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Autore: Najara    03/01/2017    1 recensioni
“Sono uscita a guardare le stelle e ti ho vista qua, sola a fissare le torce…”
“Guardavo le ombre, non le torce.”
“Sarebbe come dire che si guarda il cielo per fissare lo spazio tra le stelle e non le stelle.”
“Perché?”
“Perché le ombre sono solo ombre… un riflesso vuoto di ciò che invece è vero e vivo.”
“Non è vero.”
Storia scritta per il contest: "Fantastic Beasts-Non siamo solo mostri" indetto da onlyfanfiction e ripreso dal giudice sostitutivo Haykaleen.
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il mondo delle ombre

 

L’ombra si muoveva veloce, elegante, potente. A destra, poi a sinistra, per un attimo sembrava voler fuggire via, ma poi tornava di corsa ai piedi della sua padrona. Bianca era ferma in mezzo allo spiazzo del castello e osservava le pietre sulle quali il sole tardo del pomeriggio allungava le ombre. Era attenta a rimanere in disparte, a non farsi notare, ma lo scontro al centro del piazzale aveva assorbito tutta la sua concentrazione. Il rumore delle due naginata che si scontravano arrivava sommesso alle sue orecchie così come le indicazioni urlate dal maestro d’armi o gli ansimi dei due contendenti. Il mondo delle ombre, che era l’unico ad esercitare un certo fascino su di lei, era silenzioso eppure era a quello che lei tendeva le orecchie, pronta a percepirne il più tenue bisbiglio.

Due ombre profondamente diverse si stavano scontrando, la prima era esile ed elegante, ma dai bordi netti, pieni di sicurezza e convinzione, la seconda era grande e pesante, ancorata al terreno dall’arroganza e dalla potenza. Le naginate che i due contendenti stringevano erano uguali e le loro ombre erano taglienti e dure quanto quelle di acciaio e legno.

L’ombra del guerriero, Bianca, la conosceva da tempo, era cresciuta temendola, facendo attenzione che non cadesse su di lei, consapevole che attirarne lo sguardo avrebbe comportato guai, la seconda invece era nuova. La ragazza che la portava era giunta da uno dei castelli del Nord, inviata dai genitori affinché terminasse il suo addestramento ed entrasse ufficialmente nel corpo delle Guardie.

“Attenta!” L’urlo penetrò nella sua mente, quando ormai era troppo tardi. Il pesante corpo del guerriero le cadde rovinosamente addosso schiacciandola a terra. L’aria le uscì con violenza dai polmoni mentre impattava contro il suolo di dure lastre di pietra del castello.

“Maledizione! Cosa ci fai in mezzo ai piedi?!” Gheorghe non era un uomo paziente e malgrado avesse la sua stessa età l’aveva sempre sovrastata di almeno venti centimetri e l’aveva scelta come vittima dei suoi motteggi e della sua ira, fin dalla più tenera età. Il giovane si alzò in piedi, era il figlio del comandante delle Guardie e presto sarebbe stato nominato capitano di un manipolo, malgrado avesse solo vent’anni. La sua ombra, allungata dagli ultimi raggi del sole si accanì su di lei trattenendola al suolo mentre il padrone la osservava con rabbia dall’alto.

Gheorghe, saresti stato battuto lo stesso, non è certo colpa di questa ragazza.” La nuova venuta si avvicinò, sfilò l’elmo e le tese la mano guantata, un sorriso tra il divertito e il curioso sulle labbra. “Non siamo state presentate, eppure sono arrivata da una settimana e credevo di aver conosciuto tutti gli appartenenti alla Guardia.”

Bianca osservò le sue dita tese, l’ombra di Gheorghe cadeva ancora su di lei, ma sembrava che quella della giovane la spingesse via, insinuandosi tra lei e il giovane.

