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Autore: Mikirise    05/01/2017    2 recensioni
"Dove stiamo andando?"
"A cercare Tony."
"E dove sta, Tony?"
"Non lo so."
"E allora dove stiamo andando?"
"Non lo so."
In cui Tony sembra scomparire (uhm), Peter parla sempre a sproposito, Steve entra nel panico e ci sono flashback a caso. Più o meno.
Genere: Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Peter Parker/Spider-Man, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Parte III



“Toc toc.” Tony era entrato nella camera buia, lasciando entrare un po' di luce sul letto di Peter, che stava sdraiato, sveglio, fissando il soffitto. “Posso entrare?”

Il ragazzino si era tirato a sedere, portando le ginocchia al petto, con un sorriso sereno. Almeno in quel momento c'era qualcuno a distrarlo. Odia dover stare da solo. Fa abbastanza schifo. E sa di non poter pensare ad avere tutti i giorni un pigiama party per tenere la mente occupata. Quindi le cose migliori sono le intrusioni di Steve o Tony in camera, per vedere se sta bene, se ha bisogno di qualcosa. Di solito la risposta è no, eh, ma poi puoi iniziare a parlare di quello che vuoi e loro non ti bloccano. Va così. È bello così. Comunque Tony era entrato. Fa domande di cui non gli importa la risposta. Steve lo trova irritante. Peter no.

“Hai ancora tutta quelle cianfrusaglie, vedo” continua, indicando pezzi di cavi e vecchi computer che Peter aveva trovato nel mercatino dell'usato -bah, chi prende in giro? Li ha pescati dalla spazzatura. Okay. Ma adesso funzionano. Ci si è messo a lavorare su e adesso possono non essere alla stessa altezza della Apple o della tecnologia Stark, ma funzionano. “Hai pensato al progetto per la Fiera della Scienza?”

“Ah, uhm, sì. Stavo pensando a… Bruce ha detto che mi può aiutare se voglio, ma io ero tipo no, queste cose le posso fare anche da solo. E poi altrimenti vi distraete dal progetto in laboratorio ed è troppo importante per essere messo da parte per il mio, di progetto. Ci state lavorando vero? No, comunque pensavo, stavo guardando i ragni, no?, e i ragni hanno questa cosa di… tessere. Tessere è forte. Anche la storia dei ragni è forte e io ho pensato, bah, ma se riuscissi a creare una tela di ragno abbastanza resistente per l'uomo? Nel senso, okay, non ho ancora bene in mente il perché di questo, sappilo, ma sarebbe perfetto per l'usa e getta. Da piccolo -più piccolo, volevo un'amaca, ma non potevo avere un'amaca, okay? Ma con questo tessuto potrei crearne una per un po' e attaccarla da una parete all'altra. Sarebbe perfetto per i pompieri, anche, perché potrebbero salvare la gente che vuole buttarsi dai grattacieli senza il problema di portarsi il peso di un materassino o cose così. In più, la tela di una ragnatela sarebbe perfettamente e-co-sos-teni-bile, non sai quante volte ho dovuto ripetere la parola per dirla così, per la presentazione alla Fiera la ripeto un po' di più, così non avrò problemi. Vabbe. La cosa è che le ragnatele si consumano in poco tempo, al contrario della plastica. Quello che sto cercando di fare è trovare la via di mezzo tra la ragnatela naturale e la plastica. Così non dovremmo più usare il petrolio e tutte queste cose sull'inquinamento sarebbero… beh, sarebbe l'inizio di una nuova era. No?”

“Non so se effettivamente puoi salvare una persona che cade da un grattacielo con un telo, Peter, ma mi piace il tuo entusiasmo.” Gli spettina i capelli e si siede sul letto, accanto al ragazzino. “E mi piace l'attenzione per l'ambiente.”

“Mi è venuto in mente per la torre. Questa torre. Anche tu stai attento all'ambiente.” Mancava soltanto che iniziasse a scodinzolare. Aveva abbassato le ginocchia e aveva incrociato le gambe. “È la prima e unica torre alimentata completamente da energia pulita. Io me lo ricordo, quando l'hai accesa per la prima volta. Ho trascinato zia per la strada per guardarla accendersi e lei che si lamentava e si lamentava, ma è stato fantastico, davvero. Poi il problema è stato tornare a casa prima di zio Ben, ma è stata divertente anche quella parte, perché poi abbiamo fatto finta di cucinare roba che avevamo comprato al ristorante. E zio ha fatto finta di niente, quindi tutto bene. Doveva anche chiederle scusa perché aveva dimenticato il suo compleanno, quindi tutto bene.” Peter aveva alzato le spalle.

Tony aveva sospirato e cercato di fare quel sorriso che non doveva sembrare stanco. “Ti manca tanto tua zia, eh.” Aveva guardato in basso e si era passato una mano sul viso. “Peter, ascolta. Sto facendo in modo che voi due possiate essere al sicuro. Quando tua zia si risveglierà, quando tornerai a casa, starai bene. Tu e tua zia starete bene. Se quello che sto per fare andrà come deve andare tu non -ah, senti, ho bisogno del tuo aiuto. Perché lo sai che Steve non sa del nostro progetto, vero? È una prerogativa dei supereroi, tenere tutti al sicuro, Steve compreso. Anche se poi si arrabbierà.”

“Lo so.”

“Ecco. Io devo -sto andando via. Non per molto. Davvero. Non per tanto. Se le cose andranno bene torno tra una settimana o due. Ovviamente in queste due settimane tu devi fare in modo che Steve non entri nel panico, e magari chiarirti le idee sul progetto per la Fiera delle Scienze. Ce la fai? Perché, veramente, questo è un punto cruciale del piano. Se tu fallisci in questo, potrei fallire anch'io. Sei l'unica persona che può farlo, o che ancora non ha spifferato niente -ci credi che Pepper e Clint stavano per rivelare tutto? Quei due… lascia perdere. Peter. Me lo devi promettere.”

“Devo solo tenerlo a casa?”

“Devi proteggerlo e tenerlo qui, in un posto sicuro. Fare in modo che rimanga in un posto sicuro. E che nessuno sospetti di lui. O di te.”

Peter aveva annuito lentamente. “Va bene” aveva sussurrato. “Lo posso fare.” Aveva alzato un lato della bocca e aveva aggiunto: “Teniamo al sicuro la nostra famiglia.”

“Sì. Qualcosa del genere. Sì.” Gli aveva dato un buffetto sulla spalla. “Mi fido di te, campione.”




