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Autore: lady lina 77    02/01/2017    0 recensioni
Cosa sarebbe successo se Demelza, dopo il tradimento di Ross, se ne fosse andata di casa?
Dopo la lite furiosa fra i due in cui ha rovesciato ogni cosa dal tavolo, urlando al marito tutta la sua rabbia, Demelza decide che non ha più senso rimanere a Nampara, con un uomo che non la desidera più e che sogna una vita con un'altra donna.
Prende Jeremy e Garrick, parte per Londra e fa perdere le sue tracce al marito, ricominciando una nuova vita lontana da lui e dalla Cornovaglia.
Come vivrà? E come la prenderà Ross quando, al suo ritorno da Truro, non la troverà più a casa?
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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"Demelza, oggi mi avete stupito. Non credevo che avreste firmato così, senza battere ciglio".

La voce sgradevole di George la raggiunse alle spalle, appena raggiunta la porta d'uscita della sede della Warleggan Bank. Si chiese perché finisse sempre così, perché la inseguisse ad ogni fine di riunione e la bloccasse per infiniti minuti, invece che andarsene per la sua strada. Alzando gli occhi al cielo, di uno splendido e terso azzurro estivo, si mise in testa il cappello per ripararsi dal calore del sole. "Perché non avrei dovuto farlo? La vostra era una proposta ragionevole, ben pensata, non dannosa per i nostri creditori e soprattutto proficua per me e per i miei soci".

George le si affiancò. "Certo! Ma era una specie di... trappola! Ero convinto che, nonostante tutte queste motivazioni, per il semplice fatto di farmi dispetto, non avreste firmato".

Demelza sbuffò con fare annoiato. "Così mi offendete ed offendete la mia intelligenza. Stiamo parlando di affari, non siamo bambini".

"Ma i nostri trascorsi...".

Demelza, con un amabile sorriso, si voltò verso di lui. "Come vi ho appena detto, si sta parlando di denaro, non di questioni personali. Siamo professionisti, George".

Di tutta risposta, l'uomo divenne rosso di rabbia. "Siete una donna e il vostro posto dovrebbe essere a casa, a curare le faccende domestiche e i figli. Ne avete due, se non mi sbaglio, giusto? Prendetevi cura di loro e mandate alle riunioni i vostri soci, mi risulta che i fratelli Devrille siano in società con voi e, in quanto uomini, hanno più titoli per sedere al consiglio di amministrazione della Warleggan Bank di quanti ne abbiate voi".

Demelza picchiettò il piede, nervosa. Odiava i discorsi maschilisti e George le faceva venire l'orticaria, quando lo aveva fra i piedi. Sì, avrebbe volentieri ceduto il suo posto a Martin o ai suoi fratelli pur di non vederlo, ma non lo avrebbe mai fatto perché avrebbe preferito la tortura piuttosto che dargli quella soddisfazione. "I fratelli Devrille non vi hanno molto in simpatia, George. Anzi, vi detestano proprio! Preferiscono lasciare a me l'onore di avere a che fare con voi e sono assolutamente soddisfatti dei risultati che ho ottenuto fin'ora. Dovrete sopportarmi ancora, quindi".

George alzò il dito indice verso di lei, ad indicarla. "Demelza Poldark, voi siete una donna testarda e assolutamente impossibile. Credo che non abbiate ancora capito qual'è il vostro posto nel mondo e sono convinto che qualcuno dovrebbe insegnarvelo".

"Quale sarebbe, il mio posto? Cosa dovrei fare per compiacervi?".

"Starvene a casa, come fa mia moglie. Prendete esempio da Elizabeth, lei è perfettamente consapevole di cosa debba o non debba fare e sa stare al suo posto".

"Bisogna vedere cosa intenda Elizabeth, per suo posto...". Demelza sorrise freddamente. Accidenti, ogni volta che George nominava Elizabeth, le veniva la grandissima voglia di raccontare a quel pallone gonfiato tutta la verità sulla sua dolce mogliettina e di infrangere il suo mondo perfetto. "Elizabeth è Elizabeth e io sono io. Non sono nata, come lei, per compiacere un uomo. E nemmeno per fare la bella statuina da mostrare con orgoglio ai vostri ricevimenti importanti. Avete sposato la vostra donna perfetta e avete con lei la vostra perfetta famiglia. Godetevela".

