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Autore: shiver21    16/01/2017    1 recensioni
"Quando c'eri tu qui con me sotto un prato di stelle; quando quella notte sognammo l'infinito, forse per l'ultima volta."
-Talìa si ritrova a dover affrontare la perdita del suo migliore amico, e ciò la distrugge, portandola a scrivere per lui delle lettere per trovare un po' di conforto; lettere che però vengono sempre ritrovate dalla stessa persona.
-Jaehyun ama l'arte più di qualsiasi altra cosa; è sempre stato convinto di non poter provare interesse per qualcosa che non consistesse in una tela o della pittura, ma si ritroverà presto a cambiare idea.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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 This is Gospel

 

This Is Gospel for the fallen ones

locked away in permanent slumber

Assembling their philosophies

from pieces of broken memories

-Panic! At the disco, This is Gospel

 

 

-Come fai a restare così impassibile?- sussurrò Leslie all’orecchio di Talìa, strattonandole la felpa.

-Così impassibile a cosa?-

-A quello!- quasi gridò, subito zittita dalla mano dell’amica.

-Il biondo? Les, credimi, non è il tuo tipo.-

-Cosa ne sai tu? Ci ha pure invitate alla sua festa. Poi anche il suo amico non era niente male, forse solo un po’ strano.-

-Se per invitare intendi quel “ci vediamo alla mia festa domani sera”, allora ci andrò di sicuro.- disse la castana con un’ironia fin troppo marcata. La porta dell’aula di storia le piombò davanti agli occhi, e si preparò mentalmente ad una bella strigliata da parte del professore per le numerose assenze che stava facendo. E oltre a quello, si preparò anche a tutti gli sguardi dispiaciuti e compassionevoli dei compagni, insopportabili. Infondo lo sapeva cosa pensavano.

 “Poverina, sta davvero male”

 “Sta cadendo in depressione”

 “E’ così debole

Loro pensavano che lei non li sentisse.

Ringraziava solo il cielo che la voce della sua “instabilità psicologica” non fosse giunta a tutta la scuola, ma soltanto a quelli con cui divideva le varie classi.

-Ovvio che ci verrai, infatti-

-Les, no. Non ci penso neanche.-

Leslie la fissò per un attimo irritata, poi sbuffò e smise di camminare, fermandosi nel bel mezzo del corridoio. –Tal, capisco il lutto, il dolore e quanto tu sia giù di morale dopo… dopo quello. Capisco, anche se ormai sono passati mesi, e ti sono vicina, perché ti voglio bene. E proprio perché ci tengo a te sto cercando in tutti i modi possibili di risollevarti il morale e farti divertire, renderti felice. Ma non mi stai aiutando per niente.-

Talìa la guardò scioccata, non si aspettava certo un’uscita del genere. Peraltro, tutte le persone intorno a loro si erano fermate per ascoltare. Ma non avevano una loro vita? -Stiamo davvero litigando per una stupida festa?-

-Non è per la festa, Tal, è per tutto! Non ce la faccio più a vederti buttare la tua vita così, e per quanto ci provi non riesco nemmeno ad aiutarti-

La voce di Talìa uscì glaciale dalle labbra, ferendo la bionda come uno schiaffo -Non ho bisogno di aiuto, Leslie. Né della compassione di nessuno.-

Dopo quelle parole, la più bassa con un’espressione indecifrabile si sistemò meglio la tracolla sulla spalla, e prima di girarsi rivolse un’ultima parola a Talìa, che dietro di lei iniziava già a sentire gli occhi inumidirsi.

-Non ti riconosco più, Tal. La ragazza che conoscevo è morta insieme a Michael.-

E forse aveva ragione.

 

 

Jaehyun passò quasi tutta la giornata rintanato nella sua camera, seduto vicino alla grande finestra a disegnare rapidi schizzi raffiguranti il paesaggio di Detroit che si estendeva al di là di quelle lastre di vetro. Novembre rendeva la città più triste e grigia del solito, ma anche affascinante. Era sempre così cupa e misteriosa, ma non poteva fare a meno di trovarla estremamente intrigante, e adorava catturare quel suo lato oscuro e tenebroso nei suoi disegni.

