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Autore: CottonCandyGlob    30/12/2016    1 recensioni
Questo è il surrogato di una storia d'amore. Non è esattamente un'epopea amorosa, perché tutti gli ingredienti che di solito ne infarciscono una, qui sono stati mescolati alla cieca. Risultato? Si trovano sottili tracce di assurdo e un retrogusto di ectoplasma. Tutto sommato è così che si vorrebbe raccontare le origini dei due amici tra i più inseparabili ed insaziabili dei cartoni animati.
Ma voi, al piccolo Norville, questa storia gliela raccontereste mai?
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sorpresa
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Per Samuel, l’attesa non fu lunga. Prima che scoccassero le quattro del terzo giorno dal suo primo ingresso in città(biblicamente parlando) aveva incrociato per ben tre volte la stessa identica ragazza. Gli era venuta la strana presunzione che comparisse sempre non per coincidenza, ma per qualche macchinazione. Una ragazza che si mette fra i piedi in quel modo poteva ben lusingarlo. Ma lui non aveva tempo per le ragazze, ci voleva concentrazione, mantenere la calma, molta calma.
Era sicuro che la prima volta lei non l’avesse notato, al buio, in mezzo alla pioggia, e soprattutto ingabbiato in quella macchina, non sua. All’apparenza non sembrava una persona con lo sguardo da lince, e, a giudicare dal passo, ritardava di parecchio il momento di arrivare alla sua meta.
Le altre due volte la scorse soltanto da lontano, e lei non lo vide nemmeno. Non c’era neanche la minima speranza che potesse parlarle. Lui non parlava mai, stava in un angolo ad aspettare le parole d’altri.
Tra questi altri, come avrete capito, c’era anche Paula, che in effetti sguardi da lince non ne aveva, neanche per arrabbiarsi, dato che sbuffava sui capelli come un cavallo. A quel tempo non sapeva nè chi nè cosa facesse questo misterioso individuo; è vero, non sapeva manco esistesse. Ma anche lei, proprio come Samuel, aveva iniziato a scontrarsi con la stessa persona. Da ingenua che era, le sembrò persin normale. E diamine, mica siamo in una metropoli. Sì, fino alla seconda volta.
Quando le cose si fanno tre, e di colpo quattro, e il tre e il quattro non sono una botta che ci si dà per strada, allora decisamente si inizia a credere che qualcosa non vada.
La prima fu normale. Camminava a lunghi passi nel cortiletto, aspettando la campanella, ripetendo mentalmente la divertente colonna dei gas nobili, quando aveva visto una di quelle scene da film: il ragazzo alto, sorridente e con un ego grosso come una casa, che apre la portiera della sua macchina appena parcheggiata alla first lady di turno. La saluta con un bacio(sulla guancia? Strano.), continua a sventolare la mano all’aria mentre lei si allontana e appoggia il gomito alla carrozzeria quando lei si gira per l’ultima volta.
Nulla di strano. Ci sono a bizzeffe liceali che amano la compagnia di giovinotti appena usciti dall’inferno della scuola, e liberi di andare e venire dai college. Di certo quel tipo era da college, perché, nonostante di macchine non ne capisse un caspio, la sua le sembrava lucida da copertina. Quindi lei non poteva sapere che su quel sedile aveva posato il suo posteriore il caro Samuel, e che a malincuore aveva dovuto scollarlo di lì, per restituirla al suo legittimo proprietario.
Nella classe di letteratura aveva di nuovo incrociato la first lady. Non che fosse una celebrità internazionale, ma era una tipetta abbastanza popolare. Valerie Grant poteva ancora essere la fidanzata di Tyler. Chissà, mica ci facciamo tutti i fatti suoi. No, lo fa la maggior parte soltanto.
“Vediamo se mi guarda male. Se mi guarda male, sta con Tyler. Magari non sa nemmeno della scommessa e mi vorrebbe ammazzare di invidia. Allora è questo? Sentirsi i piedi ad un metro da terra è avere l’invidia degli altri addosso? Ma che invidia, scema, sei la finta fidanzata di Tyler. Manco tu ti invidieresti da sola.”
Infatti si sentì il fiato sul collo per tutta la giornata.
Perché ovviamente, alle tre in punto di quel lunedì, come da protocollo, la nostra cara ragazzina pedalava lungo il corso prima del viale, e, passando per la via mediana al parco, indovinate chi aveva mezza saliva di Valerie in bocca?
Passò così vicina alla loro panchina restringendo la curva, che entrambi scattarono sbaccaliti sul posto.
“Che figura. Avranno pensato che sia un’impicciona invidiosa” sbuffò, dando un’occhiata al suo grembiule, che era penosamente mezzo penzolante da un lato.
-Dove eravamo?-aveva ripreso subito Valerie, senza pensarci su, ricevendosi un paio di occhi ancora confusi.
“Devo dirlo a Tyler…oppure no?”.
In fondo era carino pensare che lo prendessero in giro. Piccola vendetta, ci sta.
Poi arrivò la terza volta, quella su cui ci fai una risata e ti ripeti  ”Ma possibile?”. Solo che non puoi raccontare a tuo padre, di fronte ad altri estranei, che il giorno prima hai assistito a due stadi dell’accoppiamento umano(i primi, sia ringraziato Iddio) e che di sfuggita hai già visto l’ugola della persona che hai di fronte. Quindi non ridi, deglutisci la situazione e sorridi.
