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Autore: Urban BlackWolf    05/01/2017    3 recensioni
“ Non ce la faccio...”
“ Ti prego salvala. Salva la mia Ruka....” Michiru trattenne a stento le lacrime puntando lo sguardo a terra mentre con le mani tremanti si stringeva la cornice al petto.
“ Ti prego.” E questa volta l'argine degli occhi crollò.
Il tempo in quell'appartamento di un centro città si era fermato. C'erano solo due giovani donne. Una con la fronte poggiata sul freddo acciaio di una porta, nelle orecchie i singulti composti di un pianto lacerante e un'altra, stretta all'immagine dell'ancora della sua vita, incapace di muoversi, di alzare la testa, di fare qualcosa che non fosse il piangere, aspettando solo il suono dello scatto di una serratura ed il chiudersi di una porta.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena, Nuovo personaggio | Coppie: Haruka/Michiru
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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L'atto più grande

 

I personaggi di Haruka Tenou e Michiru Kaiou appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Cicatrici paterne

 

 

Facendo una breve sosta a Lucerna, proseguirono con la macchina presa a noleggio sulla E35 dritte verso casa. Il tragitto da Zurigo a Bellinzona durava un paio d'ore, ma si presero tutto il tempo del mondo. Soprattutto per Michiru quello era un viaggio che voleva godersi chilometro dopo chilometro, attimo dopo attimo, perché da quando Haruka era stata costretta al ricovero e lei aveva iniziato a fare la pendolare per non lasciarla troppo sola, quella spola fatta di asfalto e pensieri le era terribilmente pesata. Ed ora che quel sogno mai espresso ad alta voce per paura che non potesse avverarsi se urlato al cielo stava realizzandosi, la completa guarigione della compagna, incurante della pioggia che batteva sincronicamente sul parabrezza unita al trepidante abbaglio di una ritrovata quotidianità, la donna teneva saldamente le mani sul volante non riuscendo a togliersi l'espressione di serenità che aveva messo su appena aveva acceso il motore. Guardando dritto davanti a se trovava ancor più belle le vette rocciose tutte intorno a loro, rendendosi conto, stupendosene, di accarezzare con estrema gratitudine ogni singolo campanile dal tetto vertiginoso che si vedeva in lontananza.

“Sta per spiovere.” Esordì dopo alcuni minuti nei quali una taciturna Haruka aveva spento la radio con la scusa di avere un po' di mal di testa.

Un grugnito e Michiru tornò a sorridere intravedendo le prime abitazioni della periferia cittadina. Non abitando in centro, ma sulle alture, calcolò rapidamente il tempo di arrivo e le successive cose che avrebbe dovuto fare; spesa, consegna dell'automobile al vicino noleggio ed un po' d'ordine in casa. Cena inclusa naturalmente.

“Guarda gli alberi, Ruka, hanno già messo su un bel colore rosso. Tra non molto inizierà il freddo vero.” E continuando ad avere grugniti in cambio di risposte, iniziò a pensare che ci fosse un qualche problema. La compagna aveva lasciato la clinica ed avrebbe dovuto essere la donna più felice della terra, come lo era lei, invece sembrava tutto l'opposto. Un’umore malmostoso incomprensibile.

“Perchè sei di cattivo umore? Ho fatto qualche cosa di sbagliato?” Una domanda ingenua, posta con il sorriso sulle labbra.

“Perchè non me lo dici tu?”

Svolta a destra e fermata al primo semaforo. “Non capisco a cosa tu alluda Ruka.”

“A non capisci? - Un sorrisetto maligno per nulla rassicurante. - Credi che io sia stupida, Michiru? O stai facendo finta di esserlo tu?”

E fu chiara la dichiarazione di guerra.

A Michiru non piaceva affatto quando la compagna faceva proprio quell'atteggiamento seccato che rasentava la cattiveria ed ingranando la prima al verde, cercò di temporeggiare provando a capire cosa volessero dire quelle occhiate glaciali. In quei casi i loro diverbi si trasformavano in vere e proprie partite a scacchi, dove la prima a sbagliare mossa provocava sempre l'inevitabile rottura dei nervi dell'altra.

