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Autore: lady lina 77    12/01/2017    1 recensioni
Cosa sarebbe successo se Demelza, dopo il tradimento di Ross, se ne fosse andata di casa?
Dopo la lite furiosa fra i due in cui ha rovesciato ogni cosa dal tavolo, urlando al marito tutta la sua rabbia, Demelza decide che non ha più senso rimanere a Nampara, con un uomo che non la desidera più e che sogna una vita con un'altra donna.
Prende Jeremy e Garrick, parte per Londra e fa perdere le sue tracce al marito, ricominciando una nuova vita lontana da lui e dalla Cornovaglia.
Come vivrà? E come la prenderà Ross quando, al suo ritorno da Truro, non la troverà più a casa?
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Si chinò dietro al bancone della locanda, alla ricerca dei libri contabili. Non aveva affatto voglia di fare quel lavoro che considerava noiosissimo, ma supponeva che l'esattore delle tasse fosse invece di tutt'altro avviso e quindi, volente o nolente, le prime settimane di dicembre le avrebbe passate a fare conti e denunce dei redditi.

Faceva molto freddo quella mattina e nemmeno il caldo abito di lana che indossava, rosso come i suoi capelli, e la pelliccia attorno al collo, riuscivano a scaldarla.

Intenta a cercare i registri, fu però costretta ad alzarsi e a guardare verso la porta, quando sentì il vociare dei suoi figli. Quella mattina si era alzata molto presto ed era uscita di casa che ancora dormivano e non li aveva ancora visti. Erano con Margareth e Mary che, tenendoli per mano, li avevano accompagnati a salutarla prima di andare a fare la spesa.

Jeremy le corse incontro, saltandole in braccio, imitato dalla piccola Clowance. "Mamma, vieni con noi?".

Demelza sospirò. Sì, sarebbe andata volentieri con loro, accidenti alle tasse! Ma, la dura vita... "Tesoro, non posso, devo lavorare. Ma stasera tornerò presto a casa e...".

Jeremy sorrise, contento, abbracciandola ancora più forte. "Faremo l'albero di Natale insieme, vero?".

"Certo, te l'ho promesso".

Clowance si mise fra loro, decisa. "Anche io?".

"Ma sicuro, anche tu!" - disse Demelza, prendendola in braccio. Era così bella quella mattina, una vera bambolina. Aveva i capelli sciolti, tenuti a bada da un cappello di velluto blu, come la mantellina che indossava e che la riparava dal freddo. Le guance erano rosse e piene e sembrava immensamente contenta. La baciò sulla fronte, rimettendola a terra. "Ora andrete con Mary e Margareth a comprare il pane e poi, oggi pomeriggio, Martin vi accompagnerà a scegliere l'abete e le decorazioni da mettere nel salone grande".

"Un abete gigantissimo?" - chiese Jeremy, eccitato.

Demelza sorrise. Era bello vederli tanto contenti e in fin dei conti quello era il primo Natale che avrebbero festeggiato come si deve, da quando vivevano a Londra. Due anni prima era appena nata Clowance e la sua vita era ancora avvolta dall'incertezza e dal dolore, l'anno precedente aveva appena traslocato e la casa era ancora un cantiere in fermento ma ora niente le avrebbe impedito di regalare ai suoi figli un vero Natale. "Un abete gigante, esatto, tanto il nostro salone è enorme. E stasera lo decoreremo tutto".

"Tutto! Lo vollo losa" – disse Clowance, prendendole la mano e mettendosi a giocare col bracciale che aveva al polso.

Jeremy si imbronciò. "Uffa mamma, Clowance si è fissata col rosa! Vuole l'albero tutto di quel colore ma è da femmine".

Demelza rise. "Clowance, gli abeti sono verdi, ma poi ci metteremo su tante decorazioni rosse e d'oro. Vedrai, ti piacerà anche se non sarà rosa".

La bimba fece la faccia arrabbiata, battendo il piedino a terra. "No, losa".

Jeremy, attento a tutto quello che diceva la sorella, le prese il braccio libero, tirandola verso di lui. "Ho un'idea mamma!".

