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Autore: Lady_Firiel    29/12/2016    1 recensioni
In cui Atobe cerca di sedurre Tezuka con allusioni non particolarmente sottili e Tezuka è semplicemente troppo serio.
Atobe/Tezuka ambientata in un potenziale periodo universitario.
Genere: Commedia, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Keigo Atobe, Tezuka Kunimitsu
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Letteralmente
Salve a tutti! Accidenti, è passato tanto di quel tempo che quando ho aperto la pagina autore per caricare il testo ho dovuto soffiare via le ragnatele.
Questa storia è principalmente un esperimento sociologico(?), perché è una traduzione. No, no, state calmi, non ho dimenticato l'avviso, è la traduzione di una mia storia fatta da me medesima (nessun problema di copyright, quindi, non penso di farmi causa da sola).
La storia originale è in inglese ed è pubblicata su Ao3 (Archive of our own, per coloro che non sono del giro); se siete interessati vi raccomando di leggerla in originale, e potete farlo qui: Literally Speaking
Vi lascio i dati tecnici(?), ci rivediamo al fondo per le note (, ci sono le note)

Titolo: Letteralmente
Autore: Lady_Firiel
Fandom: Tennis no Oujisama | Prince of Tennis
Personaggi: Atobe Keigo, Tezuka Kunimitsu
Pairing: Atobe/Tezuka
Avvertimenti: shounen-ai/yaoi (nulla di esplicito); pessime frasi da rimorchio (non usatele a casa se non volete soffrire: non funzionano)