“Perchè dovrei pensare in una tua improvvisa perdita di senno, Haruka?” Iniziò lentamente, studiandone gli atteggiamenti del corpo. Braccio destro poggiato sulla scocca del finestrino e mano sinistra chiusa a pugno accanto all'allaccio della cintura di sicurezza. Nulla di buono. Posizione di veglia pronta all'attacco. Doveva fare attenzione.

“Allora vuol dire che il senno l'hai perso tu.” Controbattè la bionda puntando l'attenzione alla strada che si inerpicava verso le colline.

Un'altro paio di tornanti e Michiru decise di osare di più offrendole apparentemente il fianco. “Ruka, perchè non smetti di girarci intorno e mi dici che cosa ti sta disturbando tanto.”

La vide fare un sorriso sghembo e scuotere la testa. “Tu e Kurzh credete davvero di potermi infinocchiare in questa maniera?! Passi lui, ma tu... Bella considerazione che hai di me e della mia intelligenza.”

Ed a quelle parole l'altra sentì di stare per perdere la pazienza. Le chiese che cosa c'entrasse lo specialista e la risposta le gelò il sangue nelle vene.

“Lo chiedo a te, perchè lui ha glissato e lo ha fatto anche in maniera piuttosto infantile. Come se in mesi di malattia io non avessi imparato un cazzo di medicina. Di chi sono le cellule che mi sono state impiantate, Michiru?” E fu tutto chiaro.

La ricetta, pensò allarmata l’altra stringendo con maggior forza il volante avvertendo un'esplosione di adrenalina.

“Allora? Lo sai tu come lo so io. Vediamo se hai il coraggio di ammettere di aver fatto un’enorme cazzata..., amore!”

Ammettere di aver fatto cosa?! Per esempio provare a salvarle la vita?! La bionda stava scherzando?

”Non mi piace questo linguaggio, lo sai.” Ingranando la terza per rafforzare la spinta del motore, Kaiou pigiò sull'acceleratore in maniera piuttosto brusca tanto che la compagna se la rise.

“Finirai per ingripparlo se non ci vai giù più dolcemente.” Accuse ed ora scherno. Nulla da dire. Haruka era carica a molla.

“Piantala di fare questi giochetti con me, Tenou e cala le tue carte.” Rispose seccamente intravedendo la loro casa. Un appartamento all'attico di una palazzina a cortina composta da tre piani.

“Le mie carte? Bene, le mie carte sono una ricetta dove sono presenti farmaci anti rigetto ridicoli, che in genere vengono assunti quando si ha avuto un midollo molto compatibile. Quello di un parente... E questo vuol dire solo una cosa, mia cara Michiru; che le cellule che mi sono state impiantate sono quelle di Giovanna Aulis!”

Michiru avvertì una vergata alle tempie nel momento esatto nel quale la macchina attraversava il cancello dello spazio condominiale e ringraziò il cielo, perchè se fossero state ancora su strada con molta probabilità sarebbero finite contro un albero. Inchiodando nei pressi del posto a loro riservato la fissò a bocca semi aperta sgranando gli occhi ed Haruka capì di aver dato scacco alla sua regina.

Sbattendo violentemente il braccio destro contro la scocca dello sportello inveì. “Dannazione Michiru, no... Dannazione, no!” E slacciandosi la cintura uscì dalla vettura come una furia.

All'altra ci volle qualche secondo prima di mettere a fuoco. Ma cosa diavolo stava succedendo? Uscendo anche lei, la inseguì quasi correndo su per le scale e facendo i gradini a due a due la raggiunse con le chiavi dell'appartamento già inserite nella toppa.

“Aspetta... Chi ti ha detto di Giovanna?” Chiese, perché Daniel non poteva essere stato visto i preamboli lambiti prima che quell'ordigno carico a pallettoni che era ora la sua donna, non le esplodesse tra le mani.

