Kojiro arrivò
qualche ora dopo.
Scambiò con Ken un saluto silenzioso,
poi
entrò nella stanza.
Il portiere si
riaccomodò nel salottino davanti alla TV.
Quando la porta della camera si
riaprì, ne uscirono Kojiro e il vicino di casa che si era
occupato dei bambini.
Parlavano di soldi, l’uomo suggeriva al suo amico di
rivolgersi al consiglio di
quartiere, ma Kojiro
tirò fuori
una busta, che Ken conosceva molto bene, e disse che i soldi li avrebbe
trovati
lui, gli bastava accettare una
delle
tante proposte della J-League.
Con passo rapido si avviò verso
il telefono pubblico più vicino;
Ken lo seguì, e con
la mano gli
abbassò la forcella quando lo vide digitare il numero
leggendolo da un
biglietto da visita.
“Basta il mio di tradimento” gli
disse secco. “Ho ancora il denaro dell’ingaggio coi
Flügels, te lo presto”.
“Ti ringrazio dell’offerta, ma
preferirei che tu usassi questi soldi per venire con me a
Jakarta… Avrai saputo
dell’infortunio di Wakabayashi, aveva detto di voler
difendere la nostra porta
a costo di spezzarsi le braccia e non si è limitato alle
parole… Hai capito?
Wakabayashi non potrà più giocare in questo
campionato… ti andrebbe di avere il
posto di portiere titolare nella Nippon Youth?” [1]
Ken fece qualche passo indietro
ma non rispose.
“Devo pensarci,” tagliò corto
infine.“Va’ da tua madre”.
Kojiro fece per replicare ma poi
scosse il capo e sospirò: “E poi dicono che io
ho la testa dura…”.
Ken strinse i pugni,
conficcandosi dolorosamente le unghie nei palmi, poi colpì
il muro. Perché
doveva essere tanto stupido e orgoglioso?
“Non serve a niente, sai?”
Si voltò di scatto verso colui
che aveva parlato.
“E ti dirò di più,”
proseguì
quello, “non servirebbe nemmeno se al posto del muro ci fosse
la faccia di
Wakabayashi o di Mikami. Te lo dico per esperienza”.
“Cosa vuoi, Kyo? Ti
vuoi sfogare un altro po’?” rispose,
stizzoso.
“No. Voglio fare quello che per
troppi anni ho evitato. Se me lo concedi, per una volta vorrei farti da
fratello maggiore e impedirti di compiere i miei stessi
sbagli”.
“Non sono io che ti ho impedito
di assolvere al tuo ruolo”.
“Lo so. Ma l’ho capito solo
l’altra notte”.
Kyo tacque per un attimo, come se
cercasse le parole. Poi attaccò: “Il mio consiglio
da fratello
maggiore, Ken-chan, è di non rinunciare alle cose che ami.
Di non lasciartele
scappare via. Di non nasconderti dietro alla scusa che qualcuno ti
sottovaluta
o che qualcuno è più bravo di te, è
troppo facile. Quelle persone non sono il
traguardo, al limite sono tappe intermedie. Superare Genzo, farsi apprezzare da Mikami non
devono essere i tuoi scopi. Il tuo scopo devi essere tu. Il tuo scopo
è il tuo
sogno. Il tuo scopo è
ciò che ami…
tutte le cose che ami”.
La voce di Kyo vibrava di
emozione e, quando finì, i suoi occhi erano pieni di lacrime.
Ken rimase senza fiato. Lui e suo
fratello erano uguali: ricordò come quella notte, sul divano
in casa di Yayoi,
avesse visto lo stesso parallelismo. Certo, era sconvolgente pensare di
essere
il Genzo di qualcuno…
“Io mi sono nutrito di odio e di
sete di vendetta per dieci anni,
e cosa ho ottenuto?” riprese Kyo,
con voce rotta dal pianto.
“Per
allenarmi in uno sport che odio ho lasciato che il mio amato
violoncello si
ricoprisse di polvere, ho rischiato più volte di ferirmi le
mani e non poter
più suonare bene. Ho perso Azumi,
che
era la vera musica della mia vita. E quando il destino mi ha fatto
rincontrare
il mio unico fratello che non vedevo da anni, tutto quello che ho
saputo fare è
stato riempirlo di botte. Quella sera, quando
sono tornato a casa, credevo che la mia vita sarebbe presto
ricominciata perché
avevo compiuto la mia vendetta, ma mi sbagliavo di grosso. Avevo il
vuoto
dentro, e guardandomi nello
specchio, ho visto te. Ho ripensato alla tua storia come
l’avevo letta sui
giornali e ho rivisto
“Non ti ho mai sentito suonare”
fu tutto ciò che Ken riuscì a balbettare.
“Ti manderò i biglietti del mio
primo concerto” promise. “Se tu mi manderai quelli
della prima partita che
giocherai da queste parti. Preferibilmente con la maglia della
nazionale”.
“Già… se non ci sarà
Wakabayashi”.
“Ma tu avrai fatto del tuo meglio
per esserci… promesso?”
“Promesso. Però tu dovrai venirci
con Azumi”.
“Eh, magari le prometto l’autografo
del famoso Karate Keeper”.
La porta della camera si aprì di
nuovo e ne uscì Hyuga. Ken ne fu distratto, e quando tornò a voltarsi
verso il fratello, lui era scomparso.
“Che cazzo fai Wakashimazu,
adesso parli anche da solo?”
