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Autore: cioco_93    15/01/2017    1 recensioni
- Quando hai 25 anni ti sembra che il mondo è ai tuoi piedi.
Pensi che hai tutta la vita davanti per realizzarti, crescere, innamorarti, vivere.
Ma purtroppo non è per tutti così. -
Ritorno a scrivere con una storia più agrodolce del solito, dove Damon ed Elena incroceranno I loro destini in maniera forte e passionale ma con una data di scadenza.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caroline Forbes, Damon Salvatore, Elena Gilbert | Coppie: Damon/Elena
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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17. Parigi, Milano & Portofino.

Parigi

- Et pour la Mademoiselle, qu'est-ce que vous voulez.?? – mi chiese gentilmente il cameriere, destandomi dai miei pensieri.
- Un jus d'orange et un croissant, s'il vous plaît – risposi sorridendo timidamente, per poi guardare l’uomo che cortese s’allontanava.
Erano già passati tre giorni da quando eravamo approdati in Europa, e nonostante le pesanti giornate prima della partenza, in quel momento mi sentì come una qualsiasi comune mortale di 25 anni in viaggio con il suo fidanzato, senza pensieri sul futuro o la mia malattia. Era una sensazione fantastica, e a me sembrava di esser stata catapultata in un sogno.
- Complimenti Elena, tre giorni di Francia e il tuo francese è migliorato notevolmente.!! – mi prese in giro Damon.
- Il tuo senso d’orientamento invece fa schifo uguale – replicai nell’immediato io, ripensando alla camminata di 40 minuti per la città in cerca della cattedrale descritta da Victor Hugo, quando teoricamente ne sarebbero dovuti bastare 10 dal nostro albergo.
- Hej, questa era cattiva.!! E comunque, dimmi che questo caffè non è meraviglioso – mi fece notare lui.
- Ti salva solo questo, e il fatto che qui vi abbiamo passato del tempo Wilde e Rimbaud – precisai fingendomi rabbuiata.
- E tu come lo sai.?? – domandò lui incredulo.
- Siamo al Café des deux Magots, è tra i caffè letterari più famosi di Parigi, come potrei non saperlo.!! Peccato che mancano ancora 20 minuti da Notre Dame.!!- sbuffai incrociando le braccia sotto il seno come una bambina.
- Ok, ok, colpa mia… riuscirai mai a perdonarmi.?? – mi fece eco lui sbattendo come una ragazzina quei suoi occhioni azzurro cielo, facendomi scoppiare a ridere di gusto.
- Solo perché ti amo – lo presi in giro tirandolo per la sciarpa verso si me.
- E allora sposami- rispose lui come se mi avesse appena chiesto di passargli lo zucchero.
- Parigi ti ha dato alla testa – replicai ridente io sulle sue labbra.

Il giorno successivo, precisamente durante la nostra ultima sera nella città dell’amore, Damon aveva organizzato una cenetta romantica nel ristorante extra lusso della torre Eiffel come sorpresa. Ovviamente avevo disapprovato non appena capì i suoi intenti, ma nonostante la discussione di 15 minuti sotto la torre, alla fine cedetti, facendomi intortare dai suoi mille discorsi da avvocato.
- No ti prego, l’escargot no.!! – iniziai a protestare non appena il cameriere mi poggiò davanti in piatto pieno di lumache.
- Ascolta, devi provarle almeno una volta nella vita, poi puoi dire che ti fanno schifo, ma almeno prima assaggiale – mi spronò lui.
- Vorrei dire che le assaggerò un’altra volta, ma effettivamente non so se ne avrò il tempo quindi… - affermai prendendo un guscio di lumaca tra le mie mani, ma era troppo per il mio stomaco – Niente, morirò non sapendo il sapore delle lumache – proclami infine rimettendola nel piatto e facendo scoppiare a ridere il mio accompagnatore.
- Sei una pappa molle Gilbert – ribatté lui prendendone una e provandola con aria di sfida, ma la faccia che fece dopo i primi 5 secondi fu la miglior rivincita che potessi avere.
- Fammi indovinare sono disgustose, non è così.?? – lo presi in giro a mia volta, con un sorriso da trentadue denti.
- Chiama il cameriere, al diavolo le lumache, devo mangiare assolutamente un dolce squisito per farmi passare questo saporaccio – ammise lui mentre la sottoscritta se la rideva di gusto.
Quando finimmo di cenare decidemmo a quel punto di goderci, per un’ultima volta, la vista di Parigi da quella così famosa torre, ed ammirare tra tante altre coppiette, le luci della città che le davano un’aria ancora più magica.
- Credo di non aver mai visto niente di più bello – sospirai sognante.
- Io si – ribatté Damon perso anch’egli a guardare l’orizzonte.
- E sentiamo, cosa ci sarebbe di più di questo.?? – gli domandai curiosa cercando i suoi occhi
- Tu – rispose senza esitazione il ragazzo ricambiando il mio sguardo e facendomi arrossire – sposami Elena, sono serio – aggiunse poi spiazzandomi, sia per quell’ennesima proposta, sia per l’intensità con la quale sta volta me lo chiese.
- Damon non ha senso, ci conosciamo da troppo poco, e poi…il matrimonio è una cosa seria, e io sto morendo , e…- iniziai a elencarli come una pazza, ma lui i bloccò con un dolce bacio sulle labbra.
- Ok – mi disse sorridendo.
- Tutto qua.?? – gli chiesi perplessa.
- Si – mi cercò di calmare lui con una carezza sul viso.
- Ti ho appena rifiutato una proposta di matrimonio nella città più romantica al mondo sulla torre Eiffel – gli feci notare perplessa.
- Lo so, ma prima o poi cederai, e non mi importa se saremo qui, o sul divano di casa tua. Io lo so – ribatté lui baciandomi nuovamente e spiazzandomi ancora di più.