-Si tratta di pochi chilometri, giusto un passaggio, ma ne abbiamo bisogno entro il prossimo fine settimana-ripeteva per la quindicesima volta la signora con la faccia olivastra che si era appena piazzata sulla sedia. Sul posto di Wendy.
-Certo, certo. Se è un problemuccio come un raffreddore può riaverla entro domani. Non ho molto da fare al momento-puntellava i gomiti sul tavolo il signor Stuart.
-Bene, benissimo-aveva appuntato sul suo taccuino-non sa quanto le sia riconoscente. Lei ci ha salvati tutti!
-Spero di accontentarla come previsto. Vuole del caffè?-si alzò lui, arretrando verso la cucina.
Lei si guardò l’orologio pensierosa-Ho ancora sette minuti pieni. Volentieri.
-E lei?
-Volentieri due dita anche io-rispose il giovane di un bel biondo caramello che gli stava accanto, tutto impettito.
Lasciamo perdere che Paula entrò nella sala da pranzo proprio a quella frase e subito non capì. Clienti, tesoro, clienti. Una macchina si era piantata neanche a due isolati da casa loro.
Tanto nella testa della ragazza si era fermata l’immagine di quelle due labbra sottili che sfioravano il servizio di sua madre, rigato da roselline gialle. Il mignolo di quell’intrigante cliente sporgeva quasi distrattamente in fuori. Un gesto così raffinato che una cameriera non poteva che ammirare, e immediatamente riderci dietro. Ma il portamento, il portamento era impeccabile. Mettersi in piedi per quel giovane era come rallentato e guidato da leggerissime mani invisibili.
Quante cose inutili le erano spuntate in testa. Paula realizzò solo dopo che di mignolo, caffè o macchina rotta, nulla le sarebbe mai più importato. E ci arrivò solo quando accompagnò col padre i due ospiti fino al cortile.
Non uno, ben tre ragazzi c’erano ora fermi vicino alla curiosa donna occhialuta e frettolosa: il giovane impettito, Derrick Rogers, con una mano sulla portiera della povera macchina malata. E a due metri era ferma una Mustang(suo padre la illuminò quella sera), particolarmente familiare(e se ne illuminò praticamente subito). Appoggiato al cofano di quel guscio di metallo, c’era l’ormai conosciutissimo sconosciuto.
Persino l’occhiolino di Dirk le sfuggì, presa com’era a fare la faccia più instupidita della storia e fissare quel ragazzo come se chiedesse a sé stessa di lasciar stare le allucinazioni. Dal canto suo lo sconosciuto aveva circa la stessa espressione stampata in faccia. Facevano a turni per guardarsi mentre l’altro si volgeva altrove. Solo per tre, massimo quattro secondi pensarono bene di mandarsi occhiatacce a vicenda direttamente.
Tutto questo per riassumere quel poco che c’è da dire su coincidenze che nella vita capitano sempre e comunque. Magari oltre a questa gente sarà successo anche a voi.
Tuttavia, le circostanze successive furono abbastanza singolari. Sono dopotutto le circostanze che finalmente sperereste di ritrovarvi di fronte. Intendo, volete arrivare subito al momento chiave, il punto di svolta, no? La scommessa vogliamo ancora rimandarla?
Rimandarla? Sarebbe stato divertente combinare qualcos’altro nel mentre, ma Tyler era seriamente preoccupato per la sua cara Valerie. Chissà che brutto momento, vedersi portare via il ragazzo da una sfigata e sostituirlo strategicamente con una sua dolorosa vecchia conoscenza.
Avanti scoprireste comunque che Valerie non pensava nessuna delle due cose. Via il ragazzo viziatello e bentornato ex ragazzo dal bel visetto. Dovrei narrare in ordine? Volevo solo far vedere che Tyler in fondo fu da sempre un cretino, e diciamo che, per ciò che avvenne quel mercoledì, ci sono andata leggera.
Per lui era facile farsi sedere sulle gambe l’agitatissima cameriera del Minta’s. La cameriera del Minta’s invece si era preparata psicologicamente ogni notte, in quasi ogni sogno, ad apparire come una ragazza reale. Figuriamoci, mai avuto un ragazzo. Mai succhiato la faccia ad uno come la first lady al parco. Giusto? Voleva che lo baciasse?
-Sei solo?
-Dovevo venire dalla mia ragazza con un seguito?- si avvicinò al bancone Tyler-Devi iniziare a darti una tirata, perché non ci metteranno molto a fare il giro per arrivare.
Paula non alzò neanche lo sguardo dalle cannucce che stava allestendo nel barattolo.
-Ehi, mi senti? Stanno arrivando.
-E allora?
-E allora? Niente preparativi per andare in scena?
-Beh, mi dai il dovuto?
-Più tardi.
-Allora sono pronta così.
-Bene. Meglio, la normalità è più reale. Con quei capelli sei ancora più simile al resoconto che gli ho fatto.
-Cosa gli hai detto?
Il ragazzo assunse un ghigno decisamente poco promettente.
Entrambi furono attirati da un clacson che suonava oltre le vetrate.
