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Autore: Urban BlackWolf    29/12/2016    1 recensioni
“ Non ce la faccio...”
“ Ti prego salvala. Salva la mia Ruka....” Michiru trattenne a stento le lacrime puntando lo sguardo a terra mentre con le mani tremanti si stringeva la cornice al petto.
“ Ti prego.” E questa volta l'argine degli occhi crollò.
Il tempo in quell'appartamento di un centro città si era fermato. C'erano solo due giovani donne. Una con la fronte poggiata sul freddo acciaio di una porta, nelle orecchie i singulti composti di un pianto lacerante e un'altra, stretta all'immagine dell'ancora della sua vita, incapace di muoversi, di alzare la testa, di fare qualcosa che non fosse il piangere, aspettando solo il suono dello scatto di una serratura ed il chiudersi di una porta.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena, Nuovo personaggio | Coppie: Haruka/Michiru
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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L'atto più grande

 

I personaggi di Haruka Tenou e Michiru Kaiou appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

La densità del sangue e la forza dello spirito

 

 

Con il palmo della mano appoggiato all'esterno del vetro, il sorriso luminoso di chi ha ricevuto una notizia sperata da troppo tempo, gli occhi leggermente lucidi perchè la paura è ormai pronta ad essere abbandonata, il respiro leggero proprio del non voler arrecare disturbo, Michiru se ne stava in piedi fuori dalla stanza mentre Haruka continuava a fissarla non capacitandosi di come l'enorme fortuna di averla incontrarla fosse toccata proprio a lei. La sua dea era li ed aveva mantenuto la promessa di non lasciarla mai. Non riuscivano a smettere di guardarsi, nonostante i prelievi, le creme messe per alleviare il fastidioso pulsare dei lividi, il sudore ed i respiri ansanti. Non riuscivano a smettere di guardarsi, perchè dopo quella forzata lontananza, quell'angoscia soffocante che le aveva spinte a contare a ritroso le ore che mancavano prima di rischiare di perdersi per sempre, quella battaglia ancora in bilico, non si erano mai sentite tanto unite.

Haruka aveva l'affanno, ma questa volta era un sintomo positivo, benedetto, salutato da tutti, Kurzh in testa, come il primo vero traguardo che indirizzava la diagnosi verso un trapianto riuscito. Le analisi appena effettuate: la conferma. I leucociti si stavano moltiplicando con una velocità esponenziale vertiginosa.

“Non è una brutta sensazione.” Confesso' la bionda ammettendo che anche i brividi di freddo erano cessati ed ora avvertiva in tutto il corpo solo calore.

Kurzh le fece un cenno con il pollice annuendo convinto, perchè almeno lei si sentiva di averla strappata alla malattia e mai come in quelle ore aveva bisogno di una vittoria.

“Bene Tenou. Adesso è tutta discesa. Veda di non sbandarmi sul più bello.”

“Dottore... in non sbando... tanto facilmente.” Rispose lasciando che un sorriso marcatamente spavaldo le invadesse le labbra mentre lui usciva dalla stanza per andare a ragguagliare Michiru.

“La sua compagna ha la scorza dura. Le analisi sono molto incoraggianti. Tra un'oretta le ripeteremo per avere un quadro della situazione più chiaro.”

“Ce l'ha fatta?” Chiese lei quasi sottovoce.

“Non amo pronunciarmi prima di avere tutte le informazioni in mano, ma la ripresa che sta dimostrando il suo organismo è un chiaro indice positivo. Comunque, io aspetterei per cantare vittoria. Andiamoci piano.” Consigliò ancora troppo scottato come medico, da recuperi fittizi che poi si erano rivelati l'ultima esplosione d'energia di corpi ormai ridotti allo stremo.

Ma questo non era il caso, n'era sicuro. Tenou era troppo caparbia per mollare.