“Non penso che sia una buona idea” lagna Peter, iniziando a preparare il suo zaino. Lo fa lentamente, infilando il suo pigiama perfettamente piegato su se stesso. “Bruce, il dottor Banner, è sempre tanto occupato e, in questo momento, lo deve essere di più, con tutta la…” Si morde la lingua. Zitto zitto zitto. “Con l'evoluzione delle teorie dei neuroni… Cajal va alla grande… ah, no, quello è stato il secolo scorso…”

“Cajal? E chi sarebbe?”

“Un biologo che ha scoperto la forma del neurone. Con una colorazione anche figa, a dirla tutta. Io e Tony coloriamo così i cervelli delle galline che ci dai da mangia-… uhm. Questo non dovevo dirtelo.” Aggrotta le sopracciglia e torna a guardare il suo zainetto.

“Mi sembrava strano che mangiavate con così tanto piacere i cervelli di gallina ma non i fegatelli.”

“I fegatelli fanno schifo.”

“Questo non è un buon linguaggio, figliolo. E i fegatelli fanno bene alla tua salute.” Steve sospira e guarda verso la finestra e il mare. Si mordicchia l'interno delle guance. “Un giorno li mangerete.” Sorride, lanciandogli un'occhiata veloce. E scuote la testa. Ma si tiene le sue considerazioni per sé. È così che funziona, tra loro. “Mi sembra ancora strano, sai?” dice. Chiude lo zaino. “Che voi ancora crediate che io non mi renda conto di nulla.”

Peter sospira e si mordicchia l'interno delle guance. Prima non lo faceva. È una brutta abitudine che ha preso da quando vive alla torre. Più bugie più tic, a quanto pare e anche più sensi di colpa. Come se non ne avesse abbastanza. “Bruce, il dottor Banner, è molto impegnato. Non penso sappia nulla di quello che… di tutto. Tony dice sempre che si isola nel lavoro per mesi e che per questo lo vedete solo a Natale. Come potrebbe sapere più di te?”

Steve sospira e gli passa una mano sui capelli. “Prepara le tue cose, figliolo.”



Quando Steve era uscito da bagno, con i capelli bagnati e i vestiti asciutti, fuori pioveva ancora.

E lui ancora non era abituato a non stare sotto la pioggia e doversi coprire con la mano fasciata da uno straccio umido e fangoso, e ad essere grato del fatto che piova. Che non faccia poi tutto questo caldo. Semplicemente ancora non è abituato a questa nuova vita. O vecchia vita. O vita vecchia che sa di nuovo, perché stava da quell'altra parte del mondo ad aspettarlo e lui ogni tanto la vedeva, ma poi se la dimenticava perché, davvero, ci sono altre cose a cui pensare.

A come vincere la guerra, ad esempio. A non mandare tra le prime linee i ragazzi nuovi. Ad insegnare cosa vuol dire essere in guerra. Dimenticare di star uccidendo persone, che hanno da quella parte dell'oceano una casa e una famiglia e che hanno quegli occhi, quelli che ti dicevano che se non li avessi uccisi tu, loro avrebbero ucciso te… La pioggia lavava via tutto, però. Ti ripuliva di tutte quelle pesantezze che ti facevano strisciare a terra, che ti soffocavano. Ti lasciava solo il motivo per cui lottavi e tanti, davvero tanti, dopo le piogge avevano quei crolli nervosi, scoppiavano in quel pianto silenzioso e invisibile e cambiavano idea. Volevano andare via. Non vale la pena, dicevano. Non ce la faccio più. Come fai tu?

Come fai tu?

Steve ha perso le abilità delle sue mani. Bucky aveva sdrammatizzato, dicendo, ehi, almeno non sei un pianista. Okay. Brutta battuta. Non può più dipingere. Non può più disegnare. Anche questo è un colpo duro. E non aveva nemmeno acceso la luce del corridoio, uscendo dal bagno.

Avrebbe anche voluto pensare ad altro. Non vorrebbe pensare alla guerra e al non poter più creare, immerso nel buio. Ci sono cose belle che deve tenere a mente. Qualcosa. Qualsiasi cosa. Insegnare non è mai stato tanto male, ad esempio. I ragazzi hanno le bocche marce, ma hanno anche la decenza di non dimostrarlo durante le lezioni. E sono bravi ragazzi. Sam lo dice sempre, non esiste nessuno in grado di resistere al fascino di Steve Rogers. Tutti lo adorano. Steve pensa sia per il ciuffo, il ciuffo è un particolare di classe.

E lui, comunque, disegna nella sua testa. Ad esempio, in quel momento, aveva davanti un corridoio tutto buio, con la sola luce della cucina, che entrava da uno spiraglio della porta. E dietro la porta c'era Tony. Un uomo a pezzi in mezzo al nero e un altro uomo a pezzi nella luce. Sarebbe stato un gran bel dipinto, triste, ma anche bello.

Il rumore di Tony è sempre riuscito a riempire tutto l'attico. Tutti palazzi in cui Pepper lo trascina per eventi di beneficenza, a dirla tutta, per ripulire il suo nome, o qualcosa del genere. Tony è una figura piccola e ingombrante allo stesso tempo. È -era un grido così forte che a volte Steve distoglieva lo sguardo e si allontanava, perché non riusciva a calmare la sua, di rabbia, figuriamoci quella di Tony. Tony che sente di non essere abbastanza per suo padre. Tony che ha perso i suoi genitori. Tony che non riesce a capire perché Pepper lo ha lasciato, o perché non possono tornare amici. Tony che è stato rapito, ma tanto non ne parla. Tony che sta da solo nell'attico per la maggior parte del tempo. Tony che ride davanti agli altri e dice qualcosa di maleducato. Tony che si è messo in testa di non avere un cuore. Tony che riempie tutto con quelle canzoni rock ad alto volume. E poi quel Bruce. È troppo da affrontare. Steve sta con lui per poco tempo, poi c'è sempre troppo rumore. Per questo adora il suo status di non congedo. Per questo adora poter tornare a casa solo nei weekend.

Almeno, quel giorno, non c'era quella musica assordante.

Tony stava borbottando qualcosa, mentre apriva e chiudeva le portiere della credenza, e si alzava in punta di piedi, per afferrare il pane. E JARVIS, sempre poco pazientemente, gli ricordava dove aveva messo questo o quest'altro. Aveva appena finito di costruire qualcosa, probabilmente. Forse non mangiava da giorni. I passi erano pesanti. Le porte sbattevano. Tony borbottava. JARVIS rispondeva. La pioggia batteva. I sacchetti scricchiolavano. Troppo rumore.

Fuori continuava a piovere. Nella testa di Steve il quadro di un uomo indaffarato prendeva forma e i suoi capelli gocciolano ancora. Sarebbe stato un lungo fine settimana. Avrebbe voluto vedere Bucky. Ed era rimasto dietro la porta, osservando i movimenti di quello che aveva lasciato come poco più di un ragazzino.

