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Autore: MerasaviaAnderson    17/01/2017    2 recensioni
•{Gallavich ~ Pericolosamente angst ~ Mickey!OOC ~ What if?}
Mickey ha convinto Ian a non arruolarsi nell'esercito.
Al Rosso non viene diagnosticato il Disturbo Bipolare.
Eppure, due anni dopo, una difficoltà molto più grande si abbatterà sui due amanti.
"Il mal di testa pulsava sulle sue tempie e ancora mezzo intorpidito si era deciso ad accendere il telefono, dove aveva trovato una numerosa serie di chiamate perse da praticamente ogni membro dei Gallagher e un’altra manciata da Mandy.
E lì ebbe la consapevolezza di non poter essere egoista: di non poter lasciare da solo Ian in una situazione del genere, di dover mettere da parte la sua sofferenza e tornare lo stronzo Mickey Milkovich che tutti conoscevano prima che quella fighetta avesse fatto breccia nella sua miserabile vita."
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Ian Gallagher, Mickey Milkovich, Un po' tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Until the end of my days

Capitolo IV:

SAFE AND SOUND

“I could
lift you up, I could show you what you wanna see and take you where you wanna be. You can be my luck, even if the sky is falling down, I know that we’ll be safe and sound. We’re safe and sound. I could fill your cup, you know my river won’t evaporate, this world we still appreciate. You could be my luck, even in a hurricane of frowns I know that we’ll be safe and sound.”
 
 
 
I primi biglietti ad un prezzo decente per le Hawaii erano stati prenotati da Mickey per due settimane dopo che Ian sarebbe uscito dall’ospedale, anche per avere il tempo per prepararsi e soprattutto preparare il resto dei Gallagher a non dover vedere loro fratello per una intera settimana.
Mickey ne aveva parlato a tutti, ma Lip e Fiona si mostravano profondamente preoccupati: «Un viaggio? In queste condizioni?» gli aveva urlato contro Fiona, con disapprovazione.
«Non sappiamo neanche se è in condizioni di prendere un aereo, potrebbe morire lì, potrebbe non arrivarci neanche a Honolulu.»
Da un lato avevano ragione di essere preoccupati, nell’ultimo periodo Ian aveva iniziato ad avere sempre meno fame e aveva già perso un po’ di kili: si notava subito dalle sue guance scavate e dalle ossa più sporgenti. In più aveva dovuto iniziare ad utilizzare l’ossigeno con più frequenza.
Ma Mickey si era spazientito di sentire i Gallagher che predicavano e che trattavano Ian come un bambino di cinque anni, non capace di scegliere cosa fosse meglio per la sua vita.
Avevano parlato insieme, ne avevano discusso e avevano persino chiesto ai medici se fosse in grado di superare un viaggio in aereo e questi gli avevano detto che non appena si fosse sentito meglio non ci sarebbero dovuti essere problemi.
Ma tutti sapevano che Ian non si sarebbe mai sentito meglio.
Semplicemente resisteva.
Dopo varie insistenze da parte di Ian, dopo aver spiegato loro molteplici volte le sue ragioni i due avevano caduto, nonostante anche i suoi fratelli più piccoli fossero letteralmente terrorizzati a doverli lasciare partire.
Debbie aveva abbracciato forte Ian non appena era tornato a casa, persino Carl che non era mai stato incline ad esternare le proprie emozioni, era palesemente spaventato all’idea di perdere suo fratello, anche se non voleva darlo a vedere. Si limitava a prenderlo in giro facendo battutine su lui e Mickey, cercando di farlo ridere e di non fargli pesare la malattia.
Era già arrivato il giorno della partenza e le valigie erano pronte sul letto di Ian, mentre tutti facevano avanti e indietro freneticamente per la casa e Kevin era appostato fuori che suonava il clacson della sua auto.
«Okay!» fece Mickey, correndo di fronte ad Ian che stava già in salotto, preso dall’agitazione mentre si trascinava le due valigie dietro. Gli stava sistemando il giubbotto e la sciarpa che portava al collo «Copriti bene, non devi prendere freddo.» Ian sospirò, soffocando una risata e prendendo la sua valigia per dirigersi fuori dalla porta insieme al resto della famiglia.
«Fermo, questa la prendo io.» lo bloccò Mickey, avvolto in una bolla di frenesia.
