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Autore: meiousetsuna    10/01/2017    5 recensioni
John e Sherlock si trovano alle prese con un piccolo, adorabile gattino.
Questa almeno è la percezione del dottore; per il consulente investigativo, quello con cui hanno a che fare è un temibile animale giunto a devastare la sua tranquillità domestica e la sua stessa esistenza...
Solo angst, in questo fandom? Noooo....^-^
Dal testo:
“E io dovrei vivere quattordici giorni in pericolo mortale dentro il mio stesso appartamento? Ti avverto, John, tieni quel coso nella tua camera o lo potresti dover cercare nel frigorifero!”
“Certo, certo. Muoviti ora, chiama Mycroft e fatti dare un permesso per portarlo in aereo senza documenti o quarantena, forza”.
Un paio di ore più tardi un sogghignante John era comodamente seduto con il trasportino che occupava il posto prenotato accanto al suo, con la hostess china su di lui, come d’altronde la ragazza seduta nella fila precedente.
“E chi è questo bel gattino? Come ti chiami, tesorino?”
“Non abbiamo ancora deciso il nome”. Appena terminata la frase, John la sentì riecheggiare nelle orecchie; aveva risposto come se lui e il suo amico fossero i genitori di quella creaturina e stessero litigando per affibbiargli i nomi di famiglia.
Enjoy!
Setsuna
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, John Watson, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Personaggi: Sherlock, John, Gattino
Contesto: un assai rivisitato post “I Mastini di Baskerville”
Generi: commedia, fluff, romantico
Avvertimenti: What if?
E no, la quarta serie non c’entra nulla. Un attimo di gioia... da domani, il resto ^^

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“Non posso crederci…” la voce affabile di John ― che di norma risultava gradevole e ispiratrice per l’unico e solo consulente investigativo d’Inghilterra e forse del mondo ― era davvero snervante, in quel momento “hai paura di un misero gattino!”
“Puoi smettere di infliggermi il tuo puerile divertimento? È normale avere delle fobie riguardo gli animali più comuni, capita ad almeno il dieci per cento della popolazione! Al primo posto ci sono i ragni, seguiti dai ratti e i pipistrelli, poi…”
“Sherlock, non stiamo palando di mia nonna che saliva sul tavolo mostrando l’orlo dei mutandoni se vedeva un insetto o di una collegiale che sviene se passa un topolino, si tratta di te! Sei disposto a rischiare di assumere un veleno, farti sparare, esplodere e, anche se con difficoltà, ammettere che Mycroft Holmes sia tuo fratello e tremi se ti avvicino lui?”
Il suddetto esserino, un gattino magro dall’arruffato pelo nero, sembrava partecipare al discorso con molta attenzione; si era perfettamente acclimatato in braccio a John, sentendosi accolto, ma fissava due occhietti provocatori in quelli cerulei di Sherlock come a dirgli: ‘attenzione, umano, potrei sbranarti quando meno te lo aspetti’.
“Affrontiamo la cosa in modo razionale, John. Potresti andare a comprare un trasportino pagando con la mia carta di credito e portare l’animale in una struttura di accoglienza, dove delle persone evidentemente sociopatiche* e poco funzionali passano delle giornate accudendoli. Non comprendo il bisogno di prenderti una responsabilità non tua, ma fai pure, ti aspetto nella locanda”.
“Ti preoccuperebbe immensamente averlo vicino, vero? Bene!”
“John”. Pronunciare quella singola parola aveva esaurito la riserva d’aria nei polmoni del detective, che deglutì vistosamente.
“Mi hai rinchiuso esponendomi a un gas allucinogeno, pensi di avere potere di contrattazione? Ho provato lo spavento più grande della mia dannata vita! Asserragliato in una gabbia, con te che conducevi esperimenti scientifici su di me! E se non hai mentito sono il tuo unico amico, giusto?”
“È la verità. Ma John…”
Qualcosa nel tono dispiaciuto di Sherlock fece ammorbidire subito l’irritazione del dottore, ma decise di non darlo a vedere.
“Inoltre neppure tu saresti capace di lasciare un esserino così indifeso dove potrebbero catturarlo di nuovo per vivisezionarlo, non è così? Dovremmo portarlo fino a Londra per poi liberarcene? Sherlock?”
Il giovane trattenne a malapena un fiume di parole oltraggiose, non voleva certo compromettere la situazione col suo dottore.
“Se stai facendo una domanda implicita non ho mai sezionato un animale vivo, preferisco i cadaveri umani, rispondono meglio alle mie esigenze; ma neppure sono interessato a trasformare la nostra abitazione in uno zoo!”
