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Autore: Blue Eich    15/01/2017    2 recensioni
[E se Sarah ed Helena alla nascita non si fossero mai separate?]
D'improvviso, si sentì agguantare la vita da dietro e un'esclamazione la fece trasalire: «Buh!»
«Dio, Helena!» esclamò in un sibilo spazientito, portandosi una mano al cuore.
Col peloso cappuccio del parka verde oliva a nascondere gran parte della sua cascata di ricci, la bionda le sorrise. Si appoggiò al muro dell'edificio, schiacciandoci contro lo zaino. «Scusa se sono in ritardo, sestra… Avevo una questione in sospeso con uno di quarta B.»
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Felix Dawkins, Helena, Sarah Manning, Siobhan Sadler
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Remember of November'
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Toronto, novembre 1999

 
Sarah sbuffava, tamburellando nervosamente uno stivale sull'asfalto, con le mani ceree ficcate in tasca. Era stata una mossa stupida voler mettere la solita giacca da motociclista anziché quella pesante perché non era ancora abbastanza inverno. Come se madre natura si fosse volutamente presa gioco della sua sicurezza, quella mattina il termometro appeso in cucina segnava cinque gradi. Non poteva saperlo, siccome era uscita di corsa, trascinando per un braccio la gemella – incurante che avesse la fetta di toast imburrata ancora in bocca. Se non altro, la sciarpa di lana le riparava metà del viso. Nella sua mente lanciava mille maledizioni, perché ogni secondo in più era una possibilità in più che il bidello la beccasse. Dove diavolo si era cacciata quella scema?

D'improvviso, si sentì agguantare la vita da dietro e un'esclamazione la fece trasalire: «Buh!»

«Dio, Helena!» gridò in un sibilo spazientito, portandosi una mano al cuore.

Col peloso cappuccio del parka verde oliva a nascondere gran parte della sua cascata di ricci, la bionda le sorrise. Si appoggiò al muro dell'edificio, schiacciandoci contro lo zaino. «Scusa se sono in ritardo, sestra… Avevo una questione in sospeso con uno di quarta B.»

«Cosa ti ha fatto?» domandò Sarah, con cautela. Fiutava già un'altra possibile sospensione. Lo ammetteva, però: era stata impagabile la faccia della prof di fisica quando sua sorella le aveva bucato le ruote dell'auto con un coltello, aspettandola tranquillamente davanti alla portiera. «Ma soprattutto… Cosa gli hai fatto.»

«Mi ha chiamata bitch» raccontò Helena, per poi emettere un risolino vagamente perverso. «Gli ho dato un calcio dove non batte il sole ed è corso in bagno, piangendo come una femminuccia.»

L'espressione della bruna si distese dal sollievo: almeno non aveva cercato di bruciare il malcapitato di turno con uno dei suoi accendini presi in prestito senza chiedere, o di soffocarlo a mani nude, come l'ultima volta. Una punizione meritata. Fu il suo turno di ridacchiare, mentre scuoteva il capo con rassegnazione. «Sei proprio tremenda» – non era un complimento, ma suonava ugualmente dolce.

Mantenendo due sorrisi da far invidia al primo raggio di sole del mattino, superarono il cancello sul retro della scuola, confondendosi con i passanti e il traffico.

Poco dopo erano rintanate nel wickey di un parco, vicino al tubo a misura di bambino, l'MP3 su una delle assi di legno. Helena gustava il suo croissant alla crema, una cuffietta nell'orecchio sinistro. L'altra era in quello destro di Sarah, che soppesava il pacchetto di sigarette, indecisa se consumare l'ultima oppure no. Infine non resistette e l'accese, portandosela con un gesto naturale alle labbra. La scia si allontanava verso i possenti grattacieli, confondendosi al freddo novembrino.

«Il fumo fa male ai bambini, sestra» la rimproverò innocentemente la gemella, staccando per un attimo lo sguardo dalla sua colazione, che spargeva nell'aria un delizioso profumo di pasta sfoglia.

La castana scosse le spalle. «Non voglio bambini, lo sai benissimo.»

Helena non ribatté e finì di consumare il cornetto, persa nei propri pensieri. Siobhan aveva promesso di preparare i maccheroni al formaggio per cena. Se voleva essere una buona madre, avrebbe dovuto imparare anche lei a fare degli ottimi maccheroni al formaggio, prima o poi. Lasciava che le note rock le si disperdessero nella mente, senza ascoltarle per davvero. Rifletté sulla sera prima, quando le era sfuggito “posso averne ancora un po', mamma?” anziché signora S. Si era corretta subito in un farfuglio d'imbarazzo, strappando alla donna un sorriso affettuoso. Invece la sorella le aveva lanciato un'occhiataccia capace d'incenerire: si erano ripromesse di non chiamarla mai in quel modo, anche se ormai erano una famiglia a tutti gli effetti.