“Non ti lasciare ingannare dall’uniforme, non è una Guardia e non lo sarà mai, non regge una naginata.” Il tono provocatorio e derisorio di Gheorghe la ferì come la feriva ogni volta. La sua incapacità di battersi con una naginata le aveva precluso l’entrata nelle Guardie malgrado lei ne facesse parte di diritto. Era in una situazione di limbo, non poteva essere cacciata, essendo stati i suoi genitori Guardie ed essendo morti nel proteggere il Duca in un imboscata, ma non poteva neppure entravi a pieno titolo: assumere un Nome e difendere il suo signore e i suoi compagni.

Ignorando la mano della giovane ancora tesa si alzò in piedi, sfilandosi dalla tirannia dell’ombra di Gheorghe.

“Io sono Ileana dy Solea.” Disse la giovane ignorando le parole del guerriero.

“Bianca.” Mormorò allora lei, conscia della vergogna di non poter aggiungere un Nome nell’antica lingua malgrado la sua età.

“Bianca l’Inetta.” Aggiunse Gheorghe con un sogghigno per poi piegarsi e recuperare da terra un oggetto. Bianca impietrì quando comprese che quella tra le mani del giovane era la sua pergamena. “Che non si separa mai da questa pergamena…” L’uomo agitò il foglio attentamente piegato davanti ai suoi occhi.

“Dammela.” La voce le uscì esile e supplicante e la fece arrossire di vergogna.

“Andiamo, Gheorghe, non fare il bambino.” Ileana afferrò la pergamena e gliela tese. L’uomo fece una smorfia poi si voltò e se ne andò. “Non ci badare, gli brucia essere stato sonoramente battuto dalla nuova arrivata.” Ileane gli fece l’occhiolino e lei, suo malgrado, sorrise stringendo al petto la pergamena. “C’è qualcosa di strano in te…” Bianca rabbrividì a quelle parole e notò lo sguardo della giovane scendere verso il suolo, come se il suo inconscio le suggerisse esattamente dove guardare per trovare il problema: la sua ombra appariva piccola, sfuocata e informe, ben diversa da quella netta e piena di vita di Ileana.

“Non…” Balbettò e la giovane rialzò gli occhi sorridendo.

“La tua pelle e candida come la neve dei ghiacciai vicino a casa mia, ma qua tutti sono abbronzati dal sole.” Sfilò un guanto e mostrò la mano ambrata. “A me è bastato il viaggio verso queste vostre terre soleggiate!”

“Oh…”

“I tuoi capelli poi, sono i più corvini che io abbia mai visto: sei bellissima. Le dame del Nord ucciderebbero per assomigliarti.”

La donna rise nel vederla arrossire e lei non seppe cosa risponderle, era, forse, la prima volta che qualcuno le faceva un complimento o più semplicemente che qualcuno le parlasse senza l’intenzione di canzonarla.

“Mi hanno sempre detto che il sole non mi ama…” Ileana scoppiò a ridere, poi con un gesto aggraziato alzò l’arma puntando la lama verso il sole.

“Sarebbe sciocco da parte sua.” Sorrise ancora, ma Bianca era distratta, l’ombra della donna e quella della naginata si erano fuse nel gesto che la donna aveva compiuto. Una cosa che non aveva mai visto succedere, lei percepiva sempre dettagliatamente le diverse ombre, anche quando erano sovrapposte.

“Ileana, vieni o devo aspettarti fino a domani mattina?” Nella voce di Gheorghe vi era un netto tono di fastidio. Bianca gettò un’occhiata al giovane guerriero leggendo le sfumature nella sua ombra, un solo sguardo e comprese che era geloso.

“Vado a dargli un’altra lezione… ci vediamo per cena?” La donna non aspettò una risposta, ma con un sorriso si voltò e tornò al centro dello spiazzo. Bianca capiva perché il suo Nome fosse Solea, quando la ragazza sorrideva sembrava illuminare il giorno.