«Poi lo dici ai miei fratelli di non trattarmi come un bimbo di cinque anni.» s’accigliò Ian, guardandolo un po’ di traverso in tutta la sua agitazione.
Sapeva perché si sentiva in quella maniera: Mickey non aveva mai preso un aereo, certo neanche lui, ma sapeva quanto per il suo Mick fosse importante quel viaggio, gli aveva confessato quel desiderio: girare il mondo, conoscere le città, tutti quegli stili di vita diversi da quello del South Side, smetterla di vedere quella delinquenza, quelle morti insensate, non essere più costretto a prendere a pugni ogni persona che gli si presentava davanti, garantire un futuro migliore a sua sorella.
Oh, chi l’avrebbe mai pensato che il desiderio più ostinato di Mickey Milkovich fosse una cosa del genere?
«Ora muoviamoci, Kevin sta già scassando il cazzo da un po’.» borbottò Mickey, dirigendosi a tutta birra verso la porta, lasciando portare ad Ian solo un suo piccolo zainetto … lui e i suoi fratelli volevano persino che lo accompagnassero con l’assistenza per disabili, ma si era rifiutato categoricamente, ribadendo che sarebbe stato bene e che gli bastava già Mickey che giocava a fare l’infermiere con lui. In più avevano dovuto fare dei vari documenti per poter portare una bombola d’ossigeno sull’aereo, che ormai era diventata per Ian una compagna fedele.
Nell’auto di Kevin stavano praticamente schiacciati l’uno con l’altro, Ian era seduto avanti,  perché aveva bisogno di prendere aria, stanco, con la testa poggiata sul finestrino. Mickey lo scrutava con attenzione dai sedili posteriori, schiacciato tra Fiona con in braccio Liam che faceva casino e Veronica che teneva sulle gambe Carl che si lamentava per l’essere stretti come sardine in scatola. E pensare che si volevano portare anche le gemelle … Oh, santa Carol Fisher!
Kevin aveva messo la musica a palla e Mickey era entrato in iperventilazione: era felice come un bambino perché stava compiendo il suo primo viaggio, con il suo Ian Gallagher, ma era agitato, preoccupato che Ian stesse male, si chiedeva come avrebbe fatto a prendersi cura di lui una volta arrivati alle Hawaii, ma poi si ricordava delle parole del suo ragazzo, di quando gli diceva che se fossero stati insieme sarebbe andato tutto bene, che gli bastava lui per stare meglio, che se la sarebbero cavata benissimo e che avrebbero vissuto una settimana di pace, lontano da tutto e da tutti, a scordarsi delle cose brutte e a costruire nuovi ricordi.
Per quanto potessero valere.
Erano appena arrivati in aeroporto, tra mezzora si sarebbe chiuso il check-in ed era già arrivato il momento dei saluti: l’unico che sorrideva era Liam, in braccio a Fiona che aveva già iniziato a piangere.
Fece scendere Liam e s’avvicinò all’altro fratello, tendendo le braccia verso di lui, quasi tremante, timorosa …
«Ian …» il ragazzo lasciò cadere lo zaino e abbracciò la sorella, seppellendo il volto nella sua spalla e accarezzando la sua schiena, come un ringraziamento silenzioso per tutto ciò che aveva fatto.
Mickey si mise in disparte, abbassando lo sguardo imbarazzato: quello doveva essere un momento tra di loro, senza interferenze. Avevano salutato Mandy la sera prima, non poteva andare con loro perché aveva trovato un nuovo lavoro solo la settimana prima, ma la sorella gli aveva espresso i suoi timori e lui, per la prima volta dopo anni, l’aveva abbracciata.
Aveva sentito la necessità di stringere tra le braccia sua sorella, le aveva baciato le guance e si erano consolati a vicenda, provando sensazioni che mai aveva provato in vita sua.
Non voleva lasciarla andare mai più, quasi gli dispiaceva di dover partire.
In quel momento aveva compreso benissimo come si sentivano Lip o Fiona, se fosse stato lui a perdere Mandy sarebbe impazzito.
Eppure stava comunque perdendo Ian … come cazzo era possibile? Come cazzo era potuto succedere?
Decise di non pensarci, non quando stava andando nel posto che amava, con il ragazzo che amava e non aveva bisogno di altro. Dovevano ignorare la morte, non pensarci, provare a non guardarla e forse si sarebbe scordata di loro, doveva solo stringere a sé il più possibile Ian e proteggerlo, proteggere se stesso da quel dolore.