Tenou spalancò la porta e l’altra la richiuse poggiandovi la schiena. “Ruka sto parlando con te! Rispondimi!” Ma la compagna sembrò non avere sentito, perché troppo impegnata a cercare nei cassetti della consolle qualcosa per lei vitale.

Dove sono dannazione. Ricordo di averle lasciate qui, porca puttana...

“Haruka, rispondimi!”

“Potrei farti la stessa domanda, ma ora sono troppo imbestialita per ascoltarti!” Una furia completamente fuori controllo. Vaffanculo, dove stanno!? Vaffanculo!”

“Cosa sai di Giovanna Aulis?!” Martellò Kaiou con un tono di voce bassissimo.

“Molto più di quanto tu e quell’imbecille di Kurzh possiate immaginare.”

“Haruka...- Michiru sospirò pesantemente allungando il braccio destro verso il muro. - Cerchi queste?” Non le rimase che l’ironia guardandola bloccarsi all'istante.

Haruka ebbe quasi un sussulto. Le chiavi della sua adorata Ducati. Le chiavi che Michiru aveva spostato infilandole in una delle tasche del suo giubbotto dimenticato appeso al muro accanto alla porta e che ora stringeva tra l'indice ed il pollice.

“Dammele.” Un’imposizione più che una richiesta. E si avvicinò pericolosamente. Il cuore a martellarle nella testa fin quasi alle vertigini.

D'impulso Michiru le strinse nel palmo nascondendole dietro alla schiena. Un'azzardo in moto dopo essere appena uscita dalla clinica? Le avrebbe gettate dalla finestra piuttosto. “Haruka..., dimmi cosa sai di quella donna?!”

“Non sono cazzi tuoi! Ti sei già impicciata abbastanza!” Le urlò contro ferendola in un modo indicibile.

“Haruka...”

“Dammi immediatamente quelle fottutissime chiavi!”

“No!”

“Dammele...”

“Se le vuoi dovrai strapparmele dalle mani...”

“Kaiou!” Ringhiò e nell’immediato la porta tremò dietro alle spalle della compagna.

Michiru serrò gli occhi inclinando la testa dalla parte opposta avvertendo lo spostamento d'aria all'altezza del suo orecchio destro. Nell'appartamento tornò il silenzio. Poteva sentire solamente il respiro affannoso di Tenou a pochi centimetri dal suo viso ed il calore emanato dal braccio ancora disteso verso il legno. Sapeva che Haruka la stava fissando con gli occhi di un demonio, come aveva la certezza che il palmo della sua mano sinistra fosse ancora schiacciato e dolente contro la porta.

“Ti sei calmata ora?” Le chiese con un filo di voce continuando a tenere gli occhi chiusi.

“Dammi le chiavi...” Un timbro tagliente, violento, mai sentito prima. Ne fu atterrita, ma non si piegò.

Poi tornando a guardarla, dolorosamente mosse per dare scacco matto al suo re. “E come intenderesti ottenerle Ruka? Picchiandomi come faceva mio padre? Lui aveva una scusante che tu non hai...”

Il sussulto silenzioso che provocò nella compagna la toccò. Non avrebbe voluto difendersi così, ma c'era stata costretta. Portava ancora sulla pelle della schiena i segni di quelle percosse e sapeva che, ricordarle il periodo di un'adolescenza segnata dai vertiginosi sbalzi umorali di suo padre, dove alla violenza si mescolavano carezze ed abbracci, ne avrebbe arrestato la furia. La osservò indietreggiare di qualche passo, come una fiera davanti ad una fiamma, poggiando le spalle al muro del corridoio. Si guardarono ancora, poi Haruka chinando la testa si coprì gli occhi con una mano.

“Perdonami...” Un filo di voce mortificato e pentito uscì dalle sue labbra, mentre tornavano entrambe a respirare normalmente.

“Comprendo che il periodo di stress al quale sei stata sottoposta ti possa aver provato, ma Haruka ... non permetterti mai più. Spero di essere stata chiara!” La vide incurvare le spalle muovendo la testa in un cenno di assenso, per poi osservarla dirigersi verso la camera da letto richiudendosi la porta alle spalle.

