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Autore: CottonCandyGlob    30/12/2016    1 recensioni
Questo è il surrogato di una storia d'amore. Non è esattamente un'epopea amorosa, perché tutti gli ingredienti che di solito ne infarciscono una, qui sono stati mescolati alla cieca. Risultato? Si trovano sottili tracce di assurdo e un retrogusto di ectoplasma. Tutto sommato è così che si vorrebbe raccontare le origini dei due amici tra i più inseparabili ed insaziabili dei cartoni animati.
Ma voi, al piccolo Norville, questa storia gliela raccontereste mai?
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sorpresa
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Solo quando la parete proprio dietro la testiera del suo letto rimbombò di colpo, Finley Stuart fu improvvisamente tirato fuori da quell’incubo. Gli era rimasta appesa al collo un’angoscia opprimente, che il risveglio non poteva per nulla levargli. Quelle immagini di scartoffie, ricevute e assegni appartenevano sia al sogno, che alla sua immediata visuale da coricato. Con un pugno nel cuscino si fece appoggio per alzarsi e si affrettò a lasciarsi alle spalle quel mucchio odioso di carta. Come un bambino che fa approfondite indagini sul mostro nell’armadio, fece capolino ancora due volte dalla soglia della camera.
Ma niente, rimanevano sempre lì. Allora cercò di scordarsene, buttando l’occhio qua e là nel corridoio. Trovò mille e più sorrisi della sua Wendy, intenta prima a piantare dei fiori, poi a mangiare una torta, a sostare al sole sotto una meridiana e l’indimenticabile ritratto sull’altalena in volo.
Finì sull’ultima immagine, la sua Wendy in carne ed ossa. Era già ricurva sul tavolo a leggere il giornale con la camicia da notte stropicciata sulla seduta.
-Buongiorno-le scoccò un bacio sulla testa.
La donna posò la tazza di caffè nero e voltò la pagina del giornale come se fosse fatta di vetro fragile.
-Ben svegliato-gli accarezzò il braccio.
-Ne hai fatto un po’anche per me?
-Vai là, dovrebbe essere ancora caldo…il mio scotta.
-Come mai già alzata?-le domandò prima di allontanarsi.
-Ho dimenticato di prendere i sonniferi ieri sera. Non sono riuscita a chiudere occhio…tra te e i tuoni…
-Oh, sempre a lamentarsi, mica russo forte!
-Ho incontrato Paula due volte in bagno, e si è lamentata del tuo concerto.
-Mah, anche lei ha il sonno troppo leggero-tirò su col naso.
L’uomo infilò il dito nel piccolo manico della tazza e barcollando arrivò a mettersi nella stessa posizione della sua compagna. Toccò con la punta della lingua l’orlo del caffè. Sì, ci voleva ancora un bel paio di minuti.
-Che c’è di bello stamattina?
-Niente, di particolare. Solo qualche innocua rapina in banca, sondaggi delle partite e un tizio che dice di aver inventato un nuovo tipo di forchetta.
-Dice niente delle quotazioni in Borsa?
-La Borsa? Deve essere fra quelle ancora tutte inzuppate-gli indicò il termosifone.
-Adesso è nata la mania di lavare anche i quotidiani?-rise con una manata sul tavolo.
Wendy sollevò lentamente la testa dall’ultimo paragrafo che aveva adocchiato-Visto? Bella vita per chi ha il sonno pesante.
Gli picchiettò teneramente la mano con la bocca semiaperta. A Finley ricordò tanto quando l’aveva conosciuta, perché era stato lui, proprio lui, a picchiettarle in quel modo la mano sul bancone del locale. E la manina sinistra pallida e tremante di Wendy era rimasta la stessa, in ogni minimo particolare. Già, la stessa.
-Ma hai sentito che parlavo di tuoni o sbaglio? Manda giù il caffè, ti farà bene-gli sorrise.
-Tuoni?
In effetti la sua testa elaborò inconsciamente che era stato un rombo nel muro a svegliarlo, che la luce della cucina era accesa e le finestre erano completamente sbarrate.
-C’è un temporale?-chiese a quel punto a se stesso.
-Un brutto acquazzone più che altro. La strada sembra allagata.
-Proprio oggi? Miseria…cancelleranno la partita-sbarrò gli occhi-chissà quando la rimandano…male, le cose ci vanno proprio male, di male in peggio. Dio, quanto vanno male…
Wendy non osò aprir bocca, se non per sorseggiare una goccia insignificante in fondo alla tazza.