Un tempo era stata una grande città, o almeno fino alla sua profonda crisi. Per questo Jaehyun si era sempre chiesto perché i suoi genitori avessero voluto trasferirsi proprio lì, tre anni prima, invece di optare per una metropoli come New York, San Francisco o altre.

Impugnò meglio il suo carboncino, e si concentrò sul suo disegno. Iniziava a sentire un fastidioso dolore alla schiena, dato che si trovava nella stessa posizione da quasi tre ore. Avrebbe potuto benissimo sedersi comodamente alla sua lussuosa scrivania color ebano, o sprofondare in una delle costose poltrone blu notte vicino al letto da una piazza e mezza che si trovava proprio al centro dell’enorme stanza, dalle pareti rigorosamente blu scuro (adorava quel colore), ma aveva sempre preferito di gran lunga rannicchiarsi vicino alla finestra con i vecchi cuscini che aveva portato dalla Corea, piuttosto che usare tutte quelle cose fin troppo lussuose per i suoi gusti.

Il sole stava tramontando, e dato che non aveva messo niente nello stomaco quel giorno, decise di scendere nella grande cucina al piano inferiore per farsi un sandwich.

Mentre stava per dare un morso al suo panino, sentì un rumore provenire dal salotto, e decise di andare a controllare. I suoi sarebbero stati fuori tutto il giorno per lavoro, quindi quel rumore lo prese alla sprovvista. L’ultima cosa di cui aveva bisogno erano dei ladri in casa, pensò prendendo un coltello affilato dalla credenza.

Sentì dei passi, e un altro rumore che non riuscì ad identificare, come di qualcosa che veniva trascinato.

Con l’ansia a fargli battere il cuore, camminò lungo il corridoio che portava al salotto in punta di piedi, stringendo la lama tra le dita ancora un po’ sporche di maionese.

Si appiccicò con la schiena alla parete, aprì di poco la porta e sbirciò all’interno di quella stanza. E ciò che vide gli fece quasi desiderare che ad entrare in casa fossero stati davvero dei ladri.

-Jae, lo so che sei lì dietro.-

Jaehyun spalancò la porta e fissò quegli occhi così simili ai suoi.

-Beh, ciao anche a te fratellone.- disse con l’entusiasmo di un bradipo, -che ci fai qui?-

-Forse è anche casa mia?- chiese Jinho sarcastico, mettendo la sua valigia in un angolo.

-Forse dovresti essere al college a fare il figlio modello?- rispose a tono.

-Forse dovresti farti i cazzi tuoi?-

-Oh, ma come siamo maleducati. Dove sono finite le tue buone maniere?- lo scimmiottò Jae. Era sempre stato così, tra lui e suo fratello. Si erano sempre trattati male, e forse non si erano neanche mai voluti bene davvero. O almeno, Jaehyun da piccolo avrebbe dato l’anima per lui; ma crescendo si era semplicemente accorto che per Jinho non era lo stesso.

-Va al diavolo, Jae. E quando mi parli usa l’onorifico.-

-Infinite scuse, hyung*.-

Jinho prese la sua valigia e se ne andò in camera sua, senza però aver dato prima una spallata al fratello, che rimase solo al centro del salone a fissare il pavimento.

Non l’avrebbe mai ammesso, ma faceva male, tremendamente male. E non si riferiva alla sua spalla.

 

 

Come al solito, non si curò minimamente delle urla di sua madre che gli intimavano di non azzardarsi ad uscire di casa, questa volta unite anche agli sbuffi scocciati di suo fratello, ed andò al fiume in sella alla sua bicicletta. Mentre pedalava sul lungofiume, svoltando in continuazione per non investire qualcuno, non potette fare a meno di pensare alla cena di quella sera. I suoi genitori avevano accolto il figlio tornato a casa per una breve vacanza dal college con felicità e affetto, e sua madre si era perfino commossa.

Avrebbero mai avuto una reazione del genere se si fosse trattato di lui, invece? Ne dubitava.

