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Autore: ellacowgirl in Madame_Butterfly    02/01/2017    1 recensioni
| Hogwarts' Founders | Salazar Serpeverde x Helga Tassorosso |
Quattro momenti che spiegano la mia visione delle vicende che hanno portato i quattro Fondatori della scuola a separarsi, ed uno di loro a morire nello scontro finale.
«Questo non sei tu.» Timorosa, ma decisa.
Perché doveva opporsi – ancora – con tanta ostinazione?
Perché non si arrendeva all’idea che fosse ormai sprofondato nelle tenebre più oscure?
Fu lui ad avanzare, lui a portarle una mano al volto, al limitare del collo, rivelando solo ora il proprio viso. Gli occhi, scuri e profondi come null’altro, passavano con insistenza dallo sguardo di lei alle sue stesse mani, tormentato, irrequieto, frustrato. Incapace di ferirla ed incapace di lasciarla.
«Perché mi rendi così difficile odiarti?» Anche il suo tono era ora spezzato, quasi tremava dalla rabbia la sua mano, le labbra rimanevano dischiuse senza trovare pace.

(Storia partecipante al Contest "don't leave us aside!" di LVdevotee sul forum di Efp)
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Godric, I, fondatori, Priscilla, Corvonero, Salazar, Serpeverde, Tosca, Tassorosso
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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Pacchetto Contest
Prompt: rotto
Canzone: go go dolls, Iris
Genere: Angst

Broken
 
And I don't want the world to see me
'Cause I don't think that they'd understand

Una volta entrata nell’ampia stanza, dove ben presto sarebbe stata allestita la Sala Grande della loro scuola, Godric si alzò immediatamente in piedi per salutarla, accogliendola con un grande sorriso.
«Sempre puntuale, eh?» scherzò verso di lei, dandole una pacca sulla spalla come era solito fare coi vecchi amici – il suo tatto, si sapeva, era alquanto limitato –. Era risaputo, ormai, che Helga si perdesse nei suoi mille impegni e finisse inevitabilmente per perdere l’orario, abbandonando la puntualità.
«Scusatemi, dovevo proprio–»
«Aiutare qualche povera creaturina indifesa? Lo sappiamo, Helga, non preoccuparti.» intervenne Rowena, la quale si era alzata dal tavolo in modo molto più garbato e controllato, abbracciando l’amica senza tuttavia perdersi in chissà quali convenevoli. Salazar si alzò più che altro per educazione, e la salutò con un semplice cenno del capo, ma lei parve non curarsi della sua freddezza – o meglio, sapeva come trattarla – e lo abbracciò.
«Sono felice di vederti» gli disse lasciandolo quasi subito, consapevole di non dover superare un determinato limite ma, al contempo, non volendo rinunciare ad accoglierlo come faceva sempre. Egli non rispose, non ricambiò, ma abbozzò un sorriso nell’incrociare quello ben più solare di lei.
Dopotutto, quello era il primo incontro dopo mesi di distanza.
«Non sperare di addolcirlo, Helga» la mise scherzosamente in guardia Rowena, che nel mentre si era seduta proprio di fronte a lui.
«Io non lo spero, io so di esserne capace» scherzò, e solo Salazar sapeva quanto fossero vere quelle parole. Naturalmente, rimase impassibile come sempre.
«La presunzione non ti si addice» ricambiò lui. Non si poteva dire che fosse scherzoso, ma almeno non era della solita freddezza. Quello era il suo modo di fare un compimento, e la dolce Tassorosso sembrava l’unica capace di cogliere quella sfumatura, persino in un uomo come lui.