Certo, a cosa dobbiamo pensare di prima mattina? Al football, che altro? Forse aveva scommesso una settimana prima, quando quella pila di fogli non esisteva, dato che era ben un uomo previdente da non rischiare di compromettersi. Ma cosa ne poteva lei? Non poteva mettersi contro la Provvidenza che mandava un’alluvione in piena regola!
Intanto Finley si era avvicinato al termosifone e aveva tirato via un pezzo di pagina di economia che si era staccato come un pezzo di burro.
-Dio, che odio!-lo gettò a terra con forza.
Non so se bisogna ringraziare per quel gesto la caffeina, la montagna di scartoffie o il temporale(o tutti e tre più un pessimo umore), sta di fatto che in quel momento Paula si svegliò. Era sommersa dai suoi stessi capelli nel bel mezzo del cuscino. Anche lei aveva avuto la sua dose di incubi, ma erano tutti legati alla scuola e chissà come il suo cervello realizzò subito che era vacanza, quindi non c’era da preoccuparsene affatto. Se proprio voleva preoccuparsi, il suo orecchio cadeva ad ascoltare le conversazioni che arrivavano dalla cucina. Cominciò a camminare scalza per il corridoio, perché chissà in quale angolo maledetto aveva dimenticato le ciabatte, e tastava ogni due passi il punto in cui passava il tubo del riscaldamento sotto il pavimento. Poi se ne restava qualche secondo in equilibrio su un rettangolino di piastrella per non ridurre i piedi a ghiaccioli.
Così mano a mano intercettava le discussioni dei suoi genitori. Voleva godersi quell’attimo di spionaggio fino al momento in cui avesse urtato contro qualcosa. Essere maldestri e avere una madre che ama i soprammobili di porcellana crea non pochi problemi. “Scusate, io sono sveglia, volevo sentire cosa dicevate in segreto, quindi voi continuate pure a parlare come se non ci fossi. Io sto qui ad ascoltarvi, ma davvero non consideratemi”. Quasi meglio che sentire a malapena due frasi e salutare un altro degli elefantini del set sei elefantini. Va beh, così rimangono solo in due e fanno la coppia.
Le venne anche uno scatto di risa pensando a quella assurda entrata in cucina. E le risate, si sa, sono difficilissime da trattenere. Vorresti respirare, urlare e spalancare la bocca, ma non devi fare rumore, e ti metti a singhiozzare in un modo così divertente che peggiori solo la situazione.
Di suo padre, tra colpo e l’altro, capì solo che era arrabbiato.
-Strage…disastro…che diavolo…come ne usciamo-ripeteva e poi un “Wendy, Wendy, Wendy” che manco l’intero romanzo di Peter Pan ne aveva tanti.
Di sua madre arrivavano solo suoni gutturali, quelli di chi non sa come rispondere.
-Capisci? Qui ci si gioca tutto…noi…noi pure…tra poco avrà(fatto?detto?) tutti quanti e cadiamo, Wendy, cadiamo.
Quelle parole evocavano l’immagine sinistra di una casa che crolla. Forse la loro.
Altro la ragazza non sentì, perché il telefono all’entrata prese a squillare e dovette fare un passo indietro, entrando nel bagno.
-Oh, buongiorno-le parlò il gabinetto.
Così Joseph rovinò tutta la copertura, la portò in cucina e le preparò la colazione mentre i genitori erano fermi immobili sulle sedie a stirare le pagine del giornale in via di asciugarsi. Piove, le venne in mente. Di nuovo. Non si può stare due ore al sole che ricomincia daccapo.
-Oh, piccolo, cosa hai fatto a quei poveri occhi?-si voltò Wendy ad un tratto, coprendosi la bocca con una mano.
Paula gli sorrise-Devi smetterla di studiare di notte…specialmente dopo il sabato sera.
“Sabato?” mi direte. Beh, sì siamo già a domenica. Vi interessa forse sapere cosa successe quel sabato? A parte la pioggia, una partita cancellata e nuove lacrime di gioia, fu di una noia mortale.
C’è da dire che il signor Stuart si era quasi mangiato una mano quando aveva scostato le tende e aveva realizzato in pochi istanti che la partita di football che lui aspettava veniva lavata via da un acquazzone. Durante il pomeriggio non potè apparire più teso e nervoso, tanto che mandò giù una decina delle tisane di Wendy, amare, perché la testa era da un’altra parte e non poteva ricordarsi dello zucchero.
