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Autore: lady lina 77    30/12/2016    1 recensioni
Cosa sarebbe successo se Demelza, dopo il tradimento di Ross, se ne fosse andata di casa?
Dopo la lite furiosa fra i due in cui ha rovesciato ogni cosa dal tavolo, urlando al marito tutta la sua rabbia, Demelza decide che non ha più senso rimanere a Nampara, con un uomo che non la desidera più e che sogna una vita con un'altra donna.
Prende Jeremy e Garrick, parte per Londra e fa perdere le sue tracce al marito, ricominciando una nuova vita lontana da lui e dalla Cornovaglia.
Come vivrà? E come la prenderà Ross quando, al suo ritorno da Truro, non la troverà più a casa?
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il paesaggio della Cornovaglia le era rimasto impresso nella mente e nel cuore. Era selvaggio, primitivo, spoglio e allo stesso tempo affascinante. E legato a una persona che, benché non avesse voluto ammetterlo per più di due anni, non aveva mai dimenticato.

Si sentiva strana a fare quel viaggio in carrozza con Ross Poldark ma accettare, dopo le sue insistenze, era la cosa che gli era riuscita più naturale perché in fondo aveva sempre sperato che sopraggiungesse un qualcosa, una scusante per riportarla in quelle terre.

Osservò Ross, silenzioso, accanto a lei. Era il marito della sua migliore amica e questo pensiero la turbava perché stava mentendo a lui e per forza di cose avrebbe dovuto poi mentire a lei. Come avrebbe potuto prendere Demelza, quell'improvvisata di Ross a Londra? Cosa avrebbe pensato di quel viaggio? Cosa avrebbe provato sapendo suo marito tanto vicino? Certo, Demelza sarebbe stata felice per lei, se le cose con Dwight si fossero sistemate, ma avrebbe avuto il sacro terrore di ritrovarsi faccia a faccia con Ross.

Lo guardava, non sapendo se ammirarlo o odiarlo. Sapeva quanto aveva fatto, come avesse fatto soffrire Demelza, come l'avesse umiliata, tradita e ignorata per tanto tempo, eppure... non aveva la faccia di una persona cattiva e ne era rimasta colpita quando, la prima volta, ne aveva potuto saggiare la fierezza e il coraggio durante quel processo che poteva costargli una condanna a morte. Aveva davanti il padre di Jeremy e Clowance, che lei stava vedendo crescere, a cui era affezionata, era la madrina della piccola e il fatto che Ross ne fosse totalmente all'oscuro la metteva in seria difficoltà. Sperò che il discorso non vertesse su Demelza, perché mentire le sarebbe risultato estremamente difficile.

Improvvisamente la carrozza si fermò e Ross si affacciò alla finestrella. "Siamo arrivati".

Venne colta da un attacco di panico. "Da Dwight?".

"Sì, siamo davanti a casa sua. Copritevi, il vento oggi pare freddo".

Caroline gli lanciò un'occhiataccia, calandosi il cappuccio del suo mantello azzurro in testa. "Sono ancora indecisa se odiarvi, capitano".

Ross rise. "Magari mi ringrazierete, stasera o domani".

Caroline inspirò profondamente per prendere coraggio, scendendo dalla carrozza. Si guardò attorno. La casa di Dwight era rimasta esattamente come la ricordava, piccola, modesta, circondata da un muretto di pietra e dalla campagna da cui, in lontananza, si vedevano altre piccole dimore di povera gente.

Ross arrivò all'uscio, bussando. "Dwight?! Sei in casa?".

Dopo pochi secondi la porta si aprì. Caroline, indietro di alcuni passi, nascosta alla visuale, strinse i pugni delle mani, convulsamente. Era così uguale ai suoi ricordi Dwight, con quell'espressione buona, quel viso pulito e gentile, senza la minima traccia di cattiveria o egoismo a deturparlo. Era però più magro di come lo ricordava, più smunto, con gli zigomi vagamente più pronunciati. Dopo la prima occhiata si vedeva chiaramente come la guerra avesse lasciato i suoi segni amari su di lui.