Per un attimo – un lungo e prezioso attimo – si sorrisero, in modo differente, ma lasciarono che le loro anime si sfiorassero. Eppure lo sapevano entrambi, che non fosse una relazione – qualsiasi essa fosse – destinata a durare, poiché egli necessitava di ritornare alle tenebre a cui lei non apparteneva.
Cenarono piacevolmente, in quella che era la vigilia dell’apertura della prima Scuola di Magia e Stregoneria al mondo: Hogwarts. «Sarà fantastico! Insegneremo ai migliori maghi del mondo!» Il fondatore Grifondoro era entusiasta, grintoso come non mai, tanto che gli occhi nocciola quasi gli brillavano.
«Ai più intelligenti, spero. I bambocci puoi tenerteli, Godric» commentò Rowena, sfiorando un calice di vino con le labbra.
«Per questo avevo proposto un’attenta selezione…» Quello era il momento in cui il buonumore si rompeva, ogni volta. Rotto dalla presunzione, rotto dall’orgoglio. Godric sospirò pesantemente dinnanzi all’intervento dell’amico, l’ennesimo in merito ad un argomento sul quale aveva già ampiamente discusso.
«Tutti devono avere una possibilità, Salazar. A undici anni sono ancora molto piccoli per dimostrare il loro valore» intervenne Helga a quietare subito la situazione, come ogni volta. Si comportava con naturalezza, come sapesse ricomporla – quella situazione – assaggiando i dolcetti sul tavolo, mentre Salazar guardava un punto indefinito davanti a sé, serioso e visibilmente contrariato.
«Certo, contaminiamo pure la qualità scolastica con mezzosangue, mocciosi che non sanno neanche andare sulla scopa o che non conoscono mezzo incantesimo. Gente assolutamente capace e meritevole» ironizzò freddo, gelido. L’argomento gli premeva, nonostante l’accordo a cui si era trovato costretto a sottostare. Non si trattava soltanto di purezza di sangue, ma di mantenere una dinastia, una certa qualità nelle abilità magiche e mentali: non poteva nemmeno pensare all’idea che avrebbero messo piede nella sua scuola anche figli di pasticceri, lavandai e qualche altra inutile cialtroneria!
«Trovo offensivo il tuo ragionamento, Salazar.» Parlò di nuovo lei, paziente, sì, ma non per questo stupida.
Lei era nata mezzosangue. Lei aveva umili origini. Lei non aveva mai utilizzato una scopa volante perché mai, prima che qualcuno le insegnasse a padroneggiare la magia, aveva avuto modo di venirne a contatto.
Nel silenzio improvviso che si era creato, il fondatore Serpeverde si volse spazientito verso la donna, pur non incrociando il suo sguardo. «Non prenderla sempre sul personale, Helga. Non– »
«Se offendi i miei studenti, offendi me.» Si zittì.
Un silenzio scomodo incombette su di loro: Rowena ormai ignorava simili discussioni futili, Godric si forzava di trattenersi per non fare a botte e Salazar detestava profondamente quel modo così tranquillo ed al contempo irremovibile di Helga di rivolgersi a lui. Era troppo ingenua ed ostinata nelle proprie idee, si sarebbe ritrovata una casata piena di rammolliti, perché difenderli tanto? Detestava questo suo modo di fare e di pensare, ma soprattutto detestava non riuscire ad aggredirla come avrebbe voluto. Lei era troppo… pura, persino per lui, gli sembrava di fare un torto al mondo – non che del mondo gli interessasse molto, in realtà – nel farlo a lei.
Ma non poteva darle ragione, perché non ce l’aveva, assolutamente, eppure nessuno di loro aprì più bocca per molti minuti.