Questo fu il loro ritorno a casa.

 

Quando Haruka riaprì la porta Michiru stava lavando le verdure che avrebbe cotto per cena. Era uscita per fare un po' di spesa ed aveva restituito la macchina usufruendo del circuito elvetico dei noleggi a quattro ruote. Era voltata di spalle e guardava alternativamente la lista della dieta che aveva appeso con uno Smile calamita al frigo e l'acqua che stava scorrendo sopra le foglie. Si accorse della sua presenza, ma non si girò, attendendo che fosse il re pentito a tornare a capo chino dalla sua regina, trovando finalmente un po' di pace per entrambe. Nei quattro anni nei quali avevano fuso le loro vite non aveva mai visto Haruka reagire con quella disperata violenza. Mai. Michiru aveva capito come la compagna tenesse dentro di se molti più segreti di quanti gliene avesse celati lei e questa cosa l'aveva sconvolta e rattristata. Come non poteva capacitarsi del fatto che sapesse dell'esistenza di Giovanna e non avesse mai detto nulla. Avrebbe davvero atteso la morte senza fare nulla per impedirlo? Una domanda incomprensibile che doveva avere una risposta.

Haruka andò a sedersi su uno dei tre sgabelli della penisola continuando a fissarle la schiena. Tutto intorno il loro appartamento; la porta scorrevole vetrata che dava sul terrazzo, il camino in stile moderno dai pianali in peperino scuro ed il divano proprio davanti, il tavolo di cristallo, la porta dello studio dove Michiru lavorava e si rilassava dipingendo. Tutto il loro mondo, oggetti scelti con cura. Un ambiente sereno, amato sin dalla prima volta che l’agente immobiliare glielo aveva proposto. Tenou respirò a fondo sentendosi i polmoni pesanti. Aveva pianto e tanto, per tutto; per Mattias, per la tensione accumulata in mesi di lotta, per quel segreto che si portava dentro da anni, che poi segreto non lo era più, perchè Michiru, la sua Michiru, l'aveva ingannata agendo alle sue spalle, scoprendolo chissà in quale modo, ma soprattutto, aveva pianto di rabbia verso se stessa, per essersi permessa di perdere il controllo in quella maniera. Aveva gli occhi arrossati e questa volta non gliene fregava niente di apparire debole, perchè aveva esagerato e debole si, lo era stata davvero e non certo per aver ceduto ai sentimenti con i singulti provenienti dal suo spirito. Stava per colpirla, lo sapevano benissimo entrambe ed aveva deviato il colpo sulla porta solo all'ultimo momento, colta da un bagliore di lucidità.

Michiru sospirò chiudendo il rubinetto ed asciugandosi le mani sul canovaccio, lo dimenticò sul piano di granito. Si voltò andando poi verso l'altra che aveva ora la testa bassa e le mani nelle mani abbandonate mollemente sulle gambe.

“Guardami Ruka.” Disse una volta arrivatale davanti e non vedendo reazioni, le afferrò il mento con due dita costringendola ad incrociare il suo sguardo.

Michiru amava quella donna, con tutta l'anima, con tutto il corpo, con tutta se stessa e vederne gli occhi gonfi le fece male al cuore. Le lasciò un bacio sulla fronte prima ed uno sulle labbra poi, delicatissimi e di riconciliazione. Si sentì stringere la vita avvertendo il viso caldo della compagna premuto sul petto.

“Perdonami...” Soffocò nella stoffa del maglione.

“Non voglio mai più vederti perdere il controllo in quel modo. Mi hai spaventata.” Ammise iniziando ad accarezzarle i capelli mentre la stretta si faceva più forte.

”Sul mio onore...”

“Mi basta.” Sentenziò sommessamente Era giunto il momento di sapere tutta la verità.