Incurante di tutto, Dwight osservò Ross. "Hei, che sorpresa! Sono giorni che sei introvabile, nemmeno alla miniera sapevano dove ti fossi cacciato. Dove sei finito?".

Ross alzò le spalle. "Ho fatto un viaggetto a Londra per affari. E ti ho portato un regalo". Annuì e si fece da parte, facendole segno con la mano di avvicinarsi.

E col cuore in tumulto, Caroline si avvicinò.

Vide Dwight spalancare gli occhi e poi impallidire, quando si fu calata il cappuccio, liberando i suoi lunghi capelli biondi.

Ross si grattò la guancia, forse in imbarazzo. "Avevo degli affari da concludere con lei e ho pensato che poteva essere una buona idea rapirla e portartela qui per farvi fare due chiacchiere".

Dwight lo guardò a bocca aperta. "Rapirla?".

"Più o meno" – disse Caroline, sorridendo forzatamente.

Ross sospirò. "Vi lascio adesso, credo di essere davvero di troppo e che possiate proseguire da soli, anche perché non amo troppo intromettermi negli affari degli altri. L'unica cosa che posso dirvi, la cosa che vi direbbe anche mia moglie che è più saggia di me, se fosse qui, è che se due persone si amano, gli ostacoli che li tengono divisi devono essere considerevoli, altrimenti vuol dire che non hanno il coraggio di perseguire le loro convinzioni. Lei direbbe anche che ci sono pochissime cose che al mondo valga davvero la pena di possedere e se le possiedi, nient'altro ha importanza. E se non le possiedi, allora tutto il resto non ha valore".

Caroline rimase colpita da quelle parole, dal loro significato in se e dalla dolcezza con cui Ross le aveva pronunciate, ricordando sua moglie. Si chiese per un attimo quanto di quello che credeva Demelza fosse vero e quanto Ross fosse cambiato durante la loro separazione, ma gli occhi magnetici di Dwight la riportarono alla realtà. "Eppure, scommettere sull'ignoto... Su questo viaggio, sull'assurda decisione di venire qui dopo tutto questo tempo...".

Dwight annuì. "Eppure, non è la vita stessa, una scommessa? E il giocatore d'azzardo è sempre quello che ne viene fuori peggio? Temo che coloro che soffrono di più sono quelli che ignorano i desideri del cuore e passano poi la vita a pentirsene".

Anche le parole di Dwight la colpirono perché era vero, erano scappati entrambi, per quasi tre anni, dai loro sentimenti, per paura di soffrire, e alla fine avevano sofferto ancora di più a stare lontani. Si accorse solo di sfuggita che Ross si allontanava, lasciandoli soli. La paura di poco prima all'idea di star da sola con Dwight scomparve, stava bene, si sentiva a casa e a posto con se stessa. "Temo che tu abbia preso ad odiarmi, in tutto questo tempo. Sono stata orrenda a rimandarti indietro quelle lettere ma ero mortalmente arrabbiata, ferita... Noi donne ce la leghiamo spesso al dito, sai?".

Dwight sorrise, in quel modo dolce, gentile e quasi timido che l'aveva fatta innamorare. "Non c'è dubbio che ora ti odio" – disse, accarezzandogli la guancia. "Ma sono felice che tu sia qui, più di tutto il resto". La attirò a se, la abbracciò ed improvvisamente non ci fu più bisogno di parole fra loro. Ci sarebbe stato tempo per parlare, per raccontarsi di quegli anni di lontananza, della vita condotta a Londra, della morte di suo zio, della guerra che lo aveva portato su suolo francese, di quanto avessero entrambi sofferto e di quante strade si dipanavano loro davanti per costruire un futuro insieme.

Tutto si zittì, in un lungo bacio che fece scomparire ogni divisione, rancore, conflitto intercorso fra loro. Quando si separarono, Caroline gli sorrise. "Mi hai davvero rapita, dottor Enys".

