Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: emme30    16/01/2017    5 recensioni
Gianni fa danni, Eren è giovane, impulsivo e fondamentalmente un po' stupido e Levi è il maestro delle punizioni.
[Ereri ♥ Eren/Levi]
Genere: Comico, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Eren Jaeger, Jean Kirshtein, Levi Ackerman
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dedicata ad Annalisa e Roberta,
grazie per le risate, gli scleri, i 10 giorni bellissimi che abbiamo passato insieme
e ricordate che il mondo intorno a me si riempie di magia
sono speciale, vengo da molto lontano,
sembra tutto assurdo ma
ci divertirEeEeEeEeEmOoOoOOOOOOoOOO

 

 

La Punizione Perfetta
(ovvero, in realtà è sempre colpa di Jean)


“Smettila di dire cazzate.”

Eren era a tanto così dal perdere la pazienza e l’espressione compiaciuta di Jean, seduto di fronte a lui, non lo stava certo aiutando.

“Non c’è bisogno che ti scaldi tanto, sai? Dopotutto, è la verità,” continuò il ragazzo, appoggiando sul tavolo la tazza di tè che aveva in mano.

Eren strinse le posate tra le mani e obbligò se stesso a non infilzargli un bulbo oculare con la forchetta. “Non è assolutamente vero,” sbottò, ignorando la mensa gremita di persone che facevano colazione. “Non ho una cotta per il Capitano Levi!”

Jean scoppiò a ridere ed Eren si arrabbiò ancora di più, indeciso se essere grato o meno del fatto che Mikasa gli avesse sfilato la posateria dai palmi.

Ovviamente, l’affermazione del soldato era vera e la sbandata che aveva preso per il capitano Levi stava diventando davvero immensa, ma avrebbe preferito essere divorato nuovamente da un gigante piuttosto che ammetterlo ad alta voce a qualcuno altro che non fossero i suoi pensieri.

“E’ carino il fatto che tu possa pensare di essere in grado di negare una cosa simile,” continuò Jean ridacchiando, palesemente divertito dalla reazione di Eren. “Perfino i giganti fuori dalle mura sono consapevoli del fatto che fai gli occhi dolci al Capitano ogni volta che puoi.”

“Non ho una cotta per il Capitano!” ripeté nuovamente Eren, quasi sibilando.

E poi, Jean fece l’unica cosa che non doveva fare: lo imitò rivolgersi al capitano Levi. “Sì, capitano Levi, signore!”

Eren si alzò di scatto e sbatté i palmi sul tavolo, un’espressione gelida rivolta all’amico di fronte a sé che lo stava scimmiottando. “Non azzardarti mai più a dire una cosa simile,” mormorò, cercando di essere il più deciso possibile. “Non ho una cotta per un vecchio alto mezzo metro che non è in grado di dimostrare nemmeno la minima emozione umana, al quale non interessa nulla di noi e che-“

Eren venne interrotto dallo strisciare sulla sedia sul pavimento accanto a lui, al posto da capotavola. Si voltò di scatto e il sangue gli si gelò nelle vene quando si rese conto chi si era seduto accanto a lui.

“Continua pure il tuo discorso, moccioso. Non ti stavo ascoltando prima e non ho intenzione di ascoltarti neanche adesso.”

Il capitano Levi si sistemò sulla seggiola e appoggiò la sua tazza di tè sul tavolo, sul volto la solita imperscrutabile espressione annoiata.

Eren si sentì avvampare e, senza neanche pensarci, portò la mano al petto per fare il saluto. “Capitano Levi, signore!” esclamò nello stesso modo per cui Jean lo aveva preso in giro un paio di attimi prima.

“Siediti e finisci la tua colazione,” rispose spiccio il capitano, senza neanche guardarlo in faccia e portandosi il tè alle labbra.

Eren obbedì, sentendosi estremamente imbarazzato e con le orecchie bollenti, guardando assente il suo piatto mezzo vuoto e facendo fatica ad ignorare il silenzio che era sceso al tavolo. Stava cercando le parole giuste per scusarsi con il Capitano, nel caso l’avesse sentito, quando fece l’errore di alzare lo sguardo. I suoi occhi caddero su Jean, il quale fece un impercettibile segno col capo in direzione di Levi e poi cominciò a mimare dei baci con le labbra, ridacchiando divertito.

Ed Eren, visto che era impulsivo, giovane ed estremamente stupido, fece la prima cosa che gli passò per la testa: tirare un calcio all’amico seduto di fronte a sé, come aveva già fatto almeno un paio di volte quella mattina.