"Quale idea?".

Il bimbo si fece serio serio, come se stesse preparandosi per un discorso solenne. A Demelza faceva davvero tenerezza quando faceva così. Era cresciuto molto Jeremy e aveva quell'espressione vivace e allo stesso tempo tenera che la faceva sciogliere. Era cambiato molto, fisicamente, rispetto a quando vivevano in Cornovaglia. Aveva i capelli più lunghi ora, a caschetto come era di moda fra i suoi amichetti della Londra borghese, che gli arrivavano alle spalle, castani con sfumature rosse che erano più evidenti in estate, sotto il sole, e qualche lentiggine qua e la sul nasino all'insù. "Mamma, ho contato il numero delle stanze di casa nostra e sai, sono venticinque".

"E allora?".

"E allora, compriamo venticinque alberi di Natale con venticinque addobbi diversi, così Clowance, in camera sua, si decora l'abete con quel colore da femmina".

Demelza scoppiò a ridere. "No, scordatelo! Un albero solo, molto grosso, nel salone principale".

"Ma io lo vollo losa!" - insistette Clowance, frignando.

Guardò i suoi figli, indecisa su come renderli comunque contenti non cedendo però, al contempo, ai loro capricci. "Facciamo così, oggi con nonno Martin e nonna Diane, comprerete l'abete e le decorazioni rosse e d'oro, come si usa a Natale. Ma poi potrete scegliere qualcosa di piccolo, una decorazione a testa del colore che vorrete, da aggiungere all'albero insieme alle altre cose".

"Losa?" - chiese Clowance.

"Rosa, se ti va!".

Jeremy ci pensò su, poi annuì. "E allora io voglio una decorazione azzurra, da maschio".

Demelza sorrise, accarezzò loro i capelli e poi si rialzò in piedi. "Come la vorrai tu! Allora soci, siete d'accordo?" - chiese divertita, tendendo la mano destra verso di loro.

Jeremy annuì, dandole il cinque con una sonora pacca. "Sì, d'accordo socia!".

Anche Clowance lo imitò, picchiando la sua manina sulla loro. "Sì".

Demelza strinse le mani di entrambi i figli, ridendo. "E ora su, andate con Margareth e Mary, devo lavorare" – concluse, indicando ai bimbi le due domestiche che, divertite, li aspettavano sulla porta. Era una bella giornata quella, decise, nonostante la nebbia e i registri contabili da controllare, era talmente serena che in fondo si sentiva abbastanza grintosa pure per affrontare quel lavoro così barboso.

Si richinò, prese i registri dalla credenza e poi si mise in un angolo del salone, seduta a un tavolo, mentre i clienti della locanda andavano e venivano, serviti dai suoi collaboratori.

Poteva essere passata forse una mezz'ora quando la porta della locanda si aprì di colpo e Leslie, una delle sue lavoranti che aveva mandato poco prima ad ordinare dei liquori all'emporio, le corse incontro trafelata. "Signora, c'è un tempo da lupi fuori, fra freddissimo. E c'è appena stato un incidente a qualche decina di metri da qui".

Demelza alzò gli occhi su di lei. "Un incidente?".

Leslie annuì, stringendosi nel mantello per scaldarsi. "Sì, una carrozza ha urtato un uomo a cavallo, la bestia si è imbizzarrita e ha fatto cadere il suo cavaliere sul selciato. Ha picchiato la testa e ora sembra quasi morto".

Demelza scosse la testa. "Santo cielo... Ma è morto davvero?".

"No, ma non si muove ed è privo di conoscenza. Infatti, sono venuta per chiedervi se... Ecco, credo abbia bisogno di aiuto e di essere visitato da un medico ma quì in questa strada, a parte il vostro appartamento al piano di sopra e la pensione di mister Ziegler, non ci sono altre case per dargli un primo soccorso. E...".

"E mister Zieglier, lo conosciamo, per non urtare la gentile sensibilità dei suoi clienti e giocarsi il guadagno della locazione di una camera, lascerebbe persino sua madre sul selciato". Demelza sospirò, arrendendosi al fatto che quel noiosissimo lavoro sui registri si sarebbe prolungato, suo malgrado, più del previsto. Si alzò dalla sedia, mettendosi il mantello sulle spalle. "Su, andiamo a vedere che è successo".

