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Autore: Maqry    05/01/2017    7 recensioni
Harry è morto, la Battaglia di Hogwarts è stata persa e Voldemort ha vinto.
Ma, nonostante sembri tutto perduto, qualcuno non vuole arrendersi.
L'Ordine c'è ancora, decimato ma determinato a combattere perché il mondo torni libero.
“Mi avete sempre escluso, fatto sentire diverso, sbagliato, inutile. Mi sono rifatto una vita normale, tra i Babbani che voi disprezzate tanto, ma che sono stati anche gli unici ad accogliermi e apprezzarmi. Ed ora tornate a rivendicare il mio cadavere. Simpatici, non c’è che dire. Io nemmeno le conosco, queste famiglie magiche, Weatherby, Loongood o come diamine si chiamano! Non si sono mai presentate a un Magonò come me. Né tanto meno so dove ti nascondi tu, né cosa fai con i tuoi amichetti: certe cose a me nessuno verrebbe a raccontarle! E poi, dannazione Dedalus, siete maghi! Fate una delle vostre magie, muovete quei bastoncini di legno e affrontate questo Mago Oscuro! Usate di nuovo quel Potter, ma non venite da me!”
{La storia fa parte della serie "Cosa tiene accese le stelle"}
[Terza classificata al contest “Questo contest… lo scrivete voi! Lettera a Babbo Natale edition” indetto da katniss_jackson e giudicato da ElettraC sul forum di EFP]
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dedalus Lux, Nuovo personaggio, Ordine della Fenice
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VII libro alternativo
- Questa storia fa parte della serie 'Cosa tiene accese le stelle'
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La storia fa parte della serie Cosa tiene accese le stelle (di cui rappresenta la seconda parte), ambientata in un universo in cui Harry è morto durante la battaglia di Hogwarts, ucciso da Bellatrix. Quando la Mangiamorte sta combattendo contro Ginny, Harry è nei paraggi e cerca di darle una mano, fino a quando non interviene Molly e la uccide. Beh, e se invece fosse intervenuto lui, avendo visto che aveva colpito Ginny? Bellatrix non aveva certo la bacchetta di Sambuco e non poteva essere salvato come accade invece nel vero scontro con Voldemort.
 


 
 

L’ultima manciata di terra

 


 
 


9 maggio 1998


Maggio, a Ottery St. Catchpole, non era mai stato un mese particolarmente ragguardevole. Era un ordinario mese inglese, né troppo caldo né troppo freddo, uggioso come imponeva la tradizione e mediamente nuvoloso. Non vantava certo sole abbagliante trentun giorni su trentuno, cielo limpido e di un turchese quasi compatto, senza nemmeno una nube solitaria, e temperature sopra i tredici gradi. Eppure, quell’anno, faceva troppo freddo anche per il consueto maggio della campagna inglese. Pioveva, addirittura, troppo. L’Otter, vicino al vecchio mulino, sarebbe straripato a breve, lo sapevano tutti. Gli argini non avrebbero mai retto il colpo se quell’imperterrito diluvio che li inzuppava da settimane non avesse dato loro un po’ di tregua. Aveva superato i limiti del sopportabile anche per essere in Inghilterra: non si vedeva un acquazzone simile dal Diluvio Universale, come minimo.
Isaac Waters scosse la testa, riparandosi meglio sotto l’ombrello mezzo rattoppato, cercando di evitare le pozzanghere saltellando. Come se non bastasse, era da una settimana che non vinceva una partita a carte. Gli altri avevano iniziato a fare battute sul declino della sua buona stella: da quando avevano inaugurato quella tradizione – ancora giovani e aitanti – trovandosi una volta a settimana al vecchio pub del villaggio (ora che erano tutti in pensione il ritrovo era divenuto quotidiano), non era passata giornata senza che vincesse almeno una partita. E ora, invece, non pescava una carta che fosse una quantomeno passabile.
Una macchina sfrecciò a tutta velocità accanto a lui.
“Damn!” imprecò, sollevando l’orlo dei pantaloni per constatare il disastro causato da quel pirata della strada che aveva pensato bene di schizzare fango ovunque. Svoltò l’angolo borbottando tra i denti accalorate invettive indirizzate a quei teppisti con in mano macchine più grandi di casa loro. Continuando ad imprecare tra sé e sé, infilò la mano nella tasca del cappotto – quello pesante – rovistando tra tappi di birre, carte di caramella, scontrini accartocciati e liste della spesa sgualcite. Ne estrasse, non senza una certa nota di disappunto, le chiavi che avevano avuto la brillante trovata di infilarsi in un buchetto sul fondo della tasca. Doveva decidersi ad apprendere almeno le basi del cucito, ora che Audrey non c’era più. Alzò gli occhi, mentre armeggiava con la serratura, notando con attonito stupore che la luce del salotto era accesa. Va bene il tempo, va bene non riuscire a vincere una partita che sia una, ma dimenticarsi di spegnere la luce mi sembra un po’ troppo, pensò aprendo il cancello ed avviandosi verso la porta d’ingresso.
 
