Nulla è più facile che illudersi. Perché
l’uomo crede vero ciò che desidera.
Demostene, Orazioni
Abbaiare al vento.
-
Sei arrabbiata. – L’azzurro cupo degli occhi di Sherlock è venato da una
sfumatura inerte di rassegnazione. In un giorno diverso, Molly lo considererebbe
un dettaglio destabilizzante. In questo giorno particolare, invece, diventa
soltanto una tortura atroce, l’ennesima a cui lui la sta sottoponendo contro i
suoi desideri.
-
Sei arrabbiata, - lui ripete sottovoce, con l’accanimento di chi non vuole
ascoltare la versione di un racconto perché non la trova di suo gradimento.
Inclina la testa di circa trenta gradi, le nocche dell’anulare e del mignolo premute
sopra il labbro inferiore, le tre restanti che tamburellano contro l’incavo
della guancia note di una melodia di cui le pare di ascoltare l’eco in
un angolo appartato della mente. E, oh,
cos’è se non il trillo del diavolo*? – Perché sei arrabbiata? –
Molly
non vorrebbe notare i particolari, i sintomi riconoscibili della verità che lui
le sta offrendo così apertamente. Gli avallamenti nel suo volto emaciato e affaticato,
il pallore sofferente, il fremito che gli è impossibile controllare, la luce
febbrile e folle nel suo sguardo appassionato, vibrante di un’esaltazione che
in qualunque altro momento la renderebbe orgogliosa, ma che, stando così le
cose, le spezza soltanto il cuore.
Oh,
l’audacia barbara e insultante di quest’uomo! Se disponesse dei mezzi necessari,
lei rivolterebbe il mondo, ma a che servirebbe? Non a lui.
Arrabbiata?
Arrabbiata! Una parola così
riduttiva, banale. Una parola che sembra una blasfemia, una frottola. Lei non è
arrabbiata, è semplicemente furibonda.
E
ciò nonostante, quante volte è già successo in passato e a cosa è servita la
sua rabbia? Di preciso, la sua delusione, quali risultati ha ottenuto?
Di
colpo, la rabbia si sgretola su se stessa come un mucchietto di ossa ridotte in
polvere dal battagliare del tempo, delle sue inquietudini.
-
Molly, - lo sente chiamarla e qualcosa nel suo tono, l’esitazione, la cadenza
inquisitiva e al contempo supplice, le fa serrare la bocca in una smorfia. -
Molly, per piacere, guardami. –
Odiandosi
per la propria debolezza, lei si volta. Vorrebbe non averlo fatto. Assecondarlo
non è mai un bene. In più ha effetti perfino più spiacevoli su di lei: la fa
sentire… le fa provare sentimenti che non sopporta.
-
Abbaiare al vento, - dice, evitando con determinazione di incrociare il suo
sguardo come sta facendo da quando ha messo piede nell’appartamento. Sa che lui
la sta scandagliando, alla ricerca della chiave di volta che sveli l’arcano potere
che a volte, le ha confessato, lei esercita inconsapevolmente su di lui. – Ecco
come mi sento. Come mi fai sentire. Come se sprecassi il mio fiato, le mie
energie, il mio… – tentenna e si morde la lingua. Per un attimo, presa dalla
foga, è stata sul punto di pronunciare la parola proibita.
-
Il tuo cosa, esattamente? –
Era
ovvio che non gli sarebbe sfuggito. Coglierli in fallo, annotare i loro errori e
poi farli risaltare sotto una luce inclemente, non è ciò che lui sa fare meglio?
Se
fosse ancora la donna che è stata in passato, Molly si rintanerebbe in se
stessa e ammortirebbe i danni, trincerandosi dietro un paravento di patetiche
scuse e biascichii, ma Molly non è più quel genere di donna né aspira a
rimanerlo. L’esempio fulgido della tenacia della signora Hudson e di Mary
Watson scolpiscono le sue spalle nella pietra, assottigliano le sue paure fino
a rendere il dolore e la delusione tollerabili. Molly solleva il mento e le sue
mani rimangono ferme, la sua voce è implacabile. – Il mio amore. –
Forse
è l’impressione di una speranza antica, ma le sembra di vederlo trasalire.