Michiru tornò a guardare la sua donna osservandole il petto alzarsi ed abbassarsi velocemente, mentre un'infermiera iniziava a tirare la cornicina delle veneziane per poter provvedere all'ennesimo cambio della camicia da notte. Aveva capito che quell'attacco di febbre era una cosa buona e tutto d'un tratto si ricordò del segnale che usavano farsi quando una delle due l'aveva. Mettendo il pollice in orizzontale con il pugno chiuso attese la risposta. Haruka ridacchiò facendo altrettanto con l'aggiunta di un occhiolino. La bionda ricordava quel giorno e come quel codice era nato.

“Michi sono a casa.” Gettando le chiavi della macchina sulla consolle di mogano dell'entrata ed il borsone della palestra accanto allo stipite della loro camera da letto, quella sera Haruka si era guardata intorno alla ricerca della sua cuoca personale, avvertendo nel frattempo una voragine allo stomaco degna di un bovino. Sapeva che Kaiou era rientrata perchè imboccando la discesa che portava ai box, aveva visto le luci accese del bagno della loro camera da letto.

“Amore, dove sei?” Strano non vederla in cucina. L'ora era quella dove di solito la trovava a spignattare dentro il suo personalissimo bunker mangereccio.

“Sono qui...” Una voce flebile seguita da un colpo di tosse e Haruka aveva sniffato il pericolo del contagio ancor prima di vederla avvolta in un plaid, con gli occhi semi chiusi ed un viso bianco latte.

“Che c'è? Perchè stai sul divano a quest'ora? Stai male?”

“... Si... Ho la febbre.”

Due passi in dietro e alla germofobica bionda si era drizzata la peluria della schiena. “No Michi mia, la febbre no! Lo sai che mercoledì devo partire per il gran premio della Catalogna. Dimmi che non sei contagiosa..., ti prego.”

“E che ne so! Credi che ce l'abbia scritto sulle linee del termometro se sono contagiosa o meno?!”

Chinando la testa Haruka si era arresa all'evidenza di un repentino cambio di programma. Dall'essere servita di una buona cena, al trasformarsi in crocerossina tuttofare. Figura che poco le calzava. Sospirando aveva richiamato il coraggio andandole vicina per metterle una mano sulla fronte. “ E si. Hai un bel febbrone. Continua ad andartene in giro con le scarpe aperte anche in questa stagione che poi lo vedi come ti riduci.”

“Mmmmm... Non trattarmi male...”

"Non fare il cucciolo con me Kaiou..."

Michiru si era sentita prendere in braccio e di rimpetto le si era stretta al collo come una bambina. Le piaceva quando Haruka le faceva la paternale, perchè poi scattava il momento “coccole”. Cosi' aiutata a spogliarsi e a mettersi un pigiamone di flanella, molto poco sexy, ma molto molto caldo, era stata messa a letto, le era stata preparata una tisana calda con l'offerta più che allettante di una cena leggera e sostanziosa.

“Haruka sei proprio sicura di voler cucinare? Non che non mi fidi, ma...”

“Lo so, lo so. Hai da poco cambiato tutta la disposizione dei pensili e hai paura che faccia un casino nel tuo piccolo mondo antico. Sii fiduciosa amore mio.... Ci vuole fiducia nella vita!” Ed era sparita prima che l'altra avesse potuto controbattere qualcosa.

Haruka era stata single per anni e vivendo da sola aveva imparato anche piuttosto discretamente a provvedere ai suoi pasti. C'era una cosa però che proprio non le riusciva; quella di mantenere ordine. Michiru lo aveva capito gia' dalle prime settimane di convivenza, perciò faceva in modo di tenerla lontana dai fornelli il più possibile.

Ma contro ogni apparente previsione ed in meno di un'ora, si era vista recapitare direttamente a letto un brodino succulento, un piatto di patate lesse condite a crudo, un paio di aspirine, una spremuta d'arancia e poi via, sotto le coperte, pronta ad una bella sudata che l'indomani sarebbe passato tutto. E in effetti la mattina successiva tutto sembrava essersi rimesso in carreggiata. Svegliatasi dopo una buona notte di sonno, Michiru si era alzata per prima vogliosa di te, biscotti ed una doccia calda e mentre Haruka si stiracchiava riemergendo dal letargo, si era diretta in cucina con tutte le migliori intenzioni di questo mondo.

