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Autore: tomboyx    08/01/2017    0 recensioni
La morte è inaspettata, cruenta, affascinante; ero pronto ad affondare in quel profondo sonno da cui non mi sarei mai più svegliato.
La vista offuscata, il batto cardiaco veloce, il respiro affannoso.
Un taglio, due, tre; il sangue rosso che scorre, i segni sulla pelle bianca.
Quattro tagli, cinque, sei; il bianco diventa rosso e tutto diventa nero.
Un tonfo, un respiro, un sussurro.
Un volto, un sorriso, una parola.
© -tomboyx
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Min Yoongi/ Suga, Park Jimin
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Il sole venne finalmente rimpiazzato dalla luna,  la stanchezza iniziò a farsi sentire ed il mio corpo diventare lento e pesante.

Con le poche forze rimaste, strisciai verso camera mia per poi buttarmi sul letto caldo che mi attendeva dall'inizio della mattina.

Quel giorno, mi sono svegliato presto per andare, costretto da mia madre, ad un centro per adolescenti "incasinati". Giovani della mia età che raccontavano la loro vita privata e si liberavano dei loro problemi; un gruppo di supporto, in parole povere. 
La mattinata passò in modo veramente lento e rischiai quasi di addormentarmi sulla sedia. Non che non rispettassi il dolore e la vita degli altri, solo che trovavo che erano storie dette e ridette, che si possono trovare tranquillamente online su un blog od un qualsiasi sito internet. Come la mia storia.

Fu per questa ragione, che non aprii bocca per tutta la seduta; rimasi lì, immobile, ad ascoltare la voce dei presenti. Quando arrivò il mio turno, alzai lentamente le spalle e nascosi il volto nell'enorme sciarpa calda che indossavo.

Dopo la seduta, arrivò l'incontro con lo psicologo. Come ogni giorno, non smetteva di pormi domande su domande, senza che io abbia una risposta precisa.

Semplicemente, non sapevo neanche io perché l'avevo fatto; con quale coraggio abbia potuto fare quel passo tanto difficile, era un mistero pure per me.
Sapevo solo, che mi ero stancato di tutto ciò che vivevo ed ero spaventato dal futuro.


 

×××
 

 

Il giorno dopo, non c'era nessuno, visto che mia mamma era al lavoro e papà non abitava più con noi, quindi decisi di privilegiare della morbidezza del divano color blu notte che si trovava in salotto; caldo e comodo, quasi più del mio letto, accesi la TV alla ricerca di qualcosa d'interessante e per distrarmi da lui.

Dopo lo strano fatto accaduto qualche giorno fa in camera mia, la presenza non si era mossa; i suoi occhi neri come la pece erano fissi sulla mia figura, e non l'abbandonavano neanche per un istante. Mi seguiva in ogni momento della giornata ma, quando mi trovavo per strada, sembrava sparire, per poi riapparire in un angolo buio dell'edificio dove mi trovo.

Il suo corpo, che ebbi la possibilità di vedere quando si trovò sopra di me, era nascosto da un alone oscuro che lasciava solo il suo sguardo di ghiaccio visibile e la sua bocca color sangue.

Nonostante facessi di tutto per ignorarlo, i miei occhi e la mia attenzione ricadevano inevitabilmente, su di lui, come se fossero attratti da una calamita. Diverse volte, finii per incrociare il suo sguardo, cosa che cercavo in tutti modi di evitare; quando i nostri occhi s'incontravano, una catena inspezzabile mi legava a lui. Troppo debole per girare la testa, rimanevo risucchiato in quei pozzi senza fine, per poi risvegliarmi dal mio stato di tranche grazie a qualche rumore o persona esterna.

Vagavo tra i diversi canali, sentendo che le mie mani cominciarono a sudare; il mio respiro diventa affannoso e la mia vista sembrava annebbiarsi. 
Con uno scatto, mi alzai dal divano e spensi la TV, lanciando lontano il telecomando.

Senza guardare verso la figura oscura, uscii dalla stanza e, di fretta, indossai una giacca ed un paio di scarpe. Presi le chiavi e telefono,  ed uscii di casa facendo sbattere violentemente la porta d'entrata. 
Tirai un respiro di sollievo, quando sentii il mio corpo alleggielirsi;  lo sguardo penetrante di quell'essere non era più posato sulla mia figura e  la sua immagine aveva smesso d'infestare il mio spazio. 
Ma non la mia mente.

Deglutii ed iniziai a camminare verso una meta imprecisa. Il sole era ancora nel cielo, illuminando la terra e riscaldandola con i suoi raggi quasi accecanti. Ho sempre odiato il sole, ma sembrava l'unico metodo che teneva quella presenza lontana. Nonostante la giornata particolarmente soleggiata, c'era un fresco vento piacevole che mi permise di respirare con calma.

