotolò giù dal divano, si strozzò con il boccone di mela e prese a tossire convulsamente.
Non aveva armi a portata di mano, ma aveva un vasetto di yogurt. Lo afferrò, pronta a gettarlo sugli occhi dell’intruso, quando una mano si serrò attorno al suo polso e glielo sfilò.
«Prima respira, per favore» sussurrò una voce.
«Ma che cazzo di modo di entrare è?» alitò lei, riprendendosi con una certa fatica.
Baka Akeru rimise lo yogurt sul tavolo e si fece indietro, tendendo una mano per aiutarla ad alzarsi. Lei la ignorò, tirandosi in piedi da sola.
«Cosa ci fai qui?» chiese tra i denti, mentre il suo cuore faticava a rallentare dopo lo spavento.
«Ho colto l’occasione» rispose lui. «E non mi è mica andata male» aggiunse dopo un attimo, abbassando lo sguardo dagli occhi alle gambe nude. La luce della mezzaluna fuori dalla finestra era più che sufficiente per lasciar vedere a uno shinobi quanto bastava.
«Guarda in alto!» sbottò lei.
«Non è la prima volta che ti trovo senza pantaloni» Akeru si lasciò sfuggire un micro sorriso, ma Chiharu lo avrebbe visto anche nel buio più completo.
«La tua ombra è sulla mia, non tentarmi» ringhiò, arrossendo comunque. «Perché sei qui?»
«Sto cercando di parlarti da alcuni giorni, ma oggi è la prima volta che il tuo cane da guardia lascia il terreno...»
«E gli altri Anbu?» Chiharu guardò ansiosamente fuori dalla finestra.
«I due che fanno la guardia stanotte sono miei amici. Gli ho salvato il collo un paio di volte, si sono girati dall’altra parte senza fare storie.»
«Ti fidi di loro?»
«Considerato che Sakura non mi ha ancora dato il permesso di vederti e loro mi hanno lasciato passare senza dire beh, direi di sì...»


«E se fossero entrambi traditori?» chiese l’Anbu senza cappuccio, seduto su un cornicione con il compagno. Stavano nel cono d’ombra di una mansarda di nuova costruzione, le gambe a penzoloni, e si godevano l’aria quasi estiva.
«Non dire stupidaggini» rispose l’altro, dandogli di gomito. «Stiamo parlando di Stupido! Quante volte ti ha ricucito?»
«Sì, lo so... Ma lei è praticamente la prima in cima alla lista dell’anti-terrorismo. E hai visto come la guarda lui.»
«E’ piacevole da guardare, la ragazza» commentò l’Anbu con cappuccio, con una risatina divertita dietro la maschera.
«Sì, ma se ci avessero fregato entrambi? Se Baka adesso la stesse aiutando a scappare?»
«Dai, smettila... Se non siamo più sicuri neanche della nostra squadra dove andremo a finire?»
«Sì, ma se fosse così?»
L’Anbu con il cappuccio rimase in silenzio per un istante.
«Vuoi andare a controllare?»


«Mi hai fatto prendere un infarto!» Chiharu si passò le mani sul viso, costringendosi a calmarsi.
«Scusa. Non pensavo che stessi facendo lo spuntino di mezzanotte in mutande.»
«Puoi smettere di sottolineare cosa indosso?»
«E’ difficile...»
«Senti, dimmi cosa vuoi in fretta o lascia che vada a vestirmi.»
Akeru sbuffò. «Yoshi vuole parlare con te.»
Chiharu sentì freddo all’improvviso. Dieci punti per la sintesi esauriente, ma pessimo argomento.
«Io non ho niente da dirgli» mormorò scrollando le spalle. «Non c’entro con quello che ha fatto, sai che...»
«Sì, lo so. Non c’è bisogno che ti giustifichi con me. Non sono qui per accusarti, sono qui per chiederti aiuto.»
Chiharu strinse le braccia al petto, rimpiangendo di aver aperto la finestra. «Sai che non posso parlare con lui. Sakura la prenderebbe come una confessione e mi metterebbe nella cella accanto alla sua.»
«Certo che lo so... Infatti ti sto proponendo di farlo di nascosto.»
Chiharu gli lanciò un’occhiata di fuoco.
«Sto cercando di guadagnare la fiducia degli Hokage, non mi metterò a infilarmi di soppiatto nelle celle dei prigionieri. Non se ne parla!»
«Lo so! Lascia che ti spieghi, almeno.»
Akeru sbuffò. Anche lui rischiava molto a stare lì: se Sakura lo avesse scoperto lo avrebbe infilato nella cella in cui temeva di finire Chiharu.
«Non riusciamo a farlo parlare» spiegò. «Morino ci ha provato in tutti i modi, tutti, credimi, ma non scuce una parola.»
«Perché con me dovrebbe farlo?» chiese subito Chiharu, sulla difensiva.
«Perché me lo ha chiesto. Morino ci ha lasciati soli, e già una volta lui aveva fatto il tuo nome, così gli ho chiesto spiegazioni. Ha detto che parlerà, ma solo con te. Ha detto che quando ti avrà parlato sarà tutto chiaro.»
«Tutto cosa?»
«Che ne so!» Akeru sospirò. «Io non so più cosa fare, Haru. Morino lo ammazzerà davvero: quando c’è in programma il suo interrogatorio mi viene la nausea... Tu non hai idea...» si interruppe, spostando lo sguardo altrove.
Chiharu sapeva che in parte era colpa sua se Akeru era finito nelle celle degli interrogatori con Morino, sapeva che se non avesse fatto cazzate a Suna probabilmente si sarebbe potuto rifiutare. Sentì una fitta di senso di colpa, e pensando a Yoshi una di paura.
«Lo so che mi avevi detto che ucciderlo sarebbe stata la soluzione...» riprese Akeru.
«No» Chiharu scosse la testa. «Non sarebbe una soluzione, e di sicuro non dormirei più se sapessi che è morto tra le mani di Morino» Akeru annuì. «Ma non posso venire a parlargli. Non c’è nessun modo. Digli che accetterei volentieri ma non si può. Digli di parlare con te e scagionarmi, poi lo andrò a trovare.»
«Pensi che non glielo abbia già detto? Ha rifiutato.»
«Allora io non posso fare niente! Non metterò a rischio la mia sola speranza di far tornare le cose a posto!» esclamò lei.
«Veramente un modo sicuro ci sarebbe...» disse Akeru in un bisbiglio.


