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Autore: teen_hardship    30/12/2016    0 recensioni
Melanie Owens: sognatrice, testarda, lunatica, tenace. La musica è il suo unico punto di riferimento saldamente fisso nel suo cuore, la sua sola immagine di salvezza impressa nella sua mente. Il basso, il suo più caro amico, colui che davvero c'è sempre stato nel bene e nel male. Cresciuta in un contesto complesso da capire e da viverci come quello degli anni '60, nel quale si butta a capofitto, forse un po' ingenuamente, come se fosse una fiaba, un gioco, con lo stesso entusiasmo di una bambina.
Ben presto, peró si renderà conto di quanto sia difficile affrontare la giungla,mondo discriminatorio, ipocrita e tremendamente ingiusto. In questa esperienza totalmente nuova per lei, con suo fratello avrà modo di conoscere quattro ragazzi di Liverpool, coloro che da semplici giovani talentuosi arriveranno ai Fab Four che scriveranno la storia degli allora imminenti anni '60 e dell'epoche successive. Nuove amicizie, scoperte, delusioni, influenze esterne e amori che trasformeranno la protagonista rendendola una Melanie totalmente diversa da quella iniziale.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: George Harrison, John Lennon, Paul McCartney, Ringo Starr
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~~Arrivai in aeroporto e mi affrettai a mettermi in fila per acquistare il primo biglietto per Londra. Naturalmente, la mia destinazione non era la capitale, ma Liverpool, l'unico posto in cui, per la prima volta nella mia esistenza, mi ero sentita viva per davvero, come ogni persona si dovrebbe sentire. Al diavolo mia madre, al diavolo l'apparenza, al diavolo la ragioneria, al diavolo l'intera Boston! La mia casa era lì, lì i miei veri amici, lì tutto. Avevo molte cose in sospeso laggiù, non me l'ero affatto dimenticate: riabbracciare quella scalmanata di Tiffany, con la quale non avevo più chiarito, spiegarle tutto, rivedere Ringo e, come promesso da lui, visitare la città insieme, poi c'erano John, così schietto e folle, George (chissà se era riuscito ad andare avanti dopo essere stato lasciato improvvisamente da Emily...), forse addirittura Paul mi era mancato un po'. Lui e le sue ossessioni per il fumo e le birre di prima mattina, tra lui e John non sapevo chi fosse più folle. Forse, per quello erano amici, pensai inevitabilmente: pazzoidi quasi alla stessa maniera. Morivo dalla voglia di sentire una loro canzone, di tornare al Cavern Club, nonostante di quel posto non avessi bellissimi ricordi, così avrei anche potuto conoscere il simpatico Mr. Frank, il proprietario. Quanto mi mancavano i tramonti sul Mersey, dei veri e propri quadri viventi che dolcemente mutano sotto il tuo sguardo e, con la stessa dolcezza, forse mutano anche te. Che importava se non avevo un posto dove stare? Mi sarei arrangiata, qualcosa l'avrei sicuramente trovato. Volevo pranzare di nuovo in quel delizioso ristorante  in Chavasse Park con tutti i miei amici, o anche cenare (perchè no?) e scappare tutti insieme senza pagare il conto che sarebbe stato sicuramente troppo salato. Correre per le stradine della città con la polizia alle calcagna, confonderli per poi sparire grazie a qualche lampione rotto. Sì, quella sarebbe stata una delle prime cose che avrei fatto appena arrivata. Avevo aspettato così tanto tempo quel momento che il solo pensiero di tornare a Liverpool mi faceva tremare ed ero così presa da quei felici pensieri che per un po' mi dimenticai degli ultimi eventi: papà, Spencer, mia madre, la tenerezza di Lucas e l'ingenuità di Teddy. Certo, non mi davo pace per come avevo trattato i miei fratellini, ma erano così piccoli, così innocenti, non avrebbero capito. Troppo spensierati, li avrei solamente rattristati ulteriormente. Non che con la mia improvvisa (o forse è più corretto improvvisata) partenza avevo reso loro la vita più semplice, ma, sapete, c'è un limite a tutto e io sono umana. Probabilmente sarò anche la parte peggiore degli esseri umani, per il mio comportamento e per le mie debolezze, ma, insomma, appartengo a questa specie. Non potevo più sopportare quell'ambiente, quelle regole che non