George, sempre più rosso di rabbia, le si avvicinò viso a viso. "Io non vi sopporto".

Demelza sorrise di nuovo, freddamente. "Nemmeno io. Ma per una volta voglio venirvi incontro, andandomene da qui subito. Come mi avete ricordato poco fa, ho due figli a casa che mi aspettano, e ora che è arrivata l'estate vorrei passare del tempo con loro all'aperto. Buona giornata, George".

Si allontanò a passi lenti, gustando il calore del sole sulla pelle scoperta delle braccia. Adorava la moda londinese e quegli abiti estivi di seta, dalle maniche corte, a sbuffo, eleganti e allo stesso tempo comodi e freschi da portare. Era d'umore terribilmente buono e nemmeno le imprecazioni di George, che gli giungevano alle spalle urlandogli che cominciava a provare compassione per Ross per averla avuta come moglie, sarebbero riuscite a turbarla. Quasi divertita, ridendo fra se e se, si allontanò per le strade di Londra, colorate e caotiche, che parevano essersi risvegliate dal grigiore invernale in quei primi giorni di quella piacevolissima estate.

Di tanto in tanto, strada facendo, si fermò ad osservare le vetrine dei negozi più eleganti, quasi stupendosi ancora del fatto che, se avesse voluto, sarebbe potuta entrare e comprare senza problemi qualsiasi cosa lei volesse. Era strano non essersi ancora abituata a quel tenore di vita e sentirsi invece ancora così legata alle sue origini anche se, ripensando alla conversazione con George di poco prima, questo la salvava dal diventare davvero, un giorno, una donna come Elizabeth.

Quando giunse davanti a casa sua, a pochi passi dal cancello, una figura piuttosto nota che sostava davanti ad esso la bloccò. Bene, era la giornata degli scocciatori... "Signor Smith, com'è che vi trovo sempre a bighellonare davanti a casa mia?" - chiese, avvicinandosi di soppiatto.

Il finanziere, appena la vide, si esibì in un sorriso falso ed ipocrita, inchinandosi. "Signora, stavo per chiamare la servitù per farmi ricevere, ma vedo che non ce n'è bisogno. Sono passato per sapere come state e se avete pensato alla mia proposta".

Aprendo il cancello con le chiavi, sospirando e dandogli le spalle, Demelza scosse la testa. Stava diventando insistente, troppo per i suoi gusti. "No, non ci ho pensato per il semplice fatto che non ho intenzione di vendere quelle azioni".

"D'accordo, smettiamo di giocare, signora! Quanto volete per le quote della Northern? E' la cifra che volete concordare, giusto? Ditemela, smettetela di fare la preziosa e concludiamo l'affare".

Demelza si voltò verso di lui, infischiandosene di dimostrargli quanto la sua presenza la infastidisse. "Come vi ho detto, non voglio vendere! E ora, se volete scusarmi, vorrei entrare in casa. I miei figli, insieme a una cara amica che oggi doveva passare a farmi visita, mi aspettano".

"Siete una donna davvero testarda, lo sapete?".

Demelza alzò le spalle. "Siete la seconda persona che me lo dice, oggi. Comincerò a prenderlo come un complimento".

Smith le si avvicinò di alcuni passi. "Sapete, bighellonando qui davanti, in attesa del vostro arrivo, ho visto i vostri due figli giocare in giardino. Due gran bei bambini, davvero...".

Una strana rabbia prese possesso di lei. Come osava stare ad osservare i suoi figli, quell'uomo? Cosa diavolo voleva insinuare, citandoli, cosa voleva da lei? "State lontano da casa mia. E soprattutto, state lontano dai miei figli" – disse, scandendo bene parola per parola.

"E invece tornerò, di tanto in tanto. Un giorno cederete".

Demelza non rispose e, nervosa, lo guardò allontanarsi. Quell'uomo la inquietava e le dava l'impressione di essere un tipo senza scrupoli, come la maggior parte dei finanzieri che conosceva, dopo tutto. Scosse la testa, sperando di non vederlo per un bel po'. Non gli avrebbe permesso di rovinargli la giornata, non con quel sole stupendo, non nel giorno in cui poteva godersi i suoi figli nel loro giardino, senza altri impegni a separarla da loro, non con Caroline che le aveva promesso di venire a trovarla, dopo gli ultimi mesi in cui si erano viste pochissimo.