Nel frattempo Dedalus Diggle stava girovagando irrequieto per la casa del cugino, guardando alternativamente la finestra che dava sul vialetto d’entrata, l’orologio a pendolo dei nonni Bennett, e le fotografie – mestamente immobili – sparse per la casa. Era diventata decisamente monotona dopo la morte della zia vent’anni prima, decisamente poco simile alla casa allegra e confusionaria che aveva conosciuto durante le vacanze estive, passate ogni anno nella campagna del Devon. “Ti farà bene trascorrere un po’ di tempo dagli zii. L’aria di Londra non è salutare per i bambini!” ripeteva ogni anno sua madre mentre, la valigia in una mano e nell’altra la Metropolvere, si preparavano per andare dalla sorella.
Erano secoli che non passava a trovare Isaac: da quando era morta Audrey un paio d’anni prima, per l’esattezza. Se non aveva cambiato abitudini in quegli anni, sarebbe arrivato a momenti. Tra le missioni per l’Ordine, i Dursley, Voldemort al Ministero, la Battaglia di Hogwarts… non aveva certo avuto tempo anche per Isaac, purtroppo. Ma lui era stato al sicuro, fino a quel momento, più o meno. D’accordo, più meno che più, ma in fondo era lì per questo, no?
“Dedalus?”
Il mago si voltò di colpo, rovesciando un vaso di rose finte che rimise goffamente a posto con un colpo di bacchetta. Alzò lo sguardo verso il cugino, che lo fissava immobile, gli occhi spalancati e un’espressione ebete sul volto. Sempre quell’aria sorpresa davanti a un incantesimo, sbuffò tra sé e sé, come se non ne avesse mai visti fare da zia Rowena! Chissà che faccia avrebbe fatto, allora, davanti ai Nargilli di cui favoleggiava Xenophilus Lovegood.
“Felicissimo di rivederti, Isaac!” trillò invece, cercando di mostrarsi meno preoccupato di quanto non fosse in realtà, saltellando verso l’uomo che lo fissava ancora attonito e stingendogli vigorosamente la mano, mentre lo trascinava verso il salotto illuminato dove li aspettava il the. Molly ripeteva sempre che davanti a una bella tazza fumante era tutto più semplice, e lui aveva deciso di fidarsi. Insomma, come si faceva a dare una notizia simile, in un momento simile per giunta? Il the era stata l’unica idea sensata che gli era balzata alla mente, sia lode a Molly e ai suoi consigli!
Un sospiro affranto sfuggì dalle sue labbra, rischiando di tradire la sua recita, mentre lo faceva accomodare al tavolino già apparecchiato con il primo servizio che aveva trovato. Gli venne il sospetto che fosse il preferito di Audrey, quello da collezione in porcellana cinese. Babbanate1, Audrey avrebbe certamente compreso: aveva cose più importanti da fare, ora. Come ad esempio mostrarsi allegro e rassicurante. Rassicurante… certo, come no. Per esserlo avrebbe dovuto come minimo averne prima lui, di certezze. Non era proprio portato per quel compito, convenne: dare brutte notizie non faceva per lui, fingersi tranquillo e calmo ancor meno.