 

Seduta sul divano con la bionda al fianco, Michiru aspettò pazientemente che giungesse il momento nel quale avrebbe trovato il bandolo di quell'assurda matassa. Poi sarebbe toccato a lei spiegare tutto e si sarebbero fatte le somme di una storia al limite dell’assurdo. Ma tirare fuori dalle labbra di Haruka un qualcosa non era cosa facile e dovette attendere svariati minuti prima che, arpionandosi i capelli con la sinistra, Haruka non si incurvasse sulla schiena chiedendole nuovamente scusa.

“Non so cosa mi sia preso... E non è vero che non avresti dovuto impicciarti, sei la mia donna e non ci dovrebbero essere segreti tra di noi. È che... non volevo più pensarci, ecco tutto.”

“A cosa?”

A quella domanda Haruka prese un grosso sorso d’aria ed arrotolandosi la manica sinistra le mostrò la cicatrice che Michiru conosceva dalla prima notte passata insieme.

“Ti ricordi quando ti dissi che me l'ero fatta a diciotto anni guidando la mia prima 250? Ebbene... non è vero. In realtà me l'hanno fatta a sedici, dietro la palestra del liceo. Diciamo... - sorrise al ricordo - ... che al giorno d'oggi si chiamerebbe bullismo, ma dove sono nata e cresciuta io si chiamava; dare una lezione alla lesbica che ha toccato mia sorella.”

Si sfiorò la pelle più chiara scusandosi per la prima menzogna. “Vedi, quando abiti in una piccola cittadina dove praticamente almeno di vista si conoscono tutti, hai gli ormoni scombussolati per via della giovane età ed una spada di Damocle sulla testa dal nome adolescenza, è facile che prima o poi tu vada a cacciarti nei casini. Oppure siano loro a trovare te. - Grattandosi la testa le venne da ridere. - Ed io da ragazzina di casini ne attraevo una quantità industriale, te lo assicuro, tanto che dopo il primo appuntamento con una ragazza di poco più grande, i suoi due fratelli maggiori decisero che era il caso di darmi una lezione subito e di raddrizzarmi... la schiena.”

“Sono stati loro due a farti quella?” Chiese solcando la fronte con una profonda ruga d’espressione.

“Si, grazie a Dio. - E vedendo Michiru scuotere la testa non capendo, le spiegò che dalle sue parti raddrizzare la schiena equivaleva a cambiarti la vita. - E come si cambia la vita ad una ragazzetta di sedici anni che non è ancora mai stata con un uomo? Stando con due. Con o senza la sua approvazione.”

“O Dio, Ruka.” Una mano alla bocca, ma una carezza arrivò prontamente a rassicurarla.

“Tranquilla Michiru. Gia' allora ero abbastanza alta e robusta. Ero una ragazzina e' vero, ma sufficientemente forte per oppormi. Alla frase brutta lesbica bastarda ora ti faccio capire cosa vuol dire stare con un uomo così la finirai di importunare le ragazze per bene, mi ricordo che, anche se bloccata per le braccia, riuscii a mollare un paio di ginocchiate, una delle quali colpi' al basso ventre uno dei due e mentre quello mi spingeva a terra portandosi le mani all'inguine, il fratello mi rendeva la pariglia spezzandomi con un pestone l'avambraccio. Si fece subito tutto nero, ma urlai abbastanza forte da attirare l’attenzione di alcuni compagni usciti dalla palestra che corsero subito in mio aiuto e nel vedere il mio osso sanguinante che mi aveva squarciato la pelle, i due impavidi giovani se la diedero a gambe levate. Tornai a casa dall'ospedale non dicendo nulla a mia madre, sapendo che se avessi parlato sarebbe andata a spaccargli la faccia di persona. Poi vallo a spiegare ai genitori di quei due dementi che l'abbordaggio non l'avevo fatto io, ma la loro dolce figliola. Ero ancora troppo inesperta e... confusa. Non capivo il perché di quella violenza. Mamma sapeva della mia omosessualità e l'ha sempre accettata senza problemi, ma quello che non sopportava era che gli altri cercassero di prevaricarmi per questo. Se tuo padre fosse ancora qui ci penserebbe lui a tutta questa valanga di ignoranti. Mi ripeteva spesso. Talmente spesso che qualche mese dopo, con la scusa di una gita scolastica, racimolai un po' di soldi ed andai a cercarlo.”