-Già qui?-corse alla porta Tyler.
-Perché, ho interrotto qualcosa di importante, piccioncino?-commentò sorridendo il suo amico. Il “poveretto della scommessa” come l’aveva definito Minta. La donna, attenta in un angolo ai fornelli, si ricredette subito su quella sua opinione.
-Bel posticino. Nuovo immagino-bisbigliò.
-Ha qualche mese. E’ da un po’ che non ti fai vivo da queste parti.
Dietro di loro c’era il corteo del solito gruppetto di amichetti, quindi le procedure per sistemare il palcoscenico della pseudo truffa occuparono due minuti abbondanti. Alla fine, nonostante il sovraffollamento alle loro spalle, i due ragazzi della scommessa erano rimasti uno di fronte all’altro, nel posto direttamente vicino al corridoio fra i tavoli.
-Sei sparito per un po’. Pensavo fossi sepolto sotto quei grossi mattoni che vi danno da studiare.
-Fortunatamente ho potuto incontrarti di nuovo.
-Certo, Cole, ma non sei più quello di una volta. Ti ricordi quando mi facevi ripetizioni di matematica?
-Davvero?
-Mi sa che ti hanno sciupato il cervello, bello mio. Che scuola.
-E mentre io studiavo, tu mi cercavi la ragazza messa peggio della città, quella che nessuno riuscirebbe mai a rimorchiare. E dici di esserci riuscito?
-Eccome. Guarda lì, presuntuoso.
Tyler indicò a linea del bancone come fosse l’orizzonte. Davanti al suo dito indice vide scorrere solo le mensole piene di bicchieri e stoviglie e il viso corrugato della padrona del locale.
L’amico scoppiò a ridere-Ma no, Tyler, io avevo detto chiaramente una giovane!
Il gruppo seguì le risate rivolte ad un cupo, sempre più irritato, capobranco.
-Beh, almeno sul “non bella” ci hai azzeccato...
-Piantala, certo che non è quella decrepita. Minta!
Lei sorrise, quasi. Il bulletto si abbassava al suo livello? Pronunciava il suo nome? Che caro.
-Puoi dire a Paula che sono arrivato! E che faccia veloce, ho amici che la vogliono conoscere!
Praticamente come se tutto lì dentro fosse sempre rose e fiori.
“Se scegli te stessa, non avrai neanche da fingere. Ma che bello sarebbe essere un’altra ragazza per una volta. E se facessi la smorfiosetta? Nah, poi non me ne viene niente in tasca. Vai Paula, cerca di fare più pena del solito.”
Detto questo, uscì dalla porta del retro bancone. Gli occhi al momento ce li aveva inchiodati al suolo, con i capelli che lisci e pettinati le ricadevano perfettamente dritti sulle spalle.
-Paula, vuoi venire un attimo qua, tesoro?!-sentì chiamare subito.
“Calmati. Sii felice. Una ragazza impossibile da rimorchiare.” Il tipo lo aveva appena pronunciato. La sua voce aveva fatto un acuto tale su quell’”impossibile”, che sembrava sottolinearne più volte il significato stesso della parola. Paula non potè leggere quanti altri acuti gli uscirono nella testa non appena fu vicinissima al tavolo sovraffollato. Ma sentì chiaramente gli acuti che uscirono nel suo di cervello.
-Oh, eccolo qua, il mio tesoro.
Le venne un tuffo al cuore quando Tyler le scoccò un velocissimo bacio sulla guancia. Peccato che lei fosse apatica, rigida, imbarazzata. Le venne automatico seguire il movimento verso il basso che le mani del ragazzo le imponevano di fare. Come ho detto, fu facile per Tyler sedersela addosso.
-Posso portarvi qualcosa?
Insomma, era pur sempre una cameriera.
-Tranquilla, volevo solo farti conoscere un mio vecchio amico…Colton, questa è Paula Stuart, la mia ragazza.
E riecco un altro bacetto.
-Piacere-sorrise il ragazzo, mezzo distratto.
-Piacere-cercò di imitarlo lei.
Prima un muretto, poi la bicicletta, poi suo padre. Ora non c’erano più barriere che tenessero. Lo sconosciuto che si presentava da alcuni giorni nella sua vita era con il viso a neanche un metro da lei. I suoi lineamenti le apparivano nitidi e posati, era pronto per entrare nell’archivio mentale delle persone che ormai poteva ritenere di conoscere.
-Ci siamo già incontrati, credo.
Paula sentì Tyler fare un movimento brusco-Ah sì?
-Mi pare…
-Cristo, Cole! E’ la figlia del meccanico che abbiamo incontrato ieri!- balzò alle sue spalle Dirk.
Grazie, Dirk. Un viso conosciuto e leggermente complice. Ci proverai a difenderla?
-Oddio, hai ragione! Me lo stavo completamente scordando. Allora è un piacere incontrarti un’altra volta, Paula.
-Piacere mio.
-Puoi anche portarci qualcosa, ora-si irritò Tyler, spingendola di nuovo in piedi.
-Cosa vorreste?
-Iniziamo con un giro di birre per tutti.
La ragazza annuì, tornando leggermene colorita in volto.
