seconda^^ ommioddio non ci credevo^^
leggete leggete.. che è particolarmente tristee^^
La mort, la damnation et la béatitude.
Silenzio, freddo, perfetto.
Immoto, labile, nero.
Impenetrabile, indissolubile, gelido.
Cos’è questo luogo?, mi chiedete, oh voi,
esseri con ancora il sangue che scorre e dalle passioni e le emozioni ancora
vive e pulsanti.
Io vi risponderò sorridendo.
La
morte .(Sono e non sono)
A questa risposta cosa mi rispondereste voi?
Mi guardereste senza capire davvero. Perché
mai la morte dovrebbe essere gelida? Non c’è forse altro al di là di questa
terra? Non c’è un luogo paradisiaco bello e fresco?
Forse. Sono morto, è vero, dovrei saperlo dire. Ma se invece fossi rimasto bloccato in
un limbo, nell’ attesa, (no virgola) inutile, di poter compiere quell’ unico
gesto che in vita non sono riuscito a fare,
per potere finalmente passare oltre?
Io sono rimasto bloccato nel limbo. Non più
nulla che un sogno, non più nulla se non l’essenza di una tangibile bugia su
uno specchio mortale, nel vero senso della parola.
Sordida anima rimasta incompiuta.
Ecco cosa sono, spettro dell’ uomo che ero e
che non sono più.
Cosa mi trattiene qui?
Se potessi vi risponderei con una risata
amara, sofferta, persino inutile.
Quante volte vi siete recati alle tombe dei
vostri cari, posandovi, sopra, colpevoli, oh mortali, di non avere detto quelle
poche ma semplici parole, null’ altro che suoni gutturali creati per esprimere
concetti non del tutto logici?
Ognuno ha sempre qualcosa da confidare ai
morti, qualcosa che non ha mai avuto il coraggio, la forza, la voglia, l’
occasione, lo spirito di dire quando chi vi ha lasciato era ancora in vita
accanto a voi.
E la processione è sempre la stessa. Lacrime
soffocate a fatica, a volte non soffocate affatto, mormorii sottili e
malinconici, coscienze pesanti che mai si alleggeriranno.
E chi viene di fronte a queste tombe?
Uomini, donne, ragazzi.
Ce ne sono alcuni abitudinari, come quel
ragazzo dai capelli argentati, la ragazza dai capelli viola, un bambino dai
capelli marroni …
Al contrario altri che vengono poco, fuggendo
al rimorso che li assale.
Tutti hanno qualcosa da dire ai morti.
Nessuno, dico nessuno, si chiede se, a loro
volta, i morti non abbiano qualcosa da dire ai vivi. Noi, noi morti, perdiamo
la vita in un secondo, veniamo colti impreparati. E se non avessimo detto
tutto? Se volessimo dire tante cose, o poche, e non ne avessimo l’ occasione?
Noi non possiamo annegare il dolore con l’ alcol, oppure sprofondare nel
rimorso e nel dispiacere. Noi non abbiamo tombe a cui affidare i rimpianti e le
frasi non dette, né i “ Ti amo” mai pronunciati.
Noi siamo morti, non abbiamo nessuno. E non
ci è concesso trovare la pace senza avere detto tutto. E così io, un uomo non
diverso da molti, sono ancora bloccato in questo limbo ad aspettare la mia occasione
per potere dire finalmente quelle poche parole che sarebbero la mia via verso
la felicità, o qualsiasi cosa ci sia dopo.
Chi sono io?
I miei occhi azzurri sorriderebberoa tale
domanda, mentre il mio corpo si sarebbe contratto nella sua tomba di pietra.
Avete presente quei cinque ritratti sulla
montagna?
Sì, proprio quelli del monte Hokage.
Il mio volto è tra quelli.
Il mio nome era temuto e rispettato. Il mio
nome era Tobirama Senju, secondo Kage
di Konoha.
Vi dice nulla?
Rispettato,
onorato, potentissimo.
Impulsivo, poco
razionale, dal sangue caldo.
Io ero l’ Hokage di
questo villaggio. Il più potente utilizzatore delle arti acquatiche che sia mai
esistito e probabilmente il più potente che mai esisterà.
E cosa potrei avere
io da dire al mondo?
Essere stato un
guerriero, essere morto per salvare un villaggio è forse l’ emblema della
soddisfazione?
Sì, sono stato un
eroe. Sì, ho amato il mio villaggio con tutto me stesso.
Sì, sono morto per
salvare tutti i ragazzini, innocenti o meno di questo posto.
