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Autore: Urban BlackWolf    01/01/2017    2 recensioni
“ Non ce la faccio...”
“ Ti prego salvala. Salva la mia Ruka....” Michiru trattenne a stento le lacrime puntando lo sguardo a terra mentre con le mani tremanti si stringeva la cornice al petto.
“ Ti prego.” E questa volta l'argine degli occhi crollò.
Il tempo in quell'appartamento di un centro città si era fermato. C'erano solo due giovani donne. Una con la fronte poggiata sul freddo acciaio di una porta, nelle orecchie i singulti composti di un pianto lacerante e un'altra, stretta all'immagine dell'ancora della sua vita, incapace di muoversi, di alzare la testa, di fare qualcosa che non fosse il piangere, aspettando solo il suono dello scatto di una serratura ed il chiudersi di una porta.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena, Nuovo personaggio | Coppie: Haruka/Michiru
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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L'atto più grande

 

I personaggi di Haruka Tenou e Michiru Kaiou appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Il vincolo di un'amicizia

 

 

E ora come te lo dico anima mia? Pensò mentre usciva dallo studio del dottor Kurzh.

Erano passati quattro giorni dal trapianto ed Haruka era ancora nella camera sterile ed avrebbe dovuto rimanerci per minimo un altro paio di settimane. Michiru lo sapeva bene. Era stata informata di questo. Com'era stata informata del repentino blocco e conseguente azzeramento dei nuovi leucociti donati da Giovanna e di come questa fosse una prassi normalissima dopo il trapianto. Quello per Haruka sarebbe stato il periodo più pericoloso e solitario di tutti. Bombardata di antibiotici, flebo e trasfusioni, avrebbe dovuto aspettare pazientemente l'aprirsi delle fatidiche tre strade. La prima; il rigetto. La seconda; l'attacco delle cellule estranee al suo organismo. La terza; la convivenza e la conseguente fusione di queste ultime con le proprie.

Kurzh ed i suoi colleghi sapevano perfettamente che la prima ipotesi era ormai improbabile, non tanto per le confortanti avvisaglie avvertite dalla bionda immediatamente dopo l'innesto, ma quanto per il legame parentale che aveva a sua insaputa con il donatore. Cosa che abbatteva il rischio di un rigetto. La seconda ipotesi poteva sempre verificarsi e stavano cercando di fare di tutto per scongiurarla nonostante Giovanna non avesse avuto il tempo di prendere alcun che per produrre più cellule staminali. Così la terza strada sembrava la più probabile. Haruka stava avendo pochissimi effetti collaterali ed anche se scientificamente non avevano basi di alcun tipo, tutti coloro che avevano saputo la storia di quelle due ragazze, non potevano che dirsi speranzosi che il trapianto fosse riuscito.

Michiru entrò nella camera della compagna che in pratica ormai era diventata la sua. Non aveva più pernottato al convento, facendo solo sporadici blitz per farsi una doccia, cambiarsi e controllare Giovanna, divenuta improvvisamente scostante e pensierosa. Andando verso l'armadio ed aprendolo vi pose l'oggetto che il dottor Kurzh le aveva vigliaccamente affidato con la convinzione ed il tacito accordo che avrebbe dovuto essere lei a darlo a Tenou.

Capitani coraggiosi, si disse sbuffando all'idea per niente entusiasmante di quello che sarebbe accaduto non appena la sua donna lo avrebbe avuto fra le mani.

“Non ora. Non è il momento di farle anche questo. Dopo tutto quello che sta passando proprio non me la sento.” Mugulò abbandonando l'oggetto richiudendo l'anta per andare poi verso la porta ed uscire.

Percorse il corridoio che portava agli ascensori, ne prese uno diretta al reparto d'intensiva e mentre si sentiva spingere verso l'alto dalla cabina, pensò anche a come affrontare il discorso Giovanna. Non poteva certo uscirsene con un sai amore mio, non devi aver paura del rigetto, perchè hai una sorella che sì è immolata per te, ma ora si è rintanata in un convento perchè ha una paura illogica di te.