«Vuoi andare a controllare?» domandò l’Anbu incappucciato al compagno.
«Magari...»
«Stupido ha detto di stare alla larga.»
«Solo un minuto.»
«Se sta scopando mi offri una cena. Giuralo.»
«Va bene, va bene...»
I due uomini si alzarono dal cornicione. Attraversarono il tetto, balzarono sulla cima dei palazzi vicini e raggiunsero l’ultimo edificio prima dei terreni dei Nara. Una volta lì l’Anbu con il cappuccio tirò fuori il binocolo e si tolse la maschera, cercando la finestra del salotto nella villa distante.
«Li vedi? Che cosa stanno facendo?» chiese il compagno diffidente.
«Tieni, guarda un po’ tu...»


«Sicuro?» ripeté Chiharu, scettica.
«Ragionevolmente sicuro» si corresse Akeru. «E’ stato Yoshi a suggerirlo, e, anche se non mi entusiasma, forse è l’unica cosa che può funzionare.»
Chiharu si mosse nervosamente sul tappeto. I fogli su cui aveva studiato si appiccicavano alla pianta dei piedi; li scalciò rabbiosamente. Akeru prese il suo silenzio per un incitazione a continuare, e così fece.
«Prenderai le mie sembianze» spiegò. «Ti dirò la parola d’ordine del giorno, tu entrerai con Morino, e poi farò in modo che venga richiamato fuori appena inizia l’interrogatorio. Così resterete da soli e potrai parlargli.»
Chiharu scosse la testa. «No. Se ci scoprono non sono rovinata soltanto io, ma anche tu. E’ troppo pericoloso. L’unico che non avrebbe problemi sarebbe Yoshi, che peggio di così non può finire... E’ un piano che non ha niente di sicuro né di ragionevole.»
«Se ci scoprono. Ma se va tutto bene non lo saprà nessuno...»
«Da quando ti interessa così tanto che il povero Yoshi non si faccia ammazzare da Morino?» sbottò Chiharu esasperata.
Akeru rimase in silenzio, fissandola.
«Se accetterai di seguire il mio piano, vedrai cosa fa Morino agli uomini che interroga. Allora capirai» disse. Chiharu rabbrividì. «Non voglio riabilitare Yoshi, voglio farlo parlare. Tutto quello che mi hanno costretto a fare finora è stato fatto per farlo parlare, non per farlo morire. Se basta farlo incontrare con te, allora sono ben felice di rischiare: non intendo immolarmi per quel cretino traditore; voglio solo continuare a dormire la notte, come dicevi tu.»
Chiharu gemette, passando lo sguardo su tutti gli angoli della stanza.
«Mi dispiace di doverti coinvolgere...» riprese lui.
Ma Chiharu scosse la testa. Era stata lei a coinvolgere Baka, prima di tutto. Stupido non c’entrava niente con quella storia, era finito in mezzo perché lei se lo era portato a letto e lui si era sentito in dovere di garantire per lei. Stupida idiota!
Akeru la guardò, e riconobbe i segni del cedimento – ormai era un esperto di segnali da Chiharu Nara. Fece un respiro profondo, si sforzò di non abbassare lo sguardo sulle sue gambe e aggiunse l’ultima spinta.
«Però ho bisogno di sapere se posso fidarmi.»


