Strinsi le
gambe
al petto. Un gesto abituale, ormai. Mi proteggevo dal mondo esterno con
il mio
stesso corpo, facendomi pure male da sola, perché la
solitudine uccide. E ero
lì che gridavo: Solitudine,
uccidimi, una
volta per tutte!
Poi vidi mia
madre passare per il corridoio, abbassai lo sguardo.
“Che
cosa c’è?”,
mi chiese.
“Nulla”,
dissi
flebilmente.
“Come
nulla,
c’hai una faccia! Sembri un cadavere.”
“Per
favore, non…
non parlare così…”
“Senti,
perché
non mi dici qual è il problema? Evito anche di fare la
figura del poliziotto
cattivo che ti tira fuori le parole di bocca!”
“Mamma…”,
tremai,
le mani strette sempre più sulle braccia, le nocche bianche
dallo sforzo.
“Voglio andare a trovare Vera…”
“E
andiamo!”
Mi illuminai e
saltai giù dal letto. Mi infilai le prime cose che vidi e
scesimo. Salimmo
nella Panda rossa di mia madre e arrivammo all’ospedale in un
quarto d’ora.
Ero stata
così
male senza vederla… senza poterla sentire per quel cazzo di
campo che non c’era
mai e il telefono non prendeva.
Ora che ero
lì…
Un nodo alla gola, le gambe che si pietrificarono di fronte alla stanza.
Ero davvero
pronta a tutto quello?
Deglutii e
bussai
alla porta.
“Avanti.”
La sua voce
era
chiara, ma debole. Mi feci coraggio ed entrai. La vidi sul letto, che
si
ricopriva la gamba. Sua madre era con suo padre, sul balconcino fuori
dalla
stanza.
“Ehi,
Friend!”,
mi salutò, ma si vedeva che era ancora un po’
spenta.
“Friend…”,
dissi
con le lacrime agli occhi. “Mi hai fatto così
preoccupare…”
“Shhh!!”,
mosse
la mano Sharon di fronte alla piccola tv sul comodino, che guardava
Uomini e
Donne, un programma veramente inutile alla società secondo
me.
Non avevo
notato
che c’erano pure lei, Deborah e Mara. Sorrisi a Vera,
sdraiata sul letto, la
gamba ingessata sollevata e tenuta su da un peso.
“Lasciala
perdere
quella mongola”, mi disse sorridendo.
Il suo sorriso
mi
tolse già un grande peso dallo stomaco.
“Porca
di quella
vaccona, Derby!”, disse anche Sharon, imprecando di fronte
all’antenna che
faceva le bizze.
“Non
è mica colpa
mia!”
“E
no, chi l’ha
toccata?!”
Io e Vera ci
guardammo ancora e sorridemmo. Mi misi seduta sul letto e le presi la
mano, ne
accarezzai il dorso con il pollice, cercando di trattenere le lacrime.
Stava per
morire…
Più ci pensavo più stavo male.
Stava per
morire,
stava per lasciarci…
“Sono
contenta
che tu sia venuta”, mi sussurrò.
“Anch’io”,
annuii. “Mi sei mancata tanto in questi giorni, sai? A scuola
non è più lo
stesso senza di te. Senza i tuoi insulti… è tutto
così noioso! E poi anche la
verifica di storia sarebbe stata diversa.”
“Mmh,
com’è
andata?”
“Bene,
ha fatto
copiare tutti
“Ma
avevi i
riassunti sotto al foglio?”
“Sì.”
“Che
grande
“Grazie”,
sussurrai rossa di vergogna, lo sguardo basso.
“Qui
non mangio
niente, solo quello che mi porta mamma da casa; la notte non riesco a
dormire,
mi immagino sempre il volo che ho fatto…”
“Posso…”,
mi
sporsi per vedere la sua coscia. Lei alzò il lenzuolo: era
gonfia, con un
livido grosso come un pugno, in più era piena di graffi,
come il suo gomito.
“E
mi è andata
bene…”
“Sì,
lo so”,
sussurrai.
“Però
si sta
saltando tutte le verifiche!”, disse Sharon.
“Sì,
cavolo, ho
finito la scuola prima”, concordò sorridendo.
“Hai
sentito
Paola?”, chiese Mara.
“Sì,
ieri sera e
prima.”
“Come
sta lei?”
“Mmh,
peggio di
me.”
“Ti
annoi,
vero?”, le chiesi.
“Cavolo
Friend!
Sì! Ieri quel frocio di mio zio doveva portarmi il pc con
msn, ma non me l’ha
portato! E poi la tv in bianco e nero…”
“Hai
già mandato
a cagare qualcuno qui dentro?”
“Eh!
Prima! C’era
quella che doveva togliermi la garza al piede. Le dicevo che mi faceva
male ma
quella non mi ascoltava! Le ho gridato contro!”
“è
bello vedere
che sei sempre la stessa, sai?”
“E
beh, certo
Friend!”
“Allora
ti
operano domani?”
“Sì,
ieri avevo
la febbre. Adesso non ce l’ho più.”
“Ma
ti fanno
l’anestesia?”
“La
spinale.”
“Cazzo…”
“Tu
non sai le
punture che mi fanno… quelle in pancia sono
terribili.”
“Dai
Vera, non
dire queste cose!”, si impressionò Sharon,
sbattendo i piedi a terra.
“Guarda
che è
vero, cogliona!”
Era bello
vedere
che nemmeno in casi così Vera perdeva la voglia di insultare
Sharon. Strano che
non avesse insultato anche me. Mi trovai a sorridere.
“E
in pratica
devono mettermi un ferro nella gamba…”, continuava
a raccontare scatenando in
Sharon quelle reazioni così infantili e così
adorabili.
“E
va bè… Ah, ha
detto
“Ah,
sì, ok.
Basta che non fa venire
Ci misimo
tutti a
ridere, senza pensieri.
Uscimmo un
attimo
sul balcone, perché Vera doveva parlare con
l’anestesista, per l’operazione del
giorno successivo.
La mamma di
Vera,
la mitica Giusy, mi sorrise.
“è
bello che
siate venute a trovarla, si sente sempre sola… piange sempre
quando non ci
siete…”
“La
capiamo…
povera.”
“Non
vuole
nemmeno che vada a casa, devo sempre stare qui, ha paura di tutto. Le
ho
chiesto se le riportassimo il motorino qui se ci risalirebbe. Lei ha
detto di
no.”
“Beh,
è ovvio.”
Arrivarono
altri
amici di Vera, che non conoscevamo. Uno aveva un pacchetto rosa enorme
in mano.
Glielo porse e lei si commosse quando vide la tartaruga gigante di
peluche che
c’era dentro. Le tartarughe sono il suo animale preferito.
“Vera,
noi
andiamo.”
“Mi
raccomando,
fai la brava e non scannare nessuno.”
“Sì,
Friend…”, mi
sorrise.
La baciai
sulla
guancia e uscii per ultima dalla stanza, non schiodando gli occhi dai
suoi.
Annuii e le sorrisi, lei ricambiò.
Grazie a chi
l’ha protetta, dall’alto,
come farei senza la mia Friend?
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Nota: Piccola e
inutile storia sulla realtà, che mi ha però
permesso di sfogarmi un po’. La dedico a Vera, che mi
è sempre stata vicina e
questo, anche se non avrei voluto, è proprio il mio momento
per ricambiare. Mi
manchi Friend!! Riprenditi
presto, mi
raccomando!
Non mi aspetto
recensioni, è una cosa che ho scritto per me, ma se volete
lasciare qualcosa mi
fa piacere ^^ Grazie a tutti, Ary.