"Credo di si". Le prese la mano e la condusse in casa. Chiusero il mondo fuori, non esisteva nulla a parte loro, in quel momento.

La casa era rimasta come la ricordava, modesta, povera ma dignitosa, piena di libri sparsi ovunque e di oggetti di uso medico. Era così diversa dalla sua residenza di Londra ma la sentiva sua, in un modo intimo che si puo' provare solo quando sei al posto giusto, con la persona giusta e in pace con te stessa. Si sedettero sul piccolo sofà accanto al camino e lei appoggiò la testa alla sua spalla.

"Non andrai via di nuovo, vero?" - chiese lui, quasi timoroso.

Caroline sospirò. "Sono partita su due piedi con Ross e ho lasciato un sacco di affari in sospeso a Londra che devo sistemare. Il tuo amico è molto insistente e alla fine ho ceduto e sono contenta di averlo fatto".

"Che ci è venuto a fare da te, Ross?".

Caroline sospirò. "Saldare un vecchio debito, un prestito che gli avevo fatto anni fa. Non era niente di importante, poteva anche non farlo, ma ha insistito e credo che per lui fosse una questione d'onore. Poi, da cosa nasce cosa e alla fine ci siamo trovati a parlare di te e pochi minuti dopo ero su una carrozza diretta qui".

Dwight la guardò, preoccupato e in ansia. "Quindi, tornerai subito a Londra?".

"No, non subito. Magari domani... O dopo dopodomani, se hai posto qui per me".

Dwight sorrise. "Certo".

Caroline annuì. "Questo è solo l'inizio".

"Di qualcosa di importante?".

Le venne da sorridere. "Di qualcosa di importante" – ripeté.

Dwight si alzò, prendendo un piccolo laccio di cuoio dal tavolo. Poi tornò da lei, prendendole la mano sinistra e legandoglielo attorno all'anulare. Infine le baciò le dita, guardandola negli occhi. "L'inizio di qualcosa di importante, sì".

Caroline si perse nei suoi occhi, ricordando quanto le fosse mancato quello sguardo gentile e sincero e quel mondo semplice, pulito, così diverso da quello comodo e per molti aspetti falso e perbenista di Londra. "Hai detto che hai posto per me, giusto? Dov'è la nostra camera da letto?".

Dwight spalancò gli occhi, era la prima volta che lei gli faceva una proposta così diretta e per un attimo sembrò smarrito e spaventato. Ma fu solo un attimo. La prese per mano e la fece alzare e poi le fece strada verso quello che sarebbe stato, per i giorni successivi, il loro rifugio d'amore.


...


Ross passeggiò fino a casa, costeggiando la spiaggia. Il vento era forte ma da bravo nativo della Cornovaglia, lo trovava piacevole.

A dire il vero, in quella giornata tutto gli sembrava piacevole e si sentiva l'animo leggero, come se aiutare Caroline e Dwight, rendersi utile per qualcuno e sistemare un guaio che aveva indirettamente causato anni prima, lo avesse rigenerato nello spirito.

Fischiettò, entrando nell'uscio di casa, a Nampara, e Prudie lo guardò sorpresa. Beh, in effetti era piuttosto musone, per la maggior parte del tempo, quella reazione ci stava tutta.

"Signore, il vostro viaggio a Londra dev'essere stato davvero proficuo" – disse, armeggiando con due grossi polli che andavano spiumati e taglianti.

"Puoi dirlo forte, ho concluso ottimi affari, saldato in parte un debito e sistemato un guaio di alcuni anni fa che aveva fatto soffrire il mio più caro amico. Sai, è piacevole rendersi utile a qualcuno".

Prudie annuì. "Oh, anche io ho concluso ottimi affari". Prese i polli, sbattendoli sul tavolo davanti a Ross. "Comprati a prezzi stracciati! Carne fresca fresca, gli avevano appena tirato il collo". Si avvicinò alla cucina, prendendo un grosso coltellaccio che poi, con un gesto veloce, infilzò nel legno del tavolo, a pochi centimetri dalle mani del suo padrone. "Amate rendervi utile? Perfetto, aiutatemi a spennarli e a togliere le interiora, sarete così felice che dormirete come un bambino, stanotte".