 

Milano

Per chi come la sottoscritta arrivava dalla grande Mela, Milano poteva sembrare, in quanto a caos, velocità e dinamicità, la sua versione in miniatura.
Ma per quanto più piccola, era comunque un colosso a livello mondiale, soprattutto per la moda, e in più aveva un vantaggio notevole: la magia italiana.
- Allora, adesso ascoltatemi attentamente: quando qui ordinate un caffè non vi arriverà mai la vostra brodaglia americana in tazza grande, un caffè è un espresso. Punto e basta – iniziò a spiegarci Alessio, una vecchia conoscenza di Damon, che aveva accettato ben volentieri di farci da guida per la città – Se chiedete un macchiato, sarà un espresso con un goccio di latte, ma a quel punto dovrete scegliere se caldo o freddo. A seguire abbiamo il cappuccino, ovvero un espresso con il latte montato a schiuma, il marocchino servito rigorosamente in tazza di vetro che alla fine non è altro che un cappuccino in miniatura con l’aggiunta del cioccolato e per concludere il “corretto”, ovvero un espresso corretto con qualche alcolico – concluse dettagliatamente.
- Wow… ora domanda: non che voglia bere qui la mia “brodaglia” come la chiami tu, ma se mai volessi bere il mio caffè come lo chiamo.? – chiesi divertita e perplessa nel mentre.
- Se non ricordo male, qua a Milano lo chiamate “americano” giusto.?? – mi fece eco Damon.
- Esattamente – replicò Alessio – ma credo che se dici “americano” lo capiscono un po’ in tutta Italia – specificò, proprio mentre arrivava il cameriere.
- Buongiorno, cosa vi porto.?? - chiese cordiale l’uomo.
- Per me un marocchino – affermai sorridente.
- Io prenderò un espresso – aggiunse Damon.
- Io il solito Teo, grazie – concluse Alessio.
- Lo conosci.??? – chiesi a quel punto curiosa.
- Vengo qui tutte le mattine cara. Quando esco di casa, scendo qui al bar, bevo il mio caffè, mangio la mia briosche e corro al lavoro – mi raccontò – a Milano mediamente 8 persone su 10 hanno il proprio bar di fiducia dove vanno tutte le mattine, per non più di 5 minuti , a fare colazione – specificò sorridendo.
- 5 minuti.?? Ma non fai in tempo nemmeno a sederti.! – constatai incredula.
- Infatti, fanno colazione al bancone Gilbert – mi fece notare Damon, indicandomi un signore in giacca e cravatta bere il suo caffè al banco, con tanto di dolce in mano, e pochi secondi schizzare via. – Non pensavo gli italiani fossero così attivi – commentai spaesata da quel comportamento.
- Infatti, qui siamo a Milano – mi corresse tutto serio il ragazzo – è un mondo a parte – concluse divertito.