Letteralmente


Atobe si staccò dal muro al quale era appoggiato e sorrise malizioso al ragazzo che gli veniva incontro.
Avvolto in un lungo cappotto beige, Tezuka Kunimistu camminava lentamente verso il proprio condominio; quando fu abbastanza vicino accolse l’altro con tono gentile e un breve cenno del capo.  
«Sei in ritardo, Tezuka» si lamentò Atobe, in quello che doveva essere il suo modo di salutare.
«L’autobus è rimasto bloccato nel traffico, non potevo fare granché» rispose Tezuka aprendo il portone del complesso.
«Mpf, se solo mi permettessi di accompagnarti…»
«Non faremo questo discorso ancora una volta, Atobe. Ti ho già detto che non mi serve un autista»
Il biondo mise il broncio e seguì il suo amico per le scale.
In realtà loro non erano proprio solo amici, come se essere considerato uno degli amici di Tezuka non fosse già di per sé una gran cosa, considerato quanto fossero diversi.
Doveva essere iniziato tutto con quel match durante l’ultimo anno delle medie. Atobe aveva sempre considerato Tezuka come un suo pari e un suo rivale, una persona da ammirare e al tempo stesso da surclassare. Quando l’ammirazione fosse diventata qualcosa di più, però, non avrebbe saputo dirlo; onestamente, in quel momento neppure gli importava, era solo felice che Tezuka provasse le stesse cose.
Uscivano assieme da quasi nove mesi, da dopo il diploma, e funzionavano piuttosto bene.
Entrambi frequentavano l’Università di Tokyo e giocavano nella squadra di tennis della scuola (e chi avrebbe mai detto che un giorno avrebbero giocato nella stessa squadra), ma nessuno di loro pensava di diventare un professionista: Atobe aveva un impero finanziario da ereditare (e non vedeva l’ora di essere un Imperatore anziché un semplice Re) mentre Tezuka era semplicemente giunto alla conclusione che il tennis non sarebbe durato per sempre; raggiunta l’età di ritirarsi avrebbe avuto i soldi, ma cos’altro? Certo non una famiglia, non con tutti i viaggi all’estero. E magari neppure degli amici, l’agenda troppo piena per trovare tempo da dedicare loro.  Se ad una vita di fama doveva associarsi una vita di solitudine allora non ne voleva sapere. Il tennis andava praticato soprattutto per divertimento, dopo tutto.
Raggiunsero il terzo piano («Perché non usiamo l’ascensore ogni tanto?» «Salire le scale è un buon allenamento» «Sei troppo serio Tezuka») e si fermarono davanti alla porta.
Atobe squadrò il suo compagno dalla testa ai piedi e notò un rigonfiamento in una delle sue tasche. Ora, non che potesse essere scambiato per tutto un altro tipo di rigonfiamento, ma era passato un po’ di tempo dall’ultima volta in cui avevano avuto rapporti e pensò che un intero weekend trascorso assieme da soli avrebbe offerto un discreto numero di occasioni per entrare in intimità.
Ma lui era un uomo di buone maniere, quindi perché andare brutalmente al sodo quando avrebbe potuto girare elegantemente attorno alla questione con raffinate allusioni?
«Ehi Tezuka» disse sogghignando «è una pallina da tennis quella che hai in tasca o sei semplicemente felice di vedermi?»
Tezuka si voltò a guardarlo e sbatté le palpebre con aria confusa.
«Veramente queste sono solo le mie chiavi» rispose, facendo scivolare la mano sinistra nella tasca per estrarle.
“Non l’ha capita, mm?” pensò Atobe mentre lo guardava armeggiare con le chiavi prima per qualche istante prima di trovare quella giusta e infilarla nella serratura.
«Sai, io dentro di te ci starei perfettamente come una chiave nella sua serratura» provò ancora, con un riferimento migliore, che Tezuka proprio non avrebbe potuto non cogliere.
«Stai dicendo di nuovo cose senza senso» fu la risposta e sebbene il suo interlocutore gli stesse dando la schiena poteva quasi vedere con chiarezza le sue sopracciglia arcuarsi con fare scettico mentre apriva la porta dell’appartamento.
“Niente da fare, eh? Non importa, troverò qualcos’altro” Atobe sorrise compiaciuto, seguendo l’altro all’interno. Se si trattava di una sfida chi era lui per tirarsi indietro? Avrebbe tentato e ne sarebbe uscito vincitore, com’era giusto che fosse.
Si tolsero le scarpe e i cappotti, che Tezuka provvide ad appendere mentre il suo ospite borbottava un «Permesso» più dovuto all’abitudine che ad un reale interesse.
Si diressero in camera da letto senza parlare finché il padrone di casa non si voltò per domandare all’altro perché lo stesse seguendo. Atobe fece spallucce, qualcosa che faceva solo quando si trovavano soli, a dimostrazione di quanto a suo agio si trovasse: gli era sempre stato detto che “fare spallucce” era poco elegante, ma sapeva con certezza che all’altro non importava di certo.
«Che dovrei fare da solo in soggiorno?»
Tezuka dovette ritenerla un’osservazione legittima perché si limitò a borbottare qualcosa prima di entrare nella stanza. Andò verso l’armadio per prendere degli abiti puliti, poi si girò verso il letto, sul quale il suo amico si era già seduto, per domandare se ne servissero anche a lui.
«Sono a posto, grazie»
L’ex capitano della Seigaku annuì brevemente e iniziò a svestirsi, apparentemente ignaro dello sguardo affamato del suo compagno