Quando arrivò nel retro del giardino, i bambini le corsero incontro. Jeremy le saltò al collo, baciandola sulla guancia, e Clowance, che ormai correva veloce quanto e più del fratello, si fece prendere in braccio. "Ciao bimbi, cosa state facendo?" - gli chiese, allegra.

Jeremy corse verso Garrick. "Gli voglio insegnare a riportarci i giochi che gli lanciamo, ma non ci ascolta".

Demelza scoppiò a ridere, rimettendo a terra Clowance. "Bambini, Garrick è anziano ormai e non ha voglia di correre avanti ed indietro in giardino per riportarvi i vostri giocattoli".

"Ma io voglio insegnargli lo stesso" – insistette Jeremy.

"Stesso" – ripeté Clowance.

"Fate come volete, ma non tormentatelo troppo". Li lasciò ai loro giochi, sotto lo sguardo attento di Mary che li osservava dalla scalinata dov'era seduta facendo l'uncinetto. Poi si avvicinò alle due altalene in fondo al giardino, su una delle quali aveva scorto la figura elegante di Caroline che la stava aspettando. "Scusa il ritardo ma ho avuto delle scocciature, strada facendo" – disse, abbracciandola.

Caroline sorrise, risiedendosi sull'altalena. "E' piacevole stare qui a dondolarsi, sotto l'ombra delle piante del tuo giardino! Hai avuto una bella idea a comprarle per i bimbi".

Demelza si sedette sull'altalena a fianco, dondolandosi debolmente. "Non glie le ho comprate io".

"E chi è stato?".

"Martin, chi se non lui?" - rispose, divertita. "Sai com'è fatto, basta che veda Clowance o Jeremy osservare un gioco e lui glie lo va a comperare subito".

Caroline annuì. "Beh, le altalene sono divertenti".

Demelza rise. "Ma i bimbi ci salgono poco, la uso più io di loro. Da piccola non avevo giocattoli e credo di averne desiderati, senza mai essere stata accontentata". Si voltò verso di lei, sembrava raggiante. "E tu, che mi racconti? Sono mesi che scompari nel nulla per settimane e poi quando ci vediamo fai tutta la misteriosa. Che sta succedendo?".

"Guarda!". Caroline, orgogliosa, le mostrò la mano sinistra, dove spiccava un piccolo anello di cuoio all'anulare. "Mi sono fidanzata! La prossima primavera, fra nemmeno un anno, mi sposo".

"Cosa?". Demelza spalancò gli occhi. Era senza parole, sorpresa e allo stesso tempo infinitamente felice per lei! "Ti sei fidanzata e non mi hai detto niente? Quando? Come? E con chi?".

Caroline, con fare malizioso, si morse il labbro. "Due mesi fa, con un uomo stupendo che mi farà felice. Tu sarai la mia testimone di nozze, la mia damigella personale, sappilo e preparati, hai nove mesi per farlo!".

"Ma certo, sarà un onore per me. Ma chi è il fortunato?".

Sospirando, Caroline distolse lo sguardo da lei. "Non te lo dico, per adesso".

"Perché?".

"Perché se lo facessi, tu poi non vorresti venire al matrimonio e io ti voglio al mio fianco. Meglio metterti davanti al fatto compiuto, quando non potrai scappare".

Demelza la guardò storto e poi scoppiò a ridere, senza capire il senso di quello strano discorso. Passò in rassegna, mentalmente, tutti i partiti della Londra-bene, cercando di capire chi potesse essere quest'uomo misterioso che a lei poteva non piacere, tanto da spingerla eventualmente a non partecipare al matrimonio. Improvvisamente, un sordo terrore prese possesso di lei, unito a un senso di stupore. "Non mi dire, è uno degli azionisti della Warleggan Bank? Ti prego, non dirmi che mi troverò tutto il consiglio di amministrazione al tuo matrimonio, insieme a George e alla sua perfetta famiglia".

Caroline scoppiò a ridere. "Ahah, chissà! Non-te-lo-dico".

Clowance, giunta di corsa, saltò sulle gambe di Demelza, interrompendo i loro discorsi. "Mamma, veniiii" – urlò, contenta.