C'era stato un discorso di Tony, che gli aveva fatto sentire i polmoni pieni di acqua e la testa troppo pesante. In piedi in mezzo ad una folla di ricchi snob, con lo champagne in mano e il sorriso che sembra sempre disgustato, diceva, frustrato, che era lui, lui si era dovuto abbassare al loro livello, cercare di parlare come loro, mangiare come loro, pensare come loro. Diceva di doversi frenare tutte le volte, rallentando per essere più umano, facendo più errori possibili per essere più umano, per fare in modo che loro non si sentissero in soggezione vicino a lui. Lui si era degradato per loro, diceva. E Steve se n'era andato subito, aveva preso un taxi, aveva fatto finta di non esserci stato durante quel discorso, perché Tony, così, gli aveva spezzato il cuore. Non riusciva a conciliare l'immagine di quel quindicenne al college, aggrappato all'ala protettrice di Rhodey, con un sorriso genuino e la voglia di cacciarsi nei guai, con quell'uomo di quasi trent'anni, con il sorriso obliquo e la pretesa di essere un dio senza cuore. Non era tornato per questo. Non poteva rimanere per questo.

Sai che Tony non è questo, aveva commentato Bruce. Poi aveva scosso la testa e sospirato, deluso. Ma chi era Bruce Banner per dargli consigli su Tony Stark? Gli dava fastidio che si permettesse di mettere bocca, di parlare. Steve conosce Tony da, praticamente, sempre. Tony gli ha dato una casa quando non ne aveva una. Tony è la sua casa. Altrimenti, perché avrebbe continuato a tornare e tornare e tornare?

(Una casa con molta rabbia, in quel momento.) (Ma sarebbe passata.) (Tony è forte.) (Steve è forte.) (In qualche modo avrebbero sconfitto la rabbia.) (Doveva solo capire come.) (Come?)

Il rumore di Tony si era fermato di colpo. E continuava a piovere. Steve aveva allungato il collo, cercandolo con lo sguardo. Era seduto sul divano, lo sguardo puntato sulla finestra e le gocce che sbattevano contro il vetro, il tostapane in mano. Nessun grido percepito.

Tony lo sapeva che Steve stava scappando da lui. Non gliene faceva nemmeno una colpa. Probabilmente anche lui voleva sfuggire da se stesso. Sarebbe stato più felice senza un cognome, senza tutti quei soldi, senza tutta quella storia che pesava sulle sue spalle. Sarebbe stato un comune meccanico con tanto amore per il suo lavoro, quello che prendono per pazzo perché alla fiera della scienza della scuola aveva fatto esplodere la palestra e aveva anche vinto una coccarda. Forse essere Tony Stark, avere accanto Tony Stark, è troppo. (Tony dovrebbe rimanere da solo.) (No.) (Cancellate quella parte.) (No.)

E ultimamente lui e Steve non parlano. Discutono soltanto, si arrabbiano, si gridano cose orribili in faccia e sprecano quel tempo che sembrava essere così prezioso quando Steve era lontano. Passano interi fine settimana senza parlarsi, sarebbe stato impensabile al college. Bucky lo aveva avvertito che Tony era stato spezzato. È rotto, non si lascia aggiustare. Non si lascia nemmeno avvicinare. Forse tu…

Stavano discutendo, forse qualche settimana prima, e Steve aveva detto: “Non sei l'unica persona in questo mondo!” Tony lo aveva guardato con quello sguardo vuoto, dopo aver lanciato un'occhiata veloce alla stanza dietro di lui. “Nel mio mondo, lo sono” aveva detto. E non doveva suonare così, forse non voleva nemmeno che lui lo sentisse, gli è scappato dalle labbra, ma Steve lo ha sentito. Come può dire una cosa del genere? Lui non è solo. Cioè, sì, Steve aveva pensato di non tornare ma… era lì. Non si parlavano da quella volta ma lui -lui era lì. Come si permetteva a non dare credito ai suoi tentativi di riportare tutto com'era prima?

(E se Tony non volesse le cose che voleva prima?) (Steve lo desiderava così tanto da non aver nemmeno fatto domande.) (Tony vuole andare avanti.) (Steve vuole tornare indietro.) (Rivuole il ragazzino del college.) (Questo è impossibile.)

Si era mosso lentamente, verso il divano, Tony e il tostapane rotto. Non voleva un'altra lite. Non voleva nemmeno parlare. La pioggia stava cercando di ripulire Tony e Tony si stava facendo lavare. E anche Steve ne aveva bisogno.

Si era seduto sul divano, accanto a lui, che non lo aveva degnato di altro se non di uno sguardo veloce. Il giorno prima aveva avuto un altro dei suoi party di beneficenza, Pepper aveva detto che si era comportato bene. Non si era ubriacato. Non aveva fatto discorsi sconvenienti. Non aveva nemmeno cercato di scappare via. Era stato lì. Aveva sorriso. Era stato gentile. Era stato bravo. Nessun grido d'aiuto. Nell'esperienza di Steve, quando un soldato smette di gridare, è morto. Tony, sei morto?

La pioggia continuava a voler scrostare lo sporco. Steve è arrabbiato con il mondo e nel mondo rientra anche Tony, non c'è niente da fare. Perché sei caduto quando io non c'ero. Perché non hai aspettato per essere afferrato al volo da me? Come se fosse il suo cavaliere. Si aspettava Tony rimanesse fermo, congelato, finché lui non sarebbe tornato e il mondo ha fatto quello che voleva. Ha continuato a girare. Non è giusto.

Quando Tony aveva poggiato la fronte sulla spalla di Steve, lui non se lo aspettava. Aveva solo abbassato la testa e cercato lo sguardo dell'altro, trovandosi davanti soltanto il cespuglio di capelli senza gel.

Anche la prima volta che si sono incontrati, Tony ha fatto una cosa del genere. Era tutto un piano architettato per rubargli le patatine fritte, ovviamente. E poi aveva riso e riso, e aveva anche mangiato tutto quello che c'era nel suo piatto, cosa abbastanza atipica per tutte le versioni di Tony Stark.

“Non è vero che voglio che te ne resti all'Accademia per sempre” borbotta a bassa voce. Ah. Giusto. Tony gli aveva gridato che se non accettava il suo modo di vivere poteva anche andare al diavolo. Steve non aveva preso la frase letteralmente, la verità è che non è mai riuscito a pensare a non tornare da Tony, anche imponendoselo, nonostante tutte quelle grida d'aiuto, o forse proprio per colpa di quelle. O forse, semplicemente nella speranza che succedesse qualcosa di simile a quello che stava succedendo. “Mi dispiace.” L'attimo era arrivato come se n'era andato. Aveva chiesto scusa e già sembrava qualcosa di così lontano, di nemmeno troppo importante, a dirla tutta.