Camminai per diverso tempo, riuscendo a fare un po' di movimento ai miei muscoli che erano ormai addormentati; da quando feci quella decisione, la smisi di praticare qualsiasi sport e non ebbi particolare possibilità di fare una passeggiata in tranquillità. Vivevo in una città piuttosto calma, non troppo grande ma neanche piccola, costellata di parchi e fontane.

Approfittai della giornata per sedermi in una panchina situata non molto lontana di una grande quercia e chiusi gli occhi, cullato dal calore dei raggi ed il cinguettio degli uccelli. Il rumore dell'acqua del fiume che scorreva non molto lontana dalla mia posizione riempiva le mie orecchie e mi sentii finalmente, dopo diverso tempo, in pace con me stesso.

Davvero avevo cercato di privarmi di questi piccoli momenti quotidiani e di questa pace e tranquillità? Avevo veramente deciso di arrendermi e di lanciare tutto all'aria, abbandonando mia madre ed i miei amici?
Desideravo così tanto spegnermi?
La risposta era sì.

Ma qualvolta che cercavo nella mia mente, scavando nei miei pensieri, per trovare il motivo che mi ha spinto a quella difficile scelta, sentivo un forte mal di testa. Prima del mio tentato suicido, non c'era nulla.
Dal ricordo del pomeriggio passato con i miei amici al mio risveglio, c'era un enorme buco nero.

 

×××

 

Una strana luce puntata nei miei occhi mi fece sobbalzare;  senza rendermene conto, mi sono addormentato e la notte è scesa. Il lampione davanti a me illuminava la mia figura, facendomi sbadigliare e mi passai le mani tra i capelli; non so quanto tempo è passato, ma era sicuramente arrivato il momento di tornare a casa.

Inviai un messaggio veloce a mia mamma, per non farla preoccupare, ma mi rivelò di essere passata da mia zia quindi la lasciai con la convinzione di trovarmi al sicuro in camera mia.

Mi alzai dalla panchina e mi diressi verso la strada di ritorno. Chiusi la mia giacca, sentendo un gelo che mi arrivò fino alle ossa; il fresco vento di qualche ora prima venne rimpiazzato da uno più freddo e violento.

A causa sua, iniziai a sentire la pelle sensibile ed un brivido attraversò il mio corpo. 
Arrivato al marciapiede, un forte folata d'aria fredda colpì il mio corpo, scompigliando tutti i miei capelli e portandone alcuni sul mio viso. Mentre attraversavo la strada, chiusi gli occhi infastidito dalle mie ciocche color pece; con uno sbuffo, cercai di portarli indietro, ma il rumore di un clacson mi fece bloccare sul posto.

Con gli occhi semi-aperti, osservai la macchina che andava in alta velocità, suonare diverse volte e serrai lo sguardo, per paura dell'impatto. 
Finalmente, sarei morto.
La morte che tanto bramavo, ma stranamente, non volevo accettarla.
Non volevo morire.

"Ehi.." una calda e roca voce mi fece aprire gli occhi, quasi intimidito. Davanti a me, un ragazzo con gli occhi color pece e la pelle color neve mi osservava con dolcezza e con un altro sentimento, che non riuscii ad identificare. Con le sue dita fredde, tolse una ciocca di capelli posata sulla mia fronte e disegnò il contorno del mio volto con lentezza quasi agonante.

I suoi capelli, di un biondo chiaro, giocavano divertiti e cullati dall'aria serale; rimasi incantato ad osservare il suo volto di una bellezza quasi ineguagliabile. Dopo qualche istante, il mio corpo si gelò.

Era lui.
La figura tanto misteriosa che mi perseguitava da tempo, rendendomi inquieto e più sensibile. La figura che mi osservava lontana ed in modo opprimente, la figura che ebbi la possibilità di vedere con attenzione una sola volta.

"C-chi sei?" mormorai con voce incerta, sentendo il mio respiro farsi affannoso e la mia testa pesante. Lui posò l'indice sulla mia bocca, facendo perdere un battito al mio cuore.

"Ti ho già salvato dalla morte una volta... fa più attenzione, Jimin." quando le sue labbra pronunciano il mio nome, sembrava essere un suono speciale e diverso. Forse era a causa della sua voce profonda o di come la sua lingua accarezzava dolcemente, ma allo stesso tempo con passione, le lettere del mio nome.

Poi, senza sapere come, sparì. 
Mi alzai dal freddo cemento e pulii velocemente i miei pantaloni, mentre le sue parole rimbombavano nella mia testa.

"Mi.. ha salvato?"

   
 
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