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Autore: Huilen4victory    16/01/2017    1 recensioni
Il sistema mondiale sta lentamente cambiando e come tutte le fasi di cambiamento vi è paura, rabbia e dolore. In tutto questo c'è però il circolo ricreativo, e naturalmente Hakyeon, che non sembra affatto stanco di dare il benvenuto a nuove persone, amarle e cercare di sistemare i loro sogni infranti.
(N/Leo main, Hongbin/Ravi, Hyuk/Ken)
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hongbin, Hyuk, Leo, N
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Wonshik pensava davvero quella fosse una pessima idea. Lo aveva pensato quando Hongbin glielo aveva accennato la prima volta, anche se Wonshik aveva scioccamente creduto fosse solo un desiderio passeggero e davvero ormai avrebbe dovuto capire che Hongbin era la persona più cocciuta del pianeta terra, e lo pensava anche allora sulla soglia di quello che doveva essere l'innocente anticamera di un oratorio, mentre invece era la sede di un gruppo di sostegno molto particolare.

Hongbin non aveva esitato un attimo, aveva varcato con estrema non curanza l'ingresso, neanche stesse andando a comprare dei pomodori al supermercato. Wonshik non era riuscito a passare oltre, ed era rimasto imbambolato prima ancora di riuscire mettere un piede nell'anticamera.

Se voleva fermare Hongbin stava davvero facendo un pessimo lavoro, ma Wonshik, dopotutto, non era mai stato in grado di negare qualcosa al suo migliore amico.

Wonshik e Hongbin erano amici sin dalle medie, da quando la famiglia di Hongbin si era trasferita nella sua città e aveva iscritto il figlio nella scuola di Wonshik. Hongbin era stato popolare fin da allora e Wonshik lo aveva sempre trovato speciale. Ai suoi occhi da numero due certe cose come l’aspetto di una persona, erano qualcosa che passava in secondo piano. Eppure non poteva negare quanto conoscere Hongbin lo avesse colpito, anche se non aveva saputo identificare un motivo valido che giustificasse il suo interesse. Forse era stato sapere, ancora prima di conoscerlo davvero, che Hongbin era molto, molto, di più della bella copertina a cui tutti si fermavano. Era risoluto, determinato e un gran lavoratore. E anche qualcuno con un bizzarro senso dell’umorismo. Si, lui era quel tipo di amico che quando ti vedeva spiaccicarti sul pavimento rideva a crepapelle per la tua sfortuna. Ti aiutava, ma non senza ridere per tutto il tragitto dal cortile all’infermeria. Wonshik non si ricordava bene come era iniziata la loro amicizia, avevano parlato per caso durante la ricreazione a da quel momento in poi non si erano più separati. Era strano, perché Hongbin era pignolo dove Wonshik era un casino disorganizzato, era competitivo dove Wonshik invece preferiva godersi la gara ed era riservato dove lui invece era una persona espansiva e affettuosa. Non ascoltavano neppure la stessa musica. Tuttavia entrambi erano due sognatori ed anche due persone tremendamente determinate nel rendere concreti i rispettivi sogni. Era questo fuoco, questa volontà bruciante che li faceva sentire così a proprio agio l’un con l’altro. Il fatto di riconoscersi simili nonostante le abissali differenze. Con gli anni questo sentimento si era rafforzato e, senza rendersene conto, Wonshik si era sintonizzato così bene a Hongbin che aveva imparato a leggere le svolte dei suoi pensieri prima ancora che questi dovesse dirli ad voce alta, così come Hognbin era bravo a centrarlo con i suoi discorsi logici durante i momenti di sconforto. Si erano intrecciati così magnificamente, due estremità diverse lungo uno stesso percorso. Si ricordava come una volta un loro compagno avesse scambiato le loro identità finendo col chiamare Wonshik Hongbin.

“Siete sempre insieme. Che potrei aver confuso chi è chi,” aveva risposto il ragazzo. Wonshik aveva riso, quella sua risata simile a un latrato che era così simile a quella di Hongbin, o forse era il contrario, mentre invece Hongbin aveva spalancato i suoi grandi occhi oltraggiato. Era una cosa sciocca lo sapeva, ma la cosa gli aveva fatto piacere.

Come una ombra, affinché a ogni tuo passo coincida un passo mio.

