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Autore: heather16    01/01/2017    2 recensioni
"La stanza vuota, la luce bianca, il tavolo spoglio. Sulla sedia, in divisa arancione, un uomo. Le spaventose testate su quel folle terrorista erano apparse sui giornali per mesi interi. Il viso, iconico per quella densa crema bianca che lo ricopriva, era struccato e pulito. I capelli, sporchi, ricadevano sugli occhi. Il capo era reclinato verso il basso."
ecco il prequel della mia storia "Midnight in Gotham"... spero vi piaccia!
Genere: Dark, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Harley Quinn, Joker
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Joker'
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Harleen aprì gli occhi e si riscosse. La macchina parcheggiata davanti ad Arkham borbottava, emettendo una nube di fumo dal tubo di scappamento, che si librava nell’aria gelida di febbraio. Si era addormentata. Solo un incubo, un brutto sogno. In fondo non dormiva bene da quasi una settimana, la sera prima c’era stato quell’incidente in discoteca. Era crollata. Le guance erano calde e bagnate. Aveva pianto nel sonno. Harleen tirò su col naso, cercò di ricomporsi. Si guardò nello specchietto retrovisore, sistemando alla meglio il trucco che aveva cominciato a colarle sugli zigomi. Mise la retro, uscì dal parcheggio. Una volta a casa inspirò profondamente. Odore di incenso al cocco, sapone e caffè. Niente sangue. Niente strani biglietti in corridoio. Niente rose sul tavolo della cucina. Era stato solo un incubo. La donna si spogliò lì, davanti al tavolo in cucina. Nuda arrivò fino al bagno, fece scaldare l’acqua della doccia. Una volta dentro appoggiò la fronte contro la parete. Un getto bollente le scottava la schiena.
“Ok Harl, calma. Sei solo molto stanca e molto nervosa. L’ansia ti provoca incubi, non è niente di che. Va tutto bene, sei a casa.”
Aspetto che anche l’ultima goccia di acqua tiepida uscisse dal telefono della doccia, poi si avvolse nell’accappatoio giallo. Seduta sul pavimento del bagno, prese il telefono.
-Pronto?-
-Ciao mamma, sono io!-
-Tesoro, dov’eri finita? Ti ho chiamata stamattina!-
-Scusa, mi sono svegliata tardi e avevo una seduta alle nove, non ho avuto tempo di guardare il cellulare.-
-Come stai? Ti sento stravolta.-
Harleen tirò nuovamente su col naso. La voce tremò. –Sono solo stanca, mamma. Ho..ho un paziente molto difficile da trattare.-
-Aggressivo?-
-No, no. È solo che sono così stanca! Vorrei solo tornare a casa!-
-Oh tesoro, mi dispiace così tanto! Questo weekend io e papà veniamo lì, così parliamo un po’.-
-No, non ho tempo, è un paziente troppo impegnativo!-
-Se ti mette così tanto sotto pressione, forse non è il caso che tu lo segua più…-
-Non posso mamma! Ne va della mia carriera lavorativa!-
-Così però ne va della tua salute Harleen!-
Harley sospirò. Sua madre non poteva capire, non poteva nemmeno immaginare quanto quel paziente fosse importante. Il suo lavoro era una cosa seria. Sospirò. –Senti mamma, devo andare. Mi devo asciugare i capelli e rischio di prendermi un raffreddore. Ci sentiamo domani.-
-Va bene Harleen. Ma riflettici, rischi di perdere la testa. Sai che quando ti impunti così tanto finisci per stare male.-
-E tu sai che quando mi impunto così tanto riesco sempre ad averla vinta. Saluta papà.-
-Certo…. Ci sentiamo domani!-
-Ciao.- Harleen pensò alla sua adolescenza, a quando stava seduta sul pavimento della cucina a riprendersi da una festa mentre la mamma faceva da mangiare. –Ti voglio bene mamma!-
Aveva già riagganciato.
Quella sera la donna non riuscì a mandar giù nulla. Scrisse un messaggio di scuse a Clare, dove diceva che non si sentiva per niente bene e che l’avrebbe richiamata il giorno dopo. Non riusciva a dormire, così si mise a guardare la televisione.