Michiru iniziò a capire.

“Mi misi in caccia con ogni mezzo allora disponibile ed anche se non era ancora il tempo dei social e di internet, mi basto' l'elenco telefonico dell'ultima città dove aveva lavorato.”

“E lo trovasti?”

“Lo trovai. - Sorrise perdendo lo sguardo in un ricordo lontano. - Era un tipo interessante e completamente diverso dall'idea di padre che mi ero fatta in tutti quegli anni guardando la tristezza negli occhi di mia madre. La cosa che mi intrigava di più di lui erano gli interessi. I motori, la storia, il Medioevo, il tiro con l'arco, lo sport. Tutte cose che sai benissimo piacciono anche a me. E poi, il modo di gesticolare, di parlare, alcune caratteristiche fisiche. Era una sensazione nuova rapportarmi con lui e mi piaceva.... Porca miseria Michiru se mi piaceva avere un padre.”

L'altra strinse le labbra stirando un sorriso di comprensione. Era la prima volta che la sentiva parlare così tanto e tanto bene di Sebastiano.

“Però poi dev'essere accaduto qualcosa che ha cambiato la tua percezione, vero?”

L'altra annuì abbassandosi la manica per poi poggiare i gomiti alle ginocchia. “Esattamente. Mi confesso' cose con le quali convivo tutt'oggi e che mi hanno portata a troncare qualsiasi tipo di legame con lui.”

Giovanna, pensò Michiru ed attese.

“Erano passati alcuni anni da quando, all'insaputa di mia madre, avevo iniziato a frequentarlo ed un giorno, presentandomi ad alcuni amici, disse loro: questa è mia figlia Haruka, la più piccola.

Michiru si ricordò della sera nella quale aveva messo al corrente Giovanna dell'esistenza dell'altra. Fammi capire bene Kaiou. Stai insinuando che avrei una sorella più piccola e che quest'ultima è la tua ragazza? Entrambe avevano ricevuto quella particolarissima notizia, che gran parte dei fratelli sa da sempre, come una doccia gelata in piena estate.

“La più piccola. Io ero la più piccola di due figlie, nate dallo stesso uomo ed abbandonate nello stesso modo. Giovanna Aulis ha quasi cinque anni più di me, ed è... È mia sorella maggiore. Questa notizia mi sconvolse profondamente e mi apri' gli occhi su una cosa. Mentre lui era sparito dalla mia vita a causa del logorio del rapporto con mia madre, per Giovanna è stato diverso.” Concluse poggiando la fronte sulle nocche delle mani.

“In che senso?”

Haruka le rivelo così che il padre mentre era ancora sposato con la madre di Giovanna, durante una fiera in Svizzera, aveva conosciuto Ilde Tenou, che non sapendo del legame che Sebastiano aveva in Italia, si era invaghita di lui allacciando così una relazione. L'uomo aveva tenuto il così detto “piede in due staffe” fino a quando la donna si era accorta di essere rimasta in cinta. Così lui aveva deciso di andare a convivere con lei, trasferendosi in maniera definitiva in un altro paese e lasciando terra bruciata dietro di se.

“Perciò tua madre non è mai venuta a conoscenza di questa storia.”

“No. I miei non si sono mai sposati e perciò lei di carte in mano per matrimoni pregressi non ne ha mai avute. D'altronde era una donna molto libera e lo dimostra il fatto che è suo il cognome che porto.”

Haruka sospirò pesantemente sentendosi messa a nudo, rivelando anche che le sarebbe talmente piaciuto incontrare quella sorella, che per il suo ventesimo compleanno si era regalata un viaggio a Roma con l'intento di cercarla. “Mi sarei accontentata di vederla anche solo una volta, da lontano, ma non... Non ci sono riuscita. Scoprii il suo indirizzo facendole la posta sulle scale dell'androne per ore. Poi una donna che rientrava, mi disse che Giovanna era all’Università e sarebbe andata a dormire a casa di un’amica per preparare un esame. Era sua madre. Visto il buco nell’acqua gettai la spugna, anche perchè il coraggio, come i soldi, iniziava a scarseggiare ed avrei già dovuto pernottare su una panchina della stazione nell'attesa del diretto per Trento. Molto probabilmente... non era destino.”