"Lo faremo portare qui?" - chiese Leslie, accodandosi.

"Non abbiamo molta altra scelta" – le rispose, aprendo la porta. "Spero solo che non sia nulla di particolarmente grave e che dopo la visita del medico possa essere spostato perché di notte, alla locanda, non rimarrebbe nessuno a prendersi cura di lui".

Fece solo alcuni passi che dovette fermarsi davanti al muro di gente corsa a vedere cosa fosse successo.

Leslie si fece largo, intimando alla gente di farla passare. "La mia padrona puo' ospitare quest'uomo nell'appartamento sulla sua locanda, fateci spazio!".

La gente, molta della quale la conosceva, la fece passare e Demelza si avvicinò al luogo dell'incidente. Due donne erano inginocchiate davanti al ferito per prestargli le prime cure e il cavallo dell'uomo era a pochi metri, ancora molto nervoso. "Qualcuno è andato a cercare un medico?" - chiese, avvicinandosi per vedere meglio.

Una donna annuì. "Sì, ho mandato mio figlio a cercare il dottor Carter, signora Carne".

"Ottimo, quando arriva, mandatelo alla mia locanda e...". Si bloccò e in un attimo fu come se il suo passato, tutto d'un colpo, le fosse ripiombato sulle spalle con la violenza di un fulmine. "Ross...". Pronunciò quel nome sottovoce, appena lo vide bene in viso, diventando di marmo. Ross... Era impossibile, non aveva senso! Stava sognando? Era per caso impazzita e preda di allucinazioni? Come poteva essere lui, cosa ci faceva lì, a pochi metri da lei, ferito e senza sensi come se fosse morto? Cosa ci faceva a Londra? Le tremarono le gambe e dovette appoggiarsi a Leslie per non cadere, mentre si sentiva impallidire e aveva caldo e allo stesso tempo freddo, come se stesse per svenire essa stessa.

"Signora, vi sentite bene?".

"No, Leslie...".

La ragazza la sorresse, preoccupata. "Volete sedervi? Che vi succede?".

Demelza si morse il labbro. Cosa le succedeva? C'era Ross lì davanti a lei, quel marito da cui era fuggita quasi tre anni prima e che non era mai stato capace di amarla, un uomo di cui era innamorata da sempre, nonostante tutto, il padre dei suoi figli... Ed era lì, come morto, davanti a lei. E non provava nulla se non gelo, oppure provava talmente tanti sentimenti contrastanti che, mischiandosi, avevano finito per farla cadere in quello strano stato di tranche. "Ross..." - ripeté, nuovamente.

Leslie la guardò, accigliata. "Lo conoscete?".

Annuì, stringendo i pugni delle mani. "Sì, è mio marito".

La reazione di Leslie, a quelle parole, non tardò ad arrivare. Spalancò gli occhi, sorpresa, guardando lei, il ferito e poi ancora lei. "Vostro marito? Il padre dei bimbi?".

"Si, il padre dei miei bimbi".

Gli occhi delle persone presenti si piantarono su di lei, sorpresi e sospettosi. Leslie la prese sottobraccio con fare protettivo. "Cosa volete fare?".

Guardò Ross, senza trovare il coraggio di avvicinarsi, accertarsi delle sue condizioni e cercare di svegliarlo. Era pallido, sembrava davvero morto e lontano da tutto ciò che lo circondava e un rivolo di sangue gli colava dalla nuca, rigandogli il viso. "Portatelo alla mia locanda, sbrigatevi! Non puo' rimanere quì, al freddo".

Due uomini annuirono e lo presero, uno per le spalle e uno per le gambe, senza che Ross desse cenni di risveglio. Lo portarono velocemente alla locanda, seguiti da Demelza e Leslie che, silenziose, camminavano dietro a loro come autome.