hanno niente di ortodosso, l'atteggiamento di mia madre, il modo in cui mi trattava. Se non fosse stato per mio padre, credo che in quelle mura sarei impazzita nel giro di poco. Mi mancava molto papà, non mi aspettavo mi lasciasse così. Come quando vai al cinema con i tuoi amici e il film è uno di quei capolavori che sanno darti sensazioni mozzafiato, che giocano e modellano le tue emozioni a loro piacimento trascinandoti in un mare di sentimenti talmente agitato che sulla barca ti senti scuotere a destra, poi a sinistra, poi di nuovo a destra, un po' su, un po' giù. Sono sensazioni talmente forti che ti rapiscono per portarti via con loro. Tu, però, sei così preso che non ti accorgi che il film è finito già ore fa e tu sei rimasto lì a guardarlo, incantato, per ben due, forse tre, repliche. Stai per fare un commento entusiasta sulla tua scena preferita, ti giri per rivolgerti ai tuoi amici ma accanto a te c'è qualcun altro. Allora ti alzi nel bel mezzo del film e li cerchi con lo sguardo per tutta la sala. Quello che ottieni, però, sono solo occhiatacce e richiami dagli altri presenti che si stavano godendo il film fino a quando tu non hai avuto la brillante idea di alzarti e di osteggiare la loro vista, i tuoi amici non ci sono. Non sono lì e tu sei solo. Ci rimani male perché pensi che, se avessi prestato più attenzione a loro e non ti fossi lasciato ingannare dalla meraviglia di quel film, li avresti potuti salutare come si deve. C'erano rimasti male? Che fine avevano fatto? Le risposte a tali domande le potrai avere solo la prossima volta che vi rincontrerete. Più o meno, era la stessa cosa.


Giunse finalmente il mio turno alla cassa: -Salve, quando parte il primo aereo per Londra?-. La signorina al di là del banco, dopo avermi squadrata per le mie misere condizioni in cui mi ero presentata ad un aeroporto importante come quello, controllò su un'agenda scura per qualche secondo, scorrendo con una penna stilografica su un elenco. Parlò scocciata: -Ha delle preferenze di compagnia?-, -Sinceramente no, l'importante è che non spenda una cifra enorme-, -Bene-, disse lei continuando ad indugiare tra le vecchie pagine dell'agenda: -Credo che quello che faccia al caso suo decolli proprio tra mezz'ora. Vi sono pochi biglietti rimanenti quindi credo che il costo sia di trenta dollari, altrimenti dovrà attendere un paio d'ore per...-, -Prendo un biglietto da trenta grazie-, -Documenti, prego-. Non potevo permettermi ancora tanto ritardo, temevo mia madre mi venisse a cercare. La signorina annuì soddisfatta e digitò un codice su una macchina dal quale uscì un biglietto. Dopo aver pagato, chiesi: -Come faccio ad imbarcarmi?-, mi diede tutte le informazioni necessarie. Mi diressi velocemente dove mi era stato detto e mostrai il biglietto a dei bodyguard che poi, insieme ad un altro gruppo di persone, mi accompagnarono sulla pista di decollo. Mi diedero il permesso di non lasciare il borsone all'imbarco dei bagagli e di portarlo con me. Salii sull'aereo e cercai il mio posto. Non avendo mai preso l'aereo da sola, non avevo una grandissima confidenza nel muovermi e le difficoltà per cercare il mio posto erano elevate. Improvvisamente un passeggero già seduto si preoccupò: -Le occorre una mano Miss?-. Arrossii e mi girai lentamente verso la direzione della voce , imbarazzata: -Forse sì-, risi nervosamente. Il giovane ragazzo si alzò sorridendo e fu estremamente gentile: -Fai vedere-, gli porsi il biglietto. Dopo averlo brevemente letto, i suoi occhi azzurri-grigi mi guardarono di nuovo: -Sei fortunata. Il tuo posto è proprio questo-, disse indicandomi un posto accanto a sé. Gli risposi grata: -Meno male, grazie mille!-. Posai il borsone sotto il mio sedile, nonostante il giovane mi avesse offerto un aiuto per poggiarlo sopra. Era molto educato come ragazzo, ma sicuramente non di grandi parole: era abbastanza alto, aveva i capelli un po' lunghi, castani, un viso non troppo affascinante nel complesso, però attraente. Chiacchierammo brevemente: -Come ti chiami?