Da parte sua Isaac aveva già smascherato il cugino, non che ci volesse molto, dopotutto: come attore non era mai stato particolarmente dotato, se la cavava decisamente meglio con le stelle cadenti2. Una tazza di the alle sette di sera poteva venire in mente solo a Ded – e ad Audrey, ma lei era chiaramente affetta da dipendenza da teina come ogni buona donna inglese che si rispetti – o meglio, a un Ded agitato, per amor di precisione. Così decise di calare il sipario su quel teatrino abbastanza patetico, proprio mentre Dedalus si stava appoggiando sulla sedia che lui stesso aveva intagliato.
“Sputa il rospo, Ded. Cosa è successo?”
L’ometto saltò per la sorpresa – o per lo spavento? –  strabuzzando lui, questa volta, gli occhi e iniziando a torturarsi le mani come quando, da piccolo, veniva colto con le dita sporche di marmellata. Per le mutande di Merlino, era proprio un pessimo bugiardo! Si dondolò ancora per qualche attimo sulla sedia, rischiando di rovinare a terra, cercando il modo migliore con cui sganciare la bomba facendo meno feriti possibili. Tutte le volte che si era immaginato la scena nella sua testa non doveva assolutamente andare così. Poi decise che, come ripeteva ogni volta la vedova O’Byrne, in guerra non aveva senso indorare la pillola, tanto valeva arrivare subito al nocciolo della questione. E così, senza troppi convenevoli, esordì: “Devi andartene da qui.”
“Prego?” chiese Isaac, sputacchiando un po’ del the che aveva avuto la creanza di bere. Mai rifiutare una tazza che ti viene offerta, ripeteva Audrey ogni volta, quasi fosse stato l’undicesimo comandamento.
“Devi lasciare casa tua, e al più presto. Ho già trovato una nuova sistemazione: resterai comunque ad Ottery St. Catchpole, ma quantomeno con dei maghi e sotto la protezione del Fidelius. Rimanere qui è troppo pericoloso: ti verranno a prendere, poco ma sicuro!” sciorinò Dedalus tutto d’un fiato, torturando il suo amato cilindro che teneva tra le mani.
“Rallenta, Ded, non ho capito nulla. Perché mai dovrei andarmene, con dei maghi per di più? E cosa diavolo sarebbe il fedele? Un’altra delle vostre strane sette di cui fai parte?”
Dedalus trasse un bel respiro e cercò di spiegare tutto per bene e con calma, sebbene avesse smesso da tempo di sperare di possedere quel dono.
“Ricordi quel Mago Oscuro di cui ti parlai anni fa, Tu-Sai-Chi?”
“Certo, l’Innominabile. Ma non era morto anni fa grazie a quel bambino di cui parlavi sempre, come si chiamava? Putter… Potted…”
“Potter, Harry Potter,” singhiozzò tristemente il mago, soffiandosi rumorosamente il naso nel tovagliolo ricamato a mano dalla madre di Audrey per il corredo da sposa della figlia.
“Non era morto, aveva solo perso i suoi poteri. Tre anni fa è riuscito a tornare, più forte e determinato di prima. Dopo la morte di Albus Silente l’anno scorso, si è impadronito di tutto il Mondo Magico, seminando di nuovo il terrore per tutta l’isola.”
“Vuoi dire che gli omicidi, i ponti crollati sono ancora una volta colpa sua?” chiese l’uomo, passandosi sconvolto una mano tra la barba grigia.
“Esattamente. Ha preso il Ministero, Hogwarts, sebbene indirettamente, con l’ausilio dei suoi Mangiamorte. Fino a una settimana fa, quando ha attaccato Hogwarts e si è rivelato a tutti. Ora il Mondo Magico è definitivamente in mano sua.”
“E, di grazia, io cosa avrei a che fare con tutto ciò? Non sono un mago, non so nemmeno chi lui sia…” domandò titubante Isaac, giochicchiando compulsivamente con un cucchiaino, terrorizzato e confuso al tempo stesso.