Poi il signor Wimby aveva bussato(stupido campanello!) alla porta e aveva annunciato che rimandavano la partita al giorno seguente. Così Finley aveva ripreso a respirare normalmente e ad abusare della zuccheriera.
Con o senza partita, il Minta’s Diner era rimasto chiuso. Probabilmente Minta si era ritirata nel suo periodico “momento creativo” e presto o tardi avrebbe proposto a Paula qualche nuova leccornia(nel migliore dei casi) da assaggiare. In effetti quella domenica mattina dall’altra parte della cornetta, Wendy aveva intuito nella sua voce un che di euforico, impaziente.
-Chiama la tua bambina, dille che oggi ho bisogno di lei, mattino, pomeriggio e sera!
Poi una risata tossicchiata e un bip.
Lasciata la bici rossa a gocciolare tutta sola a fianco del garage, Paula si incamminò a piedi per la via principale. Ora che non poteva pedalare, era costretta a guardare anche solo per un attimo case, palazzi, lampioni, pezzi di città su cui mai si sarebbe soffermata, altrimenti il lampione le sarebbe arrivato dritto in testa.
L’ombrello le volava rovinosamente indietro, mentre le scarpe scivolosamente avanti.
Salutò due signore amiche di sua madre mentre ancora stava timonando il manico per schivare il vento, qualche isolato prima che le volasse via il riparo.
Quando aprì la porta del ristorante, ovviamente bagnata fradicia con le scarpe rumorose come uno stormo di anatre, ripensò ai secondi in cui era rimasta ferma a guardare instupidita il manico di legno rimastogli in mano. Addio, ombrello. Correva sull’asfalto bagnato troppo in fretta per essere preso.
-Santo Cielo, bambina mia, sei andata a farti la doccia sotto una grondaia?
Era con Minta, giusto con lei, quando aveva avuto la meravigliosa idea di guardare da vicino lo scarico del tubo del giardino. I suoi quattro anni le permettevano, da seduta, un perfetto getto d’acqua piovana in faccia. Probabilmente la sgridata e la sculacciata di sua madre le avevano impresso nella testa che la pioggia era uno dei peggiori mali nel mondo, dopo la guerra, la fame, le malattie e le scommesse perse.
Oddio. Della scommessa fatta a Tyler si era quasi totalmente scordata. Non era ancora riuscita a parlare con suo padre dell’evidente disagio famigliare di cui tutti tranne lei erano al corrente. Joseph aveva ancora una puntina di ansia dopo aver ritrovato Hunter, il che non riguardava affatto la sua salute, visto che i parametri medici dicevano che stava benone. Se qualcosa non andava, lei poteva essere utile. Volevano tutti aspettare che glielo dicesse Tyler? Dicesse, cosa, poi? “Guerra, fame, malattie, o scommesse perse?” ripetè l’elenco “Ok, calmiamoci, pensiamo a Tyler”.
Le venne un brivido di disgusto. Era già domenica. Due giorni dopo il venerdì.
-Ho perso l’ombrello.
Grosso. Ombrello. Rosso. A pallini. Perso non era proprio l’espressione migliore.
-Mi è scappato mentre camminavo. Non è stagione di tornado, vero?-scherzò.
Minta le tirò via il cappotto dal colletto-Vai ad infilarti la maglia di riserva. Ti metto nel forno questo.
E sappiate che lo fece davvero.
-Odio la pioggia.
-Ma che dici, la pioggia è un bene per noi. Beh, se non sei d’accordo, lo è per me.
-E cosa ci trovi di bello nella pioggia?
-Boh, l’erba bagnata, starsene al caldo mentre fuori viene giù il cielo…oh, la pioggia è una benedizione per i ristoranti!
-Hanno cancellato la partita, verranno tutti qui.
-Ma guardala qui! Parla come suo padre! Vieni qua signorina, senti bene-la tirò- ricordati che quando piove la gente non fa altro che cercare un riparo, e le persone preferiscono di gran lunga i posti riparati, caldi e dove sono in grado di riempirsi lo stomaco per bene. La gente lo fa coi ristoranti e tu devi farlo con i ragazzi.
Paula sbuffò sorridendo-Dai, smettila.
-Non smetto, perché ho paura che tu finisca in grossi guai nella tua vita.
-Come mio padre?
La donna si ritrasse contro il bancone.
-Non mi piace questa storia della scommessa…lo so, lo so che ti ho stressato, ma non smetto di pensare che quel ragazzo stia facendo un dispetto sia a te che al poveretto che gliel’ha chiesta. Le scommesse non sono buona cosa. Ecco, cosa non devi fare. Tu non sei come tuo padre.