«Ho voglia di un milkshake» dichiarò all'improvviso, tornando alla realtà. Si pulì le mani leggermente appiccicaticce sul tovagliolo, ormai tutto stropicciato. «Andiamo?»

Sarah, forse stufa di stare immobile e quasi a metà sigaretta, assentì e non le venne neanche in mente di replicare “ma hai appena mangiato.” Conosceva già la giustificazione: il classico e incontestabile “ma io ho ancora fame.”

Quel muso d'evidente malumore non piaceva alla bionda, infatti le diede una spinta all'improvviso, per costringerla a scivolare giù dal tubo.

«Che fai, matta!» commentò Sarah, un sorriso sbocciatole sulle labbra come una delicata rosa.

Scesero insieme, trovandosi presto a ridere: in fondo c'era una pozzanghera d'acqua piovana gelida e vecchia di qualche giorno, che marcì il retro dei loro jeans.

E mentre ancora ridacchiavano, pulendosi alla bell'e meglio, videro passare una signora oltre la staccionata. Helena sorrise d'istinto alla bimba nel passeggino e il sorriso venne ricambiato da quella bocca, minuta e candida, mentre una manina si protendeva. Però purtroppo il passeggino ignorò la manina, continuando dritto senza fermarsi.

Il tragitto verso il bar, l'orfana lo passò a far l'equilibrista a bordo del marciapiede e pensare a che nome quella bimba avrebbe potuto avere, gli anni, la voce: infinite possibilità. Chissà se le piacevano le bambole, se aveva dei buoni genitori e una sestra o un brat più grande. Chissà dove abitava, chissà se l'avrebbe mai rivista, chissà quando avrebbe perso l'innocenza.

Entrate nel locale, si lasciarono investire dal calore accogliente che si respirava a primo impatto. Così eccole lì sulle poltroncine azzurro cielo, allo stesso tavolo ma da lati opposti, a consumare insieme un frappè alla fragola.

In realtà Sarah non aveva minimamente voglia di bere qualcosa di fresco a quell'ora del mattino, ma fumare a stomaco vuoto non era stata una buona idea – non sapeva dire se i pochi sorsi di quella bibita melensa le stessero aumentando la nausea oppure no. Sua sorella invece succhiava di gusto dalla propria cannuccia, mordicchiandola un po', serena. Perché, in fondo, per rendere felice Helena era sempre bastato poco: una caramella di dubbia bontà, un foglio per disegnare, una barbie rotta. Mentre Sarah, avvolta da un'aura funesta, era sempre stata quella intrattabile e immusonita. Tirò fuori il portafoglio di pelle dalla tasca inferiore dello zaino, per prepararsi a lasciare la propria parte di paga sul tavolo.

«Ce l'hai ancora?»

Come se avesse letto nel pensiero dell'altra, annuì e fece spuntare una fotografia dal primo taschino, nascosta accuratamente. Nell'osservarla si scambiarono un sorriso tenue, con la bionda che aveva affettuosamente abbandonato la testa sulla sua spalla.

 

Quella sera, Helena scarabocchiava in fretta sul suo diario. A tenerle compagnia, le gocce ticchettanti e il brontolio dei tuoni in lontananza – decisamente simile a quello della sua pancia, reboante e pretenzioso. Scriveva tranquilla, assaporando la solitudine.

“Il momento più bello della giornata: un angelo al parco mi ha sorriso e ho marinato la scuola con sestra.” Fece una pausa per pensare, mordicchiando un po' lo scheletro della penna blu, stretta nella mano sinistra. “Il momento più brutto della giornata: un ragazzo di 4^B mi ha chiamata bitch, ma non credo che lo rifarà.” Rilesse il tutto, accarezzando con un polpastrello l'impronta lieve dell'inchiostro. Poi chiuse il quadernetto e lo fece scivolare sotto il cuscino, accertandosi di essere sola. Nonostante quegli sciocchi accorgimenti, anche se sapeva, Sarah non avrebbe mai varcato senza permesso la porta per il cuore instabile di Helena. Lei voleva qualcosa di esclusivamente suo. Un posto da riempire di disegnini stilizzati e scritte, segreti innocenti e collage di bimbi sorridenti ritagliati dalle riviste.

Riemersa dal tuffo nell'intimità, fu combattuta se aprire l'ultimo cassetto del comò e dirigersi in bagno con il suo amico taglierino, oppure scendere al piano di sotto. Dopo un po' d'indecisione scelse la seconda alternativa e si addentrò furtivamente giù per la scala, sfiorando la ringhiera con le dita. S'intravedeva una luce azzurrognola diffondersi nel salotto, mentre i suoi fratelli erano sdraiati sul divano.