Il suo piede però non colpì Jean, ma prese in pieno la gamba del Capitano, il quale, colto di sorpresa, si lasciò sfuggire la tazza ricolma di tè bollente dalla mano, che andò a rovesciarsi sui suoi pantaloni bianchi intonsi.

Perfetto, pensò Eren in preda al panico, alzandosi in piedi di scatto, adesso mi ammazza. La stessa preoccupazione fece chiaramente il giro del tavolo, visti i singulti scioccati di tutti i presenti.

“Capitano Levi, signore, sono mortificato, mi perdoni! Non vol-“

“Zitto,” sibilò Levi senza neanche guardarlo negli occhi, il volto nascosto dai capelli neri che gli ricadevano ai lati del viso. Alzò lo sguardo solo qualche attimo dopo, ed Eren preferì non lo avesse mai fatto, perché in quelle iridi lesse la sua condanna a morte, la quale sarebbe stata senza dubbio lunga e molto dolorosa.

Levi si alzò dalla sedia borbottando “Stupidi mocciosi” e si allontanò senza dire un’altra sillaba.

Eren ne era certo: non sarebbe sopravvissuto alla giornata.

 

 

*

 

 

La punizione arrivò quasi subito: non appena Eren uscì dalla mensa, gli venne comunicato che avrebbe dovuto recarsi alle stalle, invece che ad allenarsi con i suoi compagni.

Con un sospiro rassegnato, si avviò fuori dal quartier generale e si diresse verso le scuderie, provando a ignorare il tanfo di letame e di animali che si faceva più forte man mano che si avvicinava.

Scorse da lontano una figura minuta che lo stava aspettando fuori dalla porta. Eren gli si fermò davanti e gli fece il saluto, senza osare proferir parola. Era certo che, qualunque cosa avesse detto, avrebbe peggiorato la situazione.

“Passerai la mattina a pulire le stalle anziché addestrarti,” annunciò glaciale il capitano Levi. Eren annuì e si accorse che la macchia di tè sui pantaloni bianchi dell’uomo era sparita. “E spicciati, perché nel pomeriggio hai altre cose da pulire.”

“Sì, capitano Levi, signore!” disse Eren quasi senza accorgersene, per poi ricordare le parole di Jean quella mattina. Cielo, era davvero così patetico?

Levi si limitò a sbuffare e ad andare via.

 

 

 

*

 

 

All’ora di pranzo Eren era così stanco che, se avesse potuto, si sarebbe ritirato a letto e ne sarebbe uscito solo il giorno seguente. E lo avrebbe anche fatto, se non avesse incontrato il capitano Levi mentre si recava alla mensa. Si fermò in mezzo al corridoio e gli fece il saluto, sperando che il capitano si fosse dimenticato di ciò che gli aveva detto quella mattina. Ovviamente, non era così fortunato.

“Hai mezz’ora per mangiare e toglierti questo disgustoso olezzo di dosso. Oggi pomeriggio hai l’ala est da ripulire.”

Eren fece sconsolato un cenno di assenso col capo. “Sì, capitano Levi, signore!”

 

 

*

 

 

Dopo essersi rifocillato, aver ignorato le battute di Jean ed essersi cambiato, Eren si avviò verso l’ala est del quartier generale, una parte del castello che neanche veniva usata, certo che vi avrebbe trovato il capitano ad aspettarlo.

Lo intravide in una delle stanze polverose, di fronte alla finestra, intento a guardare fuori.

“Capitano, sono-“

“In ritardo, come tuo solito,” lo interruppe Levi senza neanche voltarsi. “Per oggi puoi cominciare da questa sala. Esigo sia così pulita da poter mangiare sul pavimento.”

Eren si girò intorno e sospirò alla quantità di polvere e sporco presenti in giro.

“Ti stai per caso lamentando?”

Eren non si era accorto che nel frattempo il Capitano si era voltato verso di lui. Scosse la testa, imbarazzato. “No, Capitano!”

“E allora datti una mossa, moccioso. I prodotti per pulire e gli stracci sono nell’altra stanza.”

Eren annuì e si precipitò a recuperarli, deciso a non irritare ancora di più il capitano. Una volta ritornato, si aspettò quasi di trovarla vuota, ma Levi era ancora lì, in piedi accanto alla porta d’entrata, con le braccia incrociate dietro la schiena.

Eren lo fissò confuso, e tutto ciò che ricevette in cambio fu uno sguardo annoiato da parte dell’uomo.