«Sai Tezuka» disse una voce roca e profonda «vorrei essere una delle tue gambe, così potrei entrarti nei pantaloni»
Tezuka smise di sbottonare i jeans per fissare i profondi occhi blu di Atobe.
«I miei pantaloni non hanno nulla di speciale. Non capisco il senso di questo tuo desiderio» rispose, prendendo gli abiti puliti e dirigendosi verso il bagno. «Vado a fare una doccia, non ci vorrà molto»
Atobe arcuò entrambe le sopracciglia: così era proprio facile.
«Bravo, datti una bella pulita perché le cose potrebbero diventare parecchio sporche…»  suggerì abbassando il tono di alcune ottave e lasciando la frase vagamente in sospeso.
Il padrone di casa non sembrò entusiasta.
«Atobe» lo rimproverò, rivolgendogli al contempo uno sguardo severo «gradirei che evitassi di creare scompiglio nel mio appartamento mentre sei qui» concluse prima di lasciare definitivamente la stanza.
Il biondo si lasciò cadere sul materasso con un sospiro di frustrazione. Si stava rivelando un’impresa più ardua di uno dei loro incontri di tennis.
Si concentrò sul soffitto, immerso nei suoi pensieri.
Era un uomo affascinante e di buone maniere, ricco, un fantastico giocatore di tennis e insomma, era un partito dannatamente buono, che problema aveva Tezuka.
Pensava fossero concordi nell’avere una relazione sentimentale e fisica, quindi perché non coglieva le sue allusioni? Possibile che non lo trovasse più attraente?
«Impossibile» concluse ad alta voce.
«Cosa è impossibile?» fu l’improvvisa domanda che lo fece sobbalzare: assorto completamente nei suoi pensieri non aveva realizzato che l’acqua aveva smesso di scorrere e che il padrone di casa era riapparso, pulito e vestito di tutto punto.
«Nulla» rispose mettendosi a sedere «stavo solo pensando»
Tezuka non domandò altro; prese la borsa ed estrasse i compiti. Ciò diede al suo ospite un’altra idea.
«Sai, se tu fossi uno dei miei compiti ti sbatterei sulla scrivania e ti farei per tutta la notte»
Il moro gli rivolse uno sguardo di disapprovazione.
«Dovresti essere più rispettoso verso i compiti. Sono pensati per il nostro miglioramento, non c’è davvero bisogno di trattarli con questa brutalità. Inoltre lavorare tutta la notte e rovinare il proprio bioritmo non fa bene alla salute» disse.
Atobe ricadde sul letto con un lamento frustrato; figuriamoci se Tezuka non doveva preoccuparsi della salute dei compiti.
«Stai dicendo cose assurde da quando ci siamo incontrati, stai bene?» gli domandò il padrone di casa, preoccupato per il suo comportamento insolito.
Sospirò, senza muoversi di un millimetro dalla sua posizione.
«Sì, tranquillo, sto benissimo, grazie»
Tezuka non sembrò convinto da quella risposta ma decise di lasciar perdere: se si stava comportando in quel modo doveva avere le sue buone ragioni.
Dal momento che il suo ospite non sembrava avere intenzione di alzarsi dal letto decise di dedicarsi ai suoi compiti, così sedette alla scrivania e iniziò a leggere attentamente.
Atobe girò la testa per fiassargli la schiena, dritta contro lo schienale. Persino le sue spalle sembravano un po’ troppo rigide.
“Ma si rilasserà ogni tanto? È davvero troppo serio” pensò.
Quelle spalle, però. E, diamine, quella schiena.
Atobe liberò un sospiro pieno di desiderio; oh, quanto avrebbe voluto far scivolare le sue mani su quelle spalle, accarezzando la pelle, per poi farle scorrere su e giù lungo la sua schiena sedendogli in grembo e guarandolo in quei suoi occhi marroni e buon dio la cosa si stava scaldando.
L’immagine mentale però gli fornì una nuova idea.
«Ehi Tezuka» disse, ancora sdraiato sul letto con il viso rivolto alla scrivania «Sei per caso un cavallo? Perché muoio dalla voglia di montarti»
Il moro posò i fogli e si voltò a fissarlo.
«Hai sbattuto la testa? O forse hai bisogno di una visita oculistica perché non vedo proprio in che modo potrei somigliare ad un cavallo. A meno che tu non abbia una cavallo con gli occhiali, si intende»  
Il biondo arcuò un sopracciglio: voleva essere una battuta?
«Mi prendi in giro?»
«Facevo solo una constatazione» disse, tornando al suo lavoro.
Atobe si rimise a fissare il soffitto, cercando di pensare a qualcosa di più efficace.
Dopo qualche minuto trascorso senza nessuna buona idea si voltò ancora una volta verso il suo compagno e lo osservò sedere rigidamente sulla propria sedia. Si conterò sui suoi capelli, castano scuro e apparentemente spettinati, così adorabili, non che l’avrebbe mai ammesso ad alta voce; il modo in cui solleticavano appena la base del collo era affascinante. Quel collo era affascinante, sexy, così eccitante e porca miseria le cose si stavano scaldando di nuovo. Era tutta colpa sua, quell’uomo lo mandava letteralmente a fuoco.
I suoi occhi si spalancarono: quella era buona.
«Ehi Tezuka» lo chiamò, mettendosi a sedere «per caso hai la febbre o sei sempre così bollente?»
L’altro non si mosse neanche.
«Ti assicuro che la mia temperatura corporea è come dovrebbe essere, ma apprezzo l’interessamento» rispose; poi i suoi occhi scivolarono sull’orologio all’angolo.