 

***

 

“L’hai quasi persa!” Il sibilo arrabbiato la fece voltare sorpresa.

“Odio quando arrivi di soppiatto.” Disse al coboldo che prese forma fuoriuscendo dal muro del castello accanto al quale era appoggiata, nascosta nelle ombre sempre più lunghe della notte. Il castello era sempre stato un luogo accogliente per lei, le sue ombre erano pronte a nasconderla e a proteggerla. Cornel, il coboldo che ne era padrone e servo era l’unico amico che avesse, malgrado passasse il suo tempo a rimproverarla.

“Quella pergamena mi è costata ogni goccia di magia che ancora avevo! Sarebbe opportuno che tu non la perdessi!” Bianca sfilò dalla tasca dell’uniforme rossa della Guardie l’oggetto della furia del coboldo, all’interno vi era il segreto della sua ombra finta.

“Ha a che vedere con il fatto che sono così pallida?” La domanda sembrò lasciare il coboldo senza parole. “Come posso essere nata senza ombra e senza colore?”

“Hai i capelli nerissimi, più neri dell’ombra più scura, non ti basta come colore?” Rispose infine il coboldo voltandosi mentre si metteva a raccogliere alcuni steli d’erba cresciuti tra le lastre del castello.

Cornel…” Si interruppe, aveva posto decine di domande al coboldo: perché sono nata senza ombra? Perché posso leggere le ombre? Perché sono diversa? Perché nessuno mi ama? Eppure lui non aveva mai risposto, preferiva guardarla male e sparire. “Come ti sembra la nuova arrivata?” Cambiò discorso, non voleva che se ne andasse.

“Ileana dy Solea.” Mormorò l’essere voltandosi verso di lei, le mani che intrecciavano i fili d’erba.

“Sì, lei.”

Mmm...” Mormorò lui aggrottando la fronte. Bianca sospirò, era raro che le rispondesse qualcosa di preciso. “Stai lontana da lei.” La frase uscì dalle labbra del coboldo, colpendola. Non si era aspettata una simile presa di posizione.

“Perché?” Sbottò, sorpresa.

“Perché? Perché chiedi se poi non accetti le mie parole? Bambini, bambini che giocano con il fuoco. Credono di sapere tutto, di saper fare tutto, ma sono solo degli idioti, idioti, sì. Rimani nascosta, rimani al sicuro nel castello e non perdere la pergamena, questo è tutto quello che devi sapere.” Cantilenò lanciandole un lungo sguardo ammonitore. Era un ometto alto appena mezzo metro, dal viso rugoso e dalla pelle dal colore delle pietre del castello. Due occhi verdi che raramente si fissavano e le mani sempre occupate in qualche attività. Nessuno al castello lo aveva mai visto, almeno per quello che ne sapeva Bianca, ma a lei si mostrava fin da quando la sua memoria ricordava.

È stata gentile con me, oggi.”

“Gentile? Gentile…” Mormorò il coboldo scuotendo la testa. “Gheorghe, la vuole, non è bene che lei sia gentile con te. Non bene. Stalle lontana.” Con quelle parole scivolò tra le ombre e scomparì. Bianca sospirò alzando gli occhi verso il cortile, osservando le ombre baluginati create dalle torce.

“Sei qui.” Sobbalzò per la seconda volta quella sera. “Non sei venuta a cena.” Ileana aveva una mela in mano e ora le diede un morso.

“Come hai fatto a vedermi?” Sbottò sorpresa Bianca, nessuno la vedeva tra le ombre, per essere l’unico essere umano a non possederne una, riusciva a mescolarsi a meraviglia tra di esse, come se vi appartenesse.

“Sono uscita a guardare le stelle e ti ho vista qua, sola a fissare le torce…” Ileana si strinse nelle spalle.

“Guardavo le ombre, non le torce.” La corresse lei e Ileana piegò la testa incuriosita.