“Neanche io, terremo solo il gatto. Ok, soltanto due settimane, poi decideremo insieme, sono troppo civile per farti questo. La signora Hudson sarà contentissima, è una donna così gentile”.
La bocca a cuore di Sherlock si spalancò, esprimendo l’indignazione più sconfinata.
“E io dovrei vivere quattordici giorni in pericolo mortale dentro il mio stesso appartamento? Ti avverto, John, tieni quel coso nella tua camera o lo potresti dover cercare nel frigorifero!”
“Certo, certo. Muoviti ora, chiama Mycroft e fatti dare un permesso per portarlo in aereo senza documenti o quarantena, forza”.
Un paio di ore più tardi un sogghignante John era comodamente seduto con il trasportino che occupava il posto prenotato accanto al suo, con la hostess china su di lui, come d’altronde la ragazza seduta nella fila precedente.
“E chi è questo bel gattino? Come ti chiami, tesorino?”
“Non abbiamo ancora deciso il nome”. Appena terminata la frase, John la sentì riecheggiare nelle orecchie; aveva risposto come se lui e il suo amico fossero i genitori di quella creaturina e stessero litigando per affibbiargli i nomi di famiglia.
Una tenerezza struggente che non poteva impedirsi di riconoscere gli strinse il cuore, come faceva ormai da qualche tempo. Sarebbe stato bellissimo, anzi meraviglioso, ma non aveva speranza alcuna che il glaciale Mister Holmes yunior condividesse gli stessi sentimenti. Pensò a loro due abbracciati davanti al camino con un bel fuoco scoppiettante, due tazze di tè e il gattino accomodato nel mezzo, e la fantasia cominciò a correre a briglie sciolte.
Avrebbero potuto essere felici, perché no, in fondo? Tutto quello che serviva era un po’ di coraggio. Vivevano nella civilissima Londra, nel 2012, cosa poteva essere d’ostacolo?
‘Oh, ecco, in fondo non delle rivali! Niente di insormontabile…’ L’intelligenza di Sherlock, la sua posizione sociale, la sua bellezza, la sua freddezza, il suo senso di superiorità, il suo disinteresse per gli affetti?
Mentre John si tormentava continuando a sorridere, seduto solo in coda al velivolo, Sherlock stava passando una delle peggiori ore della sua vita.
Da lì John non poteva guardarlo; l’aveva lasciato solo senza farsene un problema quando aveva asserito ad alta voce che non si sarebbe seduto accanto al felino. Le due ragazze erano svenevoli in modo repellente, perché un uomo che si cura di un gatto deve avere tanto successo? Era illogico, visto che poteva essere una manovra per sedurre, o che poteva stare trasportando un animale non suo per riportarlo al padrone, o magari era un corriere della droga e il gatto era il mezzo. Senza poter dire perché ― specie a se stesso ― quell’idea gli parve orribile, qualcosa da non conservare nel palazzo mentale. Però la bestiaccia avrebbe pagato per la sua invasione, in qualche modo accettabile. Poteva metterla in un cestino con un fiocco al collo e lasciarla sui gradini della signora Turner, con un raccapricciante biglietto studiato nei minimi dettagli per suscitare il più immediato e assoluto senso di colpa.
‘Sono un orfanello, ti prenderesti cura di me?’ Su un cartoncino rosa o celeste con dei cuoricini o altre ridicolaggini stucchevoli che potessero piacere a una signora romantica.
Valutare trentacinque differenti opzioni tenne le mente dell’investigatore abbastanza occupata da ammutolirlo per la durata del viaggio in taxi fino a casa, con crescente preoccupazione di John che sapeva perfettamente che cosa dedurre da quel segnale.
Una volta entrati nell’appartamento, Sherlock fece di corsa di diciassette gradini che lo separavano dal suo territorio, chiudendo la stanza da letto, e cominciando a spostare gli oggetti che riteneva a rischio in dei punti più protetti.
“Cosa fai? Non abbiamo portato una tigre in casa, dubito che abbia la forza di trasformare il salotto in una specie di grotta piena di cadaveri delle sue prede”.
“Mi stupisco della tua carenza in zoologia, in fondo sei un medico, hai studiato… gli esseri viventi” la mancanza di risposta di John era senza dubbio dovuta ad aver pronunciato un paio di imprecazioni pesanti a denti stretti “i gatti sono incontrollabili, fanno quello che l’estro gli suggerisce in quel momento, si appropriano di tutto, prendono il comando e ti convincono anche di aver ragione”.