Hongbin si voltò bruscamente, inclinando la testa di lato e inchiodandolo con il suo sguardo. Wonshik si chiedeva come aveva fatto a non capire prima la profondità dei suoi sentimenti quando ogni volta che Hongbin lo guardava così, lui si sentiva togliere il fiato.

“Wonshik?” sussurrò per non farsi sentire dalle persone che stavano parlando nell'altra stanza.

Wonshik scosse la testa.

“Non ce la faccio,” mormorò l’interpellato. Quel posto era sicuramente nella top tre dei posti che Wonshik non avrebbe mai e poi mai voluto frequentare: gli altri due erano la prigione e un’aula durante la lezione di matematica. Aveva davvero sperato che il suo miglior amico avesse voluto scherzare e invece, come ogni volta che Hongbin se ne usciva con una delle sue idee più folli, questi dimostrava di fare sul serio. E Wonshik si trovava a dover correre per poter stare al suo passo.

“Dai. Ormai siamo qui,” Hongbin mormorò un po' esasperato e un po' preoccupato. Hongbin era una persona molto risoluta ma voleva bene a Wonshik. Non voleva fargli fare nulla che l'altro non si sentisse a suo agio di fare. Ma doveva fare questa cosa e per farlo aveva bisogno di lui, dell’appoggio del suo migliore amico.

“Non capisco che bisogno c'era di venire qui. Lo sai vero che posto è questo?”

“È solo un gruppo di sostegno Wonshik,” Hongbin replicò stavolta con un tono chiaramente esasperato. Ma Wonshik sapeva che era tutto un bluff per mascherare la sua paura.

“Già. Come no. Ed è così innocuo che ti sei ben guardato dal menzionarlo a Hakyeon. Questo non è un gruppo di sostegno qualunque, ma una riunione di freedom fight…” Hongbin aveva quindi pensato bene di tappargli la bocca con la sua mano.

“Shhh. Vuoi farci cacciare?” Wonshik corrugò la fronte.

Hongbin sospirò.

“Voglio solo sentire cosa hanno da dire. Solo questa volta. Ho bisogno di sentire cosa hanno da dire,” Hongbin implorò. Ah. Wonshik allora annuì leggermente con la testa e Hongbin tolse la mano. Lo guardò intensamente come a volergli chieder scusa e lui non disse nulla perché ovunque Hongbin avesse bisogno di andare lui lo avrebbe seguito.

Poi il suo migliore amico lo prese gentilmente per il polso e insieme percorsero l'anticamera.

Wonshik era cresciuto con i suoi nonni. I suoi genitori non se li ricordava, sapeva solo quello che gli era stato detto dai suoi nonni e che erano morti in un incidente d'auto quando lui aveva tre anni. Non poteva certo dire che non avesse desirato averli con sé, che non gli fossero mancati durante tutti quegli anni. Ma Wonshik era cresciuto felicemente e i suoi nonni non gli avevano mai fatto mancare nulla e perciò la sua perdita sebbene reale non era così agonizzante perché non aveva ricordi che gli rammentavano quello che non aveva più. Hongbin invece aveva ricordi, era grande quando aveva perso la sua famiglia. La perdita dei suoi genitori era qualcosa che lui ricordava bene, che avrebbe ricordato sempre e che lo feriva ancora. Sapere la verità dietro alla loro scomparsa non aveva che aggravato le cose e Hongbin da allora non era stato più lo stesso. Andava meglio ora, avere Hakyeon e Sanghyuk gli aveva fatto bene, ma Wonshik conosceva ogni piccolo anfratto del suo cuore e sapeva per certo che questi era ancora spezzato e che Hongbin girava su sé stesso cercando di capire come rimetterlo insieme.

La stanza era grande e spaziosa e tutti i posti a sedere disponibili erano stati occupati. Un brivido percorse Wonshik perché non si era aspettato così tanta gente. Se da un lato questo faceva si che la loro presenza passasse inosservata, dall'altro voleva dire che c'era più gente di quello che lui era stato disposto ad ammettere che si interessava queste cose e questo pensiero lo spaventava.

Ad ogni modo lui e Hongbin si sistemarono in un angolo in disparte appoggiati alla parete di fondo.

C’era un podio e un microfono sul palco e le persone sembravano darsi il cambio per parlare a turno, e loro erano appena giunti per sentire la storia di una donna.

