Memoria
Prologo
«Menis?»
La voce infantile che
pronunciava quel nome era soffice, calda.
Rimanere nella stessa stanza per ore ed ore insieme ad un bambino aveva irretito i sensi al ragazzo seduto con il volto alla finestra. Il buio si era fatto sempre più spesso, nel locale adibito a studio, e ormai non si vedeva praticamente nulla. Eppure, in tutta quell’oscurità, gli occhi verdi del piccolo brillavano ancora, come animati dalla disperata volontà di non scomparire.
«Menis?», ripeté il bambino.
«Sì, Paolo?»
Menis si era finalmente
risollevato dal torpore e, con uno scatto, aveva voltato lo sguardo verso il
piccolo in cerca di attenzione.
«Non studiamo più niente,
oggi?»
Menis sorrise e, alla luce
del pallido sole in discesa, i suoi lineamenti giovani apparvero vecchissimi.
«No, per oggi basta così».
Tornò ad occuparsi del
paesaggio al di là della finestra, certo che il bambino, felice della libertà
anticipata, sarebbe corso via all’istante. Ma dovette ricredersi quando la
testolina nera comparve al suo fianco e si arrampicò su un suo braccio per
guardare al di là del buio.
«Cosa guardi?»
«Niente, Paolo».
Il bambino corrugò la fronte
e gli lanciò un’occhiata risentita.
«Non è vero! Stai guardando
qualcosa di bello e non me lo vuoi dire!»
La sua rabbia era quasi
comica. Menis ridacchiò e prese l’allievo sulle gambe.
«Hai ragione, mi hai
scoperto», sussurrò poco distante dal suo orecchio, in modo che potesse
sentirlo, «Stavo ammirando qualcosa che nessun altro può vedere».
Gli occhi del piccolo si
illuminarono.
«Cosa? Cosa?»
«Vedi quella luce laggiù?»,
chiese Menis.
Il bambino annuì.
«Lo sai cos’è che la fa
comparire?».
Dopo un attimo di esitazione,
il piccolo tentò. «Il sole?», chiese, dubbioso.
Menis sorrise. «Hai studiato,
allora».
Il bambino fece una smorfia,
incapace di nascondere la propria delusione.
«Menis!», si lamentò, «Questo
lo sanno tutti!»
Fece per scendere dalle gambe
del maestro, ma quello lo trattenne.
«Non è tutto qui. C’è una
cosa che le altre persone non sanno. Solo io conosco la verità che si nasconde
dietro quella luce. Vuoi sentire?»
Il bambino annuì, questa
volta con meno entusiasmo, per paura di un nuovo tranello.
«Quella luce è la forza
dell’anima delle persone…»
«Cos’è l’anima?», lo
interruppe il piccolo.
«Tutto quello che senti
dentro di te: la felicità, la paura…», fece una pausa e posò lo sguardo sul
corpicino dell’allievo, «…E un giorno anche l’amore».
Il bambino guardava fisso
quell’esplosione di colori che pian piano si affievoliva.
Per un attimo non rispose.
Sembrava affondato in quel mare rosso e arancio, con tutta la sua anima, quasi
volesse ingrandire la bolla di luce.
«Anche la mamma è là?»,
mormorò, forse a se stesso.
Menis strinse i denti,
preoccupato di aver osato troppo. Il padrone gli aveva ordinato di non parlare
mai a Paolo della madre morta, per nessun motivo. Ma non aveva pensato alle
possibili conseguenze delle sue parole, questa volta.
Senza vie di fuga, preferì
rimanere in silenzio.
Fortunatamente il bambino non
insistette.
Restava ancora con lo sguardo
assente a fissare oltre questo mondo, forse nei suoi ricordi. Le sue
sopracciglia si erano piegate sugli incredibili occhi verdi, in una strana
smorfia di dolore.
Menis lo strinse tra le
braccia, per confortarlo.
«Anche la nostra anima
riempie quella luce?», domandò il bambino all’improvviso.
«Certo», rispose Menis,
felice di aver cambiato argomento.
«Perché allora ogni notte la
luce si spegne?»
La voce del bambino era
incrinata, forse dalla tristezza, forse dalla delusione: Menis non riuscì a
capirlo.
Ma in quell’attimo le parole
del piccolo lo riportarono ad un anno di molto tempo prima, quando ancora
viveva in Grecia ed era un bambino libero di crescere nella felicità.
“Mamma, perché il sole
sparisce ogni notte?”
«Perché di notte siamo liberi
di essere ciò che desideriamo», rispose, senza pensare.
Così aveva risposto sua
madre, quando anche lui aveva otto anni e faceva troppe domande.
«E non abbiamo più anima
quando siamo ciò che desideriamo?»
Menis tornò a guardare il
bambino. Nella sua espressione c’era solamente una richiesta di aiuto.
Al ragazzo spuntarono le
lacrime agli occhi.
«Nemmeno la nostra anima ci accetta per quello che siamo», disse.