Quando furono nel locale, Demelza intimò loro di portarlo al piano di sopra, in quella che era stata la sua stanza. Ancora non capiva, si sentiva come parte di un sogno – o un incubo – e si muoveva con passo meccanico, senza pensare, senza rendersi conto di cosa la circondasse. Cosa ci faceva Ross lì? Era un caso, un dannatissimo scherzo del destino che si trovasse da quelle parti, così vicino a lei? Oppure era lì per un motivo per preciso? Aveva scoperto dove viveva e la stava cercando? Beh, era inutile pensarci, solo Ross avrebbe potuto risponderle e al momento era impossibilitato a farlo. E forse, nemmeno voleva sapere perché si trovasse lì.

"Signora, è arrivato il medico".

La voce di Leslie la riportò alla realtà, anche se i suoi sensi erano ancora appannati. "E' al piano di sopra, prima porta a destra del corridoio".

Il medico annuì. "Dicono che sia vostro marito. Gradirei che veniste con me".

Annuì, senza trovare la forza di opporsi. Era vero, Ross era ancora suo marito, nonostante tutto, aveva dei doveri e di certo il medico avrebbe gradito parlare con lei dopo averlo visitato. Però... allo stesso tempo non si sentiva più sua moglie, era come avere a che fare con uno sconosciuto di cui non sapeva più nulla da tanto e di nuovo, al medesimo tempo, quello sconoscito era il padre dei suoi figli. Era un circolo vizioso, una trappola subdola, uno scherzo crudele del destino quello...

Salì le scale, aspettando in corridoio che il medico visitasse Ross. Era strano, era preoccupata e allo stesso tempo talmente confusa da sentirsi impermeabile a ogni sentimento verso di lui. Se si fosse svegliato cosa avrebbe dovuto fare, cosa avrebbe dovuto dirgli, cosa gli avrebbe chiesto? Non voleva rivederlo mai più, soprattutto non così. Era tutto assurdo, nemmeno nelle sue più sfrenate fantasie avrebbe creduto possibile una cosa simile.

Il medico aprì la porta della stanza dopo una visita lunga più di mezz'ora. "Signora, entrate. Dobbiamo parlare".

Demelza deglutì. "Si è svegliato?".

"No".

Preoccupata per quel tono di voce grave, entrò. Ross era steso in stato di incoscienza in quello che era stato il suo letto, dove aveva pianto tanto per lui anni prima e dove aveva dato alla luce la piccola Clowance. Era impossibile anche solo pensarci... O il mondo era troppo piccolo oppure il fato era un qualcosa di estremamente dispettoso. "Come sta?".

Il dottore, un uomo grassoccio sulla cinquantina, si sistemò gli occhiali sul naso. "E' privo di conoscenza, un sonno profondo e molto infido. Ha picchiato la testa in un punto molto sensibile e questo potrebbe aver compromesso le sue funzioni vitali e cognitive".

"Che volete dire?".

Il dottore scosse la testa. "Allo stato attuale, è in coma. Non so dirvi se e quando si sveglierà e nemmeno in che condizioni sarà".

Demelza osservò Ross che, nei suoi ricordi, era sempre pieno di vita e non riusciva mai a stare fermo. "Lui è molto forte, una tempra invincibile. Starà bene, ne uscirà".

"Signora, vi avverto e vi consiglio di prepararvi al peggio. Se non si sveglia in pochi giorni e non riprende a nutrirsi e ad idratarsi, il suo cuore non reggerà a lungo. Non lasciatelo mai da solo e accertatevi che non venga spostato. Bagnategli le labbra con un panno bagnato, tenete pulita la ferita alla testa e curate la sua igiene personale. Per ora non possiamo che fare questo per lui".

"Va bene...". Si appoggiò alla parete, incapace di andarsene da quella stanza e allo stesso tempo incapace di andare vicino a suo marito. Si limitò ad osservarlo, da lontano, col cuore e la mente a pezzi, persa in un turbine di emozioni che non sapeva spiegarsi. Rimase così per lunghi minuti, con lo sguardo perso nel vuoto, finché non sentì la presenza di Leslie dietro di se.

"Signora, devo fare qualcosa?".