Quando Mickey aveva rialzato lo sguardo e il suo cervello si era fatto un po’ più libero Ian stava stringendo Lip tra le sue braccia, forte, intensamente, notò che il biondino piangeva, mentre si dondolava nell’abbraccio di suo fratello, come due bambini.
«Prova a morire laggiù e ti spacco la faccia con le mie mani.» gli aveva mormorato, dandogli qualche buffetto affettuoso sulla guancia.
«Andiamo, testa rossa!» si era introdotto Mickey, notando che tantissima gente si stava precipitando al check-in «Questo coso sta per chiudere.»
Ian annuì in direzione dei suoi fratelli, facendo un cenno per tranquillizzarsi, per poi seguire Mickey pieno fino al collo di valigie fino al check-in.
Cosa cazzo si faceva in un check-in?
Prima avevano dovuto mollare i bagagli in un rullo trasportatore e poi avevano iniziato a perquisirli e li avevano fatti passare in un metal detector.
«Fortuna che non mi sono portato dietro la pistola.» aveva riso Mickey quando avevano finito ed erano entrati nel Gate, seduti in una panchina isolata ed appartata, lontano da sguardi indiscreti.
«A proposito, tu eri terribilmente sexy quando ti sfilavi la cintura.» gli rispose Ian, con un sorrisetto malizioso, mentre posava una mano sulla sua coscia, pericolosamente vicino al suo pacco.
«Che cazzo fai?!» esclamò e immediatamente scansò la sua mano, allontanandola imbarazzato come una bambina al suo primo bacio.
Mickey non amava le effusioni in pubblico.
«E comunque» mise il broncio, incrociando le braccia nervoso «il tizio che ti faceva i controlli ti ha toccato il culo troppe volte.»
«Sei forse geloso di un addetto ai controlli, Mick?» rise il Rosso, prendendolo in giro.
«Non è che sono geloso … è che quel culo perfetto di marmo è mio.»
«Ahia.» Ian inarcò un sopraciglio, guardandolo sottecchi e con un’espressione molto, molto scopabile «Potrei dire la stessa cosa del tuo.» Ian allungò una mano verso il cavallo dei pantaloni di Mickey, avvicinandosi al suo orecchio per sussurrargli qualcosa «E nel vero senso della parola, potrei aggiungere.»
Mickey avvampò, era immobile, fermo nel suo imbarazzo e in quel momento l’unica cosa che voleva fare era tirare un doloroso pugno sul volto di Ian.
Una voce li informò che i passeggeri potevano imbarcarsi sull’aereo.
«Ehi, placati, palle di fuoco!» s’alzò, portandosi dietro uno zainetto e dirigendosi verso l’uscita del Gate, seguendo le altre persone «Hai sentito? Dobbiamo salire sul trabiccolo.»
«Va bene, va bene.» continuò a ridere Ian, alzandosi e tirando un sonoro schiaffo sul culo di Mickey, che sobbalzò imprecando «Tanto arrivati ad Honolulu abbiamo tutto il tempo che vogliamo …»
«Ti stacco quella cazzo di testa se non la finisci.»


Un bambino in un negozio di dolciumi: ecco cos’era Mickey Milkovich su un aereo e con un posto proprio accanto al finestrino.
Stava seduto dritto, con un sorriso da ebete sul viso praticamente incollato al finestrino per guardare sotto di lui.
«Stiamo volando, Ian! Porco cazzo, stiamo volando!» aveva quasi urlato non appena l’aereo si era alzato in volo, Ian era un po’ scombussolato e si sentiva lo stomaco sotto sopra, ma era felice di trovarsi lì accanto a lui, di vederlo sorridere in quella maniera e, cazzo, cos’avrebbe dato per avere una videocamera e riprendere il suo viso … avrebbe voluto che si fosse ricordato di quei momenti quando non ci sarebbe stato più, che tutta quella felicità che avevano vissuto non l’avrebbe mai abbandonato.
Erano passate quasi nove ore ormai da quando erano in volo, erano entrambi intorpiditi e avevano scacciato il tempo facendosi un sonnellino o raccontandosi qualcosa sottovoce, per non attirare l’attenzione della gente, visto che Mickey non appena si ricordava di essere in un posto chiuso e pieno di gente con Ian Gallagher entrava in iperventilazione.
«Sei stanco, Ian?» gli chiese, resistendo alla tentazione di prendergli la mano.