-So che lui scommetteva, ma alla fine non gli è andata poi male.
-Già-rise amara l’altra-ha scommesso su un bel po’ di cose e poi se l’è viste sfumare davanti. Come il brodo che si annacqua. Guarda qui-le indicò la pentola.
Alla ragazza spuntò una domanda che non si sa come sembrava c’entrasse qualcosa.
-Minta, papà ha scommesso ancora?
Ci fu un solo istante di mento corrucciato prima che si sentisse la porta sbattere.
-Salve-pronunciò una voce incredibilmente monotona.
-Benvenuti-sorrise Minta-fai accomodare i signori, Paula.
La cameriera imbarazzata fece cenno alla ragazza che si appendeva affettuosa al braccio di Dirk.
-Prego. Vi porto subito i menu-disse cordiale.
Cambiò decisamente tono, poco dopo.
-Ma che novità è? Facciamo pure accoglienza all’entrata ora?-aveva urlato bisbigliando.
-Ti serviva un aiuto per rompere il ghiaccio…-le tirò una gomitatina affettuosa.
-No, ti prego, così peggiori le cose.
-Scherzi? L’unico tizio nell’intero pianeta che attira la tua attenzione, e io non faccio nulla?
-Esatto, nulla. A parte darmi il menu per i nostri nuovi clienti.
I due uomini che erano già dentro, nessuno li degnò di uno sguardo. Erano già stati serviti di una colazione abbondante e fortunatamente non necessitavano d’altro. Ma Dirk al mattino non si presentava mai. E che? Dargli il bicchiere di metà pomeriggio? E la sua ragazza pareva una difficile da accontentare.
-Chiedi se vogliono assaggiare la mia specialità. E cerca di non fare facce disgustate.
-Credo che sia gente a cui dare cose assolutamente scontate.
-Nessuno sconto! Vai ora-rise la donna, spingendola.
Paula si diresse verso di loro con una finta, pessima disinvoltura. Porse secca i due cartoncini lilla sul tavolo e raccolse le mani davanti al grembiule.
-Grazie-le si rivolse la ragazza seduta.
Non era esattamente un tipo grazioso. Aveva un sorriso smorto, che non riusciva ad illuminarle il viso. Anche perché in mezzo al cardigan di ogni tonalità esistente tra il porpora e il grigio, si formava un corpo esile e tremante. Andando avanti Paula scoprì che quello era il suo modo per esprimere gioia ed eccitazione, ma al momento la cameriera pensava soltanto alla finestra ancora da chiudere per non farla morire di freddo.
-Se per caso non sapete cosa scegliere, c’è pur sempre da provare la specialità del giorno…
-Ah, io prendo la brioche con il prosciutto e formaggio. E una tonica. Hattie?
-Io credo che studierò ancora un attimo il menu.
Il tono era quello da “per favore vattene e lasciami stare”.
Dirk a sorpresa però rilanciò uno da “rimani, dai rimani”.
-Guarda che Paula non ha tutto il tempo.
Wow, ancora più sorprendente. Sapeva il suo nome.
-Allora prendo anche io lo stesso. Ma la tonica no, meglio la spremuta.
-Certo, arrivo subito.
E subito fu subito. Le bevande erano pronte prima ancora che i due riattaccassero bottone. Appena servita, la ragazza si diresse verso il bagno. A Paula la cosa disturbò non proprio poco, dato che scattò in piedi nel momento esatto in cui lei era a un passo dal tavolo per porgere le cannucce.
-Ci vogliono cinque minuti per il resto.
-Non preoccuparti. Almeno ho tempo di parlarti.
Parlarmi, oddio, pensò lei. “Vuole parlarmi. Minta sta cucinando. I due signori guardano fuori dalla finestra. La ragazza è in bagno. Siamo soli e lui mi vuole parlare”. Le guance iniziarono a bruciarle. Che imbarazzo, l’imbarazzo.
-Tyler vuole avvertirti che vi vedrete mercoledì alle quattro qui al locale. Ha detto che devi esserci.
Dirk aveva sempre il solito sguardo ombroso, eppure i suoi occhi castani scuri da vicino parevano incredibilmente delicati e vivi. E annuiva mentre parlava, facendo annuire anche lei. Aveva impegni mercoledì? Forse sì, ma non voleva deluderlo. Tyler? E chi ci pensava a quello lì?
-No, no, ci sarò di certo.
