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Autore: Urban BlackWolf    27/12/2016    3 recensioni
“ Non ce la faccio...”
“ Ti prego salvala. Salva la mia Ruka....” Michiru trattenne a stento le lacrime puntando lo sguardo a terra mentre con le mani tremanti si stringeva la cornice al petto.
“ Ti prego.” E questa volta l'argine degli occhi crollò.
Il tempo in quell'appartamento di un centro città si era fermato. C'erano solo due giovani donne. Una con la fronte poggiata sul freddo acciaio di una porta, nelle orecchie i singulti composti di un pianto lacerante e un'altra, stretta all'immagine dell'ancora della sua vita, incapace di muoversi, di alzare la testa, di fare qualcosa che non fosse il piangere, aspettando solo il suono dello scatto di una serratura ed il chiudersi di una porta.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena, Nuovo personaggio | Coppie: Haruka/Michiru
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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L'atto più grande

 

I personaggi di Haruka Tenou e Michiru Kaiou appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Il segugio e la preda di penna

 

 

Era rimasta nei pressi di quel divano per più di sei ore, consumando una quantità spropositata di te e caffè, seguendo con lo sguardo ogni movimento all'esterno della stanza dove era Haruka. Il dottor Kurzh aveva dovuto allontanarsi perchè chiamato altrove per un'emergenza e lei era rimasta sola, senza un riferimento, senza che nessuso le dicesse se e quando le cellule midollari di Giovanna sarebbero state impiantate. Aveva cercato più volte di chiedere ad un'infermiera, ma la sua ignoranza era apparso agli occhi di Michiru più reticenza che altro.

Verso le quattro del mattino il dottor Kurzh riapparve come un fantasma stringendo tra le mani un contenitore bianco e blu molto simile a quello usato per il trasporto degli organi, ma molto più piccolo. Attraversò la prima porta attendendo sotto la lama di gas antisettico i secondi necessari per essere decontaminato, ed inforcando guanti, mascherina e cuffietta entrò nella stanza. Avendo ancora i vetri oscurati Michiru potè solo ipotizzare che l'uomo avesse deciso che fosse arrivato il momento di procedere con il trapianto. Si sedette nuovamente sentendosi esausta.

All'incirca venti minuti dopo Kurzh uscì per occuparsi anche di lei. “Michiru mi perdoni se sono sparito così all'improvviso, ma c'è stata un'emergenza al piano delle degenze e sono dovuto scappare.” Aveva un viso sbattuto e due occhiaie che la donna non gli aveva mai vsto.

“Non si scusi Daniel, vedo la sua stanchezza. Spero non sia stato nulla di grave.”

Lui andando verso la macchinetta del caffè grugnì facendole capire tutto il contrario. “Purtroppo un decesso.” Odiava con tutto se stesso quella parte del suo lavoro ammantata d'impotenza.

“Era un giovane paziente al quale tenevo molto. Non so proprio come la prenderà... - Uno sguardo sfuggente alla stanza di Haruka per poi fissare gli occhi della donna ferma accanto a lui. - Comunque, abbiamo iniettato le cellule ed ora dobbiamo solo aspettare. Ci vorrà qualche ora, ma credo che prima delle otto dovremmo essere già in grado di capire l'evoluzione del trapianto. Michiru vedo molto provata anche lei, perchè non va un po' a stendersi nella camera di Haruka. Adesso è stabile e se dovessero esserci novità la manderò a chiamare.”

Rifiutando gentilmente il consiglio, la donna sfoggiò per l'ennesima volta una testardaggine cronica irrisolvibile, accettando però con gratitudine il nuovo caffè che le stava venendo offerto. Il medico serrò le labbra poco convinto domandandosi come facessero due donne dalla testa più dura del cemento armato, ad andare tanto d'accordo. Ad amarsi cosi intensamente.

“Michiru non tiri troppo la corda! Se dovesse crollarmi lei, chi baderebbe ad Haruka?”

“Non ho nessuna intenzione di crollare.” Sorrise afferrando il bicchierino.

“Sarà, ma...” S'interruppe notando che l'infermiera addetta al bancone del piano lo stava chiamando cornetta alla mano. Andò a sentire cosa fosse successo e tornando scuro in volto dovette ammettere che le teste dure in realtà fossero tre.