«Non capisco tanto bene...» l’Anbu senza cappuccio regolò il fuoco del binocolo, mentre il compagno scuoteva la testa commiserandolo. «Non è che ci sia tanta luce.»
«Mah, insomma» l’Anbu con il cappuccio sbatté le palpebre a causa di un riverbero ai margini della proprietà dei Nara. Una pozzanghera, si disse, e comunque quando guardò meglio non trovò niente. «Lo sai usare quel coso o devo rispedirti all’Accademia?»
«Riprenditelo, se sei tanto bravo!»


Chiharu si irrigidì.
Se poteva fidarsi?
«Scusa?»
«So che ti sto chiedendo tanto, ma questo è importante. Non sarebbe la prima volta che resto fregato a causa tua. Anzi, posso elencare almeno una quindicina di avvenimenti da te prodotti che sono stati fonte di disgrazia per la mia vita. Adesso voglio sapere che non avrai colpi di testa, che non ti lascerai coinvolgere in nulla, che entrerai lì dentro con il mio aspetto e ti comporterai esattamente come mi comporterei io, per il mio bene.»
Chiharu provò l’impulso di ricoprirlo di insulti perché veniva a supplicare il suo aiuto accusandola di aver incasinato le cose. Se era così incapace, poteva anche fare a meno di lei!
«Non fare quella faccia, sai che ho ragione» Akeru le puntò un dito contro prima che agisse.
Chiharu ingoiò tutti i titoli che erano affiorati alle sue labbra. In effetti aveva ragione.
Ad essere proprio pignoli, lei doveva ad Akeru la propria libertà - anche se temporanea -, la vita - anche se con una salute traballante – e almeno una lezione sull’idiozia di cui avrebbe fatto tesoro. Tirarsi indietro adesso sarebbe stato proprio meschino.
«Non ho mai avuto intenzione di crearti problemi» borbottò comunque, perché l’orgoglio è davvero una brutta bestia. «Sono stata sfortuna...» ricordò che aveva detto le stesse cose a Sai, quel pomeriggio, e cosa lui le aveva risposto. «C’è stata una serie di eventi che ha portato a conclusioni inaspettate» si corresse. «E lo sai che mi dispiace per averti coinvolto.»
«Stai dicendo che non posso fidarmi, perché il destino trama contro di te?» cercò di capire Akeru.
No. Era risentita perché lui le dava tutta la colpa di quello che era successo, mentre lei si sentiva responsabile solo in parte.
«Ascolta... non farmi cambiare idea, per favore» gemette Akeru. «Io mi fido di te. Mi sono sempre fidato, e mi fido ancora – anche se il buonsenso mi dice che sono un imbecille. Mi fido davvero. So che fai un mucchio di cazzate, ma niente di davvero irrimediabile: solo tu potevi arrivare così vicina a una condanna per tradimento ed essere ancora salvabile, dai! Sappiamo entrambi che se dobbiamo stare sul filo del rasoio, forse soltanto tu puoi cadere in piedi. Dimmi che non succederà niente.»
Chiharu fu lusingata e un po’ stupita. In quel momento non pensò che dopo tutte le ore di interrogatori che si era dovuto sorbire Akeru probabilmente era diventato bravo a convincere le persone. Non pensò neanche al fatto che già prima aveva provato a far andare bene le cose, ma non ci era mai riuscita. Si sentì solo arrossire e avvertì un piccolo calore dentro il petto. Pensò a quando aveva incasinato tutto per orgoglio, per non restare indietro rispetto agli altri. Giurò che questa volta avrebbe lasciato correre; giurò che avrebbe fatto solo il minimo indispensabile per aiutare Akeru.
Ma dal pensare una cosa al dirla ne passava, soprattutto ultimamente.
Akeru sentì il silenzio che si protraeva e temette di aver fallito. Sbuffò, dandole le spalle, e si passò le mani tra i capelli. Muovendosi, il suo piede scivolò su un foglio che era per terra, e per poco non lo fece cadere.
«Ma che è?» chiese imprecando. «Perché hai tutti questi libri in giro? Sono libri di medicina...»
«Sto cercando di informarmi sul mio cuore, alla fine» si giustificò lei, un po’ imbarazzata. Si sentiva una bambina che impara a scrivere di fronte a uno scrittore affermato.
«E ci capisci qualcosa?» si stupì lui.
«Sì. Più o meno. Insomma, a dire il vero mi sono un po’ impantanata.»
«Tu non ti sei mai interessata di medicina.»
«Ma sono agli arresti domiciliari e mi viene il fiatone quando faccio le scale! Che altro potevo fare?»
Akeru sollevò un libro e lo mise sotto la luce della luna, cercando di leggere la scrittura minuscola.
«Anche se sei un genio, c’è una ragione per cui ci fanno studiare tutti quegli anni... Ora hai capito perché ogni volta che ti vedo partire in quarta mi viene un infarto?» domandò.
«In parte...» ammise lei.
Lui sorrise rimettendo giù il libro. «Stai davvero cercando di mettere la testa a posto... Tu pensa!»
«Te l’ho detto. Sei tu che non ti fidi di me...»
«Io mi fido, ma tu non mi hai detto che faccio bene a farlo.»
«Dovresti sapere che ho qualche problema con le parole... Io non faccio discorsi lunghi un’ora che aprono gli occhi alla gente. Dico due frasi, di solito sarcastiche, e la cosa finisce lì.»
«Discorsi che aprono gli occhi alla gente? Parli di me? Sono stato convincente in ospedale?» il sorriso di Akeru si allargò, in parte sorpreso e in parte compiaciuto.
Chiharu distolse lo sguardo; era stato molto più che convincente: aveva ribaltato la sua prospettiva sul mondo.
«Se... Se per caso avessi del tempo libero, prima o poi, avrei bisogno di aiuto per capire alcuni paragrafi» mugugnò a mezza bocca. «Gli ormoni, hai presente. Le ghiandole surrenali e quella roba complicata.»
Gli ormoni.
Argomento molto infelice, in quel momento.
O adeguato.
L’atmosfera era cambiata all’improvviso.
«Ora come ora non so se avremo mai più del tempo libero» mormorò Akeru fissandola.
«Ho detto se...» bisbigliò lei di rimando, chiedendosi perché diavolo avesse avuto l’idea di parlare proprio di ormoni.
Akeru spostò lo sguardo dai suoi occhi alle sue gambe, poi risalì fino a fermarsi alle labbra. Chiharu fremette.
Quel momento sapeva di déjavu. Déjavu due volte, per la precisione.
Non baciarlo, si disse Chiharu con determinazione.