“Tu-Sai-Chi e i Mangiamorte hanno iniziato a ripulire il Regno Unito dai Nati Babbani. Li braccano e, nel migliore dei casi, li uccidono. Altrimenti sono condannati, quasi senza processo, ad Azkaban e al Bacio dei Dissennatori.”
A quel nome Isaac rabbrividì, ricordando i racconti della madre quando era ancora piccolo e sperava fosse come lei e papà, Dedalus, gli zii. Solo un po’ in ritardo sulla tabella di marcia, come ripeteva costantemente in quei primi undici anni per rassicuralo e soprattutto rassicurarsi.
“E poi sarà il turno dei Maghinò, non è vero? Feccia delle famiglie Purosangue quasi più che i Nati Babbani,” continuò al posto di Dedalus, sprofondando nella sedia d’improvviso più vecchio e stanco. Il mago annuì piano, muovendo tristemente il capo.
“È quello che temiamo. Per di più vivi nello stesso villaggio di famiglie magiche notoriamente oppositrici del regime di Voldemort, e sei mio cugino. Hanno incendiato casa mia, tempo fa, non escluderei che vengano a prenderti per avere informazioni su dove ci nascondiamo.”
“Cosa?” questo era davvero troppo anche per un uomo solitamente calmo e posato come Isaac Waters.
“Mi avete sempre escluso, fatto sentire diverso, sbagliato, inutile. Mi sono rifatto una vita normale, tra i Babbani che voi disprezzate tanto, ma che sono stati anche gli unici ad accogliermi. Ed ora tornate a rivendicare il mio cadavere. Simpatici, non c’è che dire.”
Si fermò per riprendere fiato, poi continuò sempre più alterato, sputando fuori tutto il rancore covato per anni e anni: “Io nemmeno le conosco, queste famiglie magiche, Weatherby, Loongood o come diamine si chiamano! Non si sono mai presentate a un Magonò come me. Né tanto meno so dove ti nascondi tu, né cosa fai con i tuoi amichetti: certe cose a me nessuno verrebbe a raccontarle. E poi, dannazione Dedalus, siete maghi! Fate una delle vostre magie, muovete quei bastoncini di legno e affrontate questo Mago Oscuro. Usate di nuovo quel Potter, ma non venite da me!”
“Hai perfettamente ragione. Ma devi capire che anche loro sanno usare quei bastoncini di legno. È questo il problema: quello che noi possiamo fare contro di loro sono perfettamente in grado di ritornarcelo. Ci hanno massacrati, pochi giorni fa, ad Hogwarts,” iniziò a spiegare paziente Dedalus. “Sono morte decine e decine di studenti, ragazzini che non avevano ancora diciassette anni, sono morti padri, madri, perché il mondo fosse migliore. Harry Potter è morto, e con lui la nostra migliore speranza per vincere. La Comunità Magica è in ginocchio. Stiamo cercando di rialzarci, riorganizzare la Resistenza, salvare più persone possibili e riparare i nostri errori. So di arrivare in ritardo, e che le mie scuse ora sono inutili, ma forse questa sarà l’occasione per aggiustare le cose tra noi. Andrai alla Tana, poco fuori dal paese, dove stiamo nascondendo tutti i Nati Babbani, per lo più bambini rimasti senza famiglia. Potrai dare una mano a Molly con le riparazioni e i lavoretti. Tra non molto Tu-Sai-Chi arriverà anche alla tua porta, Isaac. Questa è davvero l’unica soluzione…”
 