Demelza la strinse a se, baciandola sulla guancia. Era diventata uno splendore sua figlia, con dei boccoli rossi e morbidi a colorargli la testolina e due guance piene a ornarle il visino paffuto e simpatico. "Un attimo amore, devo capire cosa passa nella testa di zia Caroline".

Clowance osservò l'ereditierà poi sospirò, sciogliendosi dalla testa i due nastrini che le tenevano legati due codini.

"Ah, Clowance" – si lamentò Demelza, trovandosi i nastri fra le mani. "Non sopporta proprio di avere roba in testa, ma le vanno i ciuffi negli occhi" – disse, rivolta all'amica.

Caroline osservò la bimba. "Me la presti, tua figlia, per il matrimonio? Per portare gli anelli, intendo".

"Clowance? Ma è piccola, non credo che ne sarebbe capace, senza distrarsi".

"Ci eserciteremo, prestamela per qualche giorno, ogni tanto, me la tengo a casa tutto il giorno e insieme proveremo e decideremo pure i vostri abiti. Sarebbe carinissimo se ne aveste due uguali, tu e lei".

Demelza osservò sua figlia e poi Caroline. In effetti, quella proposta poteva tornarle utile per una serie di motivi. "Dimmi solo una cosa! Non è uno della Warleggan, vero?".

"Non lo è".

"E allora d'accordo, ti lascio Clowance. Anzi, mi faresti un piacere a tenerla, di tanto in tanto. Jeremy vuole imparare a leggere e ho assunto un istitutore che dovrebbe cominciare a venire qui da settimana prossima, il martedì e il giovedì. Senza Clowance e disturbarli, farebbero lezione con più tranquillità. Se te la portassi in quei giorni al mattino, prima di andare alla locanda, e tornassi a prenderla di sera, a fine lavoro, per te sarebbe un problema?".

Caroline annuì, accarezzando i capelli della bimba. "Nessun problema, io e la principessina ci divertiremo da matte insieme. Vero Clowance?".

"Vero" – rispose la piccola, saltando giù dalle gambe della madre e correndo verso Garrick e Jeremy.

Caroline guardò i due bambini giocare contenti, insieme. Poi, tornando più seria, si voltò verso Demelza. "Posso chiederti quando glie lo dirai di lei, a Ross?".

Stupita da quel cambio di tono repentino, Demelza si oscurò. "Cosa c'entra Ross, adesso?".

L'amica alzò le spalle. "Così... Presto sarò una donna sposata, magari avrò figli e mi chiedevo come riuscissi a gestire una situazione tanto complicata. Con Ross a condividere le responsabilità, avresti meno preoccupazioni, saresti più tranquilla e a posto con la tua coscienza".

"Io, con la mia coscienza, sono assolutamente a posto".

"Demelza, Clowance è sua figlia e per quanti errori lui abbia commesso, credo che abbia il diritto di sapere che lei esiste. E di vedere anche Jeremy".

Lo sguardo di Demelza si perse dietro ai figli, con un velo di tristezza sul volto. "Non gli è mai importato di noi e ormai abbiamo vite separate. Non voleva Jeremy e di certo non vorrebbe Clowance. Sarebbero un peso per lui, come lo sono stata io".

"Questo non puoi deciderlo tu, a prescindere. Che ne sai?". Indicò i due bambini che, contenti, giocavano col loro cane. "Sono meravigliosi, li adorano tutti quanti e Ross si scioglierebbe, se li vedesse. Guardali! Jeremy è un ometto, non ha nemmeno cinque anni e già vuole imparare a leggere, sarebbe l'orgoglio di ogni padre. E Clowance è un amore di bambina, di una bellezza rara e di una cocciutaggine e simpatia uniche. Io credo che li amerebbe da morire, se avesse l'opportunità di incontrarli".

Demelza scosse la testa. "Succederebbe come dici tu, li adorerebbe se fosse stata Elizabeth a metterli al mondo. Ma la loro madre sono... solo... io... E non era con me che voleva costruire una famiglia, lui la voleva con Elizabeth. Io e i bambini siamo stati solo un diversivo per lui, finché c'era Francis. Dopo la sua morte e con Elizabeth finalmente libera, noi a Ross non servivamo più. Era a lei che pensava, ai suoi bisogni, era lei che voleva".