 
And I'd give up forever to touch you
'Cause I know that you feel me somehow
You're the closest to heaven that I'll ever be
And I don't want to go home right now

La notte era già calata, mentr’egli metteva in atto una decisione presa molto tempo prima. Si lasciò alle spalle il castello, gli studenti, ogni cosa, camminando con decisione lungo il ponte che collegava Hogwarts alla terraferma. Il mantello nero che lo copriva ondeggiava ad ogni passo, una leggera nebbiolina pareva volerlo accompagnare in quella che, lo sapevano bene tutti, non era una definitiva uscita di scena: il suo disaccordo con gli altri Fondatori lo costringeva ad allontanarsi, ma le sue idee e convinzioni si erano, se possibile, rafforzate.
Rottosi un legame fin troppo profondo, una solitudine altrettanto intensa si era creata.
Aveva compiuto solo pochi passi, prima di accorgersi di non essere solo, o meglio, che qualcuno lo stesse aspettando: capelli chiari, corporatura formosa ed un manto dalle tonalità delicate a proteggerla dal freddo.
Helga.
«Te ne vai senza salutare?» Non c’era rancore nel suo tono, se non un pizzico di amarezza. Era rimasta appoggiata alla ringhiera del ponte, le iridi chiare volte allo specchio d’acqua sotto e davanti a loro, senza compiere alcun altro movimento.
Salazar si arrese all’idea di fermarsi, dopotutto avrebbe dovuto aspettarselo: contrariamente a Rowena e Godric, la dolce Tassorosso sapeva mettere da parte orgoglio e dissidi per… Per cosa, esattamente? Cosa erano, loro?
«Non credo che qualcuno abbia più voglia di salutarmi. E nemmeno io.»
«Pensi sempre di conoscere perfettamente ciò che hai davanti, vero?» Una constatazione, più che una domanda, con quel tono che sapeva essere garbato quanto preciso, nel colpire in un punto prestabilito del suo animo.
Non te, Helga. Non te.
«Non vedo la fila…» rispose invece, ironico, allargando le braccia e guardandosi teatralmente intorno, come a sottolineare la veridicità delle proprie, di parole. Solo a quel punto, la strega si volse verso di lui, e lo sguardo che gli rivolse era alquanto serio.
«Ci sono io.» Già, lei c’era. Lei c’era sempre.
Come riusciva a mantenere tutto intatto anche quando andava in pezzi? I loro sguardi rimasero l’uno nell’altro per qualche istante, mentre solo la fievole luce di uno dei lampioni delineava le loro figure così diverse, apparentemente così discordanti. Lui era alto e fiero, lei bassa e mansueta. Lui era freddo nello sguardo, lei dolce. Salazar era vuoto nell’animo, arido, tormentato, e forse per questo non riusciva a non detestare ed al contempo intimamente ammirare il tepore celato in quello di Helga.
«Non sarai così ingenua da sperare di fermarmi.» Cambiò discorso, senza lasciar trasparire la difficoltà nel rimanere tanto composto.
Possibile che lei, così pacifica e delicata, sapesse mettergli più soggezione di tutti quelli che tanto apertamente lo attaccavano o lo disprezzavano? Perché doveva essere così difficile odiarla come tutti gli altri?
«Muori dalla voglia di insultarmi…» constatò lei, di nuovo amareggiata, eppure lasciandosi sfuggire un sorriso quasi sconsolato.
Salazar parve quasi indispettirsi dinnanzi ad una simile insinuazione. «Non ho detto questo» si giustificò. Da quando si giustificava?
«Puoi tranquillizzarti, il mio intento non era quello di impedirti di andare» ammise, tenendo lo sguardo alto su di lui ed avvicinandosi di qualche passo.
Egli non capiva, e detestava non capire. Riteneva quella strega troppo rammollita e troppo concessiva, per i suoi gusti, troppo imperfetta per i suoi standard, troppo perennemente bendisposta, troppo… «Solo…» si impacciò, come spesso le accadeva.
Rimase con le labbra dischiuse e, sebbene fosse consapevole che ad un attento scrutatore come il Serpeverde non sarebbe sfuggito il rossore sulle sue guance nemmeno al semibuio, riuscì a non distogliere lo sguardo da lui. Persino lontano dalla luce, egli aveva uno sguardo così penetrante da farla sentire inerme. «Non tutti lo vorrebbero» terminò.
Quale risposta di aspettava, da lui? Davvero sperava di potergli trasmettere anche solo una parte delle sue sensazioni, delle sue intenzioni?
Le voltò le spalle quasi di colpo, lasciando frusciare il mantello, teatrale ancora una volta, come se avesse bisogno di compiere un qualsiasi gesto che lo elevasse rispetto a lei – che lo allontanasse. «Risparmiami i sentimentalismi, Helga» tagliò corto, sentendo nuovamente il bisogno impellente di andarsene.
Ella sospirò appena. «Oh, certo. Sia mai che l’impenetrabile Salazar Serpeverde venga a contatto con qualcosa di diverso dall’indifferenza.» Si voltò di scatto, fulminandola con lo sguardo.
Merlino, quanto detestava non vedere in lei accrescere alcuna paura nei suoi confronti. «Non osare andare oltre» freddo, dannatamente freddo, eppure sapeva controllarsi anche in quei casi.
Rimasero in silenzio per un lungo istante, entrambi, consapevoli di aver raggiunto un limite che nessuno dei due desiderava superare. La verità, probabilmente, già la conoscevano.
«Ti auguro di fare buon viaggio, Salazar.» Sincera nel dirlo, sebbene l’espressione non avesse potuto mascherare un velo di dispiacere.
La partenza di Salazar era un fallimento, per tutti quanti.
Perché non era stata capace di trattenerlo? Perché non era stata abbastanza?
Lui le voltò definitivamente le spalle. «Rientra.» Quasi un ordine, prima di riprendere il cammino con un passo ulteriormente deciso.
Lo osservò allontanarsi, fin quando la sua figura non sparì nel buio della notte – lasciandola lì, sola, avvolta in quel mantello e nel freddo della delusione. Un lieve sospiro fuoriuscì dalle sue labbra.