“Che c’è? Hai perso l’uso di braccia e mani? Hai bisogno di un disegnino?”

“No, signore! Pensavo che-“

“Non farlo, non ti riesce particolarmente bene. Mettiti al lavoro adesso… e bocca chiusa.”

Eren ingoiò la risposta che voleva dargli e distolse lo sguardo dagli occhi di ghiaccio del capitano. Si fasciò un fazzoletto sopra il capo, indossò un paio di guanti e prese un paio di stracci, consapevole del fatto che il capitano fosse sempre lì in quella stanza con lui, a guardarlo in assoluto silenzio.

Eren cominciò a pulire e, dopo poco, capì di cosa trattasse effettivamente quella punizione. Ovviamente, non doveva solo pulire, ma doveva anche farlo sotto lo sguardo imperscrutabile di Levi. I suoi occhi non lo lasciavano mai e lo mettevano tremendamente in soggezione.

Quasi quasi avrebbe preferito la perdita di un arto o due; sarebbe stato sicuramente meno doloroso e snervante.

Eren tolse la polvere, spazzò per terra e lavò tutte le superfici della stanza, con la continua consapevolezza che Levi stesse giudicando ogni sua singola azione, facendo diventare automaticamente quello il compito più snervante e lungo della sua esistenza. Due ore dopo, Eren ammirò soddisfatto il proprio lavoro completato, nelle narici l’odore di sapone e di pulito. Si voltò verso il capitano con le labbra piegate all’insù, sperando di ricevere un elogio, ma gli sarebbe andato bene anche un semplice cenno di assenso.

Il sorriso gli morì quando intravide lo sguardo annoiato e impassibile del Capitano; il sangue gli si raggelò nelle vene. “E questo ti sembra pulito? Ricomincia da capo.”

Il ragazzo spalancò gli occhi e aprì la bocca per replicare, ma Levi gli lanciò un’occhiataccia. “Preferisci che lo faccia io e che utilizzi la tua faccia come straccio? Basta dirlo.”

Eren scosse la testa e tornò al lavoro, maledicendo se stesso e i suoi stupidi sentimenti che lo avevano messo in quella situazione.

 

 

 

*

 

 

 

Eren pulì quella stanza da cima a fondo per ben quattro volte quel pomeriggio, ognuna in modo più meticoloso della precedente. Ogni volta che terminava, il capitano lo guardava impassibile e lo faceva ricominciare da capo, nonostante avesse visto con i suoi occhi quanto il ragazzo si fosse impegnato. Lo lasciò andare solo passata l’ora di cena, quando aveva ormai i calli alle mani per via della scopa e il naso impregnato dell’odore di prodotti per la pulizia.

“Per oggi può bastare,” gli comunicò Levi poco dopo il tramonto, alzandosi dalla sedia sulla quale aveva passato il pomeriggio a osservarlo lavorare. “Domattina puoi ricominciare con le stalle, dopo pranzo passeremo ad un’altra sala.”

Eren annuì, sfinito, gli occhi fissi sul pavimento e in procinto di chiudersi.

“Hai detto qualcosa, moccioso?”

Il ragazzo scosse la testa e, prima che potesse rendersene conto, un paio di dita gli afferrarono il mento e lo obbligarono ad alzare lo sguardo. Eren si sentì il respiro morire in gola quando si rese conto di quanto fosse vicino al volto del capitano, ma quel pensiero sparì non appena realizzò che l’uomo lo stava fissando irritato. Poco importava che Levi fosse più basso di lui, si sentiva sempre piccolissimo quando lo squadrava a quel modo.

“E guardami in faccia quando ti parlo, hai capito?”

Eren annuì lentamente. “Sì, capitano Levi, signore! Scusi, signore!”

Levi lo scrutò per un paio di attimi senza lasciargli andare il mento ed Eren, nonostante fosse stanco morto, non riuscì a non notare qualcosa in quegli occhi che a tutti sembravano così impassibili e annoiati. Dolore? Solitudine? Rimorso?

Prima che potesse scoprire altro, Levi si staccò bruscamente da lui e lo oltrepassò, facendo risuonare i passi nei corridoi deserti. Rimasto solo, Eren si portò una mano sul viso e si accarezzò il mento.

Ignorò con veemenza il calore che gli sembrò di avvertire sulla porzione di pelle su cui Levi aveva appoggiato le dita.