-
Perché insistere? – La domanda di lui è la blandizia crudele di una lusinga. E’
questa l’idea che ha di lei: l’immagine di un’ambizione indesiderata e seccante,
il desiderio per un’opportunità continuamente delusa, calpestata?
Molly
sorride amaramente. – Perché l’uomo crede vero ciò che desidera. –
-
E tu cosa desideri? Molly. – Un passo, poi un altro, nelle movenze sgraziate di
un valzer. Sherlock le è di fronte e c’è qualcosa nel modo in cui ha
pronunciato il suo nome, nella sua espressione concentrata che la fa sentire ancora
più vulnerabile e turbata.
-
Niente che non abbia già, – lei risponde.
Sherlock
non smaschera la sua bugia, anche se potrebbe. – Perché
sei arrabbiata? – insiste, come se si trattasse di una questione
della massima rilevanza.
L’enormità
della rabbia (lo sgomento e la paura di fronte alla possibilità di perderlo) che
sta covando da più di un giorno le ha aperto una voragine dentro il petto. – Perché
stai morendo. –
-
Stavo, - lui la corregge con precisione. – Non assumerò più droghe. –
-
Bugiardo. –
-
Non sto mentendo. Non su questo. –
Molly
si arrischia a credergli e con movimenti furtivi si passa i polpastrelli agli
angoli degli occhi. – Cosa ti ha fatto cambiare idea? –
-
Non cosa. – Lui osserva le sue dita con un'immobilità affascinata. – Ma
chi. –
-
Bene, allora. Chi? – Molly domanda.
Sherlock
non risponde, limitandosi a fissarla con un sorriso obliquo che è quasi
pruriginoso nel suo essere deliberatamente provocatorio e condiscendente. Il
suo silenzio è un chiaro incoraggiamento che la esorta a trovare da sola la
risposta. Molly non vorrebbe dargli la soddisfazione, ma la notte è giovane,
mancano ancore molte ore prime che John venga a darle il cambio ed è
sinceramente stufa (e stanca, stanca come lo è ogni volta che rischia di
vederlo gettarsi dal precipizio) di essere in collera con lui.
-
Non credo che sia opera della signora Hudson e neppure del viaggio nel suo
bagagliaio, - lo stuzzica.
Il
sorriso di Sherlock si flette come la corda di un violino, curvandosi verso l’alto.
-
Dubito che sia merito di John o del suo gancio destro. –
‘Continua’
la invita il brillio di divertimento in fondo ai suoi occhi, ma il gioco è già
agli sgoccioli. Sono poche e perciò tanto più preziose le persone importanti
per Sherlock. Sapere di fare parte di questo circolo esclusivo è un privilegio
che un tempo l’avrebbe intimorita e infiammata di esultante gioia. Il favore
del suo affetto, Molly ha però imparato negli anni, offre clamorosi abbagli. E’
un serpente che si morde la coda in uno svago persistente e macabro: due denti
del veleno, in uno fiera sconsideratezza ed entusiasmo, nell’altro panico e angoscia.
Chi rimane che lei non abbia nominato? Un fantasma e un rimpianto. Una madre,
una moglie, un’amica; una bambina che serba in sé il significato di un amore
che in ultimo è stato sacrificio.
-
Neppure loro, - lui la previene, intuendo facilmente la direzione dei suoi pensieri.
– Non è merito loro. – Inaspettatamente lui si china in avanti, il suo respiro
le sfiora il collo, in corrispondenza della vena giugulare. Le è così vicino
che lei può sentire fisicamente il calore che il suo corpo, teso da fili
invisibili, attraversato da onde di energia smaniosa e frenetica, emana. Profuma
di tabacco, alcool e sogni infranti. Ha lo stesso odore residuo di alcuni
cadaveri che ha sezionato sul suo tavolo operatorio. E’ quel pensiero che la fa
scostare da lui, come scottata. L’allontanamento brusco produce in Sherlock una
reazione strana, un’ombra ferita gli taglia il volto, ma Molly cerca di non
badarci.