“Che cos'è successo?” Chiese Kaiou aggrottando la fronte.

“Non si allarmi, ma un mio collega del day-hospital mi ha appena riferito che la signora Aulis è sparita.”

“In che senso... sparita?”

“Nel senso che dopo l'estrazione del midollo, invece di distendersi buona buona sul letto a lei assegnato, ha preso una stampella e si è volatilizzata. La stanno cercando, ma non riescono a trovarla. Hanno guardato anche nel parco. Lei ha un'idea di dove possa essere?”

Michiru lo guardò incredula non sapendo cosa pensare. Dopo il messaggio ricevuto in serata non aveva più sentito l’amica ed in tutta onestà, non aveva neanche avuto la testa per ricordarsi di chiamarla.

“Mi faccia una grandissima cortesia Michiru; mi aiuti a trovarla. Anche se il prelievo è un'operazione semplice, c'è sempre il pericolo che la gamba ceda e che cada da qualche parte. Io proprio non capisco; neanche gli antidolorifici ha voluto. Ma cosa diavolo le passa per la testa?!" Allargando le braccia vinto sfondò il cielo con un'imprecazione. Anche questo adesso, come se la nottata non fosse già stata sufficientemente impegnativa.

Così si divisero. Lui sarebbe andato verso le zone interdette ai visitatori ed ai pazienti e lei verso le camere di lunga degenza ed il piano terra. Uno squillo sui rispettivi cellulari, il codice per il ritrovamento della fuggitiva.

Michiru camminò e frugò in ogni punto della struttura a lei non precluso, avvertendo i nervi montare rabbia passo dopo passo. Era stanca, provata, preoccupata, perchè Haruka non era ancora fuori pericolo e lei avrebbe avuto per tutta la vita incisa a fuoco vivo l'immagine di Kurzh con le piastre del defibrillatore nelle mani pronto a scaricarle corrente nel corpo. In più, aveva intravisto un gruppo di persone dilaniate dal dolore consolare una donna che aveva intuito essere la madre di qualcuno. Pensando al decesso che c'era appena stato, Kaiou era sparita il più velocemente possibile verso le scale ed ora si trovava a fissare il muro con appese le piantine della clinica con i pugni serrati e lo sguardo omicida. Appena l'avesse trovata gliene avrebbe vomitate quattro.

Ma dove cavolo sei?! Pensò spostando le iridi a destra ed a sinistra tra le linee dei disegni. Stanze, bagni, uffici. Sale operatorie, degenze, obitorio. Corridoi, accoglienza, bar, cappella.... Cappella!

Premendo con forza il maniglione rosso della porta anti-incendio si fiondò sul pianerottolo spinta da quella che sentiva essere quasi una certezza.

 

 

Giovanna alzò leggermente la testa avvertendo un rumore ritmico di tacchi avanzare alle sue spalle. Aveva imparato a riconoscere quella cadenza. Aggraziata, ma decisa. L'aveva trovata. Soffiando con forza via l'aria dai polmoni tornò ad appoggiare la fronte sugli avambracci. Si era rifugiata in quell'atollo di pace notturna per pensare e stare un po' per conto suo, ma sapeva che prima o poi Kaiou l'avrebbe snidata come un segugio da riporto con la sua preda di penna. Anche se non avrebbe mai creduto di riuscire nell'intento del tutto involontario, di sfilacciarle i nervi.

“Che cos'è uno scherzo?! Ti sta cercando mezza clinica!” La voce alterata di Kaiou risuonò per il piccolo ambiente.

L’amica non si mosse. Restò seduta sulla panca con i piedi poggiati sull'inginocchiatoio, la schiena incurvata in avanti, gli avambracci dimenticati sulle ginocchia e le mani serrate alla stampella dritta come un fuso di fronte a lei.

“Giovanna... Mi stai ascoltando?!” Michiru era sull'orlo della rottura. Come una diga al culmine di uno svaso, stava per cedere al peso di tutta la pressione accumulata in quelle ore.

“Allora?!” Ancora nessuna risposta.

Imbestialita fece per andarsene quando un leggerissimo singulto non le fermò il passo corrugandole la fronte. Tornando a guardare l'amica notò che le stavano tremando le braccia.

