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Autore: Losiliel    28/12/2016    6 recensioni
Il salvataggio di Maedhros da parte di Fingon in chiave moderna.
Una Russingon modern-AU.
Genere: Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Celegorm, Curufin, Figli di Fëanor, Fingon, Maedhros
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'First Age Daydream'
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CAPITOLO 8

dove Maedhros riceve visite

 

 

 

Maedhros, svegliati!

Quella era la voce di suo padre. E lui non disobbediva mai a suo padre. Nemmeno se era morto.

Ma questa volta Maedhros non lo ascoltò. Non voleva svegliarsi. Era certo che ci sarebbe stato qualcosa di terribile ad attenderlo, se si fosse svegliato.

Freddo. Sete. Dolore.

Maedhros, devi svegliarti.

No. No per niente!

Preferiva rimanere lì, a fingere di essere nel suo letto, al caldo. A fingere che ci fosse davvero il padre accanto a lui, che lo chiamava per affrontare una nuova giornata insieme.

Perché mai avrebbe dovuto tornare a una realtà in cui non avrebbe mai più potuto ascoltare quella voce amata? In cui era intrappolato in una situazione disperata, senza via d’uscita?

Ma la voce insisteva.

Nelyafinwë!

Nelyafinwë. Così Fëanor si era rivolto a lui quando gli aveva chiesto di fare ciò che aveva fatto. Col suo secondo nome, quello che gli ricordava le sue origini, che lo legava direttamente al nonno.

Il lavoro di tutta una vita è stato rubato, aveva detto, non permetterò che il colpevole rimanga impunito. Le indagini non stanno portando a nulla. Quegli incapaci non sono riusciti a ricavare indizi dalla scena del crimine.

Così chiamava l'uccisione del nonno: la scena del crimine. Era il suo modo per mantenere il distacco. Per salvarsi dalla sofferenza.

Ma io so chi è stato, e lo smaschererò, e riprenderò ciò che è mio.

E tu mi aiuterai.

Sì, padre, aveva detto. Senza esitare un solo istante, come sempre.

Ma quanto era costato quel sì! Mesi di ricerche, di appostamenti, di contatti falliti. Mesi in cui la sua vita privata era andata a rotoli, in cui aveva finito per rovinare ciò che non aveva mai avuto il coraggio di chiamare "la sua relazione", anche se era esattamente di quello che si trattava.

Mi farò perdonare, si era giustificato con sé stesso, mi farò perdonare quando tutto sarà finito. 

Ma il giorno in cui suo padre avrebbe dovuto incontrarsi con colui che aveva acconsentito a fornirgli informazioni dall'interno della Gothmog, Fëanor era stato travolto da un’auto ed era morto ancora prima di entrare in sala operatoria.

Maedhros aveva trovato un messaggio sul suo cellulare quella sera. Un'unica parola.

SMETTI.

Ma come avrebbe potuto smettere? Aveva fatto una promessa a suo padre. Aveva detto , gliel'aveva ripetuto in ospedale.

– Giuramelo – aveva sussurrato Fëanor poco prima di chiudere gli occhi per sempre, – giurami che gliela farai pagare.

E lui aveva giurato.

Non poteva rinunciare alla parola data. E, in ogni caso, cedere a una minaccia sarebbe stato codardia.

Aveva allontanato i suoi cari, aveva messo fine alla sua non-relazione, e si era dedicato a riprendere le ricerche dove Fëanor le aveva interrotte. Quando non aveva avuto altra scelta, si era rivolto a Curufin.

E adesso eccolo lì, tra la vita e la morte, ad ascoltare un padre defunto.

Svegliati. 

A desiderare, più di ogni altra cosa, che fosse lì accanto a lui. A desiderare quel tocco sul suo braccio, e quello sguardo fiero, che lo rendeva capace di affrontare qualunque prova.

Sono perduto, pensò, o sognò di pensare. Ho fatto sempre ciò che mi hai chiesto e, da quando non ci sei più, sono perduto.

E gli sembrò di vederlo, chinato su di lui, con i suoi occhi antracite sul cui fondo brillava, sempre, la fiamma dell'orgoglio, della brama di conoscenza, dell’ambizione.

È ora che cominci a prendere le tue decisioni da solo, figlio mio.

Non ne sono capace, mormorò, forse solo nella sua testa, credevo di esserlo, ma non faccio che errori.

