“Eravamo chiamati
eretici. Ma anche Albigesi, in Italia Patarini, a
volte ci marchiavano anche come ariani, marcioniti e manichei. Ma solitamente eravamo conosciuti come Catari, il popolo dei
parfaits.
Albigesi? Ci chiamavano
così perché erano convinti che la ridente cittadella di Albi
fosse la nostra sede ufficiale, un po’ come Roma per la Chiesa. Ma non avevano capito niente quegli stupidi. Era Montségur il centro di tutto, con lei ha inizio e
purtroppo anche fine, la gloriosa vita del popolo dei Catari.
Perseguitato
e giustiziato dalla Santa Inquisizione, assediato dalle crociate contro gli
Albigesi.
L’eresia doveva
essere estirpata, per sempre....”
Fu nel 1208 che
iniziarono i conflitti.
Pierre de
Castelnau fu assassinato il 14 gennaio, era uno dei
legati pontifici in Linguadoca.
Di sicuro non
aveva un ruolo veramente importante, ma il Papa non si fece sfuggire questa opportunità. E nonostante si
pensasse fossero dei ribelli anticlericali i veri fautori dell’omicidio, Papa
Innocenzo III imbandì una crociata contro i Catari. Allora chiamati assassini
eretici.
Passarono
più di trent’anni, l’esercito guidato da Domenico Guzmán e Simone di Montfort
seminava panico e
sangue in tutta Linguadoca.
Caddero Cahors,
Moissac, la torre di Minerve, Alet, Carcassonne e tutte le principali città dei
Catari.
Rimasero in pochi
a resistere, Tolosa, Montségur, Béziers e Albi.
Béziers e Albi vennero rase al suolo, il popolo fu chiuso entro le mura e
bruciato vivo con tutto il Castello. In quelle notti, oltre alle urla, anche un
grande fumo nero si scagliò contro il cielo,
oscurandolo più di quanto potessero fare le nuvole nere prima della tempesta.
Il focolaio non si estirpò se non otto giorni dopo. La fuliggine, il terrore e
l’odore di bruciato impregnarono quella terra rendendola sterile.
A Tolosa venne riservato un destino non migliore.
Più di mille
uomini assediavano un villaggio composto da fango e
capanne.
Gli abitanti vennero estraniati da ogni contatto e lì li lasciarono, a
morire di fame. Dopo trenta giorni aprirono la schiera e fecero irruzione nel
villaggio o quel che ne rimaneva.
Ovunque
odore di morte e putrefazione, i corpi dilaniati dalle malattie e probabilmente
anche dai morsi disperati della gente.
Entrando nella
capanna del capo-villaggio lo spettacolo era a dir poco raccapricciante. La
desolazione faceva da padrona, la si poteva vedere. Seduta sul suo trono che accarezzava il corpo di un gatto morto,
difficile non intuirne il motivo. Dai corpi degli uomini e le ferite post-mortem
che presentavano, si poteva intuire che qualcuno o qualcosa si fosse nutrito
dei resti di quei cadaveri. Il micio, molto probabilmente era morto per
mancanza d’acqua più che di cibo, o di qualche malattia che i cadaveri a
marcire avevano portato con sé.
Ma nonostante le aspettative, una sola persona era sopravvissuta; un pensiero
macabro attraversò i soldati, qualcun altro, oltre al gatto, si era nutrito
come un avvoltoio. Sedeva sotto il tavolo, un uomo sulla quarantina, che ne
dimostrava settanta. Ferite e pustole divoravano il suo corpo, come se anche
loro fossero state tenute a digiuno. L’uomo, la cui pelle rasentava al
trasparente, vedendo i soldati e l’ufficiale Montfort incominciò a tremare, maledicendo in una lingua antica e
morta come lui, il cielo. Poi si avventò sul generale mordendolo, e così morì.
Con i denti digrignati in una smorfia di dolore, putrido e fetido si era
abbandonato sul corpo dell’uomo che era la causa di tutto questo. Aveva aspettato, aveva resistito tutto quel tempo solo per
quell’incontro. E mordendolo aveva penetrato nel corpo
di Montfort l’incredibile forza della vendetta e la sicura morte della peste.
“Cosa vi ha fatto il mangiatore di carogne, Generale?” chiese
un soldato avvicinandosi al corpo senza vita dell’uomo e battendolo di lato.
“Niente.. mi ha solo morso, da bravo sciacallo qual è.” Rispose
ridendo Montfort.
“Usciamo da qui,
il fetore è insopportabile.” Aggiunse poco dopo
essersi pulito la ferita e continuando a ridere.
Il giorno dopo
però aveva smesso di ridere, la sua legione era stata decimata ed anche egli stesso era prossimo alla morte, morì l’indomani in
preda a forti convulsioni.
Dei mille uomini
che avevano assediato Tolosa ne resistettero sette.
Così nel 1243
tutte le città della Linguadoca erano state attaccate e distrutte.
Solo Montségur
resistette.