Sono morto, infine.
Come tutti gli
esseri umani, anche se dall’ alto del mio potere pensavo che la morte non sarebbe
arrivata, non per me, almeno.
E, nonostante ogni
giorno scendessi in battaglia, tingessi le mie mani del sangue dei nemici,
persone che potevano essere anche più piccole della mia adorata nipote, credevo
che la nera signora non sarebbe mai riuscita a raggiungermi e a farmi suo.
E poi quel giorno …
protessi quella donna.
La spada del nemico
mi perforò le carni, la mia vita si involò tra un mare di sangue, e no, al
contrario di Epaminonda, non morii felice.
Perché?!
Perché mai riuscii
a dirle che l’amavo.
Lei, lei chi era?
Lei era la donna che protessi col mio corpo.
Lei, che era al contempo forte eppure così fragile, lei che se aveva in testa
qualcosa la faceva, lei che non era buona, ma per il villaggio avrebbe dato
tutto.
Lei che era
adorabile e detestabile, lei che aveva in testa solo la patria. Lei.
Koharu Utatane, mia
compagna di squadra, unica donna in una squadra di uomini, e che uomini.
Due hokage, un
ninja abilissimo e poi lei.
Lei, che era la
nostra protetta,lei che sarebbe diventata importante per il villaggio, forse
più di me o di mio fratello. Lei che popolava i miei sogni. Lei, donna della
quale assaporai il corpo ma mai l’ anima, perché non ebbi il coraggio di dirle
“Ti amo”.
Il coraggio? Forse
non ebbi la voglia di impegnarmi, con quella donna. Morii per salvarla, senza
dirle davvero il perché, lasciando che altri uomini possedessero il suo corpo.
Sono morto così,
tra le lacrime e il sangue, con la dignità di un hokage morto per il suo paese,
di un uomo morto per la donna che amava, e che, nonostante la morte, ama
ancora.
E lei è andata
avanti. Ha visitato la mia tomba, posando fiori, portando dentro al cuore il
lutto per un amore perduto, poiché anch’essa
mi amava come non era possibile.
Ma anche lei è
invecchiata.
Guerriera,
insegnante, politica.
Giovane dai capelli
rossi, vecchia arcigna dai capelli grigi e con poco fiato in corpo. Inutile
dire che questo è il destino degli esseri umani, nascere , sopravvivere e infine invecchiare lentamente. Ma per queste
sofferenze continue vale davvero la pena di vivere la vita, anche solo per un
sospiro vale la pena di vivere la vita.
Era la mia amante,
non la mia amata, e nonostante ciò la mia adorata nipote la detestava, era
gelosa. Ora si battono davanti a un tavolo di politica, la stessa amarezza di
un tempo.
Chi da la colpa per
la mia prematura dipartita, che per la mia vigliaccheria.
Colpa, colpa …
Colpa mia.
Ci sono cose che
non ho mai detto, cose che mi tengono attaccato a questo limbo, questo antro
angusto. Una di quelle cose è un sospirato “ Ti amo” e non un semplice “ sei
bellissima”.
Perché io, signori,
ho visto la mia donna diventare vecchia, sposare un uomo che non amava e non
ama, solo per dimenticarmi. Ho visto la morte avvicinarsi alla mia donna per la
seconda volta, inesorabilmente.
E se potessi
tornare indietro?
Sacrificherei la
mia vita lo stesso, per lei.
Ma tra le lacrime
di sangue griderei al mio amore, tra la morte e la vita sceglierei comunque la
morte col suo nome sulle labbra.
Se, se … se …
Troppi se, troppi
ma. La nostra storia è andata così. Punto stop ,non posso rimediare.
Me se avessi la
possibilità di dirle le parole che non le ho mai detto le direi che era la
donna migliore che potessi mai incontrare, le direi che avrei aspettato in
eterno anche solo per vederla invecchiare al suo fianco ed essere con lei, le
avrei detto che per non farla soffrire avrei dato qualsiasi cosa. Le avrei
detto che era la mia ragione per andare avanti, la ragione per cui lottare, la
mia stella polare.
Per lei averi
mollato tutto.
Non perché donna,
non perché amica, semplicemente perché Lei.
Se potessi le direi
che saprei riconoscere il suo passo tra milioni, il suo odore sfumato dal ventotra
miliardi, la sua voce echeggiante tra
tutto l’ universo.
Ma non posso.
E ciò che non è
stato fatto … non si può cambiare.