Steve stava dipingendo nella sua testa. Il rincontro tra due vecchi amici. Aveva scosso la testa, affondando il naso tra i capelli dell'altro. “No” dice e poi non aggiunge altro.

La pioggia continuava a lavare via tutto. C'è questa sensazione che rimane quando tutta la rabbia se ne va. Un vuoto nel petto e sulla pancia, a volte lascia anche un pizzicore al naso e agli occhi. Di solito, la rabbia, quando se ne va, non lascia niente, perché ha distrutto tutto quello che c'è intorno a te, se le hai dato la forza di farlo. Tony lo ha fatto. Steve lo ha quasi fatto.

Forse, però, la rabbia si può sconfiggere. Insieme.






“Devo fare i compiti” dice Peter, prima di uscire dalla macchina. Salta sull'asfalto e tira su lo zainetto, facendolo saltare dietro le sue spalle. “La professoressa di scienze ha detto che posso non fare i compiti per le vacanze, ma il mio progetto della Fiera deve essere fantastico. E devo fare compiti extra di arte, perché forse non ho consegnato niente l'anno scorso.”

“Perché no?” Steve lo sta ascoltando soltanto con un orecchio e Peter ne è consapevole. Sono tutti e due nervosi, e per la stessa ragione con due punti di vista differenti, però. Bruce ha le risposte. Bruce darà le risposte.

“Quel che fa male al cuore fa bene all'arte. Beh. Se sei un artista.” Si morde le labbra e guarda verso il condominio davanti a loro. Ha già perso una famiglia prima. Non è una cosa che vorrebbe riprovare, a dirla tutta. Farebbe di tutto per tenere Steve in strada, piuttosto che fargli bussare alla porta di Bruce. Ha letto che se desideri una cosa forte forte allora la cosa si avvera. Steve non bussare alla porta di Bruce. Non bussare alla porta di Bruce. Oh. Forse la cosa giusta da desiderare è che Bruce non sia in casa. Geniale! Fa che Bruce non sia in casa.

“Ti posso aiutare io.”

“Uhm.” Bruce non essere in casa. Bruce non essere in casa. Bruce non essere in… “Voglio cambiare il mio corso di studi e non prendere mai più arte.”

“Qualcuno ha passato troppo tempo con Tony Stark.” Che è un po' come dire che è diventato una reginetta del dramma. Yo. E anche che sta diventando più simile ad un suo idolo. Doppio yo. Si è distratto. Cavolo Peter, così Bruce sarà sicuramente in casa.

Bruce non essere in casa. Bruce non essere in casa. Bruce non essere… “Non ti dà fastidio che devono sempre cercare di farti parlare dei tuoi sentimenti?” Bruce non essere in casa. “Una volta ho disegnato un cane davanti ad una casa e stavano lì a chiedermi ehi, Peter, perché la casa è così, cosa simboleggia il cane da solo in una strada sola con questi colori che… beh, ero troppo pigro per disegnare qualche altro cane, una volta ho visto una casa così in un cartone animato e avevo perso i pennarelli, per questo il cane era verde.”

Steve sorride, ma è un sorriso lontano, come se non fosse più lì con lui, ma in qualche tempo lontano. Bene. Magari si dimentica che… ah-ha, si va bene. Aspetta e spera. Bruce non essere in casa.

Peter prende un respiro profondo. Bruce, ti prego ti prego ti prego, non essere in casa.





Risvegliarsi con Tony Stark accanto al letto è qualcosa d'incredibile, quasi quanto lo è sentire il pizzicorio degli aghi sotto pelle.

Steve aveva deciso di aprire un solo occhio alla volta, cercando di abituarsi gradualmente alla luce (mattutina?) che entrava dalla finestra, e quindi, forse, prima di vedere Tony, ha sentito Tony, che stancamente rispondeva a domande insistenti fatte da un ragazzino che non aveva mai sentito parlare prima di quel momento. Ma dov'era? E perché un ragazzino stava parlando con Tony mentre lui dormiva? E perché mai era seduto sul suo letto?

“…e per questo non penso che un supereroe possa usare degli occhialetti da piscina nel suo costume. Non ci vedrebbe niente” stava dicendo, mentre giocherellava con qualcosa tra le mani. Un cubo? Il cubo? Non era neanche girato verso di lui. Stava seduto con la spalla contro la finestra, mentre il ragazzino stava in piedi davanti a lui.

“Io ci vedo!” aveva ribattuto la voce che ancora non aveva un vero e proprio viso. Anche se Steve stava iniziando a vedere qualcosina. Colori, soprattutto. Chi gli aveva detto che vedeva un mondo in fiamme? Gli sembrava di vedere le anime intorno a lui. Dev'essere così che vedevano il mondo i post-impressionisti. Tanti colori. Tante anime. Tony era rosso rosso, con un pizzico di giallo. Era anche vivo. Aveva immaginato quella fosse una buona notizia. Solo non capiva chi fosse il bambino. Magari non ci vedeva ancora così bene, perché la del ragazzino la vedeva colorata di blu. Rosso e blu. Sono dei bei colori per l'anima di una persona, perché è il caos e pure la calma e quindi vuol dire che tra loro si annullano, che c'è uno strano e delicato equilibrio che le persone ti invidiano e ti invidieranno sempre. Non aveva ancora grugnito, né fatto rumore. Forse aveva solo socchiuso gli occhi. “Altrimenti sarebbero anche inutili sott'acqua, no? Quando sei sott'acqua devi mantenere il respiro e chiudere gli occhi, se non vuoi che ti brucino e poi ti diventino rossi. Allora ci sono gli occhialetti. Così puoi vedere e non ti bruciano gli occhi, ma nessuno può capire chi sei tu con gli occhialetti e qualcos'altro in faccia, perché abbiamo bisogno di alcuni elementi chiave, come, non lo so, il naso, la forma delle labbra e la forma del viso per riconoscere qualcuno. Se noi togliamo gli occhi, okay?, e poi anche le labbra, più del cinquanta percento della faccia è coperta e quindi nessuno può scoprire la mia identità segreta.”

“Non mi hai convinto sugli occhialetti. Fuori dall'acqua non ti fanno vedere bene e questo è un fatto. Ma… ma.” Aveva sospirato e si era grattato la testa. “Sono quasi sicuro che una persona, per riconoscerne un'altra abbia bisogno anche di meno elementi. O di altri, oltre il viso. Ad esempio il modo in cui cammina, o in cui parla…” aveva ribattuto Tony, disfacendo quello che aveva fatto col cubo per poter ricominciare da capo.