 
And all I can taste is this moment
And all I can breathe is your life
'Cause sooner or later it's over
I just don't want to miss you tonight

Il momento era ormai prossimo. Poche ore li separavano da uno scontro che, mese dopo mese, si era fatto inevitabile: all’alba, almeno uno dei quattro sarebbe morto, questo era chiaro e prevedibile. Nessuno, dei tre fondatori rimasti ad Hogwarts, riusciva a dormire: Godric si allenava con la spada contro un manichino all’aperto – anche se era notte, anche se diluviava – mentre Rowena ripassava una serie di incantesimi probabilmente da lei stessa messi a punto per quell’occasione, china sulla proprio scrivania.
Ed Helga… lei rimaneva seduta sul davanzale della finestra, tenendo lo sguardo lontano, come se attendesse – e temesse – il sorgere del sole.
Com’erano arrivati a quel punto? A volersi affrontare, rompendo ogni cosa, dopo aver costruito così tanto, insieme?
Qualcosa si mosse all’interno della sua stanza, una delle candele si spense ed ella non poté non voltarsi di scatto verso la porta. Davanti ad essa un’ombra, ed un potere magico che avrebbe riconosciuto dovunque.
«Salazar…» Si alzò rapidamente, spinta da una gioia istintiva impossibile da trattenere, non sul momento almeno, tanto che persino un sorriso si era fatto largo sulle sue labbra. Ma si spense, ed ella si fermò immediatamente. Era divenuto loro nemico, il fondatore di Serpeverde, quello stesso nemico che avrebbero dovuto combattere di lì a poche ore… era lì, davanti a lei.
«Sei… venuto a gioire del mio tormento?» gli domandò con un fil di voce. Avrebbe dovuto attaccarlo, avrebbe dovuto respingerlo, trattarlo come il traditore che era stato eppure… eppure non ci riusciva, rimaneva immobile affianco alla finestra, stretta in una camicia da notte che cingeva appena le sue forme generose.
Silenzio. Restava nell’ombra più totale, come se i suoi occhi fossero l’unica concessione che volesse darle.
La verità era che aveva resistito per troppo tempo. Resistito alla tentazione di vedere quelle sue imperfezioni, di udire quella voce troppo “smielosa” e di sentirsi spogliare di ogni corazza faticosamente costruita. Ma ogni resistenza aveva un limite, anche per lui.
«Mi odi?» Roca, quella voce, diversa da quella che ricordava.
«No…» un bisbiglio, quasi una preghiera.
«Dovresti.» più secco, quasi arrabbiato. Helga avanzò di un passo.
«Non puoi impormi di provare qualcosa che è… diverso» ammise, la voce quasi le si spezzava, ancora aggrappata a chissà quale speranza.
«Io li ucciderò, Helga.»
«No!» alzò il tono ed avanzò di nuovo, angosciata nel tono, fermandosi ad un passo dalle tenebre. Non le importava di non vederlo, cercava i suoi occhi, il suo sguardo, forse la sua anima. «Questo non sei tu.» Timorosa, ma decisa.
Perché doveva opporsi – ancora – con tanta ostinazione?
Perché non si arrendeva all’idea che fosse ormai sprofondato nelle tenebre più oscure?
Fu lui ad avanzare, lui a portarle una mano al volto, al limitare del collo, rivelando solo ora il proprio viso. Gli occhi, scuri e profondi come null’altro, passavano con insistenza dallo sguardo di lei alle sue stesse mani, tormentato, irrequieto, frustrato.
Incapace di ferirla ed incapace di lasciarla. «Perché mi rendi così difficile odiarti?» Anche il suo tono era ora spezzato, quasi tremava dalla rabbia la sua mano, le labbra rimanevano dischiuse senza trovare pace.
Cedette, e la baciò.
Contro la sua ferrea razionalità lui e contro la prudenza lei, si liberarono di quelle catene, lasciando che quel bacio diventasse parte di loro – quella più profonda. La baciò con avidità, con necessità, mentre con impeto la spingeva contro il muro, bloccandola con il suo stesso corpo. Non riusciva a fermarsi, probabilmente nemmeno lo voleva, tenendo intrappolate le labbra della strega nelle proprie, quella mano ancora stretta al volto, l’altra ch’era scesa al bacino, come volesse assicurarsi di averla lì, vicina a sé – costretta a sé. Non si opponeva, Helga, ricambiava quei baci, consapevole quanto lui che quello sarebbe potuta essere la loro unica possibilità.
Quante ne aveva sprecate – lui – con quel suo essere così arrogante, tanto supponente da non ritenerla abbastanza?
E quante ne aveva sprecate lei, troppo impacciata e troppo mite per farsi davvero avanti, per inseguirlo e riportarlo a casa?
Sentì la camicia scivolarle lungo il corpo ma non se ne curò, voleva solo sentirlo più vicino a sé, la sua pelle rovinata, la tremenda angoscia provata ogni giorno nel non sapere dove fosse, o se stesse bene. Era lì – erano lì – e delle ore che li separavano ad una battaglia mortale non sembrava importargli più.
Per una notte, avrebbero solo voluto stringersi e non sentire la mancanza dell’altro.