“Rimani a letto Michi... Ci penso... io.” Aveva sbiascicato l’altra stropicciandosi un occhio mettendosi poi seduta qualche secondo tra le lenzuola, in stand by, con la netta sensazione di essersi dimenticata qualcosa.

E questo qualcosa era apparso qualche secondo dopo nella lucida consapevolezza che sarebbe stata trucidata da li a qualche secondo. Schizzando giù dal materasso evitando persino di mettersi le pantofole, Haruka aveva infilato la porta con terrore. “No, no, no... Michi aspet....” Un tonfo colossale ed un successivo sfondone avevano fatto eco ad una specie di gemito doloroso.

Non avendo visto la sacca lasciata colpevolmente per terra la sera prima, Tenou l'aveva arpionata con il collo del piede schiantandosi sul parquet. Un istante dopo e per l'appartamento era riecheggiato forte solo un nome. Il suo.

“HARUKA!!!”

“Son qui!” Un balzello e nuovamente in piedi mentre l'altra si girava indicando i pensili e la penisola del suo adorato regno, trasfigurati nella più orrenda valle di lacrime.

“Ma... cosa... diavolo hai combinato?!"

“Pulisco subito tutto. Ti assicuro!” Pietismo ed alzata di braccia in segno di resa.

“Vorrei vedere!” Ed inferocita l'altra aveva rinunciato alla colazione dirigendosi a passo svelto verso il bagno principale.

Chinando la testa Haruka era allora avanzata zoppicando mestamente verso il campo di battaglia osservandone i resti. “Ma l'ho fatto davvero tutto io questo casino?”

“Haruka...”

“Si amore...”

E la sua dea le era apparsa mezza nuda con un sorriso invitante sulle labbra. “E... amore mio dolcissimo... usa la candeggina!”

Ma per non darle soddisfazione per il fremito di lussuria che era riuscita a provocarle, Haruka le aveva fatto cenno con il pollice di stare tranquilla, ma uscendole un po' sbilenco ed incompleto, era venuto fuori un mezzo ibrido.

"Non dubitate mia signora..."

“Mi raccomando. Sii fiduciosa.... Ci vuole fiducia nella vita.” Aveva concluso Michiru sfottendola chiudendo la porta ed aprendo sadica l'acqua della doccia lasciandola con quel mezzo segno monco e la disperazione di passare il sabato mattina china a far faccende invece che una dolcissima ginnastica fra le lenzuola.

Da quel giorno in avanti ogni volta che una delle due aveva qualche linea di febbre avevano preso a farsi quel segno ridendoci su.

 

 

A poca distanza e sempre rigorosamente in campo visivo “protetto”, se ne stava Giovanna ad osservare tutta la scena. Felice come non mai nel vedere quella speciale affinità elettiva. Caparbiamente in piedi, come se non fossero state presenti sul piano sufficienti sedute, come se fosse stato di vitale importanza continuare a farlo, come se da quella posa pseudo militaresca fosse dipesa l'integrità del mondo intero, aveva imitato Michiru non muovendosi, sbirciando al di la del vetro il letto della bionda.

Vistala, il dottor Kurzh la puntò andandole incontro ed abbassando lo sguardo questa volta lei decise che non avrebbe provato a difendersi. “Non starò ad elencarle le innumerevoli complicanze che un atto tanto stupito potrebbe aver provocato alla sua gamba, signora Aulis, però mi lasci dire che nessun paziente si era mai comportato in questo modo con me o con questa struttura. Neanche Tenou, che da quando è qui di alzate d'ingegno ne ha avute tante! - Ringhiò cercando di trattenersi. - Ora, ce la fa a seguirmi nel mio studio o devo prenderle una sedia a rotelle? Voglio darle un'occhiata.”