Erano le due di notte, quando un rumore provenne dalla cucina.
Harleen abbassò il volume. Era un rumore metallico, come lo scatto di una serratura. Pensò alla porta finestra. Senza fare rumore si alzò dal divano e prese dal muro la mazza da baseball che usava quando giocava al college. Il rumore era cessato. Si avvicinò alla porta della cucina, brandendo la mazza. Entrò lentamente. Non c’era nessuno. La finestra era spalancata sul balcone e la pioggia di stravento bagnava le mattonelle del pavimento. Harleen uscì. Nessuno. Ritornò in casa, guardò verso il salotto. Una sagoma scura schizzò davanti alla porta. Il cuore le esplose nel petto.
-Chi sei?-
Un rumore provenne dal fondo del corridoio. Harleen pensò che chiunque fosse, poteva essere solo andato in camera. In quel momento pensò che l’unica cosa che potesse tentare di fare era correre. Si precipitò fuori dalla cucina, lasciando cadere la mazza sulla moquette del salotto. Arrivò alla porta al buio, trovò a tentoni la maniglia e fece girare le chiavi nella serratura una volta, due volte, tre. Girò la maniglia, quando un braccio la prese, sbattendola violentemente contro la parete. Con un calcio la figura richiuse la porta. Paralizzata dal terrore, Harleen non riusciva ad urlare. L’intruso le si schiacciò contro: era un uomo, più alto di lei, magro. I suoi vestiti fradici e gelidi. Odorava di ferro, come le piogge estive. Era febbraio. Le strinse le braccia, indirizzandola verso il salotto. Harleen riuscì solo ad arretrare, facendo esattamente come lui voleva.
-Ti prego, ti darò tutti i soldi che vuoi, ti dirò dove tengo i gioielli ma non farmi del male.-
L’uomo respirava pesantemente. poggiò un piede davanti a lei, Harleen cadde all’indietro e lui le si sdraiò sopra. La donna finalmente riuscì ad urlare e cercò di dimenarsi. L’uomo era incredibilmente forte, e avvinghiò le sue gambe al bacino di lei, impedendole di muoversi. Si tolse la maglietta, la fece cadere sul viso di Harleen, che se ne liberò agitando il collo. Le sollevò la maglietta iniziando ad accarezzarle il ventre, mentre lei tentava di spingerlo via.
-Ti prego farò tutto quello che vuoi ma non farmi del male, ti scongiuro, perfavore io…-
-Zitta! Se chiudi la bocca non ti apro la pancia.- Harleen sentì una lama fredda appoggiarsi un centimetro sopra il suo ombelico. Cominciò a singhiozzare in silenzio, immobile e terrorizzata. Sentì l’altra mano di lui accarezzarle la guancia, spostarle i capelli che, bagnati di pianto, le si erano appiccicati al viso.
-Harley, tu sei una povera ingenua. Io ti tormenterò finchè,- le si avvicinò all’orecchio. I suoi capelli bagnati le sfiorarono la fronte, il naso le toccò appena lo zigomo- finchè tu, piccola mia, non mi implorerai di fotterti finchè non ti si spezzeranno le gambe, finchè i tuoi lombi non bruceranno, finchè non avrai nemmeno più voce per ridere. E allora non avrai nulla da me Harley, perché il tuo più grande piacere sarà  la sofferenza.- una voce inconfondibile, così familiare. Harleen sentì la lingua dell’uomo morbida poggiarlesi sulla guancia, e gridò.
Era sul divano, la televisione stava dando la pubblicità di una dieta dimagrante. La donna si alzò, corse in cucina. La finestra chiusa, il pavimento asciutto. Si diresse verso la porta d’ingresso. Tre giri di chiave la tenevano chiusa. Si accasciò alla parete e si sedette sul pavimento, mentre le lacrime sgorgavano dal suo viso. E poi la vide. Ci si avvicinò, stringendola fra le mani, sentendone il profumo. Cominciò a ridere, ridere istericamente, poi scoppiò in lacrime ed infine, lanciando un grido di terrore, cadde sfinita e addormentata sul pavimento.
Tra le braccia stringeva una maglietta bianca e fradicia.
  
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