E no! Proprio non poteva uscirsene in questo modo. Ma la sua Haruka non era stupida, ed aveva già iniziato a fare qualche domanda mirata, stupendosi del fatto di non stare assumendo praticamente alcun farmaco anti rigetto. Doveva perciò pensare a qualcosa e doveva farlo alla svelta.

Appoggiando entrambe le mani alla sbarra di ferro posta orizzontalmente alle sue spalle, inarcò la schiena respirando profondamente. La verità rende liberi e fino a quando non avesse confessato tutto alla compagna si sarebbe sentita prigioniera dei desideri altrui; quelli di Kurzh e della sua vigliaccheria nel non riuscire a dire alla bionda cosa era accaduto la notte nella quale l'aveva sottoposta alla chemio e quelli di Giovanna, incomprensibilmente fagocitata in un loop quasi nichilista. Osservò un poster appeso alla sua sinistra riconoscendo il mare delle Cicladi. Da quanto tempo non aveva modo di stare accanto a quello che considerava il suo elemento. Michiru era la figlia di un diplomatico e di una musicista svizzeri e per questo motivo aveva passato gran parte della sua esistenza in giro per il mondo, soprattutto in posti dove era presente il mare. Giappone, Grecia, Africa meridionale, America latina, nord Europa, tutti luoghi dove lo aveva ritrovato come un padre liquido totalmente diverso da quello carnale che l'aveva messa al mondo. Avvolgente, protettivo, alle volte severo e bizzoso, altre invece calmo e rilassante. Sospirò sorridendoci su. Avrebbe veramente tanto voluto fare un tuffo in quelle acque per sentir scivolare via le preoccupazioni della sua anima.

Arrivata al suo piano uscì passando di fronte al salottino del punto ristoro. Si fermò di colpo inclinando leggermente la testa da un lato. E lei? Che cosa ci faceva li!?

 

I miei Franchi sono uguali a tutti gli altri, perciò vedi di non fare la stronzetta razzista e dammi questa cavolo di merendina o ti assicuro per tutti i santi del Paradiso, che ti prendo a calci da qui fino all'inizio del Canton Ticino!!!

Giò strinse i denti mostrando un leggero ringhio. Era da più di cinque minuti che quella macchinetta bastarda si stava prendendo gioco di lei.

E metti e sputa! E metti e sputa! E metti e sputa! O la prendi,... o la prendi! Pensò ed ormai persa nelle sue maledizioni non si accorse dell'amica fermatasi alle sue spalle.

“Giovanna?”

L'altra si voltò quasi di scatto tenendo ancora sollevata a mezza altezza la banconota colorata. “Ciao Michiru.”

“Come ciao Michiru. Cosa ci fai qui?” Chiese guardando per istinto la camera di Haruka non troppo lontana.

“Mi ha fatto chiamare il dottor Kurzh. Voleva che mi facessi controllare la gamba. In più ho anche donato il sangue, perciò... mi faresti la cortesia di aiutarmi con questa str... Con lei. Ho bisogno di mettere qualcosa sotto i denti.” Strinse le labbra indicando la macchinetta.

kaiou prese i franchi stizzita. Adesso perchè aveva dovuto donare anche il sangue? Non era sufficiente quello che aveva già fatto?!

“Anche io l'ho donato ieri. Non stanno facendo altro che farle trasfusioni. Sono l'unico mezzo per immetterle globuli bianchi fino a quando le tue cellule diventeranno mature iniziando a produrli da sole.”

“Visto che sono le mie cellule... non garantisco che lo saranno tanto presto.” Disse divertita.

Espulsa con successo una “gustosissima” merendina alle carote priva di ogni sorta di porcheria, Kaiou gliela porse schiudendo un dolcissimo sorriso.

“Comunque non credevo che per avere delle risposte certe ci volesse così tanto. Speravo in qualcosa di più rapido Michiru. Forse è perchè non ho fatto la profilassi per l'aumento delle cellule staminali?”