“Giovanna... stai bene?” Si avvicinò per toccarle la schiena quando l'altra le chiese come stesse Haruka. Se fosse ancora viva.

La carica nervosa di Michiru si azzerò di colpo. Sedendosi di peso sulla panca con ancora la mano sulla schiena dell'altra, si rese conto di avere completamente mancato di empatia ed ora che ne sentiva il leggerissimo pianto, capiva di essere stata un'egoista. Si era preoccupata solo di se stessa, di Haruka e di quello che stava provando per lei, ed anche se questo era l'ovvietà del vincolo di un’amore profondo come il loro, non poteva essere una scusante per aver dimenticato un'altro essere che a modo suo, si era prodigato e stava continuando a farlo per rendere possibile la prosecuzione della loro felicità. Non l'aveva accompagnata al prelievo, come non si era preoccupata di tenerla informata sull'evoluzione della chemio. Doveva a quella donna tutto e l'aveva lasciata sola. Si sentì improvvisamente un mostro e stringendola forte poggiò la guancia sulla sua schiena.

“Perdonami... Haruka è stabile. Ha superato la chemio e le hanno appena innestato le tue cellule.”

“Il cuore ha retto?”

“Insomma. Hanno dovuto defibrillare, però ora va meglio. Non è ancora fuori pericolo, ma...” Avvertì i muscoli di Giovanna contrarsi accorgendosi di un nuovo tremore.

“Che cos'hai? Hai male alla gamba?” Chiese allarmata ricordandosi di quello che le aveva detto il dottor Kurzh in merito agli antidolorifici. Anche Haruka quando aveva dei dolori prendeva a tremare.

“Mi spieghi perchè sei qui?”

E finalmente l'altra alzò il busto poggiandosi alla traversa di legno. Non era mai stata un tipo da lacrima facile e non lo sarebbe mai stata. Credendo fermamente in un dopo, non aveva pianto neanche alla morte di sua madre e non lo avrebbe mai fatto. Sopportava mal volentieri il sentir piangere ritenendola, a torto o a ragione, l'espressione di un'enorme debolezza. Ma ora non poteva esimersi dal farlo. Forse a causa della scoperta di avere una sorella, il saperla malata, il sentirsi inadeguata, lo stare in un paese straniero, il non poter chiedere a Michiru di rassicurarla, perchè lei per prima in quella storia non aveva certezze, l'aver provato paura per un intervento che anche se semplice, era stato pur sempre un intervento, il provare dolore fisico, il sapere Haruka immersa in una sofferenza di gran lunga più violenta della sua, il saperla in pericolo, il sentirsi sola. Tutto questo aveva portato Giovanna a sedersi di fronte a quello che riteneva essere il suo Dio e a piangere un pò. Come una bestiola sofferente e spaventata, aveva scelto di rintanarsi in un cantuccio caldo ed ovattato, dove sentirsi al sicuro e magari dove chiedere anche un “piccolo” miracolo.

“Le cappelle mi rilassano. C'è pace qui.” Spiegò tirando su con il naso.

“Non mi hai risposto... Hai male?”

“Un po’, ma è sopportabile”

“Mi hanno detto che non hai preso nulla per il dolore. Credi forse che soffrendo anche tu potrai rendere meno dolorosa la lotta di Haruka?” Se fosse stato così semplice Michiru si sarebbe strappata il cuore già da molto tempo.

L'altra prese a massaggiarsi la coscia destra avvertendo sotto le dita il cerotto e l'ematoma che quell'ago da diciotto le aveva provocato. “Per lei non ho mai fatto nulla ed anche se non è stata colpa mia, mi sento... Michiru lo so che è un'idiozia, però mi sento responsabile per non esserci mai stata. Credo che la sua vita non sia stata semplice...- Non sapeva bene come spiegarsi. - Lascia che ora faccia questa cosa che io per prima ritengo stupida, ma che mi permette di sentirmi un po' più vicina alla mia... sorellina spacca culi.” Concluse tornando nella posizione precedente riprendendo un pianto silenzioso.

Michiru scosse la testa. “Giovanna le hai dato una speranza. Le hai dato una parte di te e non hai battuto ciglio nel farlo. Guarda che Haruka ha anche parenti da parte di madre e nessuno s'è mai degnato di aiutarla. Non c'è bisogno che tu le dia anche questa sofferenza.” Soffiò iniziando a massaggiarle la schiena.