“Mio figlio è morto la mattina del 16 aprile di sette anni fa. Sono passati tanti anni ma è un dolore che non si estingue mai. Ogni mattina mi sveglio e per un attimo spero di sentire di nuovo la sua voce, di udire i suoi passi in casa, lui era solito svegliarsi sempre prestissimo sapete. Ma poi mi rendo conto che non è così che non sarà mai più così. Mio figlio è morto il 16 aprile di sette anni fa. Si è buttato giù dal balcone del quinto piano della nostra palazzina. Noi sapevamo che era dura. Lo sapevamo però non immaginavamo quanto. Non sapevamo fino a che punto la cattiveria della gente si era insinuata in lui e abbiamo creduto le sue sofferenze sopportabili non diverse da quelle che avevamo passato noi. Ci sbagliavamo. Ci sbagliavamo di grosso. Mio figlio aveva solo diciassette anni ed era un numero zero.”

Non appena Wonshik sentì quella storia ebbe l’impulso di scappare da lì all’istante. Lo sapeva. Sapeva che c’era sofferenza, sapeva che il loro mondo era lungi dall’essere perfetto che i loro antenati avevano creato un mondo basato sull’iniquità e avevano spacciato il sistema per pace. Lo sapeva, non aveva forse visto la sofferenza nel volto di Hongbin, non l’aveva visto nel volto di tutte le persone? Ma il suo amico non aveva bisogno di questo. Lui conosceva fin troppo bene la cattiveria. L’ingiustizia e il dolore. Aveva bisogno di guarire e non di sguazzare nell’odio di chi non aveva nulla da perdere.

“Lo hanno umiliato, ridicolizzato e vessato per anni. Come se la nostra condizione non fosse un fardello abbastanza pesante, come se dovessero farlo soffrire ancora di più. So che dicono che il nostro mondo è migliorato, che abbiamo più diritti. Ma i nostri figli continuano a morire e dopo sette anni nessuno ha mai pagato per quel crimine. Perciò io chiedo giustizia. Giustizia ai numeri due.” Le parole della donna furono seguite da un caloroso applauso. Wonshik avrebbe voluto interrarsi nella parete. Lanciò un’occhiata a Hongbin che sembrava inorridito quanto lui ma anche stranamente assorto. Seguì un po’ di confusione e poi un’altra persona fu invitata a salire e da come tutti si zittirono di colpo Wonshik capì che doveva essere qualcuno di importante sebbene apparisse non più vecchio di Hakyeon.

“La mia storia la sapete già ma molti qui sono nuovi e quindi la racconterò ancora una volta perché so quanto è importante condividere. Condividere non ripara all’ingiustizia ma ci fa sentire meno soli. Perchè ricordate numeri zero, siamo soli solo se divisi e sono le nostre sofferenze a legarci l’uno all’altro. Mi chiamo Yoonsook e ho 28 anni. E quattro anni fa ho perso i miei genitori nell’attentato di novembre. No, non li ho persi nell’esplosione, li ho persi in un modo molto più subdolo e crudele. La notte dopo l’incidente le forze speciali hanno irrotto in casa dei miei genitori, dove viveva ancora mia sorella, all’epoca minorenne. Senza tante cerimonie e con un’accusa qualunque li hanno portati via e hanno affidato mia sorella ai servizi sociali. Non ho più visto i miei genitori da allora e per quanto ne so potrebbero essere già morti. O almeno lo spero perché so che in questo mondo esistono cose peggiori dell’essere sotto terra. Io conoscevo i miei genitori e non importa cosa dice il governo, io so che loro non erano terroristi e per questo chiedo giustizia ai numeri due.” La gente applaudì ancora più forte della prima volta.

Wonshik non aveva bisogno di sentire altro, prese Hongbin per un braccio e lo trascinò il più velocemente possibile lontano da lì e il suo amico fortunatamente lo lasciò fare. Una volta fuori dall’oratorio corsero in strada e Wonshik non si fermò finché non furono a debita distanza. E solo allora, solo allora si fermò, e si rese conto che si erano tenuti per mano per tutto il tragitto anche se Hongbin odiava le dimostrazioni di affetto. Eppure era proprio lui a tenerlo per mano, lo sguardo a terra.

Wonshik avrebbe voluto prendere il suo viso tra le mani e accertarsi che stesse bene, che il suo Hongbin stesse bene, ma non lo fece.

“Tutto bene?” il suo migliore amico allora sollevò lo sguardo e Wonshik doveva avere un’espressione molto preoccupata perchè Hongbin cercò di sorridere rassicurante.

“Io sto bene. Sei tu quello pallido,” disse questi in un debole tentativo di humour.