Con questi pensieri, pedalò fino al solito posto isolato, dove si fermò. Stette qualche minuto a guardare il Detroit River scorrere impetuoso, dato il forte vento che c’era quella sera. Spinse il cavalletto della bici per farla stare in piedi, poi andò vicino alla sponda, dove si sedette in attesa.

Passarono quasi due ore, ma della lettera non c’era traccia.

Come aveva fatto l’ultima volta, ispezionò la riva in lungo e in largo, impiegandoci più di un’altra mezz’ora, ma non trovò nulla.

Allora prese la bici, saltò in sella e arrivò al ponte più vicino, attraversandolo per arrivare dall’altra parte del fiume. Come aveva già fatto, cercò dappertutto; niente, non c’era nessuna barchetta.

Forse la forte corrente l’aveva fatta affondare, o forse l’aveva spinta in un punto troppo lontano, si disse.

Eppure gli pareva così strano. Non aveva mai mancato neanche un singolo “appuntamento”; lui le aveva sempre ritrovate, quelle lettere, come se fosse stato un “segno del destino”.

Ma magari proprio il destino aveva voluto che quella volta lui non la trovasse.

Sconfitto, allora, si rimise sulla bicicletta, e se ne andò.

 

 

Andare alla festa di Mike non era certo nei suoi piani.

Forse la delusione per la lettera l’aveva spinto fino a casa sua, o magari gli serviva semplicemente un po’ di svago.

Appena Michael lo vide sulla soglia della sua porta, gli fece un sorriso tanto sbronzo da farlo esplodere in una risata.

-Ehiii, JaeJae, come va la vita?- biascicò l’amico, non smettendo di sorridere, -mamma orsa non ti aveva messo in castigo?-

-Mamma orsa è troppo occupata a pensare al suo figlio orso preferito.-

L’espressione di Mike cambiò da esuberante a dispiaciuta in un batter d’occhio.

-Jinho, vero?-

-Già, Jinho.- rispose semplicemente lui.

-Entra, bevi e non pensarci- disse Mike dopo qualche secondo di silenzio.

-Mh, credo che è proprio quello che farò-

Michael lo fece entrare in casa, accompagnandolo attraverso la folla di adolescenti ubriachi e portandolo subito in cucina, dove oltre al caos regnavano bottiglie di alcol sparse ovunque. I suoi genitori erano andati per qualche giorno in Canada a far visita ad una lontana parente che stava poco bene, e lui era rimasto a casa con sua sorella maggiore, Cassie, che quella sera era uscita con delle amiche. In poche parole, Mike aveva avuto l’occasione perfetta per mettere sottosopra la casa.

Questo prese un bicchiere, e ci versò dentro almeno cinque diversi tipi di superalcolici, con una goccia di succo d’arancia a completare il tutto. Come se avesse potuto fare la differenza.

-Bevi- disse, o ordinò quasi a Jaehyun porgendogli il bicchiere.

-Vuoi farmi vedere Cristo? Così vado in coma etilico!-

-This is gospel, for the fallen ones**- canticchiò impappinandosi Mike mettendogli il bicchiere sotto al naso –zitto e butta giù.-

-Beh, se me lo chiedi così…- il ragazzo prese un generoso sorso dal cocktail -non posso rifiutare-.

 

 

Poco dopo, Jaehyun non sapeva come, si ritrovò quasi steso sul divano dell’amico, con la testa che pulsava a causa della musica ad alto volume e infastidito da una ragazza che ci provava spudoratamente con lui.

-Sai, ho sempre avuto un debole per i ragazzi asiatici- ridacchiò, con una voce fin troppo acuta per i suoi gusti e con un dito che andava su e giù sul suo petto. Era davvero seccante.

Non che non fosse carina, per carità, aveva dei lunghi e bei capelli rossi ed un fisico perfetto, ma lui non era affatto interessato, e lo stava solo irritando.

Hai bisogno di rivedere le tue priorità, gli disse una vocina nella testa. Perché all’improvviso aveva iniziato a pensare ad Harry Potter? Dio, quell’alcol gli aveva davvero dato alla testa.