Nell'ascoltare quell'inedita Ruka, arresasi ad una fragilità emozionale che prima non aveva mai dimostrato, Michiru non potè che costatare le stesse paure riscontrate nell'altra, ma questa volta rivide Giovanna in Haruka e non viceversa. Lo stesso timore di non essere accettate, ma la stessa voglia di provare comunque ad avere un legame. Forse era la conseguenza del traumatico abbandono di un padre.

“Ti rendi conto che avremmo risparmiato tempo ed energie, sia fisiche che nervose, se all'aggravarsi della malattia avessi cercato di contattarla per farci aiutare?!”

Haruka la guardò in modo strano, come se avesse appena sentito un'eresia. La risposta arrivò piatta e concisa. “A parte il fatto che un donatore mi era già stato assegnato, secondo te avrei potuto avere la faccia tosta di chiedere ad una perfetta estranea, alla quale ho involontariamente rovinato la vita e che nei miei confronti prova solo rancore ed odio, di donarmi il suo midollo! Proprio non mi conosci se mi fai una domanda del genere Michiru.” Tornò fredda ed implacabile. Quella storia l'aveva logorata per gran parte della vita e da come si esprimeva, dialogava e si rapportava con la compagna, si vedeva perfettamente che la ferita era ancora aperta e purulenta.

“No aspetta, fammi capire. Perchè credi che Giovanna ti odi?” Chiese allarmata da un'atroce sospetto.

L'altra si alzò andando verso i pensili per prendere un bicchiere d'acqua. Aveva una gran sete. “E' stato Sebastiano a dirmelo. Giovanna sa perfettamente chi io sia e non ha mai voluto avere niente a che fare con la causa dello sfascio della sua famiglia.”

Michiru quasi urlò. Alzandosi a sua volta allargò le braccia scuotendo energicamente la testa. “No amore, no! Non è assolutamente vero! Sono stata IO a dire di te a Giovanna! Lei non ha mai saputo nulla della tua esistenza, te lo posso assicurare.” Vide lo sguardo di Haruka trasformarsi da torvo ad incredulo. Dimenticato il bicchiere stretto nelle dita continuò a guardarla avanzare verso di lei fino a quando le mani di Michiru non le arpionarono le spalle.

“Ma cosa stai dicendo?! E poi non ho ancora capito cosa diavolo c’entreresti tu in tutta questa storia. Non prendermi per i fondelli, Kaiou!”

“Ti dico che è così. Non ti sto mentendo! Conosco personalmente Giovanna e ti assicuro che non ha più notizie di vostro padre da trentacinque anni!"

"La conosci? E da quanto? Come..."

"Da qualche mese. Una pura casualità. Anche se arrivate a questo punto, inizio a credere che il caso non esista. Vedi amore, sono stata io a sospettare che uno degli Architetti che lavorava in Vaticano e che portava lo stesso insolito cognome di Sebastiano, potesse avere con te un qualche tipo di legame di parentela e sono stata sempre io a prendere informazioni su di lei ed una volta acclarato che fosse tua sorella maggiore, a dirle di te, a chiederle di aiutarci. - Addolcì la voce continuando a tenere le mani alle spalle della compagna. - E lasciami anche dire che ci ha messo poco meno del tempo di una cena ad accettare la situazione, la tua malattia e ha decidere di farsi il test per la compatibilità midollare. Certo, all’inizio e' rimasta un tantino sconvolta dal sapere di avere una sorella e non puoi certo darle torto, ma si è resa subito disponibile ed è stata la tua ombra fino a quando non sei stata sufficientemente forte da essere considerata fuori pericolo.”

“La mia ombra?” Quasi un sospiro.