-Ma sei pazzo? Ci arrestano se ci trovano con dell’alcol in mano, non hai mica detto che eri più vecchio?
-Oh, Collie, che ti preoccupi. E’ la mia ragazza, farebbe tutto per me.
Colton appoggiò i gomiti al tavolo, mordendosi il labbro.
-Quindi…tu e lei…insomma, ti darai da fare.
-Avevi detto solo rimorchiare, no?
-Abbiamo due diverse idee del rimorchiare, a quanto pare.
-Non hai specificato quando abbiamo scommesso. Ora ce l’hai davanti agli occhi. La ragazza meno socialmente aperta della città. Puoi andare a chiederlo a chiunque. Se non ci credi, fai un giro in centro ed intervista qualcuno. Meglio a scuola. Lì neanche i professori la vedono.
-Sì, sì, me lo hai già spiegato. Ma se io intendessi secondo la mia idea di rimorchiare? Dici che ce la faresti lo stesso?
Tyler scosse la testa-Nessuno a scuola ha ripreso il coraggio per farsi decentemente una ragazza. Dopo il disastro di Yvette, i ragazzi e le ragazze stanno a metri di distanza. Persino io, col mio potenziale, non riuscirei nemmeno a convincere Valerie.
-Valerie Grant?
-Ecco, sì-si grattò la testa l’altro-sai, anche ora che ci siamo lasciati…lei rimane sempre di più aperti orizzonti rispetto a Paula.
-Ho visto per caso Valerie, e so che senza di te è rimasta un pezzo di marmo.
-Era così anche quando l’hai lasciata per il college. Per fortuna ci sono io.
-Già-schioccò la lingua Colton-Ma Yvette Waters cos’ha combinato?
-Ivette Perkins si chiama, adesso.
-Perkins? Si è messa con Andy Perkins? Sembrava mancasse qualcuno nel gruppo oltre a me.
-Che occhio, vecchio mio!-rise Tyler-In ogni caso, sappi che la tua cara Yvette ormai fa proprio Perkins di cognome. Poco prima che te ne andassi lei e Andy hanno coppato in pieno un appuntamento e lei c’è rimasta fregata. Il padre di Yvette era una furia: ha girato un’intera giornata a cercare Andy andandosene in strada in pigiama.
-Fortuna che l’ultima baionetta delle sue vetrine gli è volata in un tombino mentre inseguiva me. Sempre un simpaticone, il signor Waters. Così adesso Perkins ha messo su famiglia. Chi l’avrebbe mai detto.
-Io no di certo-si inserì Dirk-io avrei scommesso che il primo sarebbe stato Colton.
-Haha, divertente. Avresti perso un bel po’. Tra l’altro, quanto ti devo già?
-Mille, mille tondi.
-Non vado in giro con mille dollari nel portafoglio. Te li do stasera a cena.
-Ottimo.
Dopo tutto quel chiacchierare e quel bere, se ne sarebbero andati. Sarebbe finita lì, con quella decina di birre. Poi era libera, decisamente soddisfatta e fiera di essere sopravvissuta a tutto quella smania di controllo che Tyler possedeva, in eredità probabilmente paterna. La aspettavano duecentocinquanta bigliettoni per quello sporco lavoro.
-Minta?
-Sì?
-Ho lavato i cucchiai insieme al resto.
-Sei stata brava, ho visto-le sorrideva la donna.
-E allora, perché stai usando un coltello per far cuocere il brodo?
Minta tossì-Santo Cielo, non me ne ero accorta! Da quant’è che lo hai visto?
-Neanche cinque minuti.
-Quando eri “seduta” là con quelli?
-Sì, ti ho visto benissimo, ma non riuscivo a capire cosa c’era di strano. Avevo l’alito di Tyler troppo vicino.
La padrona diede un accenno di risata e ripartì a canticchiare, rigirando la lunga lama nella pentola bollente. “Che lo vedano bene sto coltello, perdio”.
-Paula-la fermò, puntandogliela contro da lontano -se ti torce un capello, tu non lasciarlo neanche respirare, hai capito?
La ragazza deglutì. Che, voleva mandare tutto all’aria? Era in gioco anche un po’ la vita di casa sua. Ormai in quella storia c’era entrata e al gioco doveva starci.
Si accomodò un’altra volta sulle gambe di Tyler, ad osservare il nuovo arrivato che mandava giù a lunghi sorsi l’intera bottiglia. Erano tutti così presi, che non notarono neppure il viso del loro capobanda avvicinarsi intimamente a quello della cameriera.
-Stuart, che dici, un bacio?-gli bisbigliò nell’orecchio.
-Ti costerà molto più caro-ebbe il coraggio di commentare lei, con un filo di voce.
-Andiamo, cosa ti cambia? Potrebbe essere la tua ultima occasione. Avanti. La tua guardia non sta controllando ora.
-No, non esiste niente di gratuito.
-La mancia di un cameriere non è obbligatoria. Persino quelle signorine del Grace Palace mi hanno offerto qualcosa dalla casa.
Tyler era praticamente incollato alla sua guancia. Si strofinava verso il suo naso, e lei andava a finire sul suo orecchio.
-Prova a rovinare tutto adesso, ragazzina.