“No Giovanna, non è per questo. La guarigione è un processo lento. Il corpo di Haruka e' stato sottoposto ad un enorme stress. Ci vorrà tempo."

Più sollevata l'altra guardò la confezione scritta in tedesco. “Ma che cos'è? Siamo nella patria del cioccolato ed avessi visto una barretta di qualcosa anche solo lontanamente somigliante!”

Kaiou rise lasciando che il nervosismo si stemperasse. Non le stava piacendo il comportamento di Kurzh nei confronti dell'amica e sentiva di stare diventando molto protettiva. Prendendo anche un paio di caffè si sedettero su quello che ormai stavano considerando il loro divano.

“Kurzh mi ha detto che Haruka è stabile. Tu invece? Come stai? Riesci a riposare un po'?” Le chiese Giovanna non potendo non notare quanto il viso della donna fosse provato.

"Si, stai tranquilla." E le spiegò come il dormire nel suo letto, immersa nel il suo odore, le conciliasse il sonno e le rendesse la notte meno solitaria. Aveva chiesto alle infermiere di non cambiare le lenzuola e pur sentendosi patetica, era arrivata al punto di fregarsene di quello che avrebbero potuto pensare.

"Ruka ha un odore molto buono. Mi e' piaciuto sin dalla prima volta che l'ho sentito."

Era strano, non parlava mai di cose tanto intime con gli altri, ne con le amiche di vecchia data, ormai comunque perse nella frenesia della vita quotidiana, ne tanto meno con sua madre, che ancora non si era arresa nell'avere una figlia omosessuale.

"E la tua gamba?” Chiese Kaiou ansiosa.

“Meglio. Mi fa un po' male, ma la crema cortisonica che mi hanno dato da metterci su è una bomba. Credo che tra un paio di giorni sarò in grado di volare per tornare a casa.” Disse azzannando il fagottino arancione facendo un'espressione a dir poco disgustata.

Ormai abituata a pasteggiare al convento, quella robba insipida e marcatamente salutare racchiusa in un involucro di plastica le sembrava un insulto alle sue papille gustative. “Ecco, lo fanno apposta per intossicarti e costringerti a rimanere qui! Ora mi è tutto chiaro. E' furbo il nostro Kurzh.”

“Giovanna non scherzare. Che vuol dire che tra un paio di giorni torni a casa!?”

“Vuol dire proprio questo Michiru. Ieri sera ho avvertito il segretario del Cardinal Berti. Non c'è motivo che io rimanga oltre. Se potessi continuare a donarle il sangue lo farei, ma lo sai meglio di me che non si può.” Sorrise appallottolando la confezione.

Fece allora per alzarsi, ma l'altra la bloccò. “Avresti anche potuto dirmelo. Lo so che sto latitando, che non ti sto vicino, ma cerca di capirmi...”

“kaiou non ti sto punendo per qualcosa. So che devi e vuoi passare qui più tempo possibile. Ma se ci pensi bene, la mia permanenza a Zurigo è diventata totalmente inutile. Nessuno può starle vicino. Tu per prima. E' costretta a vivere in una bolla asettica nella speranza che nessuno le attacchi qualcosa. E' ancora debole e credo che si senta peggio di una reclusa. E se aggiungi il fatto che nel convento siamo delle ospiti, bhe, mi sembra avvio che io torni a Roma.”

“Ma non vuoi sapere se il trapianto ha avuto successo?” Si stava inspiegabilmente comportando da bambina capricciosa.

L'altra sorrise alzandosi facendo leva sulle stampelle. "Lo sai che ci vorrà almeno un mese prima che si sappia con certezza se Haruka è fuori pericolo. Non posso restare così allungo. Ci sono sempre i cellulari.”

A differenza di Haruka e Giovanna, Michiru esprimeva senza remore i propri sentimenti con le persone che amava. Aveva ancora paura e la presenza dell'amica le infondeva coraggio. Anche se si vedevano sporadicamente, già il sapere che fosse a venti minuti di macchina dalla clinica le dava forza. Iniziava a considerarla una sorta di ancora. Qualunque cosa fosse successa lei sarebbe stata li.