-, -Oh, scusami, che maleducato. Sono Mick-, disse allungandomi la mano: -Figurati, io Melanie-. Ci interruppe un'assistente di volo che, dopo aver richiamato la nostra attenzione, spiegò le procedure di sicurezza. Dopodiché l'aereo inizio a muoversi per prepararsi al decollo. Nonostante avessi allacciato la cintura, e quindi tutto procedeva apparentemente bene, iniziai ad agitarmi sul posto con l'improvvisa paura che non sarei mai arrivata a Londra. Iniziai a sentire caldo e delle fitte allo stomaco, credo che anche il mio colorito divenne più pallido di quello che già era. Mick sembrò accorgersene: -Tutto ok?-, l'ansia stava per prendere il sopravvento, ma riuscii a controllarmi abbastanza bene dal rispondergli male: -Sì, certo-, gli sorrisi e lui ricambiò: -E' la prima volta che voli?-, -Sì...cioè no, insomma...E' così palese?-, chiesi io riuscendo a strappargli una risata. Lui non sembrava affatto teso, sicuramente aveva già avuto esperienze del genere. In realtà anche io, un anno prima, ma credo sia diverso volare con qualcuno come tuo fratello al tuo fianco o volare completamente da sola. In realtà, non ero sicura se la mia agitazione fosse nata dal pensiero del viaggio o da tutta quella situazione in generale, dal fatto che, forse incoscientemente, mi stavo buttando a capofitto nel buio più totale, così attratta da idee e ideali meramente astratti che non potevano assicurarmi nulla, eppure prima sembravo così sicura di ciò che stavo per fare. E una volta a Liverpool? Sarei riuscita a trovare un lavoro? Speravo, almeno, che una volta lì le cose si sarebbero risolte: non sapevo in che modo, né quando, né se si sarebbero risolte. Mick spiegò: -L'importante è non pensarci e non guardare fuori mentre l'aereo decolla, semplice no?-, -Fin troppo-, dissi io iniziando a stringere i braccioli del sedile per scaricare lo stress. Lui continuò a parlare spensierato: -Posso chiedere come mai sei diretta a Londra?-, -Oh, no, in realtà devo arrivare a Liverpool-, lui sembrò sorpreso: -Ah, sei di lì? Dal tuo accento non si direbbe-, -Infatti, sono nata e cresciuta a Boston ma...-. Non sapevo se essere sincera con lui oppure inventarmi qualcosa. Alla fine pensai di rischiare di annoiarlo raccontandogli tutti i guai che avevo combinato. Decisi di raccontargli una mezza verità: -Vado a trovare amici che vivono lì-, -Ah ok, bello. Spero ti divertirai-, -Ti ringrazio-. A pensarci bene, nemmeno io in quel momento ero di gran compagnia. Cercavo in tutti i modi di non guardare fuori dal finestrino e di calmarmi. Vi furono dei momenti di silenzio, che occupai pensando ulteriormente alle cose che avrei dovuto fare una volta giunta a destinazione: -Bene siamo decollati, non hai più niente da temere. Anzi ti consiglio di dormire, se proprio sei ansiosa. Se non ti dispiace, dovrei scrivere delle cose...-, -Siamo già decollati?!-, dissi io ancora più in ansia quando realizzai che ero sospesa in aria solamente da una lamina di ferro e non so che altri materiali. Mi ricomposi, cercando di essere il più gentile possibile: -In ogni caso, figurati, grazie. Sei stato fin troppo gentile con me-. Lui mi sorrise rassicurante e iniziò a scrivere qualcosa su un blocco poggiato ad un tavolino che aveva estratto dal sedile anteriore. Cercai di seguire il suo consiglio, ma non riuscii ad addormentarmi, affatto. Cercavo di mostrarmi serena, per non dare ulteriore fastidio a Mick. Decisi di distrarmi ed iniziai a guardarmi intorno, improvvisamente interessata a ciò che mi circondava. L'aereo aveva tre file di sedili grigi da due, abbastanza spazioso, dietro una porta socchiusa individuai il bagno e, alzando lo sguardo vi erano vari pulsanti. Ero curiosa di scoprire a cosa servissero, ma evitai di premerli, credevo di aver già fatto abbastanza figuracce. Conclusi che i colori di quell'aereo, grigio chiaro, scuro, bianco, trasmettevano un senso di staticità infinito e mi domandai più volte se servissero del cibo e se, soprattutto, fosse commestibile. In ogni caso non avrei sicuramente messo niente sotto i denti se non volevo rigettare tutto poco dopo, potete immaginare quanta potesse essere la mia fame in quel momento.  