Un paio di giorni dopo, per qualche miracolo divino, o solo per pietà di tutti quei maghi raccolti sulle colline di Ottery St. Catchpole, il diluvio concesse una tregua di qualche ora.
Sotto le fronde dell’albero di Prugne Dirigibili – unico resto di casa Lovegood dopo il passaggio dei Mangiamorte – una ad una tutte le bare dei caduti della Battaglia di Hogwarts scivolarono nel nulla.
Quando anche l’ultima sparì, inghiottita dalle viscere della terra e dal fango, Hermione Granger e Ronald Weasley si avvicinarono sostenendosi a vicenda e lasciarono cadere sulla bara le prime due manciate di terriccio, inzuppato dalle loro lacrime e dal sangue versato da tutte le vittime della notte della Battaglia. Pian piano tutti i maghi presenti seguirono i due ragazzi, lasciando il loro ultimo saluto al Bambino Che Era Sopravvissuto, seppellendo con lui ogni speranza passata e andandosene, con la disperazione e la determinazione dei sopravvissuti, verso il futuro incerto.
L’ultima manciata di terra a cadere fu quella di Isaac Waters.
 
 

 

 







NdA

Eccomi di nuovo qui, con un’altra storia appartenete alla serie Cosa tiene accese le stelle. La storia partecipa al contest “Questo contest… lo scrivete voi! Lettera a Babbo Natale edition” indetto da katniss_jackson sul forum di EFP. 
Avevo un piccolo appunto sulla storia (prima che vi perdiate nelle mie interminabili note). Escludo che, dopo le parole di Dedalus, Isaac abbia deciso di seguirlo. Nella mia testa hanno discusso a lungo, e solo dopo molte parole, recriminazioni ha deciso di seguirlo. Ma dovevo stare nelle tre pagine (aiuto!), perciò tant’è.
Isaac Waters è un mio OC. Rowena (sua madre) e Helga (la madre di Dedalus) Bennett, sono sorelle ed entrambe streghe Purosangue. La prima ha sposato un altro mago, Waters, trasferendosi nel Devon a Ottery St. Catchpole, la seconda Diggle appunto (perdonatemi, ma uso i nomi della nuova traduzione, per cui la maggior parte sono gli originali inglesi; nel caso la traduzione italiana è Lux). So bene che nel Calice di Fuoco il signor Diggory dice che oltre a loro, i Weasley e i Lovegood, non ci sono altre famiglie magiche. Ma appunto, è rimasto solamente Isaac che è un Magonò di cui probabilmente si sono anche dimenticati. In fondo si dice che Ottery St. Catchpole sia un villaggio comunemente noto al Mondo Magico perché vi hanno vissuto diversi maghi. Perciò dovrei rientrare nel canon. Nel caso prendetela allora come una licenza che mi sono presa per far quadrare un paio di cosette.
Altro mio OC è Melissa Doherty, la vedova O’Byrne (che chi ha già letto le altre storie della serie, che ho scritto prima ma cronologicamente vengono dopo – sì lo so, sono un disastro – già conosce), Medimaga irlandese a capo dell’infermeria della Resistenza dell’Ordine e dell’ES.
Quanto al titolo, l'ultima manciata di terra è sì quella che Isaac lascia sulla tomba di Harry, ma è anche come lui si è sempre sentito: l'ultima ruota del carro, l'ultimo degli ultimi, dimenticato da tutto e tutti. Ho pensato fosse carino unire le due cose, può darsi che, invece, faccia schifo a voi, ma io e i titoli siamo in perenne lotta. 
 
Ed io ho finito, grazie di essere arrivati fin qui a leggere e per avermi sopportata.
A presto,
Maqry.
 


[1] Libertà che mi sono presa. Semplicemente ho ipotizzato che le babbane baggianate possano diventare babbanate per i maghi (modo colto per motivare il fatto che io lo dica, ma come si suole dire: babbanate).
[2] Spassionato riferimento al primo capitolo della Pietra Filosofale, quando i giornali babbani riportano di una pioggia di stelle cadenti nel Kent (dove Dedalus vive, avrà pur cambiato casa da adulto) e si scopre poi dal discorso tra la McGonagall e Silente che erano opera sua.
 
   
 
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