“Non mi dire!”
“Ho controllato dei video informativi mentre eravamo in aereo. Pare che non considerino il loro padrone neppure colui che si cura che abbiano da mangiare, che non siano malati, e che la sera siano tornati dalle loro scorribande pericolose sui tetti. Insomma, sono indisciplinati, irritanti e ingrati”.
“Sherlock. Se avevo dei dubbi me li hai fatti passare. Tu sei nato per avere un gatto, e io per sopportarvi. Esco a comprare il necessario per… bè, per ora è Gattino, la faccenda del nome è l’ultima preoccupazione. Cerca di non fare guai mentre non ci sono, non vorrei trovare un campo di battaglia al mio ritorno”.
“Non credo che ti abbia capito”.
“Infatti dicevo a te”.
Ad un esterrefatto Sherlock non rimase che guardare la porta chiudersi, mentre Gattino ― libero dalla gabbia che imprigionava la sua terrificante potenza devastatrice ― si avvicinava a lui, un passetto dopo l’altro, scoprendo che per la prima volta era proprio rimasto senza l’ultima parola.

John se la prese comoda all’inizio, un po’ per una piccola innocua vendetta per tutte le volte che aveva subito quelli che avrebbe volentieri classificato come abusi domestici, un po’ per cercare degli oggetti gradevoli che sarebbero piaciuti anche alla padrona di casa.
Quando, con le mani piene di buste contenenti grattatoio, piattini, cibo e giocattoli, controllò l’ora scoprì di essere mancato molto più del previsto, e che incredibilmente nessun messaggio con frasi amabili del tipo ‘non mi interessa se non puoi, vieni qui adesso’ occupava la sua casella.
La metropolitana era veloce, eppure sembrava un carro trainato da buoi nella percezione del dottore, che iniziò a figurarsi degli scenari spaventosi.
Il silenzio si sarebbe potuto tagliare con un coltello mentre John saliva i gradini che portavano al primo piano con le gambe che parevano diventate di piombo, aguzzando l’udito in cerca del minimo indizio dello stato in vita di Gattino, ma non un respiro era udibile nell’appartamento.
No, non era possibile che si fosse sbagliato fino a quel punto sulla persona che considerava la migliore, la più brillante… Greg l’aveva avvisato, certo; il detective era un grand’uomo ma non ancora un uomo buono, però…
Arrivato sulla porta del salotto, il dottore la socchiuse delicatamente, sperando di non avere la più spaventosa delle sorprese. Sherlock era steso sul divano con le spalle appoggiate su due cuscini, le ciocche di capelli appena più lunghe che si spandevano mollemente sul tessuto damascato. Indossava la vestaglia di seta, dalla quale spuntava la faccina assolutamente beata e goduriosa di Gattino, una zampina posta sul cuore dell’investigatore e un mare di fusa a condire il tutto.
“John, sei arrivato in tempo. Non potevo più tenerlo a bada e ho pensato di ingannarlo con un atteggiamento amichevole per indurlo a non attaccare, e l’animale si è infilato sotto la mia vestaglia. Capisci che muovermi avrebbe provocato la sua immediata reazione e che avrebbe mirato agli occhi, come ogni spietato predatore sa istintivamente. Così sono rimasto paralizzato aspettandoti, lontano dal telefono per poterti scrivere un sms di soccorso e alla fine…”
Il sorriso radioso e trionfante di John si spense sulla sua bocca come un fuocherello appena acceso che riceve una secchiata d’acqua.
“Ho valutato che la temperatura corporea di Jimmy che è di trentasette gradi è piacevole, essendo inverno, e che accarezzare il suo mantello serico è una bella sensazione tattile, nonché placa i suoi impulsi sanguinari, senz’altro. Sta facendo le fusa”.
Jimmy”.
“Ovviamente si chiama James, non credevo che il diminutivo non ti piacesse. Ho pensato al primo nome di qualcuno che vorrebbe uccidermi; qualcosa non va?”
“Mi sono sempre chiesto la tua età mentale, sai Sherlock? Quei test tipo: scopri quanti anni hai veramente. Ecco, ora direi dieci, all’incirca. Mi stai facendo un dispetto idiota”.