Adesso era l'Architetto Aulis, divertente, alla mano, distratta, sicura del fatto suo, restia alle amicizie facili ed accattivanti, amante della solitudine e delle cose belle, che stava crollando. Continuarono a stare in quella posizione per parecchio tempo, Giovanna a lasciare andar via dall'anima tutto quel bailamme emozionale accumulato in giorni e Michiru che prendeva definitiva consapevolezza che non c'era più solo Haruka nella sua vita, ma che in tutto quello che stava accadendo aveva trovato il dono incomparabile dell'amicizia. Così Kaiou decise che avrebbe fatto di tutto per far si che quelle due donne iniziassero ad avere dei ricordi in comune. Lo doveva ad entrambe.

Quando la giovane donna finì di sfogarsi tornando definitivamente a poggiare la schiena alla traversa della panca, Michiru le sorrise porgendole un fazzoletto. L'altra lo prese senza guardarla sperando che la frangia castana le coprisse gli occhi arrossati.

“Anche in questo siete molto simili. Vi vergognate di piangere neanche fosse la cosa più disdicevole del mondo.”

“È un segno di debolezza.”

”Appunto. Siete uguali.”

”Scommetto che non le capita spesso.”

“Di piangere? No, ma le volte che è accaduto mi ha fatto giurare di non rivelarlo mai a nessuno. Perciò... acqua in bocca.” E si sentì sollevata nel vederla sorridere a sua volta capendo che il beneficio delle lacrime c'era stato.

Osservando la piccola stanza dalle pareti bianche con un modesto altare ed un crocefisso, chiese improvvisamente. “Credi davvero in tutto questo?”

Giovanna face un cenno d'assenso respirando pienamente il leggero odore di fumo proveniente dalle candele poste sotto l'immagine dei santi Felice e Regola. I protettori di Zurigo.

“Anche Haruka ci crede. Molto più di me.” Ammise Michiru.

“Penso che in una coppia ci sia sempre quello che trascina e quello che viene trascinato. Tu spingi Haruka in alcune cose e lei te in altre. La fede, anche se soggettiva, ricade nella stessa formula.”

Michiru perse lo sguardo al crocefisso mentre l'altra le confessava che secondo lei gli avvenimenti salienti della vita degli esseri umani, non potevano essere solo una serie di coincidenze.

“Lo sai che il posto da capo cantiere in Vaticano era stato assegnato ad un'altra persona ed è stato per puro caso che abbiano scelto me? Io sono subentrata ad una collega andata in maternità. Poi ho perso il cartellino e l'hai trovato tu. Ci siamo ritrovate a lavorare nello stesso posto e nello stesso momento. Il resto... è storia. - Illuminandosi continuò. - Mi piace pensare che il nostro incontro non sia stato solo frutto di un assurdo caso, ma di un disegno più grande.”

L’altra aveva già sentito parole simili. Ci pensò su decidendo poi di alzarsi.

“Te la senti di venire con me a farle un po' di compagnia? Non possiamo entrare nella sua stanza, ma c'è un salottino con un divano e ti posso assicurare che è comodissimo.”

Giovanna guardò il crocefisso e l'altra d'istinto le porse la mano. “Guarda che non è solo qui, ma in ogni dove.”

La più grande si lasciò convincere afferrandole la mano e facendo leva sulla testa della stampella uscì dal banco chiedendole un appoggio. Michiru le mise un braccio sotto l'ascella e lentamente si diressero verso la porta. Per la prima volta Giovanna sarebbe stata vicino ad Haruka.

”E tu Michiru, come stai?”

”La verità? Sono esausta.”

 

 

Il bip del tracciato cardiaco iniziò a darle fastidio nell'istante esatto nel quale il suo io tornò a riemergere dal torpore dell'incoscienza. Le piaceva addormentarsi con il silenzio, tollerando mal volentieri anche i suoni naturali se prolungati e ripetitivi, ed il risveglio ricalcava fedelmente quella strada. Adesso perchè era costretta ad ascoltare un suono tanto fastidioso?