“Si Ruka. Era a Zurigo con me. Non sei mai stata lasciata sola. Se non era in clinica, gironzolava nei paraggi e comunque sempre a stretto contatto telefonico. Ti racconterò tutto; su come l'ho conosciuta, di quanto abbia fatto per noi, di com'è testarda e sfuggente quando ci si mette e di quanto benedettamente vi somigliate, ma ora ti prego di credermi se ti dico che Giovanna Aulis non ti ha mai odiata, anzi ti vuol bene e tanto anche.”

Proprio così; Giovanna si era comportata più da sorella maggiore in poco meno di due settimane, che Sebastiano Aulis da padre in anni. Il perché dell’enorme e disumano inganno che aveva rovinato sul nascere il rapporto che avrebbe potuto instaurarsi tra due sorelle forse non si sarebbe mai capito, perchè la mente umana a volte arriva a nascondere dei buchi neri talmente tanto perversi da rasentare le fiamme di un averno senza fine.

Stordita Haruka si sciolse dalla presa di Michiru abbandono il bicchiere per poggiare le mani al piano della penisola. Si sentiva le gambe molli. Perché una cosa tanto meschina. Quale motivo per farla vivere con un macigno di quella portata sul cuore. Una cattiveria gratuita che non si meritava. Che non meritavano entrambe. Come si era permesso di decidere per loro, muovendo i fili delle loro esistenze senza un briciolo di pudore.

“Sebastiano mi ha mentito...”

“Purtroppo si, amore...” Confermò catturando nello sguardo smeraldino della compagna uno scintillio di pura dolore.

 

 

Distese sul letto, abbracciate strette per continuare a sentirsi anche dopo aver fatto l'amore, Haruka e Michiru si confidarono fin quasi all'alba i loro pensieri più nascosti, le ansie avute e mai confessate, le cicatrici ottenute e quasi mai del tutto guarite, nonostante la maturità di un'età ormai adulta.

Haruka aveva voluto sapere tutto della sorella maggiore e Michiru l'aveva saziata per quel che era riuscita a capire di quel carattere complesso. Divertente ed alla mano con tutti, l'aveva accolta come un'amica assecondando ogni sua richiesta. Impacciata e disposta all'apprendimento, non dimostrava paura nel mettersi in gioco nella praticità di tutti i giorni. Sfuggente e latitante, quando decideva di non essere all'altezza delle aspettative di qualcuno. Testarda fino alla stupidità, quando pur di giocarsi una gamba, aveva seguito ostinatamente il filo di un pensiero irrazionalmente folle, ma carico di affetto. Generosa, altruista e molto, molto simile alla sua donna. Giovanna ed Haruka avevano sicuramente avuto verso il padre un imprinting visivo che le portava a fare spesso gesti fisici simili se non addirittura identici, ma caratterialmente era ancora un mistero per Michiru come quelle due si somigliassero tanto.

Poi il racconto concreto del loro incontro, del cartellino perduto, dei primi approcci per farsela amica e le scuse sincere che Michiru fece ad Haruka nel confessarle che avrebbe già potuto tornare da lei molte settimane prima, ma che aveva deciso di restare a Roma per tentare di giocarsi bene quell'ultima chance. La cena, eterna e drammatica, dove Giovanna aveva in fine stemperato i toni dando alla sua sorellina della top model spacca culi alla lady Oscar. Il Cardinal Berti che l'aveva presa di petto per le sue bugie, il prelievo, la compatibilità ed il viaggio, che voleva essere affrontato bellamente in bermuda e maglietta. La mancanza di affinità con Daniel Kurzh, apostrofato come uno scanner belloccio da soap opera e le sue continue fughe. I discorsi sui massimi sistemi e su una casualità che anche a Michiru iniziava a non sembrare più tale.

“E così è quel tappetto dalla faccia buffa.” Confesso' Haruka cercando di ricordarsi il viso della donna con le stampelle che Michiru le aveva indicato essere Giovanna.

“Guarda che è alta quanto me.”

“Appunto. Un tappetto.”

“Ruka!"

 

 

 

 

 

   
 
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