Ross prima deglutì fissando il coltello che per poco non gli aveva mozzato le dita, poi la guardò storto. La malattia della voglia di lavorare, a Prudie non sarebbe mai venuta! Così come non le sarebbe mai passata la malattia dell'arroganza di chiedere al suo padrone di lavorare al suo posto. Si alzò dal tavolo, deciso a togliersi di torno, divertito nonostante tutto. "Ti ringrazio della tua premura, ma vedrò di rendermi utile da qualche altra parte".

"Ma non avete niente da fare!" - obiettò Prudie.

Quella semplice frase lo fece riflettere. Era vero, non aveva nient'altro da fare, suo malgrado. Oltre al lavoro in miniera, ai rapporti con banche e creditori, non c'era nient'altro che lo attendesse. Osservò la sua serva che, pur apparentemente distratta, conosceva ogni aspetto della vita di quella casa. Poco prima aveva citato Demelza, con Dwight e Caroline, e Prudie la conosceva bene, aveva passato tanto tempo con lei e forse avrebbe potuto consigliargli qualcosa a mente serena. "Senti... tu credi che io abbia sbagliato ad arrendermi e a smettere di cercarla?".

Prudie alzò lo sguardo su di lui. "Di cosa parlate, signore?".

"Di mia moglie. Voglio dire... Ho smesso di cercarla da tanto ma sono pur sempre suo marito e ho dei doveri sia verso di lei che verso mio figlio".

Prudie scosse la testa, staccando una manciata di piume dal primo pollo capitatogli fra le mani. "Ai vostri doveri di marito e padre, dovevate pensarci quando lei era qui. Farlo ora non è di nessuna utilità né a voi, né a lei e nemmeno al bambino".

Ross si morse il labbro. Poteva pure arrabbiarsi per quella risposta diretta e vagamente accusatoria, ma in fondo lei aveva ragione. "Magari ha bisogno di me ed è in difficoltà da qualche parte".

Lo sguardo di Prudie si fece serio. "Non lo è".

Alzò lo sguardo su di lei, vagamene sorpreso da quella risposta tanto sicura. "E tu come lo sai?" - chiese, cupo.

Prudie rimase in silenzio per alcuni istanti, come soppesando le parole da dire. Poi alzò le spalle. "La signora è in gamba, sa rimboccarsi le maniche, lavorare e arrangiarsi anche da sola, se è necessario. Lo ha sempre fatto anche qui, quando voi correvate da quella gattamorta di Trenwith. Spaccava la legna, lavorava come un somaro e teneva pulita la casa. Credete che una come lei abbia passato questi anni a piangersi addosso? Io sono sicura di no".

Ross sorrise amaramente, a quelle parole. Era vero, Demelza era in gamba, poteva prendersi cura di se stessa e Jeremy anche da sola, come del resto faceva anche a Nampara, visto che lui non c'era mai. Aveva mancato in tante cose, nel suo affetto verso di lei e suo figlio, nelle attenzioni ai loro bisogni, concentrato unicamente su se stesso e i suoi sentimenti troppo egoistici per accorgersi di chi aveva vicino e lo amava. "Non credi che sarebbe bello se fosse ancora qui".

Prudie annuì. "Questa casa ha perso la sua anima da quando lei se n'è andata. Ma sapete... sarebbe bello, se tornasse, per me, per voi. Ma non per lei, Demelza qui ha sofferto molto e dubito vorrebbe tornare a vivere in questo posto".

Ross sorrise, con amarezza. "Sono stato un pessimo marito, vero?".

"Vero! E lei ne ha sofferto e io spesso ho dovuto consolarla, quando non si dava pace per non essere la moglie che voi desideravate".