“Ho freddo tutto qui.” Nessuno commentò sul fatto che era maggio e il sole spaccava le pietre.

“Avevi ragione non dovevamo andarci. Mi dispiace di averti portato lì,” disse allora mordendosi il labbro.

“Non fa niente. Basta che mi prometti che non ci torniamo più e siamo a posto.” Wonshik rispose.

Hongbin rise leggermente, dandogli un buffetto sul braccio.

“Andiamo a casa.” Disse, sciogliendo le loro mani ma non muovendosi di un centimetro da Wonshik, le loro ombre che sull’asfalto si fondevano l’una sull’altra. Insieme si incamminarono e verso casa di Hakyeon, la casa di Hongbin.

E mentre camminavano spalla contro spalla cercando di intavolare una normale conversazione si chiese se il suo amico sarebbe stato bene e se lui, Wonshik, non si sarebbe pentito in futuro di non aver insistito di più per non andarci e soprattutto si chiese come avrebbe reagito il suo migliore amico se fosse mai venuto a scoprire la verità. L’immagine di Hongbin che parlava su quel palco gli attraversò la mente e rabbrividì.

Avevano ferite, entrambi le avevano e Wonshik una volta aveva temuto di aver perso Hongbin per sempre eppure in qualche fortunoso modo si erano ritrovati. Tuttavia aveva paura, viveva nel terrore del momento in cui l’Hongbin il numero due che era stato allevato come un numero zero scoprisse che Wonshik fingeva di essere un numero zero essendo invece un numero due.


 


 


 

Hakyeon era distratto e non era affatto da lui.

Si era ritrovato a mettere nel sacchetto un chilo di cipolle e né a lui né ai bimbi piacevano così tanto. Era stato così per tutta la settimana al punto che Jaehwan lo aveva preso in giro non più tardi di quella mattina in tutto il suo vanaglorioso entusiasmo. Doveva saperlo che Sanghyuk gli avrebbe detto tutto, era irritante sapere di avere una spia dentro casa anche se Hakyeon sapeva che in realtà Sanghyuk lo aveva detto a Jaehwan perché non voleva che Hakyeon facesse altri incontri pericolosi del terzo tipo, per usare le parole irritate di Hongbin. Entrambi lo avevano sgridato per essere stato così ingenuo da avvicinarsi a un perfetto estraneo in circostanze così sfavorevoli. Hakyeon aveva sbuffato. Il tizio nel vicolo non rappresentava un pericolo per alcuno se non per sé stesso e poi lui sapeva badare a se stesso, anche se era carino vedere come i bimbi si preoccupavano per lui.

Sospirò rimettendo le cipolle nel loro cesto. Avrebbe voluto rivedere quell’uomo, sapere cosa ne era stato di lui, se stava bene. Se stava eglio. Jaehwan la chiamava compulsione a raccogliere gatti randagi, ma la verità era che non c’era qualcosa a cui Hakyeon fosse più sensibile del dolore altrui. Perché lui c’era passato, sapeva bene fino a che punto possono spingerti gli abissi dell’odio verso sé stessi e se quella sera non ci fosse stato Kim Seokjin per lui, ragazzo smarrito di diciassette anni, allora sarebbe stata la fine e Hakyeon non poteva considerare quell’alternativa, l’alternativa in cui lui non ci sarebbe stato o non sarebbe stato sano abbastanza per poter essere da aiuto ad altri. Il Hakyeon di allora sarebbe stato completamente inutile ad aiutare il tredicenne Sanghyuk o il quindicenne Hongbin.

Hakyeon voleva rivederlo. Ma per quanto ci pensasse sapeva bene che era impossibile che accadesse a meno di non ritrovarlo di nuovo accasciato nel vicolo di fianco al circolo e quella era l’ultima cosa che avrebbe voluto. A volte a Hakyeon era parso di intravederlo tra la gente che passava ogni giorno davanti alla finestra del suo ufficio, però si era detto che probabilmente era stato uno scherzo della sua mente. Persona ovunque tu sia, spero tu ti stia prendendo cura di te.

Scosse la testa mentre riempiva il sacchetto con il giusto contenuto, ossia pomodori, Hongbin andava pazzo per pomodori e insalata fresca.

Riempì quindi il trolley con tutto quello che gli serviva, voleva tornare in tempo per preparare la cena per i suoi bimbi, dio solo sapeva con quanta fame Sanghyuk tornava dai suoi allenamenti e Hongbin dal suo turno in biblioteca.