Sarebbe come dire che si guarda il cielo per fissare lo spazio tra le stelle e non le stelle.”

“Perché?” A quella domanda seria, Ileana che aveva parlato con ironia, corrugò la fronte.

“Perché le ombre sono solo ombre… un riflesso vuoto di ciò che invece è vero e vivo.”

“Non è vero.” Bianca temette che la donna si offendesse per quella risposta netta che le era sfuggita dalle labbra.

“Spiegami.” Disse invece la giovane, un brillio tra l’interessato e il divertito negli occhi.

“Guarda l’ombra delle torri, appare schiacciata a terra dalla luce delle stelle e della luna, ma anche ora che è così fievole, l’assalitore più coraggioso rabbrividirebbe nel sentirla scivolare su di sé, perché ne percepirebbe la forza e coglierebbe in essa la maestosità della difesa che deve affrontare.”

“Interessante…” Ileana osservava il cortile e le sue ombre con occhi nuovi e Bianca si sorprese nel provare un senso di felicità: era la prima volta che qualcuno la ascoltava.

“Il fuoco: caccia le ombre, ma allo stesso tempo le crea, veloce e mutevole, nessuno ne rimarrebbe ammaliato se smettesse di osservare le fiamme e guardasse invece alla sua pericolosità. Le armi: perfette e affilate, sono solo metallo e ferro, ma nelle mani giuste sono letali.” Mentre parlava indicò prima le fiamme delle torce e poi la naginata che Ilena aveva appoggiato al muro accanto a sé. “Prendila e osserva come la sua ombra cambia.” La ragazza obbedì e l’ombra si allungò diventando un tutt’uno con la sua ombra, improvvisamente letale. “Lo vedi?” Chiese Bianca, affascinata, come la prima volta, da quella visione unica.

“Io… credo di sì…” Ileana la fissava ora, i suoi occhi erano tesi nell’osservare l’ombra tenue che lei lasciava sul muro del castello. “La tua ombra invece? Cosa mi dici di lei?” Bianca scosse la testa accennando qualche passo verso il castello, come a voler scappare, la mano che correva a posarsi sulla pergamena che conteneva l’incantesimo.

“La mia ombra non ha nulla di speciale.”

“Eppure appartiene ad una persona speciale…” Ileana le si avvicinò, la naginata ruotò nel suo pugno mentre lei piegava il braccio nascondendo l’arma dietro alla schiena, un gesto che richiedeva addestramento, abilità e coraggio, eppure la donna sembrava farlo per gioco. Bianca fece un passo indietro ritrovandosi a toccare il muro con la schiena. “Chi sei Bianca? Perché sei così diversa da tutti gli altri?” Le mormorò. Aveva appoggiato la mano al muro e ora le sorrideva. I loro corpi erano troppo vicini, ma non era solo quello, l’ombra della giovane la avvolgeva in un abbraccio curioso eppure incompleto, come se cercasse una comunione che la sua ombra finta non sapeva dare.

“Io non sono nessuno.” Mormorò e Ileana sbatté le palpebre come se fosse sorpresa lei stessa dai suoi gesti. La sua ombra si ritrasse insoddisfatta e così la donna. Prima che dicesse qualcos’altro Bianca fuggì via, confondendosi in fretta tra le ombre più fitte del castello.

Il cuore le batteva rapido nel petto, non aveva mai provato nulla del genere, era spaventata e allo stesso tempo elettrizzata. Corse fino alla sua stanza e vi si chiuse dentro, un ampio sorriso che lottava per uscire sulle sue labbra. Ileana dy Solea: quel nome riempiva la sua mente.

Si sedette sul letto e notò sul cuscino un braccialetto d’erba intrecciata, riconosceva l’opera di Cornel. Lo infilò, lasciandosi cadere sulle coperte: era forse giunto il giorno in cui qualcuno l’avrebbe amata?

Nemmeno per un istante ricordò il consiglio del coboldo.

  
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