«Possiamo cambiare film? Non voglio sognare questo stupido fantasma» propose Felix, ma prima ancora che potesse individuare il telecomando, la sorella glielo rubò.

«Attento, magari può sentirti» lo canzonò con un sorriso dispettoso.

Come risposta, ricevette un suo sbuffo e un'alzata di occhi al cielo: era piccolo, ma non scemo.

L'ombra di un sorriso increspò anche le labbra di Helena. Continuò a scendere e gattonò sul pavimento, fino a finire acquattata dietro al divano. Dallo schermo, sentiva provenire un sottofondo crudo e angoscioso. Una porta che si apriva cigolando. Dei passi. Nell'attimo di silenzio tagliente, batté con decisione una nocca sul parquet e fu quasi certa di aver percepito il brivido che attraversò la schiena di Felix.

«Sarah?» chiamò, leggermente più pallido nel viso magro.

«Sta' calmo, Fel» replicò la sorellastra, sistemandosi meglio addosso la coperta – fatta all'uncinetto dalla madre adottiva. Doveva mantenere la calma e mostrarsi impassibile. Suggestione, era solo suggestione. «Sarà stato il vento. I fantasmi non esistono.»

«No, non è stato il vento, ho sentito un rumore… Qui

Helena aggirò il bracciolo di destra, lasciandoli ancora un po' nella morsa soffocante della paura, palpabile nell'aria. Poi soffiò minacciosa come un gatto randagio e scattò, arpionandosi al collo del ragazzino da dietro.

«Non uccidermi!» piagnucolò lui, dimenando furiosamente la testa. «Non uccidermi, non uccidermi!»

Il tempo di una risatina soave e la stretta si sciolse. «Sei un po' sciocco, fratello-sestra» lo prese in giro la bionda, mentre Sarah rideva di gusto, a dispetto del colpo al cuore iniziale.

«Hai fatto una faccia, Fel!»

«Non è affatto divertente» borbottò lui, lisciandosi il maglione e incrociando le braccia, offeso.

Helena si buttò in mezzo al sofà e prese subito possesso degli snack, portandosi la ciotola in grembo come un neonato da cullare.

Dopo qualche minuto di calma, quando ormai erano completamente immersi nell'atmosfera ansiogena del thriller, sentirono bussare di nuovo. Più forte, stavolta.

«Helena» chiamò Sarah, in uno stufo rimprovero. «Adesso smettila.»

«Guarda che non sono stata io» si giustificò la bionda, con le guance gonfie dai troppi popcorn: sembrava un buffo scoiattolo con la bocca straripante di ghiande.

«Se non è stata Helena… Allora chi è stato?»

In seguito alla domanda di Felix, lo sguardo dei tre corse alle loro spalle: le due finestre. D'un tratto un lampo illuminò la tenda di seta beige, rivelando per fugaci frangenti una figura incappucciata all'esterno, che bussò ancora ostinatamente sul vetro, come se pretendesse di entrare. Felix deglutì a fatica: era tentato di nascondersi, perché a dieci anni era ancora troppo giovane per morire ucciso da un serial killer. Tuttavia rimase fossilizzato lì: doveva comportarsi da uomo e non abbandonare le sue sorellastre.

Il tempo che impiegò a formulare quel ragionamento eroico, che Helena si era già avvicinata con estrema cautela, come un poliziotto che svolta l'angolo impugnando la pistola. Con il batticuore, aspettandosi di vedere il viso sfigurato di uno zombie, scostò di scatto il tessuto, sotto lo sguardo vigile della gemella poco più indietro. Non furono mai così felici di incontrare gli occhi miti ma severi di Siobhan, avvolta nell'impermeabile ed evidentemente senza chiavi, che mimò qualcosa di esasperato col labiale.





 

Angolo Autrice
Salve!
Sentendo Felix dire che Sarah non ha mai finito le superiori, ho pensato che fosse la classica ragazza da marinare la scuola, ecco da cos'è nata l'idea.
Felix qui ha dieci anni, le gemelle quindici.
Per il fatto del diario mi sono ispirata alla protagonista del libro che ho letto di recente, Parigi è sempre una buona idea.
Ho messo volutamente bitch anziché la traduzione italiana, per rendere il testo più… Fine?
Spesso Helena chiama i bambini angelo, come nel diario.
L'accenno alla foto è dovuto a Fallen angel painted in red, l'altra shot che ho pubblicato con lo stesso tema What if – insieme ad altre, formeranno una serie. Però non so quando scriverò altri spezzoni di questo loro ipotetico passato.
Ringrazio chi ha letto e se qualcuno vorrà lasciarmi un commento ne sarò ben felice.
Alla prossima!
-H.H.-

 

   
 
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