Annuì. "Il dottore dice che non va lasciato solo e che non si sveglierà, almeno nell'immediato" – rispose, con una voce che non le sembrava nemmeno la sua, incredibilmente fredda e distante.

"Che farete?".

Sospirò, chiudendo gli occhi, non contemplando altra strada se non quella di rimanere lì e fare quello che aveva sempre fatto ogni volta che era insieme a lui: prendersene cura... Nonostante tutto, nonostante Elizabeth, nonostante fossero ormai due estranei, non aveva altra scelta. "Resta insieme a lui finché non torno".

"Dove andrete?".

Sospirò. "Vado a casa a prendere degli abiti di cambio e ad avvertire che non tornerò. Devo sistemare i bambini e inventarmi qualcosa con loro, per giustificare il fatto che non mi vedranno per un po'. Torno subito, tu non muoverti da questa stanza e non togliergli gli occhi di dosso".

"Certo signora".

Demelza corse giù e, senza dire null'altro, uscì dalla locanda, camminando a grandi falcate verso casa sua. Stranamente non avvertiva più né il gelo né la nebbia, era come se il mondo attorno a lei fosse ovattato e distante, come se stesse vivendo in un sogno.

Quando arrivò a casa, i bambini erano nel salone principale, in compagnia di Diane e Martin.

Jeremy le corse incontro, contento. "Mamma, sei già tornata! Facciamo l'albero?" - le chiese, indicandole il grosso abete che troneggiava al centro della sala.

Demelza, quasi non lo vedesse, mentre Martin e Diane la guardavano con preoccupazione, scosse la testa. "Devo stare via alcuni giorni, potete tenermi i bambini?" - chiese al suo socio e alla moglie.

Jeremy sgranò gli occhi, tirandola per la manica. "Ma mamma, l'albero?".

"Non ho tempo per l'albero, ti ho detto che devo andare via" – gli rispose, con fare assente.

Jeremy si imbronciò, dandole una pacca sul braccio, rabbioso. "Sei cattiva, me lo avevi promesso".

Demelza lo guardò ma era come se non lo vedesse, in quel momento. "ORA BASTA, SMETTILA!".

Jeremy sussultò mentre i suoi occhi diventavano lucidi e Clowance, a pochi passi da loro, scoppiò a piangere.

Diane si avvicinò, cercando di ristabilire la calma. "Bambini, fate i bravi con la mamma, sicuramente ha un qualcosa di urgente da fare".

Jeremy indietreggiò. "Sì, lei ha sempre cose urgenti da fare lontano da noi". La guardò un'ultima volta, rabbioso, poi corse via dal salone mentre Clowance continuava a piangere.

Demelza lo guardò sparire alla sua vista, sentendosi impotente e allo stesso tempo in colpa per quella reazione avuta con lui. Non aveva mai alzato la voce coi suoi figli e lo aveva fatto ora, quando Jeremy aveva tutte le ragioni per essere arrabbiato con lei. Si chinò, prendendo Clowance fra le braccia, cercando di calmarla. "Shhh, scusa, non volevo spaventarti" - le disse, cullandola.

"Demelza, cosa è successo?" - chiese Martin, avvicinandosi.

"Ho rivisto Ross" – rispose, semplicemente. "Ha avuto un incidente davanti alla mia locanda e ora è nel mio vecchio appartamento, in coma".

L'uomo spalancò gli occhi. "Ross? Tuo marito? Ma non è possibile, come è potuta accadere una cosa simile? Un incidente a lui, qui a Londra, davanti alla tua locanda? E' assurdo!".

"Già, assurdo. Era lì, sul selciato e... non riesco a chiedermi il perché, come sia successo, non so niente... Ma il medico dice che non deve stare solo e io non ho altra scelta se non...".

Diane le sfiorò la spalla, dandole una carezza. "Cureremo noi i bambini, sta tranquilla, staranno bene. Fa quel che devi".

Annuì, stringendo a se Clowance. Già, doveva fare quel che era il suo dovere verso Ross ma soprattutto verso suo figlio che aveva ferito pochi istanti prima. "Vado da Jeremy, adesso. Dite alla mia cameriera personale di prepararmi una valigia con dei cambi d'abito, starò via per un po' di giorni, finché la cosa non si risolverà, in un modo o nell'altro.