- Pensa è la terza cattedrale più grande al mondo dopo San Pietro e la cattedrale di Siviglia – spiegavo a Damon mentre passeggiavamo all’interno del Duomo di Milano – tu pensa, per costruirlo crearono dei veri e propri canali, di cui adesso rimangono infatti solo i due navigli, che arrivavano fino alla piazza, per poter trasportare il marmo che serviva alla costruzione – continuavo a spiegare con toni incanti – è una chiesa unica nel suo genere. Sia perché segue uno stile poco noto, ovvero il gotico internazionale, sia perché ci hanno messo così tanto tempo per costruirlo, che negli anni ha subito influenze artistiche diverse – conclusi poi fermandomi ad ammirare il soffitto.
- Elena a volte sai così tante cose da spaventarmi – mi prese in giro Damon.
- Ma smettila – lo rimproverai io tirandogli un pugno sulla spalla – comunque dopo andiamo sul tetto.?? Ti pregoooo - lo supplicai a seguire e in men che non si dica, una volta finito il giro della cattedrale, ci trovammo pronti a scalare il Duomo.
L’unico problema, fu che senza riflettere, mi rifiutai di prendere l’ascensore, e quando arrivammo poco più della metà della salita, il mio tumore, mi ricordò di quanto, anche se stavo vivendo quei giorni senza pensare troppo a lui, il cancro non era sparito magicamente nel nulla.
- Elena forse è il caso che scendiamo – mi propose Damon preoccupato.
- Scordatelo – risposi secca appoggiata al muro – piuttosto cerca nella mia borsa le pastiglie – continuai tra un colpo di tosse e l’altro. Il medico era stato chiaro, se le prendevo quando avvertivo una crisi respiratoria, mi avrebbero aiutato.
- Scendiamo e prendiamo l’ascensore, non è che ci rinunciamo del tutto – tentò nuovamente di dissuadermi lui.
- No.!! – urlai secca, spaventando gli altri turisti che stavano salendo le scale, ma almeno riuscì a zittire il mio ragazzo.
Presi le pastiglie, rimasi seduta come una scema per dei buoni dieci minuti sugli scalini, e non appena ebbi le forze mi rialzai e tornai a salire le scale senza più fermarmi, finché non arrivammo alla terrazza. E ne valse la pena.
Da ogni lato del tetto, si scorgeva un punto diverso della città, e grazie al sole che splendeva e il vento possente della notte prima, il cielo era di un azzurro pulito, proprio come gli occhi di Damon, e si potevano perfino scorgere le montagne.
- È bellissimo – commentò il ragazzo che ammirava il tutto al mio fianco.
- Già – risposi persa nei miei pensieri – scusami se ti ho urlato addosso sulle scale, ma era una cosa che dovevo fare. Non voglio arrendermi con il mio cancro, in qualsiasi momento lui cerchi di indebolirmi – cercai poi di spiegarmi a modi scuse.
- Lo so – constatò semplicemente lui, e mi tirò a se per baciarmi con passione.

Portofino

Sedere in felpa all’alba dell’8 di gennaio, era sicuramente una di quelle cose che non mi sarei mai aspettata di fare nella mia vita.
Ovvio avessi avuto il tempo, avrei fatto un giro in qualche posto caraibico, dove addirittura invece che in felpa, sarei stata direttamente in costume, ma quell’angolo di paradiso sulla costiera ligure, chiamate spiagge di Paraggi, bastava eccome.
Ero intenta a leggere una raccolta di poesie, mentre aspettavo che Damon tornasse con me sulla spiaggia quando mi ritrovai a pensare, per l’ennesima volta, all’assurda proposta di sposarci.
Ci conoscevamo solo da 4 mesi e la mia morte era cosa certa, che senso aveva.?? Forse era una proposta fatta per pietà, forse semplicemente l’aria di Parigi gli aveva davvero dato alla testa.
Forse. Era una pazzia, ma sicuramente la pazzia più grande era quella mia insana voglia di dirgli di si. E non era solo per il vestito bianco e papà che mi portava all’altare, non era solo perché tanto stavo per morire quindi “il fin che morte non ci separi” non sembrava poi così ansiogena come frase, ma era solo e semplicemente perché ero follemente innamorata di lui.


Buongiorno lettrici.!!
Sono davvero stra di volata, quindi il commento vero e proprio ve lo sorbite il prossimo capitolo. A fine viaggio insomma ehehhe
Spero comunque vi sia piaciuto.!!
Un bacione
A.

  
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