“C’era mio fratello…”
“Tuo…? Ma che mi prendi per il
culo? Vatti a fare una dormita, va’, che domani abbiamo
l’aereo”.
“Abbiamo? Guarda che io non ho
ancora deciso…”
Ma non era vero.
Visto che la situazione della
signora Hyuga si era risolta, anche Yayoi tornò a Jakarta
coi due giocatori del
Toho. Ken ebbe modo di scambiarci un paio di battute
all’aeroporto, poi sul
volo avevano sedili distanti. Peccato. Gli sarebbe piaciuto parlare un
altro
po’ con lei, anche
perché
Kojiro, ancora sfasato per i viaggi e le preoccupazioni degli ultimi
giorni,
dormiva beatamente.
A Ken non rimase che rilassarsi e
cercare di fare altrettanto per il breve tempo del viaggio.
All’aeroporto di
Jakarta, ad
aspettarli c’erano il signor Katagiri e Misugi. Appena vide
il suo ragazzo,
Yayoi li superò per andare a gettarglisi fra
le braccia. Ken sentì una piccola
stretta al cuore… che fosse gelosia? Scosse la testa e
scacciò il pensiero con
un sorriso, ripensando alle
parole di suo fratello: probabilmente fra quelle “cose che
amava” e che doveva
inseguire, prima o poi ci sarebbe stata anche una ragazza.
“Bentornati” disse Misugi
tendendo la mano verso Ken perché gli desse il bagaglio di
Yayoi, che solo
allora questi
ricordò di tenere.
“Grazie” cinguettò lei,
staccandosi da Jun. Per un attimo guardò Ken negli occhi e
lui trattenne il
respiro. Poi le labbra di Yayoi si piegarono in quel suo sorriso
innocente e
dolcissimo e, ignorando la mano ancora tesa, lo abbracciò.
“Grazie di tutto”
gli disse.
“Veramente sono io che…”
riuscì a
malapena a balbettare il portiere, ma
Yayoi si stava già allontanando, abbracciata a Jun.
“Guarda, guarda la gatta sorda.”
gli sussurrò Hyuga saltandogli praticamente sulle spalle.
“Non ti si può
lasciare solo due minuti che ti scopi la donna di Misugi?”
Ken ponderò un attimo la possibilità
di scaraventarlo a terra ma poi si
limitò a dargli una gomitata nello stomaco.
“Ma quale scopata,
idiota. Ci siamo solo… aiutati,
ecco”.
“Ah, adesso si dice così” rise
Kojiro poco prima che uno scappellotto gli cascasse fra capo e collo.
Ken rise a sua volta. Dio, quanto
gli era mancato Kojiro. Dio,
quanto gli erano mancati tutti, pensò quando
all’albergo fu accolto dalle facce
sorridenti dell’intera nazionale, Wakabayashi compreso.
“Sapevo che saresti venuto ad
aiutarci” disse Genzo affabile, dandogli una pacca sulla
spalla con la mano
buona.
“Sì sì Wakabayashi,
vi aiuto
ma… non importa che mi abbracci”
disse Ken, guardando Kojiro e
scoppiando a ridere.
Era l’ora di ricominciare.
****
Ed eccoci giunti alla
fine…
soddisfatti? Io, beh, in fondo sì. Mi piace il Ken che esce
da queste pagine e
spero di avergli reso un po’ giustizia, di aver trasmesso il
suo stato d’animo
durante quel brutto momento della sua carriera. Non mi dispiace neanche
Kyo, in
fondo sono uguali. E sono soddisfatta di Yayoi: mi è sempre
sembrata un
personaggio forte e dolce al contempo, anche se spesso la si vede solo
come una
ragazzina perbenista e un po’ noiosa. Sono lieta di aver dato
un po’ di spazio
e di rilievo anche a lei… Se mi ha sfiorato l’idea
di far succedere qualcosa
fra l’apprendista infermiera e il portiere ferito? Come ho
detto più volte
rispondendo ai commenti, in origine no, poi c’è
stato un momento in cui avevano
preso *loro* il sopravvento e tubavano e piccioncinavano da far venire
il
diabete… Ma poi, siccome siamo tutti e tre saldi di
principi, abbiamo capito
che non poteva succedere: Yayoi non vede che Jun e tratta con
naturalezza Ken
proprio perché il pensiero di un tradimento non le passa
nemmeno per il
ballatoio di fronte all’ingresso che porta
all’anticamera del cervello. Ken
poi, ammesso e non concesso che gli piacciano le donne, non
è tipo da tradire
gli amici o anche i semplici conoscenti… E comunque contro
la gelosia
dell’autrice c’è poco da
fare…XD
Spesso nel paratesto ho fatto
riferimento al mio stile “scarno”, volevo
rassicurarvi che no, non è un attacco
di modestia (vera o falsa che sia), credo sia un dato di fatto. E in
fondo in
fondo, mi piace così. Ci sento la mia voce e mi ci
riconosco. Potrei, forse, se
mi ci mettessi, cambiarlo. Ma non credo di volerlo… Magari
farò qualche
esperimento in altro senso (perché si sa, mi piace
cimentarmi) ma credo
che le storie che mi somigliano di più siano
come questa. Sperando, ovviamente, di migliorarsi sempre!
Grazie di cuore a chi mi ha seguito e incoraggiato fin qui, in particolare Kitsu, Rel, Eos, Kara e Mel… grazie stelline***!