Allora aspetterò
ancora mille, duemila, miliardi di anni in questo limbo, guardando, ricordando
la donna che era e quello che il dolore e la politica l’ hanno fatta diventare.
Perché lei è stata
la mandante di più di una strage.
Ma l’ha fatto per
il villaggio, la cosa per cui io e mio
fratello abbiamo lottato e combattuto.
E io non posso
rimproverarle nulla.
Renderei questa mia
anima per vedere(ancora una volta il suo
volto, anche da vecchia, darle un ultimo bacio, carezzarle la fronte.
Perché la cosa che
mi è mancata in questi anni sono stati i piccoli gesti, le piccole occhiate di
una giovinezza bruciata. Non il suo corpo.
Sento passi, su
questa terra, sopra la mia culla eterna.
Una donna, vecchia,
si piega, lasciando accanto alla mia tomba un mazzo di rose bianche.
Le mie rose, il mio fiore anche se era lei il mio fiore preferito.
Mani vecchie e raggrinzite
sfiorano la mia lapide, un secondo, un sorriso, una lacrima che scivola tra le
rughe della vecchia.
- Tobirama ... amico mio.-
Come non
riconoscere quella voce…
La sua voce tra tutto l’
universo.
- Sono venuta a finire qui la mia vita,
con te. Con te che la vita me l’ hai ridata.-
Cosa?!
- Sono venuta da te, Tobirama. Perché so
che la mia vita finirà oggi, Tobirama.-
No, tu vivrai!
- Ho vissuto troppo a lungo da sola, con
una persona che non amavo. Sono diventata una vecchia acida e sterile, con più
di una colpa sulle spalle.-
No, tu …
- Oggi so che sarà il mio ultimo giorno di
vita. Allora vorrei dirti quelle parole che non ti ho mai detto. Ti amo,
Tobirama. Ho aspettato la morte per ricongiungermi con te. Ho amato il tuo
corpo da giovane, ora, da vecchia, non amo altri che la tua anima. È il momento
di dire addio ad un mondo che dalla tua scomparsa non è mai stato il mio.
Perché se ho combattuto per questo villaggio è stato per te e per il tuo sogno.
–
Tu eri il mio sogno.
La vecchia si
inginocchia, tocca la terra con le labbra, baciandola, sussurrando un dolce “
ti Amo” a quelle che pensa sterili pietre. Lei non lo sa che ci sono io a
pulsare lì sotto.
- Ti amo.- sussurro io.
- Tobirama- sama, ti amo anche io.-
E poi… Morte.
Solitamente la
morte è un momento triste, doloroso quasi. Mentre la spada della falciatrice
percuote le tue carni la cosa ti lascia senza fiato, vuoto, per un increscioso
istante. Poi , per i fortunati, si sussegue un passaggio ad un mondo felice. E
per i dannati?
Il dolore permane.
Ma qualche volta un
dannato diviene felice. Perché a volte basta sussurrare parole che non si ha
mai avuto il coraggio di dire per conquistare un piccolo frammento di felicità,
ma infondo, quello necessario per la pace.
E a volte i dannati
rimangono semplicemente morti qualsiasi, con una grande scintilla di vita. L’
amore.
Il corpo di Koharu
Utatane fu trovato riverso a terra, una smorfia felice dipinta sul volto.
Fu sepolta accanto
al secondo Hokage, per ordine di Tsunade.
E nessuno sa come
ne perché ma le mani dei due cadaveri si intrecciarono misteriosamente.
Delle rose bianche
nacquero su quella tomba.
Le rose di due
dannati.
Perché a volte non bisogna essere dei beati per essere felici.
CONTEST^^
2° ClassificateA parimerito:
La mort, la damnation et la
béatitude [Bravesoul ]
Livello ortografico + Lessico: 9.5 (10)
Trama
(come sarà strutturata): 10(10)
Originalità: 5(5)
Caratterizzazione dei
personaggi: 5(5)
Attinenza alla traccia : 5(5)
Gradimento personale: 1
(1)
Totale: 34, 5(36)
Giudizio della giudice: S T U P E N D A. Se
all’inizio non mi convinceva molto per la trattazione dei personaggi,
rileggendola una seconda volta l’ho trovata dannatamente coinvolgente. Molto
bella, dall’inizio alla fine, un po’ triste ma dal finale dolce-amaro,
praticamente calza a pennello al tema del contest. Qualche errore di
distrazione, ma niente di grave che non si possa risolvere con una buona
rilettura. Un punticino tolto al conteggio per l’uso del beta, ma niente di
grave. Ancora brava, complimenti!