Giovanna guardò allora Michiru lanciandole un segnale di soccorso che l'altra raccolse al volo. Anche se dalla parte del torto, non avrebbe mai dato occasione a quel medico di prendersi gioco di lei, ma non poteva farcela da sola. Salutando la compagna con la mano e facendole cenno che sarebbe ritornata a breve, Kaiou fu al fianco dell'amica afferrandole il braccio privo della stampella. A Kurzh non sfuggì la scena ipotizzando che tutta la follia accomunata nel binomio Tenou-Aulis, geneticamente dovesse dipendere dal padre. Quelle due avevano lo stesso sconsiderato modo di agire.

Quando qualche minuto più tardi il cerotto venne strappato via senza grandi complimenti dalla coscia di una rabbuiata Giovanna, non si potè che constatare quanto male quell'inutile supplizio avesse provocato al muscolo.

“Mi compiaccio nel vedere che dovrà portarne due di stampelle se vorrà sperare di poggiare il piede in terra prima della fine della settimana.” Disse sarcastico l'uomo.

Michiru agrottò la fronte notando quanto la coscia fosse gonfia e tumefatta. O Giovanna..., pensò desolata.

“Devo ammettere che tra lei e Tenou avete una soglia del dolore notevolmente alta.” - Disse alzandosi dallo sgabello per andare a rovistare in uno degli armadietti presenti nello studio. - Ma devo altresì dispiacermi sull'uso distorto che fate della vostra forza.”

Giovanna respirò pronta a scattare come uno scorpione quando le dita di Michiru le serrarono le spalle convincendola a rivedere l'attacco.

“Mi scusi, ma... ero abbastanza preoccupata per pensare alla mia gamba.” E sperò bastasse.

Non bastò. Daniel Kurzh non era uomo docile ed incline alla comprensione, ed essendo superbo come gran parte dei medici arrivati ad una certa posizione di comando, decise che non ci sarebbe andato leggero. ”Io proprio non capisco... - disse iniziando a passarle una crema giallognola sull'ematoma. - ...come si possa essere preoccupati stando nella sua posizione?! Non dico che non si debba provare ansia, ma non avendo mai avuto alcun tipo di rapporto con Tenou non mi spiego cosa possa averla spinta a ridursi una gamba in questo modo.”

E come era accaduto a Roma, durante il colloquio che avevano avuto con il Cardinal Berti, fu Michiru a prendere la parola e a difendere l'altra prima che potesse farlo da sola facendo diplomaticamente peggio.

“Daniel... mi sembra che stia esagerando! Giovanna ha fatto quello che ha fatto, ma non deve spiegazioni a nessuno. Il rapporto che la lega ad Haruka riguarda solo loro e non mi sembra corretto che lo si sminuisca così.”

Alzando un sopracciglio lui cercò una garza pulita iniziando a fasciare stretta la coscia. “ A me sembra che sia stata lei a non essere corretta nei riguardi della dedizione e del lavoro di questa clinica. Comunque faccia come vuole signora Aulis, la salute è la sua, ma sta di fatto che oggi rimane qui in osservazione.”

Giovanna avvertì un dolore sordo alla carne. Non se ne parlava proprio. A parte il costo spropositato di un giorno di degenza, in quella struttura non voleva rimanerci un secondo di più. Comunque non con quel beccamorto saccente pronto a giudicarla. Glielo disse e con determinazione.

“Mi dispiace per il tempo e le cure spese per me. - Digrignò i denti mentre lui le chiudeva la fasciatura. - Come mi dispiace non poter accettare il suo paterno invito, perchè ho intenzione di beneficiare quanto prima del regime di dimissione protetta.” Si alzò dal lettino aiutata dall'amica.

“Verrò a fare tutti i controlli che vuole e se dovessero essere necessari, prelievi e quant'altro, ma non dormirò qui. Vorrei solo che mi faceste la cortesia di prestarmi un'altra stampella.”

“Il sangue è dunque più denso dell'acqua.” Disse il medico a mezza voce riprendendo il concetto già espresso il giorno precedente.

“A cosa allude? Anche ieri ha detto la stessa cosa.”

“Alludo al fatto che pur non conoscendo sua sorella si sente in qualche modo legata a lei.”