Sherlock sorrise appena, sollevando gli angoli delle labbra mentre passava delicatamente le dita fini sul collo di Jimmy che gradiva oltremodo quelle attenzioni. “In fondo avevi ragione, stavo scherzando. Intendo nell’ultimo minuto, l’ho capito che i gatti non sono così spaventosi. Mycroft non li ha mai sopportati, credo che raccontarmi ogni notte la favola dell’Oscuro Gatto Demoniaco abbia contribuito, ma è una fobia che posso superare. Stanotte farò una prova, porterò Jimmy a letto con me, così dormirà al caldo e stabiliremo i termini della nostra non belligeranza. Perché mi fissi così? Forse perché il gatto l’hai trovato tu, ti senti prevaricato se ho scelto il nome?”
John non sapeva cosa rispondere, così decise almeno di richiudere la bocca per perdere l’espressione da completo stupido che doveva avere in quel momento. Si stava ingelosendo di un mucchietto di pelo che due ore prima ci teneva tanto a salvare. Ma il pensiero di James nel letto del suo… amico preferito, era più che fastidiosa.
“Magari preferiresti Hamish? Era la seconda possibilità, ma so che lo odi. Mi avresti sentito ogni mattina gridare ‘Hamish, non farti le unghie sul mio cappotto’, oppure ‘non buttare a terra i vetrini del microscopio, non sono giocattoli!’ Questo se fosse stato cattivo, certo. Ma se fosse stato bravo gli avrei detto ‘Hamish, sali pure sul tavolo a mangiare dalle mie mani’, ‘stai in braccio a me mentre correggo gli speaker del telegiornale, sei meno ignorante di loro’ o magari… ‘mi sento molto solo Hamish, verresti a dormire con me, stanotte?’”
Qualche forza invisibile si occupò benevolmente di sorreggere il dottore mentre tentava disperatamente di elaborare l’ultima frase. Possibile che lo sguardo lievemente malizioso che accendeva quegli occhi glaciali, di cui conosceva ogni sfumatura, fosse un invito per lui?
“Sherlock non sono intelligente come te, non ho capito. Mi dispiace, non capisco”.
“John Hamish Watson, sei la persona più vicina a essere intelligente che conosco, davvero. Volevo dire…”
Cosa?
L’investigatore sarebbe scoppiato a ridere se non fosse stato bloccato da un’ondata di paura. Dopo tanto tempo, stava per ammetterlo davvero?
“Sarebbe bello se tu e Hamish voleste passare la notte con me. Però comprendo che sia una richiesta inopportuna. È troppo o troppo poco, non sono sicuro; questo almeno per uno di voi due. I felini sono così indipendenti”.
“Ora dovrei prenderti a pugni, suppongo. O baciarti, o entrambe le cose”. Oddio, che parole aveva appena pronunciato? Non è quello che si dovrebbe proporre ad un amico, ad un altro uomo, pensava una parte di John, mentre l’altra ordinava alle gambe di muoversi in avanti fino a raggiungere il divano, sdraiandosi con prudenza sul bordo.
Sherlock non rispose niente, spostandosi un pochino alla volta controllando le reazioni di John sul suo volto e dai piccoli segnali involontari del corpo; il respiro accelerato, le pupille leggermente dilatate, e il gesto di inumidirsi le labbra che aveva fatto la prima volta che aveva scoperto che potessero piacergli i ragazzi ― perché Sherlock Holmes non sbaglia, pensò con compiacimento un tantino superbo.
Andava tutto bene, anzi, benissimo.
John si accomodò meglio, occupando metà dello spazio, spingendolo con le spalle contro lo schienale del divano per passargli un braccio intorno alla vita, poi, lentamente l’altro dietro la testa.
Il gattino Precedentemente Conosciuto Come Jimmy** ― ora ufficialmente Hamish ― dopo un attento giretto tra i due decise di incastrarsi in quell’abbraccio protettivo e caldo all’altezza del collo dei due uomini, quasi sfidandoli a spostarlo, se ne avessero avuto il barbaro coraggio.
“Lo teniamo, vero?” La domanda di John si posò dalle sue labbra direttamente su quelle di Sherlock, tanto erano vicine.
“Sì. Non cambierei niente di questo momento… intendo adesso. Domani potrei volere qualcosa di più”.
“E chi sono io per dire no a Sherlock Holmes?”
“L’unico che potrebbe farlo, ma naturalmente preferirei che non mi contraddicessi spesso, perché…”
“Stai zitto, per l’amor del cielo”. Un bacio morbido e profondo disse molto di più di quanto le parole avrebbero potuto, sigillando una promessa d’amore senza fine.



* Io per prima, e me lo dicono davvero! O__o
**L’Artista precedentemente conosciuto come Prince ^^

 

  
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