"Ha commesso molti errori ma magari li ha capiti ed è pentito di quello che ha fatto. Demelza, pure io farei fatica a perdonare un tradimento ma è stata una sola notte e magari...".

Demelza si voltò verso di lei, con aria afflitta. "Non è stata solo una notte... Sono state tante notti, tanti giorni in cui per lui non esistavamo, in cui desiderava solo che scomparissimo per lasciarlo libero di vivere con chi voleva, come desiderava. Il tradimento di una notte potevo anche perdonarglielo ma mi feriva di più pensare che oltre a me, giorno dopo giorno, tradisse anche Jeremy. Non contava nulla per lui. Eravamo senza soldi, non sapevamo quasi cosa mettere sulla tavola per mangiare e lui correva da Elizabeth a giocare con lei e suo figlio alla famiglia felice, incurante del fatto che potessimo avere bisogno di lui e che ci stesse facendo soffrire. Ha venduto, senza dirmelo, le sue quote delle Wheal Leisure, ne ha ricavato 600 ghinee che ha regalato ad Elizabeth perché stesse bene, incurante del fatto che suo figlio non avesse di che mangiare. E l'ho scoperto per caso, molti mesi dopo, perché un conoscente me lo ha riferito. Lui non si era nemmeno degnato di dirmelo...".

Caroline abbassò lo sguardo, a corto di parole. "Mi dispiace, non lo sapevo".

"Quindi" – proseguì Demelza – "non sto a sperare in qualcosa che non succederà mai, non rischio la serenità dei miei figli andando a cercare qualcuno che so già che non avrebbe né cura né amore per noi. E' inutile che io contatti Ross per dirgli dei bambini perché le risposte che potrebbe darmi, io le conosco già. I miei figli ora sono sereni, circondati dall'amore di tante persone che per loro sono una famiglia. E mi va bene così".

"Ma... non dirai mai nulla a Jeremy e Clowance, di lui? Non hanno diritto di sapere?".

"Quando saranno adulti, se lo vorranno, glie ne parlerò. E saranno liberi di prendere le decisioni che riterranno più opportune. Ma ora sono piccoli, hanno solo me ed è mio il compito di proteggerli e difenderli da un padre che finirebbe solo per deluderli e farli soffrire. Io sono adulta, posso sopportare di non contare nulla per lui, ma loro no. Non sarebbe giusto".

Caroline abbassò lo sguardo. "E se fosse cambiato? Se avesse capito i suoi errori? Se ti amasse?".

Demelza scosse la testa. "E' troppo tardi, ormai".

"Sai che sei testarda?" - sbottò l'ereditiera.

"Sei la terza persona che me lo dice, oggi".

Caroline sbuffò. "Bene, riflettici su questa cosa!".

"Non sono testarda, sono realista".

"Dimmi una cosa, non lo ami più?".

"Amo i miei figli".

"Non hai risposto alla mia domanda" – insistette Caroline.

Demelza si dondolò sull'altalena, fissando il vuoto. "Quando penso a lui, mi sento vuota, inutile, imperfetta, come mi ha fatta sentire per anni. Non so cosa provo, forse semplicemente odio verso me stessa perché non riesco a lasciarmelo del tutto dietro le spalle. Ed è la cosa più stupida da fare perché lui per me non ha mai avuto un briciolo di considerazione o amore, ma non posso farne a meno. Come ti ho detto, ero solo una consolazione, una che gli scaldava il letto e gli teneva pulita la casa, finché ne ha avuto bisogno".

Caroline si alzò dall'altalena, avvicinandosi e abbracciandola. "Non dire così, tu sei stupenda e Ross avrebbe dovuto baciare il terreno dove camminavi".

"Non pretendevo così tanto,volevo solo che mi amasse. Ma non è andata così ed ora è troppo tardi".

Caroline scosse la testa. "Non volevo intristirti, scusa. Forse dovrei andare a casa e lasciarti alla compagnia dei bimbi".

"Mi terrai Clowance, allora?".

"Me la presti per gli anelli?".

"Certo" – rispose Demelza, finalmente con un sorriso.

Caroline annuì, scompigliandole scherzosamente i capelli. "E allora sarò la tua bambinaia per tutta l'estate".


  
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