La potevano chiamare donna o fanciulla. Lei ne risentiva sempre perché si sentiva sempre un cervello da bambina. Quindi signorina ci stava pure bene come appellativo. Ma la voce di quel ragazzo, il disprezzo che sputava con quella lingua biforcuta che era pronta a tutto pur di baciarla, lo faceva suonare come un aperto insulto.
“Io non voglio baciarlo. Neanche per cento, mille dollari”. Tyler però voleva baciare lei. Non che gli piacesse quella cameriera da quattro soldi; il potere che aveva su di lei, il potere dei soldi, del carattere, del controllo, di tenerla in pugno non volevano lasciarla respirare letteralmente. Probabilmente sarebbe soffocata. Senonchè un orgoglio e un coraggio mai avuto prima la spinsero a dargli un morso netto all’orecchio.
A dire il vero non pensò proprio a quello che stava facendo. Non pensò agli occhi che la stavano guardando. Non pensò purtroppo alle conseguenze che poteva avere un gesto simile.
-Cristo!-aveva urlato Tyler, coprendosi il punto in cui sentiva bruciare con una mano e battendo un pugno sul tavolo con l’altra.
Il suo gruppo si sfilò dalle sedie e si radunò intorno alla cameriera, che era finita per terra di fianco.
-Brutta deficiente! Che diavolo ti è saltato in mente? Eh?
Paula aveva la spalla che pulsava sul pavimento, così freddo da darle un po’ di sollievo.
-Tu, tu, stai lontano tu!-pestò i piedi Minta, portando con sé il mestolo. Lo aveva furbamente sostituito al coltellaccio, prevedendo di arrabbiarsi parecchio.
-Ho detto lontano!-ripetè, chinandosi a fatica per alzare le spalle a Paula-Tutto bene?
-“Tutto bene?”-la prese in giro Tyler.
-Non cercare di sfottere, stai lontano da lei! Non hai un minimo di cavalleria!
-Cavalleria? Stai scherzando, vero? Tu conosci la parola cavalleria?
Minta lasciò andare la ragazza per un attimo, assicurandosi che si reggesse ritta con la schiena.
-Le hai fatto male! Non dovresti neanche permetterti di toccarla!
-Ah, tu sei il mastino che protegge la principessina dagli avventori-battè le mani Tyler-ora capisco, capisco, capisco e prevedo. Che è? Te la vuoi tenere immacolata fino a che non entra in convento?
La donna gli prese inaspettatamente il bavero della giacca nera con uno strattone.
-Vai ad importunare quelle stronzette che girano con te! Gira i tacchi, idiota, e vattene!
-Metti giù quelle sudicie mani! Ragazzi!
I quattro spettatori, compreso Dirk, afferrarono con forza le braccia di Minta che si dimenava.
-Che volete voi?-urlò Tyler alla coppietta che poco prima si stava giusto gustando un gelato in un angolo appartato del locale. L’uomo dava segno di voler intervenire, mentre lei, probabilmente la moglie, lo tratteneva. Al minimo accenno di rimboccarsi le maniche, Tyler lo fulminò.
-Provaci soltanto! Vedi quante ne passi se alzi le mani sui Philips e sui loro amici!
Colton stava lì tranquillo con le braccia incrociate a seguire la scena, quasi annoiato.
-Avete sentito? Mi hai sentito tu, deficiente? Spero che tu e il tuo mastino mi ascoltiate bene! Patirete le pene dell’inferno se continuerete a rovinarmi la festa, siamo intesi?!
In quel momento Paula cercò di alzarsi a fatica.
-Vai al diavolo, Tyler-sussurrò.
-Che dici, signorina?
-Ti ho detto di andartene al diavolo!
Sfilò il mestolo dalla mano bloccata di Minta, che stava proprio dietro di lei e colpì in pieno stomaco il ragazzo. Tyler finì per appoggiarsi a Colton, massaggiandosi la botta.
-Pena. Ecco-cosa-mi-fai -disse spezzato.
-Davvero? Mi pare che tu sia quello malconcio-cercò di riprendersi dalla scarica di adrenalina.
Lui si mise a ridere. Ridere forte. Gli altri non capirono. A parte Colton, anche lui rise forte seguendo l’ilarità del momento.
-Piccola, sai che per l’unica volta nella mia vita stavo provando pietà? “Ma no, no” ho detto a mio padre ”è una ragazzina affidabile, innocente, dolce”. Dio, mio padre riesce sempre a far centro.
Il ragazzo si mise seduto nell’esatto punto di prima, e accavallò le gambe.
-Lo sai-prese tempo-lo sai che finirai male se continui a comportarti come questa pezzente? Ti piace tanto che si sacrifichi per te? Che eroina fallita. Non ti sei accorta dove andrai a parare nella tua vita? Piccola demente, finirai come lei! Io ero in grado di darti una nuova possibilità!
Era tutto dannatamente teatrale. Quasi quasi si poteva credere che Tyler dopo si scusasse, quando l’ospite ci era cascato e aveva goduto di quella scenetta. In effetti Tyler voleva proprio fare quello. Gli insulti ce li aveva lì pronti sulla punta della lingua, ma ora li selezionava apposta per creare un bel dialoghetto da scena. Il fatto che Paula reagisse male ad un’inaspettata accusa era perfetto per guadagnare a pieno titolo i suoi mille dollari. La ragazza impossibile e inattaccabile si mostrava tale.