-Bene, speravo che Hattie non sentisse la conversazione. La fortuna torna a girare dalla mia parte oggi.
-Scusa…Derrick…-no, non era suo amico intimo, lei non poteva usare il soprannome-non è stata male, vero?
-No, è che entrata qui dentro praticamente solo per quello-rise tossendo il ragazzo-e poi manco ha toccato il bicchiere. Si sa, le ragazze ci mettono secoli a bere un solo bicchiere.
-Ho visto mio fratello rischiare una congestione una volta e da allora bevo un sorso alla volta se riesco a ricordarmene.
Era incredibile. Eppure succede più di quanto ci sembri. A volte per rompere il ghiaccio tiriamo fuori storielle che puntano sul personale. Come se sforzandoci facessimo più del dovuto. Sinceramente Dirk poteva anche girarsi dall’altra parte, ma rimase fermo ad ascoltare, sorridendo. Anche lui quando sorrideva tirava fuori fin troppo, e dava vita ad uno strano ghigno maligno. Sembrava che la sua ragazza la volesse squartare.
-Fatto-riapparì l’altra, lisciandosi la gonna scozzese-che succede? Qualche problema?
In effetti c’era una cameriera dalle guance arrossate che stava ritta con il vassoio completamente vuoto.
-Nulla, sto aspettando che sia pronto.
-Già, Hattie, stavo solo parlando.
Di cosa? Classica domanda da persona gelosa.
-Sai, Paula qui è la ragazza di un mio amico, Tyler Philips, conosci?
-Sì certo, me ne hanno parlato.
Dirk apparì sinceramente poco sorpreso della cosa. Lo dava per scontato che lo conoscesse. Era il futuro imperatore di quella città e lui, modestamente, era il suo braccio destro.
-Oh, beh. Scusa Hattie. Paula, questa è mia cugina.
-L’avevo capito, piacere.
“L’avevo capito”? Da cosa? Ma perché non le era rimasto in bocca? Adesso che spiegare? Altro che intelligenza, qui non dimostrava un bel niente in quanto a cervello! Stava dicendo che quei due si somigliassero? Beh, Hattie era leggermente inquietante e la cosa le suonava come una critica al povero ragazzo. L’aveva capito da cosa si dicevano? Ben arguito, pure un’impicciona che ascolta i discorsi degli altri.
-Piacere, Hattania Rogers-le strinse la mano con un mezzo inchino. Forse non sentì né la strana risposta di Paula né il ronzio dei suoi pensieri, tutta presa in quella riverenza.
-Oh, davvero? Vivi qui vicino?
Le era balenata l’assurda idea in testa che la ragazza fosse la figlia dell’infermiera di due sere prima. Insomma il mondo è piccolo, cioè Borderlake è piccola e al massimo i cognomi si ripetono un paio di volte per ogni generazione. La ragazza un po’ bruttina era quella che si doveva sposare. Giovane. E decisamente poco aggraziata rispetto alla madre. Difficile eguagliare una visione tanto accattivante. Non ce n’era neanche la metà di quella Diane.
Chissà perché, ma quando pensò a Hattania in abito da sposa, ripensò al fatto che era soltanto la cugina di Dirk. La cugina, Paula! Non la fidanzata! Oddio! Contieniti, contieniti.
Per l’entusiasmo trattenne a fatica il vassoio quando ritornò al tavolo. Si fermò qualche istante lì accanto con due paia di occhi a chiedersi cosa volesse.
-Conosco-(parlare una serata intera sulle vaccinazioni in un drive-in poteva benissimo essere un “ conoscersi”)-una Rogers, una certa Diane, un’infermiera…
-Davvero? La zia Dee?-la interruppe secca Hattie.
Da come lo disse sembrò che avesse nominato una criminale. Una dispersa. Un fantasma. No, Santo Cielo. Aveva solo nominato la zia. La zia!
Niente, qualcuno aveva staccato la spina del suo cervello.
Dirk con la bocca piena fece cenno di tacere.
-Oh, bene. E’ davvero una santa, lei.
Argomento morto. Lasciamoli mangiare. Lasciamoli finire. Lasciamoli pagare(sarà meglio). Lasciamoli andare. Lasciamoli partire sotto quel cielo grigio cenere.
-Allora, che vi siete detti tu e il tipo interessante?
-Ha solo posticipato il giorno in cui devo fare la carina con Tyler.
-Ti vuole tutta per lui, eh?
-Minta!