-
Culverton Smith. – Con le braccia incrociate dietro la schiena, Sherlock corregge
la sua postura, raddrizzandosi e ispezionando ostentatamente il muro. – Mentre avevo
le sue mani attorno al collo e lottavo contro l’asfissia, ho avuto modo di riflettere
su precedenti considerazioni personali e di conseguenza di metterle in
discussione. –
- Considerazioni del tipo? –
-
La morte, - lui svela con pratica e brutale schiettezza. – La mia, per l'esattezza. –
Molly
ingoia a vuoto, interdetta. – Ne sei venuto a capo? –
Sherlock
fa un breve cenno di assenso. – Ho capito che non intendo morire. Non a breve,
non di morte violenta, se posso evitarlo. Intendo vivere con soddisfazione
molti degli anni a venire. –
-
Bene. – Molly annuisce mentre un peso che neppure si era resa conto di avere
attenua la sua presa e si scioglie come carbonato monosodico disciolto in un
composto a base di acqua.
– Bene. E’ un… - la gola le solletica in modo buffo, –
un piacere che tu la pensi così. John sarà felice di saperlo e anche la signora
Hudson, scommetto e… - Molly sbatte le palpebre per disperdere le lacrime, si
copre la bocca con il dorso della mano.
Sherlock
le sfiora il polso come se fosse qualcosa di fragile e dal valore più unico che
raro, i suoi occhi hanno fatto propria quella particolare sequenza di emozioni che
formano un crescendo in progressione. La duttilità di una gentilezza soffice,
qualcosa di morbido e cedevole che lo illumina dall’interno, triste e felice
assieme.
Sopraffatta
da quello che sta provando, ma non intimidita, mai più intimidita, Molly accarezza
la lanugine sulla sua mandibola. Lo vede socchiudere gli occhi per il piacere e accostare ancora
di più il viso, imprimerlo nel palmo della sua mano nella stessa maniera in cui
innumerevoli volte lei ha visto Toby cercare i suoi gesti affettuosi, le sue
carezze.
-
Con te, - lo sente sussurrare a pochi centimetri dalla sua bocca, quando ormai l’azzurro
dei suoi occhi stanchi e arrossati è l’unico colore della stanza. - Intendo
viverli con te. –
Abbaiare
al vento dell’est, alla luna, alle stelle, pensa Molly un attimo prima che lui
la baci, l’ha fatta gridare in silenzio per anni, ma alla fine non si è
rivelato invano, né senza ragione né effetto, non è forse così?
N/A (SPOILER FREE SECONDO EPISODIO):
L’ho
scritta di getto, ambientandola nella notte che nel secondo episodio
viene
accennata (quella che Molly deve trascorrere controllando Sherlock nel
suo
percorso di disintossicazione, alternandosi a John), ma non mi ha
regalato
particolare soddisfazione. Non quanta ne ho provata scrivendo i
dialoghi di un’altra
piccola storiella che ho in cantiere, assai più frizzante e dai
toni molto più
piacevoli e spassosi. Ciò nonostante spero che a voi piaccia o
che vi regali
quantomeno un piccolo sorriso. Il secondo episodio mi ha lasciato
dentro una
marea sconvolgente di emozioni contrastanti: innanzitutto una
venerazione
imperitura per la cara, carissima signora Hudson, un patrimonio che va
preservato e custodito come una reliquia sacra; e poi il solito magone
di
tristezza per Mary, la cui dipartita per me rimane una voragine
incolmabile; orgoglio per
Sherlock, il cui percorso come personaggio e come uomo è, ormai
ne sono
convinta, al suo culmine. Sherlock non rifugge più le emozioni
come se si
trattasse dell’ottava piaga d’Egitto, ha imparato a sue
spese che esistono cose
peggiori del perdere una persona amata e cioè non averne alcuna.
Un bacio e un abbraccio a tutti, spero di leggerci presto ;)
* Il trillo del diavolo: https://www.youtube.com/watch?v=z7rxl5KsPjs