Spalancò gli occhi a quelle parole, sentendosi in colpa in maniera atroce. Quanto l'aveva fatta soffrire, sentire piccola e invisibile? Accidenti a lui, era la donna che amava più di se stesso e aveva dovuto perderla per capire i suoi errori, la sofferenza che le aveva causato e quanto fosse importante per lui... Era perso senza di lei, era come essere caduto e non essere stato più capace di rialzarsi. "Vorrei solo sapere se sta bene come dici tu".

Prudie si morse il labbro. "Signor Poldark, io solitamente mantengo le mie promesse ma stavolta, se questa cosa rimane fra noi, magari potrei infrangerne una...".

"Quale promessa?".

Prudie si sedette sulla sedia, davanti a lui. "La signora... Sta bene, lo so perché l'ho vista. Lo scorso autunno, quando eravate al fronte, è stata qui".

Gli parve che il pavimento gli crollasse sotto i piedi, a quelle parole. "Cosa?". Per un attimo si sentì confuso, quasi svenne. Sentiva le guance in fiamme e la gola seccarsi sempre più. "Perché non me l'hai detto?".

"Perché lei mi ha chiesto di non farlo ma visto che siete tanto preoccupato, preferisco essere sincera. In fondo è stata qui solo pochi minuti, il tempo di bere un the e poi è ripartita. Non è stato nulla di che".

"Cosa ti ha detto? C'era anche Jeremy con lei?".

Prudie scosse la testa. "No, il bambino non c'era ma mi ha raccontato che sta bene e che la aspettava a casa. Probabilmente lo aveva affidato a qualcuno. E' passata a trovare vostra figlia al cimitero ed è venuta a salutarmi, poi se n'è andata. E' stata dura per lei tornare qui e non credo che tornerà ancora. Non ha detto molto, né su dove vive, né su cosa fa. Ma stava bene, indossava un abito meraviglioso, molto più bello di quello che indossano le gran signore di qui, e sulle spalle portava un mantello di pelliccia così morbido e caldo che per un attimo ho stentato a riconoscerla. Le sue mani erano liscie e candide, si vede che non fa più lavori pesanti come a Nampara".

Nonostante quelle parole, nonostante le avesse detto che Demelza stava bene, si odiò per essere partito e per aver perso l'unico appiglio che aveva per ritrovarla. "Non ti ha chiesto di me? Non ti ha detto nient'altro?".

"Era contrariata dal fatto che voi foste in guerra ma non ha detto molto. Ve l'ho detto, è stata qui solo per pochi minuti. Ma sta bene, state sereno".

Stare sereno? Come poteva esserlo? Cosa faceva, dove viveva sua moglie? Come si manteneva, come faceva ad avere abiti tanto belli ed eleganti, lei che era partita senza un soldo? Gli venne in mente la soluzione più ovvia, aveva accanto qualcun altro che si prendeva cura di lei e di Jeremy, aveva iniziato un'altra vita e questa idea lo annientava e lo faceva impazzire. Immaginare qualcuno le la abbracciasse, baciasse, che la stringesse a se di notte, in un letto... Si sentiva di impazzire, a quei penseri sulla sua Demelza...

Prudie, quasi presagendo i suoi turbamenti, scosse la testa. "No, non è come pensate, dubito ci sia un uomo nella sua vita, soffre ancora per voi. Ma è in gamba, sa come farsi strada e come mantenersi da sola. Se sta bene, lo deve unicamente a se stessa, le donne come Demelza non hanno bisogno di un uomo per poter vivere, sa cavarsela anche da sola e se la amate davvero, dovreste convincervene anche voi e essere fiero di lei".

Ancora una volta, Prudie aveva ragione. Si guardò attorno, smarrito, realizzando che lei era stata lì e che lui non c'era, troppo lontano, troppo impegnanto a sfuggire ai suoi errori e alle sue responsabilità.

Ma decise di non deprimersi. Era stata una buona giornata quella, per lui, per Caroline e Dwight e dopo tutto, ora sapeva che sua moglie e suo figlio stavano bene. Era inutile tormentarsi con pensieri negativi, aveva ricevuto buone notizie e solo su quelle doveva concentrarsi.

E se Demelza stava bene, poteva dormire sereno per quella notte.




  
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