-Si, anche io trovo i ragazzi molto attraenti- disse scherzando, sperando di levarsela di torno.

-Cosa? Ma che schifo!- gridò lei con la sua voce stridula, alzandosi e avvicinandosi poi ad una nuova preda.

-Stupida omofoba- biascicò lui, chiudendo gli occhi e sprofondando con la testa nel cuscino del divano.

Non riusciva a non pensare a quelle dannate lettere.

Perché? Perché quella volta non era arrivata?

La curiosità lo stava divorando.

Si alzò per cercare Michael, magari stando ad ascoltare le sue idiozie si sarebbe distratto e non ci avrebbe pensato.

Peccato che quest’ultimo era troppo occupato a parlare e flirtare con una ragazza bionda e bassina. Ci volle qualche secondo per riconoscerla: era l’amica di quella con cui Mike si era scontrato l’altro giorno.

A quanto pareva non ci aveva messo molto per conquistarla.

Si girò e si diresse verso l’uscita barcollando e sbattendo contro i corpi dei ragazzi che ballavano al ritmo della musica; quella festa si stava rivelando davvero noiosa, o almeno così era per lui. Dette uno sguardo al suo orologio, che segnava le 11:40; leggere l’ora era stata un'impresa, dato lo sguardo offuscato.

Prese la bici che aveva lasciato nel cortile della casa, e mentre montava su non poté fare a meno di immaginare la voce di suo fratello dire “non si guida ubriachi, idiota”.

-Tu sei un idiota- rispose alla voce immaginaria, guadagnandosi uno sguardo confuso da dei ragazzi seduti sull’erba del piccolo giardino.

-Scusatelo, mio fratello è un insolente- farfugliò lui di rimando, facendo partire subito dopo la bici.

Pedalò per un tempo che a lui sembrò infinito, il cervello che non riusciva neanche a dare i comandi ai piedi e alle mani, che sembravano decidere le direzioni contro la sua volontà.

E che lo portarono, per la seconda volta quel giorno, sino al fiume.

Invece di andare nel solito posto più isolato, però, quella volta si era fermato nella zona più vicina al centro, dove c’erano bar, negozi e vari chioschi, e perfino una fontana. Si fermò e posò il suo amato “veicolo” vicino al bordo di questa, e si guardò intorno. C’erano coppie o gruppi di ragazzi che passeggiavano tranquillamente nel piazzale, o che si fermavano nei vari bar.

Però, il suo sguardo ubriaco di soffermò su una figura di spalle, che si affacciava alla ringhiera che dava sul fiume sottostante.

Si avvicinò con calma, cercando di non barcollare, fino a ritrovarsi affianco alla ragazza. La fissò, e quando guardò quelle splendide iridi grigie un vago ricordo si fece spazio nella sua mente.

Stavolta quegli occhi tanto familiari erano lucidi ed arrosati dal pianto, e mentre li osservava Jae non poté fare a meno di chiedersi perché stesse piangendo.

-Perché mi fissi? E’ inquietante- sussurrò lei, con la voce roca e rotta dal pianto. Alle sue orecchie suonò così bella e dolce.

Non distolse lo sguardo, e prima che la sua poca lucidità rimasta potesse fermarlo, le parole gli uscirono senza alcun freno dalla bocca.

-Posso disegnarti?-

 

 

 

*Hyung è una parola coreana che i ragazzi più giovani usano per chiamare quelli più grandi.

**Come nella citazione all’inizio del capitolo, è un verso di “This is Gospel”, che significa “questo è il vangelo per quelli che sono caduti”.

 

SPAZIO “AUTRICE”

Hola~

Eccomi tornata con un nuovo capitolo, yuppi. Vi dico solo che l’ho scritto dopo essermi bruciata le dita con i fornelli, quindi ho dovuto usare praticamente i mignoli. Niente, spero che la storia vi stia piacendo, anche se è solo l’inizio, e che non vi stia annoiando. Ora vado ad infilare le dita nel freezer, bye~

 

 

 

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