“È per questo che Superman cambia il suo carattere quando è Clark Kent!” aveva gridato eccitato il ragazzino, saltando da seduto e facendo ballare tutto il materasso.

Steve ancora non capiva perché non aveva detto niente. Aveva sbattuto le palpebre e stava cercando di capire se gli aghi gli dessero fastidio oppure no. Stava aspettando che Tony girasse la testa e incontrasse i suoi occhi. Era una cosa stupida, ma ne aveva bisogno. Aveva bisogno di vedere gli occhi di Tony, prima di capire se era vivo. Qualcosa di simile era già successo in guerra, quando gli avevano sparato e non sapeva se sarebbe mai riuscito a dipingere di nuovo. Aveva bisogno che Tony lo guardasse, per poter essere sicuro di essere tornato.

“Nel senso. C'è anche un modo sai, nella DC, e praticamente lui riesce a sgonfiarsi e fare in modo che tutti lo vedano più piccolo e che pensino ma no, lui è solo uno sfigato, no?, e lui non indossa una maschera quando combatte i cattivi, lui la indossa quando affronta i buoni, capito?, allora ho pensato, Tony, ho pensato, lui fa finta. E allora ho pensato ancora. Tony. È come te.” In quel momento era più rossa che blu. Aveva anche gli occhi che gli brillavano. “Tu fai finta di non essere un eroe, di non poterlo essere, perché così non devi fingere di essere un eroe. Sei un eroe. Ma poi le persone non lo sanno.”

“Peter…” Per la prima volta da quando Steve era sveglio, Tony aveva alzato lo sguardo sul ragazzino, per poi sospirare pesantemente ed avere quello sguardo di quando Steve gli chiede se si è rotto qualcosa in cucina. Colpa. Come se avesse rotto un bicchiere e i pezzi di vetro sono ovunque quindi non camminare scalzo da queste parti. Come se il bicchiere fosse quel bambino davanti a lui. “Io non sono un eroe” aveva detto e questo ragazzino, questo Peter, gli aveva sorriso come se gli avesse chiesto di mantenere un segreto che solo lui può mantenere.

E infatti aveva fatto un occhiolino abbastanza impacciato, prima di iniziare a dondolare le gambe. “Certo” aveva sorriso. “Perché non ti metteresti gli occhialetti d'acqua come costume.”

Tony aveva roteato gli occhi, prima di scuotere la testa con un sorriso debole. “Mai.” E forse stava pensando a lui, a Steve, perché aveva girato la testa e lo stava guardando e i loro occhi si sono incontrati. Non era morto, quindi. Era vivo. E gli occhi di Tony erano lì ad aspettarlo. E loro erano vivi. Tutti e due. Vivi. Okay. Allora tutto stava andando perfettamente bene.

“Per lui lo stile è tutto” aveva borbottato Steve. Aveva la gola che non rispondeva ai suoi comandi e la voce roca, di chi ha dormito tanto e parlato poco. E quel dolore di quando hai anche russato un po'. Odiava quella sensazione.

Quello è stato anche il momento in cui ha guardato per la prima volta gli occhi di Peter, che lo studiavano curiosi. Marroni. Vivaci. Intelligenti. Spezzati.

Hanno gli stessi occhi.








Bruce è in casa. Ovviamente. Lo guarda con la testa inclinata, dietro quei bruttissimi occhiali quadrati, o a parallelepipedo, come piace dire a Tony, e poi si sposta per farli entrare nel suo appartamento. Peter stringe le dita intorno al suo zainetto e prende un respiro profondissimo, perché qui sembra che si arriverà finalmente ad un finale. Bruce non mente. Non omette nemmeno la verità. Per questo gli piace e per questo sa anche che questo giochetto di nascondersi e cercarsi sta per finire. Tra una settimana finiscono le vacanze di metà quadrimestre e forse è una cosa buona. Però aveva fatto una promessa e zia May diceva sempre che quando fai una promessa la devi mantenere, non importa cosa succeda. Diceva anche che le melanzane non le piacevano, e quindi non gliele faceva mangiare spesso. Chissà per quale motivo, Steve e Tony amano le melanzane e le patate, quindi adesso a Peter sembra di essere costituito di almeno il cinquanta per cento di melanzane. E gli piacciono anche, nonostante sia una di quelle cose che non può ammettere ad alta voce, per non risultare sbagliato. Ma il tofu no. Peter odia il tofu. Come faccia Tony a mangiarne quantità improbabili è un mistero e per quale motivo Steve si ostini ad accompagnarlo in questa sua pazzia è uno degli enigmi che Peter non è sicuro di riuscire a risolvere tanto presto. Però. Anche mamma aveva queste sue fissazioni strane. Come le pareti blu e le tende bianche, che il papà odiava, ma diceva che vederla con quel suo sorriso lo rendeva felice e quindi non importava. Tony è felice con il suo tofu?

In tutto questo, Bruce e Steve non si sono scambiati una singola parola. Bruce ha sorriso a Peter, ma era sembrato molto nervoso, lanciando sguardi persi agli scatoloni vicino alla televisione e agli avanzi di cibo cinese buttati per terra, tra figli di calcolo e contenitori con liquido verde.

“È sicuro entrare qua dentro?” si lascia sfuggire Peter, quando un'ampolla gli rotola vicino ai piedi. Poi guarda in alto, verso Bruce, il dottor Banner e stringe le labbra.

“Non è mai sicuro starmi vicino” risponde, prima di far loro le spalle e raccattare roba da per terra, appoggiandola poi sul tavolo, accanto ad una tazza di tè. Una volta aveva bevuto del composto acido con un nome stranissimo, pensando fosse camomilla. Peter lo aveva visto coi suoi occhi, mentre Tony si teneva la pancia per le risate e Bruce cercava di vomitare infilandosi le dita in bocca. È per questo che il ragazzino alza un lato della bocca, lascia andare la mano di Steve (che poi, quando gliel'ha afferrata?) e si va a sedere sul divano, spostando sulle cosce una pila di fogli con grafici e reazioni chimiche. Due delle sue cose preferite.