-Tu sei solo un bambino viziato-alzò di nuovo il mestolo.
Minta intanto usava il labiale per chiedere aiuto alle due statue umane in fondo alla stanza. Chiamate la polizia. Chiamate qualcuno. Fatelo prima che mi liberi e strappi tutti i capelli a quel farabutto. Cavolo, mi tengono bene, però.
-Giuro che se non ti togli da questo posto entro un minuto, puoi star sicuro che ti ammazzo!
-Con un mestolo? Bimba cara, che fantasia-la prese in giro.
-Sei davvero uno stupido!
Le arrivò una spinta dritta al petto che la fece collassare sulle ginocchia di Minta. Sentì quella sensazione alla testa di quando sei sicuro che sia intera, ma il tuo cervello si è ribaltato al contrario. In più, aveva preso una bella botta al sedere.
Allora pianse. Prima qualche rivolo le scese sulle guance, poi fiotti di lacrime iniziarono ad arrossirle gli occhi. Non riusciva più a trattenere i singhiozzi.
-Brutto…!-lo minacciò Minta, spostando con un solo braccio almeno due ragazzi.
Paula rivolse il viso bagnato ai volti che stavano sopra di lei. Distinse chiaramente i profili di Tyler e Colton. Uno annuiva soddisfatto con il mestolo in mano, l’altro non la smetteva più di riderle addosso. Quella risata tra le altre le faceva un male lancinante, tanto quanto il suo singhiozzo suscitava il buonumore nel ragazzo.
-Credo che sia abbastanza. Paula, mi sa che tra noi è finita.
Lei annuì soffiandosi il naso nella manica della maglia. Si era arresa. Aveva pensato a Minta, al locale, ma soprattutto alla sua spalla dolorante. Lei era davvero una nullità. Tyler era la persona più stronza che conoscesse, e proprio per quella sua bravura, seppure in un campo così ignobile, era comunque qualcuno. Lei era nessuno.
Mi chiedo ancora adesso chi le fece sferrare quel colpo. Tutte le persone a cui spezzava le ossa nei suoi pensieri, alla fine si ritrovavano con un sorriso amorevole. Paula non era in grado di fare del male ad una mosca, perché temeva che se lo sarebbe rimproverato per tutta la vita.
Stava diventando un’eroina fallita come suo padre. Caspita, aveva davvero i pugni piccoli.
-Con un mestolo? Siamo poi due furbe-le aveva detto Minta, poco prima di chiudere il locale.
-I mestoli hanno anche loro un po’ di dignità. Tutti sono bravi a minacciare con i coltelli.
-Allora potremmo girare per i vicoli con i mestoli in mano da adesso.
Strano riuscire a scherzare guardandosi i lividi.
-Che cosa succederà ora?
-Oh, secondo me quando a quel tonto passeranno i capricci, manco ci ricorderemo di questo pomeriggio.
-Immagino sia inutile chiederti di chiamare la polizia.
-Immagini bene, tesoro.
Ah, la polizia. Poltriva nei suoi uffici, nuotava nei suoi sporchi soldi, mostrava i suoi distintivi logori e corrotti. Mezzo distretto si riunì quella sera nei salotti grande stile del signor Philips. Che rapina ci poteva mai essere se a sorvegliare la città c’era il timore per quell’uomo dal bel taglio simmetrico e vestito di grigio firmato?
Per l’occasione anche il suo unico erede aveva indossato il completo in tinta con quello paterno, apparendo come una sorta di copia malriuscita.
Ma che razza di salto di scena è questo? Beh, voglio sfruttare quel delizioso clima di tensione e violenza che Tyler ha sollevato, seppure con il carisma e la spavalderia di un ragazzino.
Vynil Philips invece era un uomo fatto e finito. Per lui ogni disputa era un’occasione di affari, per lui ogni secondo che passava doveva in qualche modo brillare come una montagna di monete d’oro, una statua d’oro, insomma qualcosa di incommensurabile. Incommensurabile in denaro, ovviamente. Niente faceva brillare di più la vita che una bella eredità, una bella casa e una bella macchina.
A proposito di casa, doveva essere stato ubriaco l’architetto che gli aveva costruito una villa spaziosa di campagna sopra cui si innestava un altissimo palazzo condominiale stile grattacielo.
Vynil era seduto nel suo ufficio all’ultima finestra di quel torrione, pronto alla sua riunione di ricognizione con i suoi cari amici agenti. Sua moglie era a teatro con la suocera, Tyler se ne stava buono a spiluccare dal lauto buffet destinato agli ospiti. Chissà che non facesse pratica di conversazioni socialmente utili. Era ora che entrasse in società.
No, no, ci stiamo rilassando troppo con questo momento di pace.
Serviva che l’assistente(per Philips il maggiordomo era un clichè da ricchi) lo disturbasse sull’uscio della porta.
-Sì, Hardman, vieni. Credevo fossi già partito stasera.
-Signore, stavo scendendo le scale e ho incontrato questa persona che dice di venire a colloquio con lei.
-Di chi si tratta?-gli offrì una sigaretta il capo.
-Un tipo alto, mezza età-rifiutò con la mano.