E non pensava solo alla situazione attuale, e alla tragica fine del suo piano che si era rivelato tutt’altro che perfetto, ma ad altre scelte, ad altri piani, a parole dette in un bar tanto tempo prima.

Puoi ancora rimediare, Maedhros. Non arrenderti.

Ora sentiva la sua presenza, a pochi centimetri da lui, percepiva perfino il calore che emanava.

– Svegliati! – disse ancora la voce, che adesso non era più quella di suo padre.

Ma era vicina, così vicina che sentì il soffio del fiato caldo sulla pelle del viso. 

E lui aveva freddo. Un freddo terribile. Un freddo che penetrava in ogni cellula del suo corpo, tranne in quelle del braccio, che era completamente insensibile.

Sentì che la sua testa si chinava verso la fonte di quel calore, desiderandolo.

Gli sembrò che le sue labbra sfiorassero qualcosa di bollente e, incerto se indugiare in quella sensazione o rifuggirla, aprì gli occhi.

Su di lui incombeva un volto. Emergeva pallido, dal buio.

Occhi assenti in un viso troppo giovane, e capelli rosso fiamma che spiccavano anche nella semi oscurità. 

Aveva già visto quel viso. Ma non ricordava dove.

– Ho sete – gli sfuggì, perché sembrava la cosa più importante da dire, e perché, nella penombra, ebbe l'impressione che il giovane avesse in mano un bicchiere.

L’altro avvicinò le labbra all'orecchio di Maedhros e sussurrò qualcosa che la sua mente non comprese, ma che volle interpretare come parole di conforto. 

Poi gli passò una mano tra i capelli, un tocco lieve, che continuò ad esserlo finché le dita si incastrarono dove erano incrostati di sangue secco, sulla nuca. Allora diede uno strattone per liberarle e scese lungo la guancia. Quando passò sulla ferita infertagli dall'anello dell'uomo, grattò per togliere la crosta che cominciava a formarsi.

Maedhros gemette, più per la sorpresa che per il dolore vero e proprio, che non era molto, rispetto a quelli che stava già patendo. Nel suo stato al limite del sogno, non riusciva a concepire la violenza.

Sentì altre parole sussurrate, più chiare questa volta: – Mi piacerebbe attardarmi ancora con te...

E cominciò a capire.

Vide una mano che si alzava davanti a lui. Reggeva qualcosa. Un bicchiere, si disse, anche se ormai non ci credeva più. Un bicchiere d’acqua.

Il giovane parlò ancora: – Ma il mio compito è controllare che tu rimanga in vita... assetato... e sofferente.

E nel dire questo, con uno scatto repentino, la sua mano raggiunse il collo di Maedhros, poco sotto l’orecchio sinistro, e con un colpo secco del polso gli fece affondare qualcosa tra il collo e la clavicola, che gli lacerò pelle e muscoli. Lui gridò e cercò di togliersi di dosso l’aggressore, ma un braccio era inutilizzabile e l'altro era paralizzato da ciò che aveva conficcato nella spalla. 

Il suo torturatore estrasse l’arma dalla sua carne e si tirò in piedi con un unico movimento fluido. Un arco di gocce rosse si disegnò nell’aria.

A causa del dolore, o del suo stesso urlare, Maedhros emerse dallo stato di torpore che gli ottenebrava la mente per affrontare la realtà che lo circondava.

La stanza buia. La luce malsana che penetrava dalla finestra sporca. Il suo aguzzino dai capelli asimmetrici e dall'abito impeccabile, con un frammento di bottiglia in mano che colava liquido scuro, in piedi davanti a lui.

Il giovane estrasse di tasca un fazzoletto e vi avvolse il pezzo di vetro. Controllò lo stato del suo vestito, come volesse verificare di non essersi sporcato troppo, poi si lisciò la giacca con cura.

Infine si rivolse a Maedhros, che giaceva accasciato e si stringeva il collo nel vano tentativo di arrestare il flusso di sangue.

– Prima gli fai sapere quello che vuole, prima finirà, bel faccino – disse, e lo lasciò solo.

 


 

 

______________

Note

Capitolo corto, questo, lo so… motivo per cui tra ventiquattro ore avrete il seguito!!
Appuntamento a domani, quando le cose precipitano!!!

 

  
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