“Cos'è successo?” chiede Steve. Sono le prime parole che dice. Non ciao. Nemmeno dovresti aprire le finestre, c'è puzza di chiuso. Eh. Però questo non gli impedisce di andare alle finestre e aprirle lui stesso, in prima persona. Steve odia stare al buio, in luoghi freddi, ma Peter non è ancora sicuro del perché, mentre alza gli occhi dai fogli e vede il salotto con un po' di luce e tanta spazzatura. Aveva la strana sensazione che i dottori non potessero vivere in un posto disordinato, forse per la cosa dei germi e dell'ipocondria. Tanti dottori soffrono d'ipocondria e anche studenti di Medicina. Dicevano fosse una sindrome con un nome. Lo aveva letto da qualche parte… Il venticello gelido fa muovere il ciuffo di Steve e rabbrividire Bruce, che ha le spalle curve, la testa abbassata nell'inutile tentativo di sembrare occupato, di non poter parlare. Forse anche Bruce stava desiderando di non essere in casa. Sarebbe stato più facile per tutti e due.

“Fury” borbotta. Giocherella nervosamente con le dita delle mani e poi asciuga il sudore sulla maglietta. “E adesso devo analizzare il sangue di Norman Osborn per scoprire che cosa si è iniettato. E Tony deve stare fuori da tutta questa storia perché è emotivamente compromesso.”

“Cosa?” chiede Peter, facendo cadere i fogli, mentre si alza di scatto in piedi. “Cosa?” fa eco Steve, più debolmente e, forse, più preparato ad affrontare una spiegazione.

Ci sono due cose che non vanno bene in quello che ha detto Bruce, secondo il punto di vista del ragazzino. La prima riguarda il sangue che deve analizzare il dottor Banner. Norman Osborn. Osborn come Harry Osborn. E questa cosa non può andare bene, perché, lo ha capito, nella sua vita non esistono coincidenze e, quando sembra che ci siano, stanno succedendo cose brutte e non vuole che un amico (sì, amico) lo debba scoprire così. Perché non è giusto. Harry è un bambino buono. Vuole giocare con lui ai videogame e hanno rubato insieme un po' del buffet dell'evento di beneficenza di Tony. Hanno parlato per ore, nascosti sotto il tavolo, coperti da quelle tovaglie bianche che sembrano lenzuola e hanno giocato e parlato e parlato e anche riso, e Harry è l'unica persona che lui potrebbe considerare amico ed è buono. Una persona buona non può avere come padre una persona cattiva. E, visto che il papà di Henry non può essere cattivo, non possono succedere cose brutte a tutte le persone buone. Non bastavano i suoi genitori? O i suoi zii? Cos'è successo al papà di Harry? Cosa gli hanno fatto?

E poi c'era, ovviamente, la parte di Tony. Non sta facendo nulla. Tony non può fare niente perché è emotivamente compromesso. Ma che cavolo vuol dire? Sta male? Tony non può essere fermato da niente, lo sanno tutti. È una delle poche cose che la stampa capisce bene di lui. E chi cavolo è questo Fury? Peter sente il suo respiro diventare corto e cerca lo sguardo di Steve, che sembrerebbe impassibile se non fosse per quella piccola ruga sulla fronte. È preoccupato. Forse ha fatto male a lasciare andare la sua mano.

Bruce sbatte lentamente le palpebre e, sempre lentamente, chiede: “Cosa cosa?”

“Cosa vuol dire?” chiede Peter con un fil di voce, abbassando lo sguardo. “Cos'è successo?” chiede Steve, nello stesso momento, con la voce più sicura e lo sguardo un po' più duro.

“Tony è entrato nel panico.” Bruce alza le spalle e si gratta dietro un orecchio. “Quindi Clint e Natasha se lo sono dovuto trascinare a casa.” Afferra il suo vecchio cellulare e inizia a digitare parole, poi numeri.

“Cosa stai facendo?”

“Informo Tony che state bene” risponde lui, con un sospiro, prima di appoggiare quel vecchio Nokia sul tavolo, tra un'ampolla e il tè. “Sai com'è. Il solito bambino ansioso.”

Peter aggrotta le sopracciglia e cerca lo sguardo di Steve, ugualmente confuso.






“…quindi,” Tony stava seduto sul divano della camera comune, con le gambe incrociate e la testa infilata tra le pagine di un libro di qualche materia improponibile per lui del terzo anno, figuriamoci per un ragazzino di quindici anni (e mezzo, teneva a precisare) normale. Aveva preso un respiro profondo prima di ricominciare a parlare. “Lasciando come premessa che tutto quello che il professore ha detto a lezione sia corretto…”

“Puoi muovere dei dubbi?” aveva chiesto Steve, con un sorriso non proprio sicuro. “Su questa roba?”

“Lo dici come se fosse spazzatura.” Aveva inclinato la testa, con un sorriso genuinamente divertito. Gli occhi erano rivolti in alto. Steve era seduto sul divano, con i gomiti puntati sulle ginocchia. Forse in quel momento era la persona più felice in questo mondo per non aver preso Matematica, o Economia. “ Senti. Le teorie di Fisica Quantistica sono tutte da mettere in dubbio, non puoi prenderle per vero come fai con la Fisica Meccanica, o comunque quella prima di Heisenberg, no? Perché non abbiamo riferimenti empirici, non abbiamo neanche singole teorie che possano spiegare un singolo evento. Pensa a, non so, la locazione dell'elettrone e-… però è da dire che anche parlando del movimento, si deve prendere in considerazione un punto di riferimento. Però hai una sola formula… ” Aveva scosso la testa. “Nei primi libri di Fisica fanno sempre l'esempio del treno.”

“Sembra un mondo pieno d'incertezze.” Steve aveva aggrottato le sopracciglia e appoggiando una guancia sul pugno chiuso.

“Eccitante, no? Immagina. C'è una macchina che sta contando tutti i numeri primi esistenti. Se uno di questi numeri primi è sbagliato, se per caso uno dei numeri che noi abbiamo sempre considerato indivisibile se non per se stesso e uno, in realtà non lo è, tutta la matematica su cui ci siamo basati fino ad adesso risulterà sbagliata e quindi ci ritroveremo a dover ricominciare da capo.” Si era sistemato meglio sul tappeto, con gli occhi che gli brillavano e le dita che davano il tormento alle pagine del libro che, fino a pochi secondi prima stava leggendo con lo stesso entusiasmo. “Sai cosa vorrebbe dire? La stessa Fisica sarebbe…”

“Rovinata?”

“Rivoluzionata.” Si era passato una mano trai capelli, colpito forse da quello che aveva appena detto. “Tutto cambierebbe, si aprirebbero milioni di nuovi scenari. E dovremmo scindere da…”

“Vi prego basta” aveva lagnato Sam, affogando il viso nel cuscino. “Smettetela. Basta basta basta. Tu non hai una camera in cui fare lo scienziato fino alle prime ore del mattino? E tu, per favore Steve. Per favore.” Aveva scosso la testa, prima di spingersi in piedi e trascinarsi verso la piccola cucina che serviva giusto per contenere un mini-frigorifero.