 

 

Intravisto il taxi imboccare il vialetto alberato della clinica Giovanna salutò Michiru concedendosi un abbraccio.

“Ma perchè ora fai così?!”

“Te l'ho già detto Michi. Ho bisogno di riposare in un posto dove mi senta a casa e qui non posso farlo.”

“Ma qui ci siamo noi. E se proprio non mi vuoi considerare un'amica pensa almeno ad Haruka.”

Giovanna stava letteralmente fuggendo. E lo sapeva benissimo. Ora che la sorella si stava riprendendo, si sentiva dannatamente fuori posto e non solo per le parole maligne che un frustrato Kurzh le aveva gettato contro, ma anche per aver toccato con mano il rapporto esclusivo che legava quelle due donne. Il vederle finalmente insieme le aveva fatto pensare che per lei non ci fosse spazio. Ne come sorella, ne come amica.

Michiru le bloccò il braccio prima che potesse aprire la portiera della macchina. “Non crederai che ti abbia trascinata qui solo per usarti! So di essermi comportata in maniera ignobile in questi giorni, ma ti prego Giovanna, lascia che rimedi. Non andartene proprio ora. ”

Facendo scattare la maniglia l'altra sorrise dolcemente. “Michiru non devi darmi spiegazioni, perchè se fossi stata nella tua stessa situazione avrei fatto altrettanto. Mi sembra di avertelo già detto. Ma ti ho anche spiegato come non voglia rimanere vicino ad Haruka più del necessario. Hai visto come ho reagito questa notte! E' vero; il sangue e' più denso dell'acqua. Cosa accadrebbe se continuassi ad affezionarmi? Non credo di riuscire a gestire questo sentimento. E poi a lei basti tu. Sei tu la sua famiglia e sei tu tutto quello del quale ha bisogno. Non le serve una sorella senza arte ne parte che per di più porta il cognome dell'uomo che l'ha abbandonata.”

Michiru non accettò stringendole il braccio. “Non parlare anche per Haruka, non è giusto. Non puoi affatto sapere come reagirebbe se sapesse di te. Ascoltami bene Giovanna,... Kurzh ha detto una marea di stronzate prima, ma un concetto giusto è riuscito a partorirlo; il sangue è più denso dell'acqua, e' vero, ma come ha urlato a te potrebbe urlare anche a lei. Dalle la possibilità di volerti nella sua vita."

“E lo spirito è più forte del sangue.” Concluse l’altra guardandola. Haruka era ben protetta. Era inutile restare.

“Non servo anche io, perchè ci sei già tu che l'ami e la proteggi. Ora lasciami andare e... io ti considero mia amica.” Le disse accarezzandole con l'indice una guancia.

Michiru avvertì il braccio scivolarle via dalla stretta. Un passo indietro ed il taxi partì.

A pugni serrati seguì la macchina fino al cancello d'ingresso per vederla poi dirigersi verso i sobborghi della città. Giovanna stava dimostrando di avere un carattere complesso. Ben disposta su molti fronti, riusciva a chiudersi a riccio verso altri e non c'era modo di farla retrocedere se prendeva la strada dell'ostinazione. Poteva essere un problema, perchè man mano che passavano i giorni e la conosceva, in Michiru prendeva sempre più corpo la convinzione che ad Haruka sarebbe piaciuta. Erano veramente troppe le sfaccettature che le univano. Avrebbero giovato entrambe di quel legame spezzato alla nascita e riannodato dal caso. Ne avrebbe giovato anche lei. Giovanna si stava rivelando un'ottima amica, una spalla come non aveva da decenni. Ma non avrebbe potuto continuare quel rapporto se avesse continuato a comportarsi così.

Sospirando si girò a testa bassa per tornare dentro quando con la coda dell'occhio vide il dottor Kurzh ed un altro medico parlare con una coppia. Michiru riconobbe una delle due persone. Era la stessa inconsolabile donna che aveva intravisto la notte precedente mentre stava vagando per la struttura. L'attenzione le cadde su un oggetto che stava stringendo nelle mani ed il cuore le sobbalzò nel petto.

 

 

 

 

   
 
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