 

 

 

*

 

 

Eren passò le seguenti settimane a pulire qualsiasi cosa il capitano Levi gli dicesse. Di solito, si trattava delle scuderie la mattina e di qualche stanza polverosa del quartier generale il pomeriggio. Era sempre immerso nello sporco, a faticare inginocchiato da qualche parte e a fare gli stessi movimenti ripetitivi ora dopo ora. Però, Eren non ne era particolarmente dispiaciuto. Certo, aveva sempre l’aria di qualcuno che avrebbe voluto fare ben altro, ma, in realtà, non era così irritato dal fare tutte quelle faccende; semplicemente perché pulire ormai significava una cosa sola: che avrebbe passato l’intero pomeriggio con il capitano Levi.

Ma, soprattutto, che il capitano avrebbe passato l’intero pomeriggio a fissarlo.

Il che era sempre una tortura incredibile, perché lo sguardo del capitano era tutto tranne qualcosa di leggero e piacevole, ma Eren aveva cominciato a farci l’abitudine. Gli piaceva sentire gli occhi di Levi su di sé mentre faticava, e, forse si trattava di qualche strana smania, ma adorava sapere che, per un numero indefinito di ore al giorno, lui fosse il completo centro dell’attenzione di Levi.

Tutto ciò non aveva migliorato la situazione, visto che la sua cotta stava diventando una vera e propria ossessione e che pensava continuamente e costantemente al capitano. Ma non poteva farci nulla. Quegli occhi di ghiaccio lo facevano sentire importante, indispensabile, prezioso quasi.

Eren aveva anche cominciato a decifrare quello sguardo perennemente annoiato che albergava sul viso del soldato più forte dell’umanità. Lo osservava di nascosto, quando magari qualche ufficiale veniva a disturbarlo per fargli firmare dei documenti o nei momenti in cui si perdeva a guardare fuori dalla finestra; e in quegli occhi c’era molto di più di quello che l’apparenza lasciava intendere. C’era tanto dolore, tantissima solitudine e un muro innalzato per tenere tutti fuori, un muro molto più alto di quello che impediva ai giganti di sterminare il genere umano. Levi era considerato unanimemente come un dio, qualcuno di inarrivabile e decisamente al di sopra di tutti, ma Eren aveva capito che quelle voci erano sbagliate. Levi era un essere umano come chiunque altro e trovava inaccettabile il fatto che ce se ne dimenticasse costantemente.

Eren se ne innamorava sempre di più ogni giorno che passava.

Forse fu proprio la consapevolezza che Levi fosse come lui, danneggiato sotto ogni aspetto possibile immaginabile, a dargli il coraggio di fare quello che stava per fare.

Era un venerdì sera, era tardi e avrebbe già dovuto essere nei sotterranei a riposare visto che aveva passato l’intera giornata a pulire e il giorno seguente avrebbe fatto lo stesso, ma si ritrovò invece di fronte alla camera del capitano Levi.

Percepì il cuore impazzargli in gola quando bussò alla porta e sentì una voce annoiata dire “Avanti”.

La stanza era quasi immersa nell’oscurità, fatta eccezione per un paio di candele accese sulla scrivania alla quale il capitano stava compilando scartoffie. Illuminati da quella luce, i suoi tratti erano un po’ meno spigolosi e i suoi occhi meno freddi.

“Cosa vuoi, Eren?” chiese l’uomo, senza staccare lo sguardo dai suoi documenti.

Eren deglutì nervoso. “Capitano, sono qui perché dovrei parlarle.”

Levi non rispose ed Eren si aggrappò disperatamente a quel briciolo di coraggio che sentiva bruciargli dentro. “Sono qui per chiederle scusa riguardo quello che è successo quella mattina a colazione con il tè.”

Levi smise solo per un attimo di scrivere, ma non alzò gli occhi, ricominciando poco dopo a far scivolare la penna sulla carta.

“Se pensi che bastino queste misere scuse per avermi macchiato i pantaloni, ti sbagli di-“

“Non mi sto scusando per averle macchiato i pantaloni, signore,” Eren non seppe neanche dove avesse trovato il coraggio di interromperlo. A quel punto, Levi smise di compilare i documenti e lo fissò in pieno viso.

“Mi riferisco a quello che ho detto di lei poco prima che si sedesse al tavolo,” spiegò Eren, come a constatare l’ovvio.

Levi rimase in silenzio, ma nei suoi occhi Eren non vide la noia e l’irritazione di sempre: era genuinamente sorpreso. Quindi, continuò.