-Che credevi? Che gli piacesse quella tipetta coi capelli flosci?
-No, quello no, è sua cugina. Anche io pensavo che i capelli fossero flosci-sorrise Paula, pulendo il bicchiere, quello di Dirk, ovviamente.
-Guarda qui, ne ha bevuta metà. Che tipa, non mi sorprende fosse la metà di te.
-O io fossi il doppio di lei.
-E’ uguale.
-No, cambia la persona a cui fai il complimento-schioccò la lingua la ragazza.
-A chi credi che io faccia complimenti? Quale razza di persona sul pianeta non vorrebbe la mia bambina, bella come il sole, lei, guarda che sorriso, guarda che sorriso!-la strattonò soffocandola in un abbraccio.
Poi si bloccò.
-Ehi, mica pensi che gli piaccia la cugina?
-No, certo che no.
-Direi, non ha un che di fascino. Potrebbe piacere ad Ernie, che dici?
-Povero Ernie-esclamò lei-Lo sai, ho conosciuto la zia neanche due giorni fa. Non ti sembra forte incontrare due parenti con lo stesso nome in così poco tempo?
-Io incrocio spesso te e tuo fratello-rise l’altra.
-Intendo- sbuffò- due sconosciute…e poi così diverse.
-Beh, prima o poi la suocera la dovevi incontrare, tesoro.
Paula la guardò di storto. E che c’entrava?
-Che è quella faccia? Hai detto cugina, zia…penso intendessi la madre di Derrick.-tornò a controllare la pentola sul fuoco.
-La madre di Derrick?
-Sì, l’infermiera. Hai detto che l’hai vista, no?
-Aspetta, l’infermiera è la madre di Dirk?
-E che ti aspettavi? Cos’hai in quella testa? Sei ben distratta, signorinella.
Non ci stava, non ci stava che Minta ci arrivasse prima di lei. Era lei ad aver parlato con Dirk, era lei che avrebbe dovuto capirlo e poi spiegarlo alla sua madrina. Sembrava che con quella frase che conoscesse il ragazzo più di lei. Cioè, era gelosa di una che poteva essere sua madre, con un ragazzo che aveva la sua stessa età.
-Hattie avrà tante zie, mica solo la madre di Dirk.
-Come si chiama? Come si chiama la zia? L’infermiera?
-Diane.
-Diane Rogers. Appunto. La madre di Dirk.
-Mio Dio, tu la conosci?-sbarrò gli occhi.
-Sì, mi ha fatto un paio di prelievi.
-Tu conosci la madre di Dirk?!
-Sì, ti ho detto. E mi ha anche fatto passare la paura degli aghi. Pazzesco.
-Tu conosci la madre di Dirk-si passò la mano sulla faccia.
-Sì, ne hai ancora per molto?-le sorrise.
-Tu la conosci e non me l’hai mai detto?
-Ma Paula, mica mi vieni a chiedere come sono andati gli esami del sangue e io la tiro in questione. Insomma, credevo conoscessi vita, morte e miracoli di giovanotto tal dei tali.
-Magari…Dio Mio, che figura ci ho fatto…-si grattò la fronte.
-Oh, quante storie. Ci sono ragazze che sanno fino alla taglia di scarpe, e tu ti lamenti di non essere una ficcanaso? Pensaci. Il tipo ha capito che tu lo lasci respirare, che vuoi soltanto vederlo qui tutti i giorni e non hai bisogno di altro per sentirlo vicino…
-Minta.
-Sì?
-I ragazzi non pensano certe cose. Forse non pensano. So solo che se la starà ridendo con la cuginetta. Ci sarà mai una persona con cui riuscirò a fare bella figura? Dovrò sempre trovarmi schiacciata così?
-Umpf. Mi fai ricordare quando presi sotto tuo padre con la bici. Manco sapevo che era il fidanzato della mia amica. L’ho insultato fino a che le orecchie mi fischiavano e poi mi sono accorta che sotto l’impermeabile vicino c’era tua madre. Vedi? Può essere figura peggiore?
-Guarda a caso pioveva, vero?
-Sì.
-E’ sempre la pioggia.
-La piccola Finley-le scompigliò i capelli- vieni, ti faccio assaggiare la specialità del giorno. Visto che ora non c’è nessuno, la propongo per pranzo. Rimani qui fino alle sette, no?
-Sì, ho già studiato ieri, e bene.
-Brava. Adesso seguimi.