“Non capisco” aveva borbottato Steve, perché era completamente vero che non avesse capito niente di quello che Sam aveva voluto dirgli.

“Rhodey dice che ora che ha trovato un posto per scollarmisi di dosso non baratterà la pace dell'anima che ha trovato in camera in queste ore neanche per tutto l'oro del mondo.” Tony aveva sospirato una risata. Sembrava essere dannatamente serio, però, come quella volta ne aveva detto che Rhodey era il suo babysitter e quindi contava solo a metà come amico, visto che comunicava ogni sua mossa ai signori Stark. Ho un amico e mezzo, ripeteva in continuazione. Mezzo era Rhodey, l'uno era…? Tony diventava tutto rosso, quando glielo chiedeva. È stato Mezzo-Rhodey a rivelare che l'uno era Pepper Potts, anche detta la Ragazzina per cui Lui era Lì in Quel Momento. Non solo era stata la prima persona che aveva guadagnato il titolo di Amico Intero da Tony Stark, ma era stata anche quella che lo aveva convinto a mandare la domanda d'iscrizione al college senza che lo sapessero i suoi genitori, o chiunque altro. Pepper, anche detta La Cosa Più Fantastica in Questo Mondo Secondo Tony.

“Stava scherzando.” Sam sbuffa. Lo dice sempre che, per sopportare Tony gli devi voler molto bene. O devi essere completamente pazzo. Rhodey gli sembrava una brava persona, un po' rigida e con una fiducia cieca nelle regole, ma ehi, nessuno è perfetto.

“Ah-ha.” Il ragazzo aveva chiuso il libro, lanciando un'occhiata al suo orologio da polso. “Ma gli ho detto che domani sarò la sua ombra. Il suo più uno. Cuoricini cuoricini.” Aveva anche iniziato a infilare tutto quello che aveva intorno a lui, per terra, nel suo zainetto. Aveva colonizzato il loro finto salotto.

“Come mai domani?” Steve aveva inclinato la testa. Sam si era trattenuto dal ruotare ancora gli occhi. Non ce la poteva fare.

Tony aveva chiuso lo zaino, alzandosi in piedi. “Domani partiamo per il campeggio. Anche se non so come potrebbe considerarsi campeggio visto che porterò di tutto per non dover stare senza tecnologia nella natura selvaggia. Rhodey pensa che io sia dipendente dalle mie macchine, il che è completamente vero, ma non è questo il punto. Domani sarà la Giornata Internazionale dell'Osservazione della Luna, cioè la luce del Sole colpirà la Luna in modo che si possano vedere tutti i crateri e quindi andiamo in un posto in cui non c'è inquinamento luminoso e passeremo la notte a guardare le bellezze della natura in una tenda anti-insetti anti-tutto. Rhodey farà quello che gli pare, ma se poi una mucca lo sveglia leccandogli la faccia fatti suoi. A me le mucche piacciono in foto. Quindi domani useremo il giorno per legare. Cuoricini cuoricini cuoricini.”

“Non lo sapevo. Andate solo voi due?”

L'occhiataccia di Sam a Steve doveva essere fotografata ed incorniciata per rendere partecipi i posteri di tale bellezza. Aveva sbuffato, con l'aria di chi si stava chiedendo cos'avesse sbagliato nella sua vita per arrivare fino a lì.“Non sapevo che Rhodey fosse nel corso di Astronomia” aveva sibilato. “Ricordo che il professor Foster aveva attaccato nella bacheca del corso qualcosa per raccogliere i partecipanti. Andate con lui, giusto?”

“Sì. Rhodey segue Astronomia perché nella sua stranissima mente lo potrà un giorno aiutare per diventare pilota.” Tony aveva alzato le spalle e si era infilato una spalliera dello zaino, giocherellando col piede. “Io ci vado perché il professor Foster è uno dei miegliori astrofisici del momento e ho intenzione di rubargli tutte le sue conoscenze.”

“Sì, ci avevo pensato anche io. Aiuta conoscere le stelle per qualsiasi evenienza, in cielo. Lo farò il prossimo anno.” Sam aveva alzato le sopracciglia verso Steve, come se in quel momento la ragione della sua occhiataccia fosse più che ovvia. Beh. Non lo era per Steve. “E smettila di parlare come un vampiro della conoscenza. Fai paura.”

Tony stava per prendere un respiro per rispondere con un sorriso sarcastico, quando un bip nella sua tasca lo aveva fermato. Dalle tasche aveva tirato fuori un telefonino e aveva aggrottato le sopracciglia. “Uhm” aveva grugnito. “I-io devo andare prima che Rhodey faccia qualcosa di cui si pentirà…” Poi era corso verso la porta e li aveva salutati con la mano, senza nemmeno girarsi.

Quando la porta aveva sbattuto, Sam aveva incrociato le braccia e alzato un sopracciglio verso Steve, che ancora stava seduto sul divano. “Cosa stai facendo?” aveva chiesto, mettendo a bollire dell'acqua.




“Questa volta non sono eccitato. Sono preoccupato e ho lo stomaco che fa su e giù e voglio scendere da questo aereo” dice Peter, mordendosi le labbra. “E non mi piace, perché non è giusto che non mi posso godere di stare su una macchina volante perché sono qui preoccupato.”

“Prima non eri preoccupato?” chiede allora Steve. La rughetta sulla fronte non vuole più scomparire e adesso sembra un pochino più vecchio. Forse anche Peter sembra più grande. Gli dicono sempre che sembra due o tre anni più piccolo, perché non cresce d'altezza e ha ancora le guance paffute e lui si deve sempre mettere a litigare, perché lui è più grande ed è più responsabile di quello che sembra e non è giusto che le persona si facciano un'idea di quello che è solo per come sembra. Per questo gli piacciono Tony e Steve. Loro non hanno mai pensato che sembrasse troppo piccolo. Men che meno che fosse troppo piccolo per fare qualcosa. Lui può fare qualsiasi cosa che si mette in testa di fare. È per questo che Tony e Bruce lo includevano nei loro pigiama party. E la Fiera della Scienza. È per questo che Steve lo ha trascinato con lui in un viaggio per cercare Tony. Ma adesso questa cosa un po' gli pesa. Essere grandi vuol dire avere delle responsabilità. E se non fosse abbastanza forte per queste responsabilità? E se, con quella promessa, si fosse infilato in qualcosa di più grande di quello che è? E se per colpa sua Tony adesso stesse male? E se tutto fosse un grande errore? Un suo grande errore?