“Mi sento ancora più egoista nel chiederti anche questo, però sono più sicura nel saperti qui... Accanto a noi.”

Accanto a noi. Quanto a Giovanna faceva strano quel plurale visto che era riferito anche ad una donna che non sapeva neanche della sua esistenza. Guardò in direzione della sua stanza. Le veneziane erano nuovamente chiuse. Chissà quale sevizie le stavano infliggendo.

“Chiamerò Roma nel pomeriggio. Visto come sono conciata penso di poter strappare un'altra settimana.”

Si sentì le braccia di Michiru al collo e sorridendo le diede una leggera grattatina alla testa.

“Kaiou, che cos'è tutto questo appiccicume?”

“Grazie Giò. Grazie...”

 

 

Dio Santissimo... non ne posso più! Quanto ancora dovrà durare questo supplizio, pensò Haruka sentendosi sfilare la cannula dal braccio. Era sempre stata una fifona per quanto riguardava il dolore fisico, prediligendo le cure "fai da te" ai camici bianchi, tollerando mal volentieri anche le farmacie. Col crescere e con un lavoro abbastanza pericoloso come il suo, aveva dovuto abituarsi a fisiatri ed ortopedici, ma essendo piuttosto brava come collaudatrice era riuscita a non farsi mai male in maniera troppo seria. Sta di fatto però, che nell'ultimo anno aveva dovuto piegarsi nell'accettare che quelle persone, nel bene o nel male, fossero li per salvarle la vita, capendo anche che a quel dolore un animale adattabile come l'essere umano si abitua presto.

Ma alla prigionia... La bionda era uno spirito libero e se la si chiudeva per troppo tempo in uno spazio angusto, impossibilitata a muoversi, diventava insofferente, intollerante ed ignorante. Guardando l'infermiera tentare per l'ennesima volta di prenderle una centrale le sbuffò praticamente in faccia.

“Se le sue intenzioni sono quelle di uccidermi, tanto vale che si tolga la mascheria. Faremo molto prima.”

“Mi dispiace signora Tenou. Non vorrei farle altro male, ma le sue vene...”

“Sono stanche di tutto questo, mia bella signorina!" Concluse la frase spostando violentemente il braccio sinistro.

“Cosa succede Haruka?” Il dottor Kurzh entrò dalla seconda porta tenendo le mani guantate a mezza altezza come se stesse in procinto di operare.

Ecco un altro rompiballe!

“Dottore mi dispiace, la colpa è mia. Ho dovuto cambiarle la canula ed ora non riesco a trovarle una centrale per la trasfusione.” Si scusò l’infermiera.

Prendendo in mano la situazione e dimostrando un'innata delicatezza nel tocco, lui riuscì la dove la povera ragazza aveva fallito, inserendo l'ago e la conseguente sacca di sangue.

“La colpa non è di nessuno. Le vene si sono ridotte di spessore ed è normale far fatica.”

“Non sarà che state usando tutto il sangue di Zurigo per me sola, dottor Kurzh?” Chiese Haruka maliziosa non trovando però risposta.

Lui glisso'. Sapeva che il nervosismo della donna non avrebbe fatto altro che crescere con il passare dei giorni e se avessero iniziato a punzecchiarsi ora, cosa sarebbe successo più avanti?

Avendo visto Michiru sul piano, l'uomo ebbe l'intuizione di smorzare l'aggressività di Tanou alzando le veneziane ed una volta fatto, uscì dalla camera con l'infermiera.

Haruka lo seguì con lo sguardo fino a quando la compagna non fu entrata nel suo campo visivo. Il vestito verde chiaro, le scarpe aperte allacciate alle caviglie con un'immancabile accenno di tacco, la coda di cavallo con il fermaglio d'osso lavorato che le aveva portato da un viaggio di lavoro a Budapest. Sorrise sentendosi meglio.