Chissà dove la teneva la specialità del giorno. Fuori sul piano cucina sbucava soltanto il piccolo forno di emergenza con la sua giacca che spuntava per una manica, e la grossa pentola con la zuppa della vita di suo padre, che sfumava e si annacquava.
-Ce l’ho in casa, sopra il tavolo. Hai voglia di andare su?
Il caseggiato del ristorante era il residuo di una casa di macellaio. Minta abitava nella casa di questo macellaio, sul retro del suo stesso ristorante, nella parte di edificio che spuntava dall’alto, offrendo al pubblico l’unico muro dipinto(era quello a catturare l’attenzione). Aveva una rampa di scale breve dai gradini altissimi, tali da piantarsi le ginocchia nei fianchi a salire. La porta non c’era, al legno duro si sostituiva una morbida tenda a girasoli.
La ragazza vide subito la ben lucida teglia bianca di porcellana che in mezzo a scatole di farina, dormiva tranquilla sulla tavola della piccola cucina. Pesava abbastanza. Cavolo. Se non fosse piaciuta, l’avrebbero divisa a metà. Metà di macigno è comunque mezzo macigno.
-Prepara la forchetta.
Paula le bloccò il coperchio.
-Minta, facciamo un patto?
-Oh, e basta con ste scommesse e patti!
-Vuoi che assaggi?-la minacciò.
-Sentiamo-si arrese la madrina.
-Tu hai parlato con la mamma, giusto? Quindi sai cosa sta succedendo a papà. Ti prego dimmi che succede. Mi dà fastidio vedere questa diffidenza, tutto intorno. Vorrei che almeno smettesse questo nascondere i discorsi. Se è una cosa brutta, preferisco sentirla, che soltanto immaginarmela.
La donna lentamente spostò la teglia verso di sé, trascinandola sul piano. Respirò.
-Non ti siamo nascondendo nulla, piccola. Sai com’è fatta la vita, certe cose ci stressano anche se sono insignificanti. Tua madre è stressata per le nuove lezioni, tuo fratello per la scuola e tuo padre per la scuola di tuo fratello e gli studi che deve pagare a te. Oltre al solito problema col suo avvocato, sai, il solito. Ma perché ti dico questo?
Paula scosse la testa.
-Ti prego, vorrei solo la verità. Almeno tu.
-Sai, Paula, è difficile da spiegare.
-Le mie celluline grigie si sforzeranno di capire.
Minta guardò il piazzale oltre le vetrate, cercando un cliente che la sviasse.
-Paula, ti piace davvero Derrick?
-Che c’entra?
-Dimmi, è l’unico del gruppo a starti simpatico?
-Beh sì. Ma...
-Ne sono felice. Credo che sia il meno peggio. So che sua madre è una persona perbene. Fin troppo loquace ed espansiva- sorrise-ma perbene.
-E…?
-I teppisti che vengono qui ogni giorno, oltre a lui...devi startene il più lontano possibile.
-Quando li servo mi sforzo già abbastanza.
-Lo so, ma devi davvero fare attenzione. Specialmente al tuo caro collega, Tyler Philips.
-Lo faccio sempre, va bene. Sono tutti preoccupati che io finisca con Tyler? Cavolo. Mica l’avrà detto in giro che lui è il mio fidanzato? Adesso chissà cosa diranno a scuola, diamine…
-No-le poggiò una mano sulla spalla-Tyler Philips lo vogliamo tutti proprio fuori da questa città.
-Ma allora cosa succede a papà? Anzi, oserei dire ad un bel gruppo, a questo punto.
-E’ il padre di Tyler, Paula. Il signor Philips.
-Quello del cinema?
-Quello del cinema, della radio, del supermercato, delle linee telefoniche, dell’aria che respiriamo, tesoro. Lo sai che ci sta comprando tutti, vero?
-Cosa?
-I suoi prestiti hanno tassi d’interesse che schizza altissimo dopo solo qualche mese e finiamo tutti per cedergli parte delle proprietà.
La donna dette due pacche al bancone come se fosse un bimbo in lacrime.
-E poi dopo un anno o due, dove il signor Philips è passato capita un incidente e la polizia stabilisce sempre che sono i proprietari legittimi a frodare l’assicurazione per prendersi i soldi e mandare al diavolo le sue percentuali. Invece sono sempre gli uomini del signor Philips a fare il lavoro gratuitamente.
-E se la cava sempre, come?
-Comprando la polizia, ecco come.
-Ne sei sicura?
-Cosa? Lo sanno tutti in città. Ma che vuoi, nessuno parla, troppa paura. Neanche la legge è più legge, non c’è giustizia, e figuriamoci io, che sono detestata da mezza città.