-Nome?
-Mi ha mandato di corsa, signore. Non ho fatto in tempo a domandarglielo.
-Dov’è ora?
-Al sesto, signore. La sorveglianza l’ha bloccato solo al piano sesto.-tremò l’assistente, timoroso di una scenata in piena regola.
Il signor Philips fece un leggero balzo dalla poltrona, facendo leva sugli ampi braccioli. Allungò due passi oltre la scrivania e posò la sigaretta nel posacenere.
-Fatelo salire al settimo, chissà che non si voglia unire ai festeggiamenti. Ma fatelo aspettare nel guardaroba.
L’assistente tirò un sospiro di sollievo.
 
-Smettetela di tirare così la tovaglia, mica sono tutti scemi!
-Ehi, pinguinello grigio, cerca di calmarti. Non sei tu quello con il sedere incollato al pavimento-grugnì Dirk, sventolando il lembo di tovaglia che gli copriva la fronte.
-Se volete rimanere qui, vi tocca il pavimento.
-E se dovessimo andare in bagno?-lamentò Grady.
-Santo Cielo, che ragazzine!-riprese Tyler- Vedete di non cacciar fuori la testa qui davanti. Vi ho lasciato spazio dal muro per passare da dietro.
I tre ragazzi lasciarono ricadere la tovaglia e si stesero al pavimento per sbirciare la scena che proprio in quel momento aveva animato la riunione.
-Il signore sta scendendo, ora, ha detto nel guardaroba.
-Beh allora? Se proprio mi voleva da parte poteva tranquillamente chiedermi una conversazione in strada!
-C-c’è un evento in corso, qui-sudava Hardman.
-Io non mi muovo.
-Ma la prego, la prego. I gentiluomini nella sala sono ospiti, non sono affidabili per conversazioni private.
-E allora mi pare il signor Philips avesse un ufficio.
-Non riceve mai nessuno nel suo ufficio. Solo i famigliari salgono fino all’ultimo piano.
La trentina di poliziotti in borghese e piccole autorità si era messa a vociare sulla figura che era comparsa così bruscamente a rompere l’atmosfera. Una maligna aria di superiorità si era alzata non appena avevano scorto l’atteggiamento tutt’altro che pacifico dell’intruso che era balzato sulla soglia. Non un minimo di charme, di autocontrollo, di eleganza. Non si aspettavano uscisse chissà quale sermone dalla sua bocca.
-Diamine, Vynil, ti rendi conto che ci sono in mezzo delle persone? Cose con braccia, gambe, anime, vita?
-Non la metta sul filosofico, siamo ragionevoli.
-Uh, Vynil, non è il caso di irrigidirsi tanto per due persone che ci guardano! Scommetto che loro neanche sanno di cosa stai facendo!
-E cosa starei facendo?-aprì le braccia verso la sala, mentre i suoi compari gli sorridevano complici.
-Avanti, Finley, cosa sto facendo?-sussurrò sporgendosi sul suo viso.
Era sulle punte dei piedi. Non poteva mai misurarsi con la folla in quanto ad altezza. E adesso la cosa lo stava umiliando ancor di più. Ma erano tutti contro uno. Non poteva perdere. Erano definitivamente fuori dal guardaroba e completamente dentro il ricevimento.
-Le scommesse sono scommesse. Ora lei lavora per me. Avanti, non fare…insomma non faccia la vittima. Chieda ad Hardman come si sta bene con me.
-Con te, hai detto bene. Ti ricordi? Prima che iniziassi a darmi del “lei”, io lavoravo con te…hai una bella faccia tosta a riderci sopra.
-Mio caro signore, lei mi trattò allo stesso modo quando ci si occupava del suo matrimonio…
-Quest’uomo-si rivolse agli altri con il dito indice puntato-ha cercato di comprare un processo!
-Strada indolore, no?-suscitò le risate del pubblico.
-Disonesta come scelta.
-E il piccolo angelo preferì tenersi il fardello. Preferì farsi staccare le alucce un poco alla volta. Erano proprio di cartapesta però, sono volate subito via.
Finley piantò il piede sinistro per terra, innervosito da tutto l’entusiasmo di quei farabutti nei confronti di una delle pagine dolorose e neanche ancora concluse della sua vita. Adocchiò il figlio dei Philips pulirsi tranquillamente i denti con uno stecchino. “Gli si ficcasse in gola” gli venne in mente.
-Per favore, comportiamoci da civili. Le do appuntamento, vediamo, sabato mattina alle nove. E pensi un po’, le farò usare il mio ufficio se ci tiene tanto. Non ci posso credere di averlo detto.
L’uomo scosse la testa, esausto. Voleva strozzarlo con le sue stesse mani, farlo soffrire solo per qualche secondo. Togliergli il fiato che lui accorciava a quei poveri uomini ingenui come lui.
-Ora ho da fare, non si faccia pregare. Hardman la accompagnerà fuori. Se non basta come servizio, sono a un bottone dalla sorveglianza, e loro sono decisamente più scattanti. Povero Hardman, stai invecchiando, eh?
L’assistente abbassò il capo, il capo di un trentenne coi capelli ricci, nel pieno della giovinezza. Stava invecchiando certamente in un postaccio del genere. Il suo braccio fece poi un gesto ampissimo e pieno di solidarietà al signor Stuart, che lo seguì senza fare storie.