"Va bene".

Con la piccola Clowance, salì nella camera dei giochi al primo piano dove Jeremy, silenzioso, si era messo a giocare col suo cavallo a dondolo. Si avvicinò a lui, inginocchiandosi al suo fianco. "Mi dispiace, non volevo alzare la voce con te. Ho sbagliato ma oggi è stata una giornata tanto difficile e... non sono in me".

"Sei una bugiarda, mamma" – rispose lui, senza voltarsi.

Abbassò lo sguardo, ferita da quelle parole che però sapeva di meritarsi. "Non volevo mentirti, volevo davvero fare l'albero con te ma è successa una cosa grave e devo stare via un po' di giorni. Ma per Natale sarò a casa, giuro. Niente al mondo potrebbe impedirmi di passare quel giorno con voi". Non stava mentendo perché, se quello che il dottore diceva corrispondeva a verità, se Ross non si fosse svegliato a breve, non sarebbe arrivato vivo a Natale. Se si fosse ripreso, invece, avrebbe organizzato la sua convalescenza pagando qualcuno per stare con lui.

"Davvero?".

"Certo". Gli accarezzò la guancia, asciugandogli le lacrime che la bagnavano. "Devo fare una cosa importante Jeremy, davvero tanto, tanto importante".

"Per il tuo lavoro?".

Sorrise, tristemente. "No, non per il mio lavoro, ma per me, te e Clowance". Era vero, anche se Ross era lontano, anche se non erano più una famiglia, rimaneva il padre dei suoi figli e aveva bisogno di sapere che al mondo, benché non vivessero più insieme e lui non si prendeva più cura di loro, lui esisteva. Era importante, soprattutto per i suoi bimbi.

Clowance si rannicchiò fra le sue braccia, più tranquilla e alla fine anche Jeremy, sceso dal cavallo a dondolo, corse ad abbracciarla. "Giura che torni, per Natale".

"Lo giuro!". Non avrebbe mai infranto quella promessa...

Jeremy si tirò su, guardandola negli occhi. "E allora, vai a fare la tua cosa importante. Noi ti aspettiamo qui".

Annuì, colpita dalla serietà di suo figlio che, forse, aveva capito molto più di quanto lei gli aveva detto.

Affidò i bimbi ai Devrille e, dopo aver finto una serenità che non possedeva nel salutarli, tornò alla locanda. Prese i libri contabili e li portò al piano di sopra per controllarli mentre vegliava Ross e poi, dopo aver congedato Leslie, si tolse gli eleganti abiti di lana che indossava per mettersi addosso qualcosa di più semplice e pratico, vestiti tanto simili a quelli che portava una volta in Cornovaglia. Si legò i capelli in una lunga treccia, accese una candela sul comodino e, finalmente, trovò il coraggio per sedersi accanto a lui.

Lo guardò, realizzando che lei e suo marito non erano così vicini da quasi tre anni. Scosse la testa, decisa a relegare ogni sentimento in fondo al cuore, per non farsi sopraffare da rabbia, dolore e preoccupazione. Doveva rimanere fredda e lucida per occuparsi di lui al meglio ma era difficile. Era Ross che aveva lì davanti e lui stava male, era distante e a un passo dalla morte e questo, anche se fingeva che non era così, la terrorizzava.

Quasi con timore gli scostò i ciuffi neri dalla fronte, osservando il suo viso pallido, sofferente e allo stesso tempo bello e perfetto come lo ricordava, scorgendo in lui tratti di Jeremy e di Clowance. Era il loro padre, era l'uomo che avrebbe sempre amato, dopo tutto... E ritrovarselo davanti così la annientava e la faceva sentire impotente sia verso i suoi sentimenti che verso di lui e il suo stato di salute.

Deglutì, allontanando la mano da lui, prese un panno, lo immerse nella bacinella piena d'acqua e poi, delicatamente, gli bagnò le labbra.

Fuori imbruniva, faceva freddo e Demelza lo sapeva, sarebbe stata una lunghissima notte, quella.




  
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