«Oh, è già così tardi?» constatò. Erano quasi le sette e mezza. Si alzò in piedi, rivolgendosi al suo ospite: «Cosa vorresti per cena? Non ti aspettare nulla di troppo sofisticato»
Atobe sorrise sornione.
«Posso avere te per cena? Perché mi sembri proprio un gran bel pezzo di carne»
Tezuka si sistemò gli occhiali, impassibile.
«Quello sarebbe cannibalismo, Atobe. Ma se vuoi della carne posso farti qualcosa di simile ad una bistecca»
Il biondo sospirò, sconfitto.
«Non ti preoccupare Tezuka, cucina quello che vuoi, purché sia buona mangerò qualsiasi cosa»
Il padrone di casa annuì e andò in cucina a verificare cosa ci fosse nel frigo.
«Ti va bene del curry?» domandò al suo ospite quando lo vide entrare nella stanza «Non mi è rimasto molto in frigo, domani dovremmo fare della spesa se vogliamo mangiare qualcosa di decente»
«Va benissimo» rispose, poggiandosi al bancone con le braccia incrociate. «C’è qualche cosa che posso fare per aiutarti? Mi sento in vena di usare le mie maestose abilità per la gente comune» aggiunse con un sorriso compiaciuto.
«Che onore. Puoi impostare il cuociriso allora?»
Il biondo corrugò le sopracciglia.
«Ohi, Tezuka, non starai sottovalutando le mie abilità? Ahn?» disse, lasciando che la stizza riportasse a galla vecchie abitudini espressive*.
«Preferiresti tagliare le verdure?»
Contemplò l’idea per qualche istante prima di decidere che sarebbe stato troppo rischioso per le sue dita.
«Imposterò il cuociriso allora»
Il moro annuì e iniziò a preparare gli ingredienti per il curry di pollo mentre il suo compagno cercava di capire come funzionasse quell’affare.
Non poteva essere così difficile, no? La gente comune lo faceva continuamente, non era possibile che qualcuno come lui non fosse in grado di-
«Devi aggiungere dell’acqua, poi metti il riso, chiudi e imposti il timer e quindi lo fai partire» gli spiegò l’altro.
«Lo sapevo» borbottò, seguendo le istruzioni ricevute.
Quando ebbe finito di impostare il cuociriso si mise a fissare Tezuka con attenzione, incuriosito e ammirato dalla sua abilità nell’affettare (non che fosse chissà cosa, ma non era abituato a vedere cose del genere).
Quando arrivò alle cipolle e alcune lacrime scivolarono dai suoi occhi Atobe si preoccupò.
«Ohi Tezuka, stai bene? Ti sei tagliato?»
«Sto bene Atobe, è normale piangere affettando cipolle»
«Davvero?» domandò, sorpreso.
Avrebbe giurato di vedere, e sentire, l’altro trattenere una risata.
«Stai ridendo di me?» chiese, vagamente infastidito.
«Non lo farei mai»
Decise di lasciar correre e continuare con la sua osservazione, muovendosi di tanto in tanto quando gli veniva richiesto di fare qualcosa («Potresti apparecchiare la tavola?» «Certo che posso… Ma i piatti dove sono?» «In quella credenza lagg-… Ti sembrano piatti quelli?»).
Quando tutto fu pronto si accomodarono e mangiarono, parlando del più e del meno; quando ebbero terminato Atobe ringraziò il suo compagno per il cibo.
«Com’era?» chiese Tezuka, alzandosi per raccogliere i piatti da mettere nel lavandino.
«La cena era deliziosa» rispose. «E sai cos’altro sarebbe delizioso? Tu, sudato e ansimante»  aggiunse con tono seducente.
Il moro posò i piatti e si voltò verso di lui.
«Vuoi dire come dopo un allenamento? Cosa c’è di delizioso, di solito sono sudato, appiccicoso e probabilmente puzzo. Che ci trovi di buono?» domandò, perplesso.
Ok, adesso ne aveva avuto abbastanza.  
Si alzò in piedi a sua volta e sbatté i palmi delle mani sul tavolo.
«Che cavolo Kunimitsu!» disse, così frustrato da passare al nome proprio «È tutta la sera che cerco di fartelo capire ma tu niente! Non cogli nessuno dei miei segnali! Perché devi essere sempre così serio? Cavolo, sono così frustrato adesso. Fottiti, Tezuka» concluse prima di sedersi.
Dall’altra parte del tavolo Tezuka arrossì.
«Oh» disse, girandosi appena nel  tentativo di nascondere il rossore sulle sue guance. «Se era questo che avevi in mente potevi dirlo subito»
«Cosa?»
Il rossore si fece più inteso.
«Ha-hai detto» balbettò «“fottiti”. Pensavo che intendessi letteralmente…»
Atobe lo fissò incredulo.
«Tu interpreti tutto ciò che ti dico letteralmente?»
«Come altro dovrei interpretarlo?»
Sorrise compiaciuto. “È davvero troppo serio”.
«E va bene allora» disse, alzandosi nuovamente «Dal momento che è stata una tua idea facciamolo: vediamo di fotterti, Tezuka Kunimitsu».




*sebbene tutte le pick-up lines siano studiate per funzionare in italiano ho comunque assunto che parlassero in giapponese; dal momento che la storia è ambientata quando i personaggi hanno all'incirca 20 anni ho ritenuto che Atobe avesse quantomeno abbandonato il "-sama" del suo consueto "ore-sama" e che l'essere sottovalutato da Tezuka abbia estratto quel po' di arroganza necessaria a farglielo usare di nuovo. Lo so, è una cosa contorta, perdonatemi, è una delle mie paranoie(?). Se nulla di quanto ho appena detto ha per voi un senso va bene così, mi spiace avervi fatto sprecare due minuti.

Detto questo vi saluto, cari lettori. Un giorno ci vedremo ancora, forse.
Critiche e commenti sono apprezzati come la mancetta natalizia~.
See you~!

Lady_Firiel

   
 
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