Akeru socchiuse gli occhi, deglutì.
Il silenzio si dilatò.
Non baciarlo!
Troppo tardi.
Akeru si protese in avanti, la afferrò per i fianchi, lei gli prese il viso tra le mani e lo baciò.
Merda.
Un attimo dopo erano sul divano, e il singolo strato di stoffa su Chiharu volava sopra il dizionario medico, seguito dalla maglietta di Akeru. Il suo marsupio si incastrò dietro un cuscino, i sandali scivolarono sotto la poltrona.
Chiharu dimenticò Fay, Yoshi e tutti i suoi problemi, mentre le mani di Akeru scivolavano lungo il suo collo e poi giù sul suo corpo.
Lui le baciò le labbra, il collo, le spalle. Allora anche Akeru dimenticò tutto, Morino e Sakura e il resto. Dimenticò persino i due Anbu che avrebbero dovuto sorvegliare Chiharu.
Ma loro non dimenticarono lui.


«Li vedi? Che cosa stanno facendo?» chiese l’Anbu senza cappuccio.
«Per vederli li vedo. Almeno, vedo un piede e, credo, un pezzo di schiena» tese il binocolo al compagno, ridendo sotto i baffi. «Mi devi una cena, e ne voglio una buona. Non guardare troppo a lungo, va’».
Alla luce della luna un riflesso traslucido, come un’ombra sull’acqua, guizzò ai margini del terreno dei Nara, dove prima c’era stato il breve riflesso.
I due uomini non se ne accorsero.
Un lievissimo alito di vento portò fino a loro un sentore di zolfo, ma durò soltanto un secondo.









* * *

Buongiorno e buone feste a tutti!
Capitolo allegro ma foriero di tempesta.
Vi informo che dal prossimo aggiornamento si parte con il Casino!

Come state? Spero bene!
Io sono sempre al lavoro e sempre indaffarata,
ma i mocciosi chiamano con insistenza e forse riusciamo ad arrivare in fondo.

Spero che stiate passando delle vacanze piacevoli
(almeno voi che avete delle vacanze),
e spero che sopravviviate ai pranzi e alle cene in corso.
Nel frattempo un saluto a tutti e un abbraccio!

Arrivederci all'anno prossimo!

(PS: prima o poi riuscirò a scannerizzare i disegni dei mocciosi. Giuro.)
(PPS: un giorno riuscirò anche ad abituarmi al nuovo modus operandi di efp,
dove lettori e scrittori non interagiscono più, e ci sono centinaia di letture ma due commenti.
Per adesso è ancora un po' straniante, ma va beh.)




Susanna

  
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