“E’ stato sciocco da parte mia dire che a lei non importa di noi quando è l’unico che ricorda tutti i nostri nomi e cognomi, la nostra storia. Nonostante mi abbia punito queste due settimane, non mi ha fatto saltare nemmeno un pasto e si è sempre assicurato che riposassi abbastanza. Mi dispiace aver insinuato che a lei non importi di noi.”

Eren disse tutte queste parole quasi sussurrando, forse per paura di dire qualcosa che non avrebbe dovuto, senza smettere neanche per un attimo di guardare il volto impassibile del capitano.

Scese una coltre di silenzio tra loro ed Eren si accorse che Levi lo stava fissando in un modo strano, con uno sguardo che mai aveva visto prima.

Poi, tutto a un tratto, il capitano si alzò, facendo strisciare la sedia sul pavimento; fece il giro della sua scrivania e si piazzò di fronte ad Eren, alzando il volto per guardarlo negli occhi. Eren trattenne un respiro e gli sembrò di tornare a quella serata in cui Levi lo aveva preso per il mento per incontrare il suo sguardo.

Dopo qualche istante che sembrò infinito, Levi lo afferrò per la giacca e lo tirò verso il basso, catturando le sue labbra tra le proprie e cogliendo Eren letteralmente di sorpresa. Il ragazzo ci mise qualche attimo per rendersi conto di cosa stesse succedendo, ma, prima di dare a Levi il tempo di pentirsi di quel gesto, serrò gli occhi e dischiuse la bocca, ricambiando il bacio e godendosi quel momento che aveva atteso fin troppo a lungo.

Eren si sentì sciogliere quando percepì il palmo di Levi carezzargli la guancia, e imitò anche lui quel gesto, accarezzandogli la linea del mento con una mano e portando l’altra sul fianco dell’uomo per avvicinarlo a sé. L’angolo era strano, perché era davvero tanto più alto di Levi, eppure funzionava lo stesso e, incoraggiato dal fatto che il capitano non si fosse ancora tirato indietro, Eren fece un piccolo passo avanti e gli fece appoggiare il fondoschiena alla scrivania.

Lasciò che Levi gli baciasse le labbra fino a renderle umide e ignorò il desiderio di tutte le possibilità che avevano davanti ogni volta che sentiva la lingua dell’uomo sfiorare la sua, la testa leggera e il cuore che gli rimbombava nelle orecchie.

Continuarono con le effusioni finché Levi non lo fece allontanare, interrompendo un bacio a metà. Eren provò ad attirarlo di nuovo a sé, ma una mano sul suo petto lo fece rimanere immobile. A quel punto aprì gli occhi, ma solo per vedere un leggero, leggerissimo sorriso sulle labbra umettate del suo capitano.

“Mi sembrava di ricordare che tu avessi detto che sono vecchio.”

Eren rise, cogliendo lo scherzo. “Deve aver sentito male. Ho decisamente detto esperto, non vecchio. Si sa che gli uomini esperti sono sempre desiderati.”

Levi alzò un sopracciglio, ma non insistette. “E il commento riguardo la mia statura?”

Eren si sentì avvampare, ma continuò a sorridere. “La sua altezza è perfetta, Capitano. Glielo posso assicurare.”

“Levi,” lo corresse l’uomo subito, quasi infastidito da quel titolo.

“Levi,” ripeté Eren, alzando una mano per andare ad accarezzargli la guancia, deciso a baciarlo nuovamente.

Le sue intenzioni vennero però rese vane da un movimento rapido del capitano, il quale scivolò via dalle sue braccia e tornò dietro la scrivania. Per un attimo, Eren credette che tutto quello che era appena successo sarebbe svanito come una nuvola di fumo, ma gli occhi di Levi non sembravano dell’idea.

“Domattina puoi tornare ad allenarti con gli altri,” gli comunicò, schiarendosi la voce. “Ma ricorda che nel pomeriggio l’ala est ti aspetta.”

Eren annuì, leggermente deluso che la magia fosse finita così in fretta.

“So io cosa farti fare,” continuò il capitano, quasi con un sussurro e un accenno di sorriso malizioso sulle labbra.

Eren si leccò le labbra e annuì più deciso, per poi avviarsi alla porta con ancora il cuore in gola e desiderando fosse già il pomeriggio seguente.

Levi gli lanciò ancora uno sguardo languido, prima di indossare la sua maschera annoiata e tornare ai suoi documenti.

“Buonanotte, moccioso.”

“Buonanotte, Levi.”

Eren avrebbe potuto giurare di aver visto un sorriso sulle labbra del capitano prima di uscire dalla sua stanza.

   
 
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