Era in piedi e stava parlando con un'altra donna dai capelli castani tagliati corti e la carnagione abbronzata di chi è abituato a stare al sole, con una corporatura simile a quella dell'altra, ma forse più robusta nella muscolatura. Aveva la gamba destra leggermente sollevata da terra e si stava poggiando su due stampelle, dando però l'idea di non esserci abituata, perchè ad ogni movimento del busto, contraeva in maniera eccessiva le mani come se avesse paura di cadere da un momento all'altro.

Rideva la sua bellissima compagna e sembrava conoscerla bene.

Kurzh interruppe le due donne rivolgo dosi direttamente a Kaiou. “Michiru, vorrei chiederle la cortesia di avere il cellulare di Hatuka.” Quel vulcano biondo in miniatura avrebbe reso quei giorni di “prigionia” un vero inferno per tutti se non avesse avuto almeno un “contentino”.

“Vorrei farlo sterilizzare. Così che possiate parlarvi. Tra qualche giorno la farò entrare con me nella stanza, ma fino ad allora dovrebbe cercare di tenerla tranquilla. Oggi ad esempio è parecchio nervosa.”

Giovanna ridacchiò sotto i baffi. Ce ne aveva messo di tempo quella gran zucca gialla a fare la voce grossa e nel pensarlo il viso prese un'espressione talmente tanto loquace che Kurzh la fulminò prima di sparire dietro alle porte scorrevoli di un ascensore.

“Mamma mia, che cazzone!”

“Proprio non vi sopportate.” Confermò Michiru dirigendosi verso le vetrate della stanza salutando il suo angelo con la mano, cercando di farle capire a gesti che presto avrebbero potuto parlarsi.

Certo che non lo sopporto. Ha una tale tracotanza. Sia intellettuale che fisica. Ma su, siamo sei... Non ha neanche un filo di pancetta. Come fa ad andare in palestra se è inchiodato qui dentro H24?! Cos'è... geneticamente modificato? borbottò continuando a fissare gli ascensori non accorgendosi di stare seguendo l'altra.

E in una frazione di secondo le iridi di Haruka e Giovanna s'incrociarono e la più grande smise di respirare. Se si esclude la ritirata fulminea presa su per le scale che aveva messo in campo qualche giorno prima, non erano mai state tanto vicine. Potevano addirittura vedersi il reciproco colore degli occhi; verde smeraldo, intensissimo e molto profondo, da sempre uno dei punti di forza della bellezza di Haruka e quello grigio verde, particolarmente cangiante, proprio di Giovanna.

Michiru si voltò verso l'amica sperando che si avvicinasse ancora un po', ma come ogni animale selvatico che si rispetti, invece che fare un passo in avanti, si ritrovò a farne due in dietro. Giò staccò a forza lo sguardo da quello di Haruka e guardando l'amica la salutò con un cenno del capo. Girandosi lentamente ricalcò la strada fatta dal medico poco prima andando verso le porte metalliche.

 

 

“Chi ti ha insegnato a sorridere così, Michi mia?”

“Sei stata tu, amore...”

“Mi mancava tanto la tua voce.” Disse Haruka sfoderando un sorrisone entusiasta.

“Sembri una bambina davanti ad un albero di Natale, Ruka.” Rispose Michiru ridendo dalla parte opposta del vetro.

Erano passati due giorni e con summa riconoscenza di medici ed infermieri, all'insofferente Tenou era stato recapitato il cellulare lindo, pinto e sterilizzato.

“Credono veramente di riuscire a tenermi buona con così poco?”

“Perchè... Non è così?” Inquisì bonaria Michiru sapendo già la risposta.

“Si.... - ammise Tenou arrossendo un po'. - Il nemico inizia a conoscere bene le mie debolezze. Dovrò inventarmi qualche altra cosa per essere odiosa.” E finalmente Haruka rise di gusto. Veramente bastava poco per farla sentire a casa dovunque si trovasse. Bastava solo che Michiru stesse al suo fianco.