Era così assorto nei suoi pensieri, scegliendo mentalmente tra le sue ricette che quasi passò oltre alla sua occasione.

Li di fronte allo scaffale del caffè c’era il tizio ubriaco del vicolo. Appariva più in forma di come Hakyeon se lo ricordava ma era ancora mortalmente pallido, ombre scure sotto gli occhi e le unghie delle sue lunghe dita, il suo indice batteva pensoso sul suo mento, erano mangiucchiate. Hakyeon pensò due cose, primo che il tizio probabilmente doveva vivere li vicino perché il supermercato era a pochi passi dal circolo e questo significava che l’uomo quella sera molto probabilmente aveva tentato di tornare a casa. Secondo che Hakyeon doveva assicurarsi che stesse bene. Al diavolo le sue remore e Jaehwan con le sue teorie sulle sue compulsioni.

Prima di pentirsene coprì la poca distanza che li separava e proprio come quella sera attirò la sua attenzione punzecchiando con un dito il suo braccio. Cercò di trattenere il senso di imbarazzo.

“Hey.” Hakyeon richiamò la sua attenzione con il tono di voce più rassicurante che gli riuscì di evocare. L’uomo si voltò leggermente squadrandolo di sbieco. Oh. Hakyeon non pensava il suo sguardo potesse essere così intenso dopotutto lui l’aveva visto solo quando questo era annebbiato dall’alcol.

Hakyeon si schiarì la gola improvvisamente nervoso.

“Ehm ti ricordi di me? La sera nel vicolo?” Avrebbe voluto calciarsi da solo. Perchè non stava zitto o meglio, perchè non riusciva a resistere ai suoi impulsi? Probabilmente l’uomo neanche si ricordava che era stato Hakyeon a impedirgli che rimanesse all’addiaccio.

“Ah. Sei tu.” L’uomo disse con quella voce sottile che faceva a pugni con il suo sguardo ostile, come se Hakyeon gli avesse fatto un terribile torto.

Perfetto, si sentiva doppiamente idiota.

“Già io. Sai, una persona normale mi ringrazierebbe. Se non fosse stato per me chissà per quanto tempo saresti rimasto lì. Lo sai vero che non è affatto salutare bere così tanto?”

Oh Cha Hakyeon perché, perché non sai mai stare zitto.

L’uomo lo guardò con enorme disappunto e scrollando le spalle si girò e si allontanò. Ora era Hakyeon ad essere profondamente irritato. Non così in fretta.

“Aspetta. Aspetta! Io…Ti va un caffè? Quello della macchinetta all’ingresso. Cosi non ti sentirai in debito con me ulteriormente.” Hakyeon concluse sarcastico non riuscendo credere alle proprie orecchie. Perché stava facendo questo? L’uomo non sembrava neanche volergli concedere due secondi del suo tempo figuriamoci il tempo di bere un caffè.

“Paghi tu?” chiese cogliendo Hakyeon di sorpresa.

“Certo, offro io. Ti ho invitato no?” Disse sempre più irritato. Questo tizio con chi credeva di avere a che fare.

E poi incredibilmente l’uomo annuì. Poi indicò la cassa come a voler dire che lui aveva finito e che doveva solo andare a pagare e che era troppo impegnato per sprecare il suo fiato. Cercò di non prendersela, magari l’uomo era solo terribilmente timido e Hakyeon in effetti poteva apparire come un allucinato per offrire caffè a un estraneo.

“Ottimo! Anche io avevo finito di fare la spesa. Andiamo alle casse allora.” L’uomo si strinse nelle spalle e senza dire una parola fece come Hakyeon suggeriva.

Una volta che entrambi ebbero pagato, temette per un attimo che il tizio avrebbe approfittato del fatto che Hakyeon era impegnato alla cassa per darsela a gambe, ma a quanto pareva l’uomo o era un caffeinomane o una persona che non diceva mai di no a cibo gratis. I due si diressero quindi in direzione dell’erogatore di caffè a disposizione dei clienti.

“Allora quale vuoi?” Hakyeon chiese gentilmente dopo aver messo le monete. “macchiato, cappuccino?”

L’uomo senza dire una parola tasto la massima dose di zucchero e il pulsante del latte macchiato. Hakyeon sorrise. Non doveva essere così male una persona che era così amante delle cose dolci. L’uomo incrociò le braccia sul petto mentre aspettava che il caffè fosse pronto, borsa della spesa a terra.