Ad un certo punto, mentre mi giravo verso sinistra, notai, casualmente, che uno strano uomo mi osservava. All'incrocio dei nostri sguardi, si riconcentrò nella lettura di una rivista. Lo guardai per qualche altro istante perplessa: poteva avere all'incirca quarant'anni, brizzolato, occhi scuri, era abbastanza robusto e sul suo viso segnato da qualche ruga vi era una leggera barba. Smisi di osservarlo che e credetti fosse stata solo una coincidenza: -E' solo una giornata troppo caotica e stressante per te-, mi dissi. Dopo poco riuscii anche ad appisolarmi. Mi risvegliai ore dopo recuperando un po' del sonno perso la notte prima a causa della cena e dei pensieri sul discorso di mio padre. Mick era ancora intento a scrivere, decisi di non disturbarlo. Fui ritentata di schiacciare i pulsanti sopra il mio capo. Mentre mi imponevo di non toccare niente, notai una seconda volta, con la coda degli occhi, lo sguardo dell'uomo di prima posato su di me, poi sul mio bagaglio. Mi girai infastidita nella sua direzione e lui, come aveva precedentemente fatto, distolse subito lo sguardo. Cercai non non pensarci e, curiosa, chiesi a Mick cosa stava scrivendo. Mi guardò e rispose: -Questo? Oh, roba di lavoro, niente di interessante-, misterioso. Cercai di scambiare qualche chiacchiera: -Tu invece non sei americano, mi sbaglio?-, -Affatto, sono inglese-, affermò lui con una punta di orgoglio. Sorrisi. Poco dopo il giovane al mio fianco parlò di nuovo: -Tra poco dovremmo atterrare, per la tua gioia!-, ridemmo. L'ipotesi di Mick venne poco dopo confermata da un annuncio del pilota, tirai un sospiro di sollievo. Così, circa mezz'ora dopo, salutavo Mick e girovagavo nell'aeroporto di Londra in cerca di un'uscita.

Prima di andare verso la stazione per prendere il biglietto per Liverpool, però, ripensai all'eredità che mi aveva lasciato mio padre. Dal momento in cui avevo deciso di scappare, erano capitate una serie di coincidenze alquanto strane se considerate nel loro complesso. Quella che mi lasciava più perplessa, o comunque sorpresa, era l'eredità. sembravano tanti soldi, anche se non avevo idea di quanti esattamente. Mi diressi in bagno. Avevo la strana sensazione di essere seguita, o comunque di essere osservata da qualcuno, ma non ci diedi molto peso convinta che fosse una mia paranoia. Entrai nel bagno femminile e mi chiusi a chiave nel primo che trovai libero. Poggiai il borsone su un piccolo tavolino di plastica che sporgeva da un lato del muro. Non passò molto tempo che l'unica persona presente uscì andandosene: avevo la certezza di essere completamente sola. Aprii la zip e presi la prima mazzetta. Senza togliere la fascia di carta che la teneva, iniziai a contare. Rimasi interdetta, sussurrai involontariamente: -ventimila dollari-. Era una cifra esorbitante, infinitamente maggiore a quella che mi sarei aspettata. Iniziai a contare anche l'altra. Avevo quasi finito quando la porta principale si aprì e nella stanza si fece spazio un rumore di passi troppo pesanti per essere quelli di una donna. Mi bloccai, terrorizzata. Riposai i soldi dentro e chiusi lentamente il borsone per non farmi sentire. Di tanto in tanto, il rumore del tacco sul pavimento cessava, seguiva uno strano fruscio, forse tessuti che strusciavano tra loro, poi il tutto si ripeteva. Ipotizzai che lo sconosciuto soggetto guardasse sotto la porta per vedere se ci fosse qualcuno nei bagni. Salii silenziosamente sul gabinetto ed attesi. I passi si facevano sempre più vicini, io sempre più intimorita. Lo sconosciuto si fermò davanti la mia porta, credetti di perdere il respiro. Le gambe tremavano, stavano per cedere, al loro tremore si scatenava un sottile, speravo impercettibile, rumore metallico dato dalla tracolla della borsa. Dopo un'infinito lasso di tempo, passò avanti, chiusi gli occhi e ripresi cautamente a respirare. L'altro controllò tutti i bagni, dopodiché aprì il rubinetto e credo si lavò le mani. Aspettavo il momento per scappare e quello sembrava quello ideale, ma non mi sentivo ancora sicura, poteva essere una trappola. L'acqua smise di scorrere, seguì un sospiro, poi  lo scatto di un accendino. Poco tempo e l'odore di tabacco inondò il bagno. Stavo impazzendo lì dentro, un fascio di nervi. I passi si fecero sempre più lontani verso il lato opposto della porta. Non passò molto che l'uomo iniziò a dare spallate ad una porta in fondo a tutto. Per la forza con cui spingeva la porta e il fracasso che faceva, non poteva essere che un uomo. Approfittai di quella situazione per scendere, prendere il borsone e precipitarmi fuori. Mi raggiunse una voce virile: -Hey, torna qui lurida bastarda!