“Di un po'. Chi era quella ragazza con la quale stavi parlando l'altro giorno?” Vedendola titubante continuò nella descrizione credendo di non essere stata chiara. “Ma si..., quella con le stampelle. Con i capelli corti tipo i miei e la faccia buffa.”

Faccia buffa, ripetè mentalmente Michiru notando quanto avesse ragione.

“Sembra che tu la conosca da un po'. E' una paziente del garrulo posto? Mi sembra un viso noto."

Viso noto... Se sapessi amore mio. Ti è noto si. Assomigliate entrambe molto a vostro padre, pensò con rammarico la compagna ricordando una vecchia foto, l'unica e ben nascosta, che Haruka ancora aveva di Sebastiano Aulis.

Scuotendo la testa Michiru disse solo che era una parente in visita. Il che era vero. “Abbiamo legato, perchè qui dentro si fa gruppo, lo sai. Sei gelosa?”

“Forse solo un pochino. Mi manca la fraganza della tua pelle amore. Vorrei tanto accarezzarti."

“Porta pazienza anima mia. Ci siamo quasi. - E partì la reprimenda giornaliera. - Piuttosto Ruka..., cerca di essere un pò più disponibile con ii medici e gli infermieri... Sii più gentile. Lo sai che non lo fanno apposta a farti male.”

Haruka mostrò allora le braccia piene di lividi inarcando le sopracciglia. Macellai! Si sentiva un quarto di bue.

“Oh insomma..., basta fare la vittima! Questo è un gioco di squadra! Se vogliamo vincere dobbiamo indossare tutti la stessa maglia.” La bacchettò Kaiou provando una tenerezza infiita nel vedere la sua ragazzona distesa inerme su quel letto.

“A proposito di squadre. Sai chi ha avuto la faccia tosta di entrare qua dentro contravvenendo a tutte le raccomandazioni dello psicopatico? Mattias... Si è presentato mentre stavo sotto terza flebo più morta che viva. Se Kurzh dovesse venirlo a sapere...”

Michiru avvertì un brivido gelato percorrerle la spina dorsale. “Cosa?”

“Non inquietarti con lui Michi, e' solo un ragazzino. Non si e' reso conto della gravita' del suo gesto. Stava per essere dimesso e voleva salutarmi. Pensa che era talmente contento di uscire da chiedermi di andare con lui. Ammetto di aver pensato che fosse pazzo visto in quali condizioni fossi, ma poi ho capito che fosse per la troppa gioia di andarsene finalmente da qui. Sono comunque felice che abbia pensato a me. Mi ripeteva spesso che una volta dimesso non avrebbe guardato in faccia nessuno correndo verso l'uscita senza voltarsi indietro per paura che Kurzh ci ripensasse. In più avevamo anche discusso. Non mi piaceva l'idea che andasse via arrabbiato con me.”

Michiru non sapeva cosa rispondere." Haruka, ma... non puoi averlo visto.”

“Ti dico di si! Ho anche sentito il calore della sua mano dentro la mia. Ho fatto dei sogni strani riguardanti la mia infanzia dove c'era anche lui, è vero, ma ti assicuro che gli ho parlato Michi. E sei poi riuscita a dargli il foglietto con le pass?”

La compagna scosse la testa. Non credeva che l'ora di dirle la verità sul bambino fosse già arrivata.

 

 

 

 

Note dell'autrice: Salve a tutti e buonissimo anno!!!

Michiru si ritrova sempre a dover mettere ordine anche per gli altri.

Scusate ma ho dovuto fare un pò di chiarezza sulla tempistica e sui vari trattamenti per un trapianto. Mi erano sfuggite un paio di cose, perciò perdonatemi. Spero che non sia stato uno spicchio troppo pesante. Ho gettato Giò nella mischia per cercare di stemperare i toni.

Preparatevi alla mazzata del capitolo successivo e non ce l'abbiate troppo con me. Come dice spesso Haruka: non è colpa mia.

 

   
 
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