“Comunque piacere, Hakyeon,” disse porgendogli la mano. Molto riluttantemente l’altro la strinse.

“Taekwoon.” Rispose e sembrava intenzionato a non aggiungere altro, ma per Hakyeon era abbastanza. Taekwoon. Finalmente poteva smettere di chiamarlo il tizio ubriaco del vicolo.

La macchinetta emise un bip segnalando la bevanda pronta e Taekwoon come un fulmine prese il suo caffè. Si, decisamente un caffeinomane, si disse Hakyeon.

“Bene! E come stai Taekwoon se posso chiedere?” Takwoon lo guardò nuovamente male e Hakyeon capì di aver fatto la domanda sbagliata. “Anzi sai una cosa non serve che me lo dici,” disse e procedette a raccontargli un po’ di sé stesso. “Sono un’insegnante di danza e dirigo il circolo ricreativo.” L’uomo sorseggiò lentamente il suo caffè, non sembrava interessato alle sue parole eppure non se ne era ancora andato e Hakyeon la considerava una piccola vittoria. Continuò a parlare del circolo ricreativo e di cosa facevano fino a che Taekwoon ebbe bevuto l’ultimo sorso di caffè e a quel punto Hakyeon non aveva più scuse per trattenerlo.

“Beh sono contento che abbiamo parlato. Sentiti pure libero di passare per il circolo, abbiamo sempre bisogno di un paio di mani in più. Oppure puoi sempre passare a salutare me, prometto che non mi offenderò.”

Per un attimo sembrò apparire l’ombra di un sorriso sul volto dell’uomo ma fu attimo e la sua faccia di marmo torno ad essere tale.

“Devo andare.” Disse e poi titubante aggiunse, “grazie per il caffè.”

“Figurati, quando vuoi Taekwoon!” Taekwoon gli gettò un’occhiata quasi non riuscisse a credere che Hakyeon facesse sul serio, a sua discolpa neanche Hakyeon riusciva a crederci, e poi dopo aver fatto un cenno, prese la sua borsa e se ne andò. Hakyeon sospirò pesantemente. Cosa diamine gli era preso.

Prese le sue borse della spesa e si decise a tornare a casa. Cercò di convincersi del fatto che la sua mossa non era stata inutile che almeno ora sapeva che il tizio del vicolo, Taekwoon, era vivo e stava relativamente bene, almeno fisicamente.

L’immagine di Taekwoon fermo davanti allo scaffale del caffè per numeri due gli balenò davanti agli occhi. Hakyeon si chiese che cosa potesse essere mai capitato a Taekwoon di così terribile perché fosse diventato l’unico numero due infelice sulla terra.


 


 


 


 


 

“Oh la nuova classe di bambini è molto promettente. Certo sono dei piccoli demonietti, giuro li fanno sempre più attivi, ma sono bravi bambini. E riescono a seguirmi senza problemi.” Jaehwan commentò mentre aiutava Hakyeon a chiudere le aule. Hakyeon fece solo un distratto “aha” immerso nei suoi pensieri. Era così strano che Jaehwan corrugò le sopracciglia e si voltò a guardare Hakyeon stranito. Di solito loro due erano un chiacchiericcio continuo di interscambi di opinioni sui loro bambini.

“Hakyeon mi stai ascoltando?”

Hakyeon non rispose mentre camminava pensieroso verso l’atrio, chiavi gingillanti in mano.

“Hakyeon?”

“Mmm?” Questi disse voltandonsi leggermente.

Un ampio sorriso si dipinse sul volto di Jaehwan.

“Conosco quell’espressione Hakyeon. Eccome se la conosco. Abbiamo fatto il college insieme e conosco tutte le tue espressioni, soprattutto quella! Quindi dimmi,” Jaehwan continuò avvicinandosi con passo felpato al suo amico, “chi hai incontrato di recente?”

Hakyeon arrossì alla velocità della luce e Jaehwan capì di aver fatto centro.

“Cosa ti fa credere che io abbia incontrato qualcuno?” L’altro disse cercando di svicolare. Jaehwan sorrise trionfante. Di solito i loro ruoli erano ribaltati, era Hakyeon che come una madre invadente si dava da fare per sapere tutto della vita dei suoi cari. Era divertente per una volta trovarsi dall’altra parte dello spettro e cominciava a capire perché il suo amico ci provasse tanto gusto.