-. Non mi voltai a guardare il viso di quell'uomo, pensai solo a correre verso il luogo più affollato. Mi scontrai con qualcuno, ma continuai la mia fuga. In lontananza avvistai, con la stessa gioia con la quale un marinaio in mare avvista la terra ferma, un taxi. Mi ci fiondai dentro e chiusi la porta bruscamente giusto in tempo. Dopo aver dato un pugno al vetro, così forte che credetti che il finestrino potesse cedere da un momento all'altro, il mio aggressore si diresse al taxi dietro: era lo stesso signore che mi aveva osservato per tutto il viaggio sull'aereo. Terrorizzata e affannata preoccupai il tassista che mi osservava allibito: -È tutto ok, Miss?-. Ripresi un attimo fiato prima di rispondere: -Per niente, quell'uomo ha cercato di aggredirmi. Mi porti il più velocemente possibile alla stazione più vicina. Devo andare a Liverpool-, non avevo ancora finito di parlare ma il signore, capendo la situazione, si stava già dirigendo a gran velocità verso la destinazione che avevo richiesto. Qualche volta mi giravo dietro per vedere se il mio aggressore mi stava seguendo: era alle calcagna. -Miss, credo mi debba liberare del collega dietro di me. Prenderemo qualche vicolo e allungheremo un po' la strada, ma non tema, pagherà la tariffa standard senza costi aggiuntivi-, mi girai verso il conducente, incredula alle sue parole: -Gliene sarei infinitamente grata se mi liberasse da quell'essere spregevole, ma non è giusto che questo debba avere riscontri sul suo stipendio. Se proprio vuole essere gentile, mi può accompagnare fin dentro la stazione-, dissi io con un briciolo di speranza che accettasse la proposta: -Sono sicura che mi lascerebbe stare-, -Ah Miss, la prudenza non è mai troppa in questi giorni, dannazione!-. Detto ciò eseguì una brusca e pericolosa manovra per svoltare in una strada secondaria, seguì il suono di vari clacson: -Non mi distragga, Miss! Piuttosto allacci la cintura! Conosce il suo aggressore?-, urlò per farsi sentire tra tutto quel rumore: -No...-, mormorai. Ero scioccata dall'apparente follia del tassista, ma non osai contraddirlo e feci come mi aveva detto. Inutile dire che il viaggio fino alla sezione fu tremendo, tra viottole, viali, stradine e sotto passaggi e curve pericolosissime ad una velocità al limite della pazzia. Nemmeno Cenerentola sarebbe stata in grado di trovare una carrozza così veloce una volta suonata la mezzanotte. Quasi a destinazione, mi rigirai e notai con gran piacere che avevamo seminato il misterioso uomo: -Ce l'ha fatta! Non ci seguono!-, esclamai. Il tassista espresse la sua soddisfazione con un tenero sorriso, svoltò a sinistra uscendo su una grande piazza. Percorremmo la rotonda e, svoltando alla prima uscita, ci ritrovammo di fronte la stazione. Il tassista parcheggiò in fretta e scese per aprirmi la portiera. Mi accompagnò sin dentro e attese fino a quando non salii sul treno: -Non so come ringraziarla, davvero, non ho parole-, gli dissi porgendogli i soldi che mi aveva chiesto, infinitamente scontati rispetto alla vera cifra che avrei dovuto pagargli, non senza dover insistere quasi sgarbatamente. Lui mi sorrise: -Miss sono io che devo ringraziare lei, mi ha liberato di un gran peso, sa?-. Ci salutammo ed io salii. Arrivai al mio vagone e mi affacciai dalla grande finestra per salutare un'ultima volta il mio salvatore senza nome mentre il treno si muoveva. Mentre agitavamo le nostre mani in segno di saluto, notai ai margini della folla colui che aveva cercato di aggredirmi dirigersi all'uscita della stazione. Sbiancai e cercai di avvisare il tassista: -Stia attento!-. Non sapevo se mi avesse sentita tra le urla della folla e il rumore del treno che si muoveva sui binari, ma ricambiò comunque mimando con la mano un 'ok'. Speravo tanto avesse capito. Rientrai e mi poggiai sfinita, ancora leggermente sotto shock, sul mio sedile.

   
 
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