-Certo, un uomo così non può che diffondere razzismo.
-Oh, tesoro, fosse quello. Devo cucirmi la bocca per quello che ho chiesto di fare.
-Che intendi?
-Beh, io sono l’unica a poter dare ragione alla polizia. La mia lavanderia non è andata distrutta per colpa di quel bastardo. O almeno, non direttamente.
Paula sobbalzò alla parolaccia inaspettata. Ma sì, non c’era altra definizione.
-E’ stata una mia idea. Ho detto a tuo padre di bruciarla mentre ero partita per la California. Avevo un alibi schiacciante e ovviamente il signor Philips non poteva dire a tutta la polizia che lui non aveva comandato niente. Sai, di tanto in tanto ci sono degli infiltrati onesti che poi marciscono nella corruzione.
-Mio padre? Ne è capace di simulare un incendio?
-Te l’ho detto, Philips mica ha commentato il fatto. Era palese che l’incendio fosse colposo, ma io ero fuori città da una settimana. Tuo padre di certo ha trovato il modo di non lasciare tracce. Ma il caro Vynil Philips non si è mai bevuto la mia innocenza. Il Minta’s Diner ora, come la lavanderia, è comunque per metà suo.
-Minta, mi dispiace-le prese la manica rosa.
-No, a me dispiace. Dispiace che Vynil possa pensare che tuo padre sia un mio complice. Sta alzando gli interessi all’officina. Se continua così lo rovinerà. Manda suo figlio ad importunare te per dargli fastidio. Un padre che si vede toccare la propria bambina! Non voglio che ti faccia del male, o che lo faccia a tua madre. Sì, anche lei, ha già i suoi problemi. Gliel’avevo detto di non insistere, che doveva starne lontano per difendere Wendy, ma lui niente, ha voluto fare l’eroe e aiutarmi.
-Testardo, lo so, ma fare l’eroe…
-Tuo papà è scorbutico come sei bicchieri di limone mandato giù in gola, ma è anche un uomo giusto, che non ammette scorrettezze. Forse non accettava subito l’incidente all’inizio, ma poi ha cambiato idea quando ha saputo che Vynil mi metteva anche le mani addosso.
Paula strinse i pugni ansimando.
-Vedi, piccola. Sei come tuo padre. Cuore grande, pugni piccoli. Calmati, non pensarci. Troveremo una soluzione.
-E io posso aiutare?
-No, nessun guaio. Tu stai in mezzo alla nuova generazione di corrotti, li servi ai tavoli, ci fai le ricerche di storia insieme. A volte non avere troppi amici, ti serve. Sei giovane, tra giovani. Tutti azzardati. Siete più forti di noi, ma troppo deboli per loro. Se anche qualche giovane in questa città ti dicesse nulla, tu nega, hai capito?
-Certo.
-Nessun giovane dovrà parlarti di questa roba, e tu a tua volta non lo farai con loro.
In quel momento si videro chiaramente gli Angeli del Destino fremere con le loro ali sinuose, scrutando lo spettacolo che si offriva loro.
 In un ristorante di Borderlake, a scoperchiare forse la peggior poltiglia della sua vita, Paula Stuart aveva la risposta. Aveva la più chiara immagine della sua città mai avuta. Ma era triste, perché i suoi cari soffrivano, e nessuno faceva la domanda a cui lei poteva rispondere.
Sulla strada fangosa che costeggiava il lago, arrivando da Southbay, una Mustang nera tracciava due scie nette di pneumatico. Fosse stata polverosa col bel tempo, non si sarebbe notato, tra la nuvola che avrebbe alzato, il fumo di una sigaretta dal finestrino del guidatore.
Le foglie volavano e si appiccicavano al parabrezza. Samuel Chastain, alla guida, cercava di non notarle per non distrarsi. Già non ci vedeva un tubo per colpa della pioggia. Vedeva solo chiaro nella sua testa.
Spuntò il cartello di Borderlake, con il suo discreto numero di abitanti. Doveva fermarsi per togliere quelle foglie. Appena fermato il motore, però, si accoccolò sul sedile. Voleva dormire solo un poco e pensare alla sua situazione.
Aveva una domanda in testa, la domanda giusta. Ma nei suoi pensieri, non riusciva proprio ad immaginarsi chi avrebbe potuto rispondergli. Non riusciva a concentrarsi. Colpa della pioggia. Lui odiava la pioggia.
  
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