 
When everything's made to be broken
I just want you to know who I am

Freddo era il vento che soffiava sui loro visi, grigio il cielo, come minacciasse una pioggia malinconica da un momento all’altro.
Era lì, Salazar Serpeverde, fiero nel suo mantello nero, lo sguardo puntato negli occhi in fervore di Godric. Il suo migliore amico, il suo reale nemico. Rowena era accanto al Grifondoro, seria in volto, elegante nel portamento: per quanto trovasse futile una simile battaglia, aveva deciso con chi schierarsi ormai da tempo. Non che le piacesse l’idea di uno scontro, non possedeva l’ambizione o l’impeto dei suoi – ex – compagni, eppure era lì, e non sarebbe fuggita. Per una volta, nessuno di loro sembrava sapere cosa dire.
«Fermi!» ed era arrivata, alla fine. Anche lei aveva raggiunto il campo di battaglia. Salazar non aveva distolto lo sguardo da Godric e viceversa, solo la fondatrice Corvonero sembrò ammonirla con le iridi azzurre.
«E’ già deciso, Helga» sentenziò, estraendo la bacchetta.
«Vi prego, non dobbiamo per forza…» Salazar estrasse la bacchetta, ed altrettanto fece il Grifondoro.
La Tassorosso li superò, si frappose fra loro, lo sguardo che ricercava quello dei compagni con ostinazione.
Perché le era così difficile arrendersi all’evidenza? Non c’era più unione, tra loro, se mai ve nera davvero stata: una crepa si era insinuata tra loro, rotta ogni speranza di riappacificazione.
«Spostati, Helga, non voglio ferire te.» Godric era stranamente serio, quel giorno, persino uno goliardico come lui sentiva il peso di ciò che stava per accadere, e ne provava una terrificante angoscia.
«No.» Le tremavano le mani, persino le gambe, ma non si era spostata. Il Serpeverde le rivolse solo una rapida occhiata, senza ch’ella se ne accorgesse e poi, d’improvviso, fece mezzo passo di lato, quanto bastava per far sì che la Tassorosso non fosse sulla traiettoria del suo incantesimo. E lo lanciò, un fascio verde e tremendo, verso il Grifondoro, e la battaglia ebbe inizio.
C’era confusione, e c’era forza. Salazar sembrava riuscire a tenere testa anche da solo agli altri due, mentre Helga si limitava ad incantesimi di protezione, verso chiunque le riuscisse, e Rowena pareva irritarsi ogni secondo di più dinnanzi all’atteggiamento dell’amica: perché si ostinava tanto a difendere anche chi li aveva palesemente traditi? Chi più di tutti l’aveva osteggiata, persino insultata?
Scintille continuarono a ferire quella radura a poca distanza da Hogwarts, colori di morte, colori di rabbia e delusione. Godric, poco paziente di natura, parve infervorarsi ulteriormente nel non riuscire a colpire il suo storico avversario, perciò approfittò di un momento in cui si confrontava direttamente con Rowena per scagliargli un incantesimo particolarmente potente. Avada Kedavra, deciso ormai a non perdonarlo, né in quel momento, né più.
Salazar non ebbe il tempo di contrattaccare, si limitò ad un incantesimo di protezione, di riflesso proprio a Godric, e fu in quel momento che Helga si frappose senza, tuttavia, riuscire ad evocare in tempo una protezione a sua volta.
Il raggio verde la investì, e troppo in fretta i suoi occhi persero colore e luce. La sua pelle, di colpo, divenne bianca.
«Helga!» il grido disperato di Rowena li bloccò, ella corse appresso all’amica che cadeva a terra, inerme, spenta.
Godric esplose immediatamente di rabbia, gettando la bacchetta a terra, come se il più nobile dei suoi piani, delle sue intenzioni, fosse appena stato spazzato via brutalmente. «Non lei!» gridò, rabbioso. La Corvonero piangeva, lasciando sfogare quelle emozioni che mai manifestava, stringendo a sé il corpo ormai privo di ogni vita di Helga. Salazar la fissava con occhi vuoti, le labbra dischiuse, il braccio ancora alzato.
Non lei.
Nessuno si aspettava che sarebbe perita lei.
Il Serpeverde scomparve in un gesto rapido di bacchetta, Godric prese a pugni tutto quello che trovava, Rowena non si rialzò né arrestò il pianto.
Quel giorno qualcosa si ruppe, in tutti e quattro: la vita, l’amicizia, la speranza, l’amore.
Quel giorno, morirono tutti e quattro.
Ed una fitta pioggia cominciò a cadere.
  
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