Da parte sua Hakyeon non voleva assolutamente dare nulla a vedere considerando che l’unica persona che aveva incontrato quella settimana era Taekwoon e Hakyeon non poteva ammettere di trovarlo interessante perché le circostanze del loro incontro erano ridicole e non poteva essere che a lui bastasse così poco per. Si costrinse a non formulare quel pensiero. Ma la verità era che non riusciva a smettere di pensare a Taekwoon.

“Lo sai che a me puoi dire tutto.” Esclamò Jaehwan. Hakyeon scosse la testa.

“Non c’è nulla da raccontare questa volta davvero.”

Jaehwan ridacchiò ma per quella volta lasciò andare. Sapeva che prima o poi Hakyeon sarebbe venuto da lui a raccontargli tutto.

Controllarono un’ultima volta che tutto fosse a posto prima di uscire e tornare a casa.

Aspettò che Hakyeon chiudesse il pesante portone e mettesse l’allarme e poi insieme si diressero dove avevano parcheggiato le loro macchine. Ma non arrivarono neanche a metà strada che Hakyeon si fermò di botto e l’espressione che aveva in viso era così allarmata che Jaehwan si bloccò. L’altro stava guardando in fondo al vicolo e prima che Jaehwan potesse dire qualcosa lo vide correre in direzione di qualcosa, anzi qualcuno che sembrava trovarsi lì.

“Hakyeon!” Jaehwan urlò nel tentativo di fermarlo e quando vide che era inutile si precipitò alle calcagna.

Jaehwan vide Hakyeon tastare il polso della persona accasciata sul vicolo, lo vide illuminarsi di sollievo. Non potè fare a meno di notare delle bottiglie vuote accanto alla persona e un sacco di campanelli di allarme risuonarono nella testa. Doveva essere lo stesso tizio di cui aveva parlato Sanghyuk.

“Hakyeon dobbiamo chiamare qualcuno non è prudente!” Hakyeon non sembrava ascoltarlo scosse la persona cercando di svegliarla e quando lo voltò su un fianco per farlo respirare meglio Jaehwan vide infine lo sconosciuto in viso e lanciò un suono sorpreso.

“Che c’è? Cosa c’è Jaehwan?” Hakyeon si voltò allarmato.

“Taekwoon…” sussurrò Jaehwan. Hakyeon sembrò illuminarsi.

“Lo conosci?”

“Io…lo conoscevo. Una volta. Alle superiori.” Jaehwan era scioccato. Non pensava che avrebbe rivisto Taekwoon dopo tutti quegli anni e in quelle circostanze. Che cosa era successo che cosa diamine era successo in tutto quel tempo perché Jung Taekwoon si trovasse in quel vicolo ubriaco e privo di sensi? Che cosa era successo. Si sentì percorrere da un brivido di tristezza. Taekwoon, cocciuto e testardo Taekwoon che era super competitivo sul campo da calcio e a cui piaceva rubare le barrette di cioccolato di Jaehwan.

Hakyeon rimase per un attimo immobile quasi indeciso sul da farsi.

“Dobbiamo chiamare qualcuno non possiamo lasciarlo qui.”

L’altro scosse la testa ricordandosi le parole di Taekwoon. Non ho nessuno.

Poi sospirò. Sembrava aver preso una decisione.

“Dammi una mano.”

“Cosa?”

“Dammi una mano. Lo carichiamo in macchina. Lo porto a casa.”

“Hakyeon!”

“So che non è pericoloso e il fatto che tu lo conosca mi rassicura. E come hai detto tu non possiamo lasciarlo qui e non ho intenzione di chiamare le autorità e metterlo nei guai. Quindi vieni qui metti un braccio sotto le sue spalle aiutami a portarlo in macchina.” Jaehwan rimase un attimo interdetto poi scuotendo la stessa fece come gli era stato detto.

E mentre caricava Taekwoon nella macchina di Hakyeon e questi si metteva alla guida Jaehwan sperò che andasse tutto bene.

Un uomo abbandonato a sé stesso e uno che amava i bambini perduti.

Jaehwan pregò che non fosse la ricetta per un disastro.


 


 


 


 


 


 

 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 

 


 

Nda: e così abbiamo introdotto Hongbin e Ravi. nel prossimo capitolo un po' di spazio a Sanghyuk e Jaehwan. E naturalmente Hakyeone Taekwoon!
   
 
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