-Signor Stuart!-lo chiamò lontano Vynil.
Tutti stettero in silenzio per la battuta finale.
-Ho bisogno di tua moglie, ricordatelo.
Senza un verso, Finley passò oltre al guardaroba e varcò la soglia del corridoio.
-Ecco i furfanti che per l’unica volta che non riescono a farla franca nel gioco, ti chiedono di cancellare l’intera partita. Bisogna saper perdere con stile.
Tyler stava misticizzando con lo sguardo il volto soddisfatto del genitore. Allo specchio non gli veniva bene come a lui. Aveva il naso pronunciato di sua madre che gli copriva una possibile espressione trionfante.
Colton gli tirò la gamba dei pantaloni.
-Eh?
-Eh, sono felice di averti dato i soldi in tempo, direi.
-Oh, Collie, ma tu non sei mio dipendente, mica ti trattavo così. Siamo amici.
-Tuo padre è il suo capo?-intervenne Dirk, spuntando con la testa.
-Ma come? Il tipo non era quello dell’officina della macchina?-si girò Colton verso l’amico.
-Ha anche un’officina ora-annuì Tyler, sistemandosi la cintura.
-Tu potresti prenderti la tavola calda della moretta-rise Grady.
-Tanto Paula a questo punto mangia già con i soldi di mio padre. Vuoi toglierle anche quel posticino alla poverina?- fece una smorfia-Vedrete, adesso vivrà lì. Farà di tutto per il suo povero paparino.
Tra i ragazzi ci fu un brivido improvviso.
-Fa freddo qua, eh, Collie?-incrociò le braccia Dirk.
-Marmo, freddo per forza.
-Io dovrei sempre andare in bagno.
-Prendi- e Tyler cacciò sotto il tavolo il secchio vuoto dello champagne.
Lo stile del signor Philips piaceva a molti, potremmo dire. E stava antipatico a molti, ugualmente. C’era poi chi di stile in quell’uomo non ci vedeva nulla. Pagava persone per arredargli casa, acconciargli la moglie e studiare i completi per le uscite pubbliche.
E poi uno che con una faccia riesce a farti lo stesso effetto di un calcio nel fondoschiena, ha un gusto di stile abbastanza dubbio. Tra un boccone e l’altro per distrarsi, Samuel Chastain aveva studiato questo aspetto particolare del suo obiettivo. Percepiva il clima ostile intorno a lui, il timore che qualcuno lo vedesse, che scoprisse la sua missione, dannatamente pulita, giusta, onesta in mezzo a quella feccia illegale che si faceva chiamare polizia di Borderlake.
Credeva si sentisse la sua risata stonata all’uscita di scena dell’ospite inatteso. Suonava male, perché era finta. Non lo aveva fatto ridere vivere quella situazione. Lo aveva incuriosito, soltanto. L’ostinazione di quell’uomo nei confronti di Vynil e l’improvvisa rivelazione di una vecchia conoscenza, amicizia finita male, a giudicare dalle parole: il riccone si sarebbe trovato qualche metro sotto terra se non fosse stato almeno una volta amico di quell’uomo. E con uomo intendeva il malcapitato. Sotto sotto tra i due si capiva chi avrebbe prevalso sull’altro, senza pubblico, senza cortesia e soprattutto senza soldi in circolo.
Le sue orecchie per la prima volta avevano degnato i discorsi che il figlioletto del grande uomo di casa faceva con gli amichetti, nascosti sotto il buffet. Se ne era lasciato distrarre dall’intera conversazione della serata. Ne aveva sentito qualche pezzo sparpagliato e non riusciva più a connettere il filo logico sul quale il signor Philips parlava. Ma alla fine si ricredette sulla sua sagacia.
Aveva aperto gli occhi su quel meccanico spuntato fuori dal nulla, che sembrava conoscere bene i problemi che Vynil dava alla gente. Poteva conoscere tutti i dettagli della sua carriera. Poteva conoscere le prove per incriminarlo una volta per tutte.  Insomma, Samuel vide, per la prima volta dal suo arrivo, un complice per sé.
Ma lo lasciava perplesso che ora lavorasse per Philips. Non gli serviva un complice così esposto, così controllato a vista. E soprattutto così impulsivo e pronto a vendicarsi. Gli serviva una persona che fosse alleata del suo possibile alleato. Qualcuno che gli fosse vicino e riuscisse a tenerlo a bada.
Gli venne l’illuminazione.
Attese tutta la serata di poter essere libero di tornarsene a casa. Corse alla piccola scrivania accanto al suo letto e tirò fuori fogli e penna come una furia.
“Ne sei sicuro?” si ripeteva in testa ”Puoi fidarti?”.
La sua mano sinistra iniziò a scrivere ferma, con la tensione addosso ad ogni singola parola.
Cara signorina Stuart,
so che lei probabilmente non sa nulla di me e potrebbe spaventarsi per questo improvviso messaggio da uno sconosciuto.
Lì accanto, sempre in Polish Avenue, una penna più nervosa ed incerta preferiva iniziare diversamente.
Cara Paula,
non hai idea di quanto mi dispiaccia...
  
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