Haruka aprì il verde degli occhi puntandolo al monitor. Se ci fosse arrivata da sola l'avrebbe spento lei quell'aggeggio, come aveva già fatto altre volte, ma non aveva forza nei muscoli. Si sentiva la febbre ed era sufficientemente zuppa di sudore da desiderare quanto meno un cambio di camicia. Si guardò intorno cercando un aiuto, ma purtroppo per lei nella stanza trovò solo lo psicopatico in bianco, vestito di verde menta e per di più acchitato come un fesso.

Kurzh smise di leggere i fogli che stringeva in mano mentre la bionda tornava a guardare il monitor. Lui capì spegnendo il sonoro.

“Haruka, l'ultima volta è riuscita a resettare una macchina da diverse migliaia di franchi. Facciamo che oggi ci penso io. Allora... come andiamo?”

Ma perchè sempre la solita domanda idiota? Non aveva voglia di parlare. Aveva la gola secca. Ed anche un gran mal di testa.

Avvertendo il tocco di due dita premute sull'arteria del collo iniziò a fissarlo storto. Non amava essere toccata da lui e sapeva che da li a breve le avrebbe slacciato la camicia per auscultarle il torace con lo stetoscopio. Puntuale l'uomo iniziò a sbottonarle un paio d'asole piazzandole l'amplificatore gelato in mezzo al seno. D'istinto Haruka mosse la mano destra bloccandogli le dita. Una presa debolissima, ma pur sempre una presa.

“Bene, bene, bene... Tenou è tornata!” Disse soddisfatto ridacchiando dietro la mascherina.

Se non togli immediatamente le dita da li... te le spezzo, pensò lei cercando di mettere a fuoco registrando che la vista presentava come una foschia.

“Ma non abbiamo ancora forze a sufficienza e perciò... - una pressione leggera al disco metallico - ...fino a quando sarà costretta in questo letto, farà quello che il suo medico le dice di fare. Allora,... come si sente?”

Capendo l'andazzo cercò di rispondergli notando con stupore di avere un po' di fiato. “Ho male... al petto. Mi sento la febbre e... vorrei... una camicia pulita... per... favore... Ho un gran freddo e sete.”

Lui le misurò la temperatura annuendo con crescente soddisfazione. Era il primo segno di attività leucocitica. Era un'ottima notizia.

“Per i lividi che ha sullo sterno la colpa è mia. Ha cercato di morirmi davanti e non ho potuto lasciarglielo fare. Per quanto riguarda una camicia pulita, glienela faccio portare immediatamente. Guardi, la sua compagna è proprio qui fuori. Ci metterà un attimo ad andarla a prendere. Ora beva questa.” Le porse un bicchiere d’acqua ed una volta tolta la maschera d’ossigeno l’aiuto’ a bere. Poi riaprì le veneziane in modo che la bionda potesse vederla.

Anche se offuscata da un'alone scuro Haruka la riconobbe subito. Era seduta su un divano o una cosa simile.

“Sta riposando un po'. Non dorme da ore. Ed anche lei sarà meglio che non faccia sforzi. Avanti Haruka... la battaglia continua.” E prima che lei potesse controbattere qualcosa la stanchezza tornó a ghermirla. Sentì le palpebre chiudersi, ma riuscì comunque a guardare ancora una volta attraverso il vetro la sua donna seduta sul divano con al fianco un'altra persona.

Michi e tornò a dormire.

Michiru si svegliò con l'esatta convinzione di essere stata chiamata. Alzando il mento dimenticato nel palmo della mano si guardò attorno. Avvertendo la testa di Giovanna sulle gambe si accertò che stesse ancora dormendo. Era stato un calvario riuscire a portarla sin li, perchè mai quella donna caparbia si sarebbe fatta scarrozzare per i corridoi in sedia a rotelle. Una volta riuscita a farla sedere, l'aveva sentita scivolarle addosso poco a poco fino a crollarle in grembo. E nonostante tutta la caffeina che aveva in corpo, lei l'aveva seguita nella terra di Morfeo qualche minuto dopo.

Sentì il suono delle porte scorrevoli della camera di Haruka aprirsi e vide che le veneziane erano state tirate su. Il suo angelo biondo dormiva. Kurzh venne avanti con un gran sorriso stampato sul viso. Un'occhiata a Giovanna e Michiru decise di svegliarla. Non l'avrebbe più tenuta in disparte.

 

   
 
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