“Tony di solito se la cava sempre. Lo dice la stampa ed è una delle poche cose che ha capito di lui” risponde il ragazzino, sfregando le mani sul tessuto dei jeans. “Quando gli hanno detto che smettendo di produrre armi avrebbe perso il settantacinque per cento dei profitti, lui ha migliorato le SI e è diventato ricco il triplo, lanciando dei cellulari che battevano gli iPhone ed investendo sull'energia rinnovabile. Quando hanno minacciato di togliergli la Stark Enterprise se non avesse prodotto armi per il governo, ha trovato un cavillo legale e si è legato all'ONU. Quando è stato rapito in Afganistan si è liberato da solo. Tony Stark non è una persona che ha bisogno di essere protetta” dice, recitando a memoria i titoli dei giornali che suo zio leggeva tutte le mattine. Stringe i pugni sulle cosce. “E mi ha assicurato, prima di andare via, che non mi dovevo preoccupare per lui.”

Steve non risponde. Abbassa lo sguardo e guarda verso il finestrino. La rughetta non se ne va. Forse ce l'aveva anche prima, ma Peter non se n'era reso conto. Zio Ben gli ha insegnato che qualsiasi cosa succeda, succede per renderti una persona migliore. Non sa come il senso di colpa possa rendere qualcuno migliore, ma adesso è sicuro che la prossima volta non vuole sentirsi così, come se avesse potuto fare qualcosa ma non l'ha fatta. Non gli piace sentirsi così. Non è naturale sentirsi così. Se gliene parlasse a Steve non lo giudicherebbe troppo giovane per sentirsi così. È un po' un sollievo, perché altrimenti si sentirebbe doppiamente sbagliato. Come a scuola. Peter a scuola è sbagliato perché non è Flash. Ma poi anche Flash si sente sbagliato perché non è qualcosa e allora nessuno dei due capisce cosa dovrebbe essere. Forse per questo adesso sono quasi amici. Beh. Non amici. Ma prima Flash faceva il bello e il cattivo tempo, adesso grugnisce soltanto la mattina e Peter si sposta dal corridoio, o alza le spalle. Sei il mio secchione preferito, Parker, ha detto una volta. Poi gli ha dato un pugno sulla spalla e gli ha fatto male, ma non lo ha fatto apposta, quindi Peter ha fatto finta di non sentire male e si è sforzato di ridere. Due persone che si sentono sbagliate si capiscono.

“Hai mai sentito la barzelletta del fisico al bar?” chiede Peter, mordendosi le labbra. Aspetta che Steve scuota gentilmente la testa prima di continuare. “Allora, un fisico sta seduto in un bar, okay, e ordina due caffè. Sta lì per un po' e poi se ne va. Il giorno dopo torna e fa la stessa cosa, così il giorno dopo quello dopo e quello dopo il giorno dopo quello dopo, per una settimana intera. Allora, un giorno, il barista incuriosito gli si avvicina e gli chiede ehi, amico, come mai ordini sempre due tazze di caffè? Allora il fisico risponde, eh, perché, vedi, secondo la fisica quantistica c'è la possibilità non nulla che una particolare funzione collassi in una bella donna innamorata di me proprio qui davanti. Allora il barista, un po' confuso gli fa notare che ci sono tantissime belle ragazze nel bar e che forse farebbe prima a parlare con una di loro. Il fisico ride e gli chiede: ma sa quante sarebbero in quel caso le probabilità?” Peter si inumidisce le labbra e annuisce, notando le labbra di Steve andare all'insù. “Tony la racconta sempre. Ma la mia preferita, di barzelletta, è: sai qual è il volume di una pizza di raggio z e altezza a? Pi z z a.” Si gratta dietro il collo. Steve ci mette un pochino di più a capire questa battuta, ma comunque poi sorride ancora e scuote la testa. “Anche questa la racconta sempre. E poi racconta di quella volta che gli hai dimostrato che ha un cuore. Tony parla sempre di te, in un modo o nell'altro.” Questo è tradire un segreto, ma, per una volta, non si sente come se stesse tradendo un segreto. Si sente come se stesse dando una chiave importante alla persona giusta. È la chiave per aprire la Bat-caverna. Steve non la può usare male, perché è Steve.

“Gli ho dimostrato che ha un cuore?” Adesso, però, scoppia a ridere per davvero. Forse questa è la cosa più assurda che ha sentito, secondo lui. “Io?”

“Tu sei un eroe, Steve” mormora il ragazzino, intrecciando le sue mani. “Dimostri che tutti noi abbiamo un cuore.”





“Sono i colori dell'anima, Steve Rogers. I colori dell'anima.” Tony rideva, inclinando la testa e mostrando una fila dritta di denti. Poi aveva spostato il fazzoletto sul quale aveva disegnato verso di lui, attento a non farlo bagnare della birra caduta sul bancone. Quella che non poteva bere.

“Io non ho la faccia blu” aveva ribattuto anche troppo seriamente Steve, bevendo della Coca-Cola.

“Secondo gli occhi della mia anima, sì.” Si era guardato intorno, gonfiando i polmoni d'aria e dondolando i piedi. “Tocca a te. Su su. Fammi vedere. Gira il fazzoletto. Fammi vedere. Daaaai.” Non gli aveva lasciato il tempo di muoversi, però, perché si era allungato verso di lui, rischiando anche di cadere dalla sedia, per afferrare il fazzoletto e girarlo. Steve lo aveva lasciato fare, nonostante avesse una protesta morta in gola.

Quando Tony aveva girato il fazzoletto, aveva sbattuto le palpebre ed era rimasto incantato. Poi aveva alzato un lato della bocca e cercato lo sguardo imbarazzato di Steve. “È davvero così che mi vedi?” aveva chiesto e anche nella sua gola doveva esserci qualcosa di bloccato, perché la voce era uscita fuori rotta e se l'era dovuto schiarire un paio di volte. Probabilmente non avrebbe sentito niente, sotto tutti quei brusii e quell'esultare per una non ben precisa partita di football. “Okay. Quindi da questo ho ottenuto ben due cose” aveva dichiarato dopo un po', facendo tornare quel sorriso sicuro che esibiva ovunque (tranne che con quel suo amico che roteava sempre gli occhi). “Numero uno: un ritratto gratis.” Si era infilato il fazzoletto in una tasca della felpa con sopra il logo del college. “Numero due: ho finalmente scoperto cosa studi qui. Direi Storia dell'Arte. Che dici? Ci ho preso?”

“Ma non ho la faccia blu.”

“Ma ho indovinato!” Tony aveva esultato, alzando un pugno in aria. “E sai cosa vuol dire questo?” Si era alzato dalla sedia e appoggiato le mani sul bancone. “Ehi! Portatemi due boccali di birra! Questo ragazzone qua oggi diventerà adulto!”

“La mia faccia non è blu” continuava a borbottare Steve.







 

 

  
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