«Sì, ma sto bene.» il ragazzo aveva due cannule nel naso, collegate alla bombola d’ossigeno che gli permetteva di respirare in maniera più o meno decente.
E fu come se Ian l’avesse letto nel pensiero, perché allungò una mano verso la sua appoggiata sul ginocchio, ma Mickey lo scrutò dall’alto al basso, guardandolo malissimo.
«Azzardati a prendermi per mano e te la taglio.»
Ed Ian rise, prendendogliela comunque e guadagnandosi un’occhiataccia terribile, ma Mickey non proferì parola, limitandosi a guardarsi intorno imbarazzato, come se cercasse lo sguardo inquisitore di qualcuno.
Con l’altra mano Ian prese la sua guancia e lo girò verso di sé, baciandolo appena prima che avesse tempo di scattare via da lui e rimproverarlo, palesemente agitato.
«Cazzo fai? Siamo in mezzo ad un botto di gente.»
«E allora?»
«E allora ci guardano tutti, ci sarà sicuramente qualche omofobo del cazzo in questo aereo e non ci tengo a fare una rissa.» sbottò Mickey, sbattendo le spalle contro il sedile.
«Sei paranoico, Mick.» sorrise e lo baciò di nuovo. «Anche in un uragano di disapprovazioni io farò sempre il cazzo che mi pare, intesi?»
«Anche io faccio sempre il cazzo che mi pare, Gallagher.»
«A parte quando stai in pubblico con il tuo ragazzo.» gli rispose Ian, con un tono notevolmente irritato.
«Poi sono io quello che si lamenta sempre.»
La voce di un’hostess agli altoparlanti li avvertì dell’imminente atterraggio dell’aereo, Ian era abbastanza tranquillo, ma Mickey era pallido, un fiume di agitazione misto ad euforia, gli sembrava di poter toccare il cielo con un dito. E be’, teoricamente era già sospeso nel cielo.
Finalmente erano ad Honolulu … o quasi.
Lo stupido poche ore prima di partire aveva iniziato a leggere di atterraggi di aerei andati male. Sicuramente una cosa da fare prima di partire per il primo viaggio in aereo.
Un po’ come guardare il Titanic la sera prima di andare in crociera.
Fortunatamente atterrarono in tutta sicurezza e, nonostante la leggera spossatezza e stanchezza, stavano piuttosto bene.
«Chiama i tuoi fratelli e digli che siamo sani e salvi.» gli disse Mickey, dopo aver ritirato i bagagli e si stavano dirigendo verso l’uscita dell’aeroporto.
«Li chiamerò più tardi, arrivati in albergo.»
«Ed io che pensavo che arrivati in albero avremmo fatto qualche altra cosa …» lo disse sottovoce e lo scrutò con fare malizioso, ma Ian scosse la testa, guardando verso il basso.
Si vergognava da morire nel dirlo, ma con tutti i sintomi che aveva e con la stanchezza di quel viaggio per la prima volta in vita sua non se la sentiva proprio di fare sesso. Un solo piccolo sforzo e si sentiva che ci avrebbe lasciato le penne.
Voleva solo … riposarsi, godersi il calore di quella città e magari guardare Mickey ridere felice, mentre faceva un bagno a mare.
«Ma se fino a tre secondi fa giocavi a fare il pornostar ninfomane!»
Stava per dirgli qualcosa come “Non sto bene, Mick”, ma si trattenne, prima che questo potesse entrare in paranoia, allarmarsi e iniziare a preoccuparsi, entrando in modalità “infermiere personale”.
Da due settimane a quella parte se ne andava in giro armato di kit per la respirazione bocca a bocca e una scorta di medicine di vario tipo: era praticamente una farmacia ambulante.
«Sono molto stanco, Mick.» gli disse, prendendo la sua mano – ah, gli aveva concesso di portare il suo trolley – mentre l’espressione di Mickey era un misto tra l’imbarazzo e l’allerta «Devi perdonarmi, ma con tutta questa cazzata del cancro e il resto, sai che non sono proprio in forma.»
Ed era vero, perché si stancava per tutto.
Il fiato gli mancava anche dopo una breve camminata, o un bacio troppo spinto.
Oh, i suoi cazzo di polmoni non avrebbero retto ancora a lungo.
«Sì, lo so.» Mickey abbassò lo sguardo, sciogliendo le loro mani «Perdonami tu.» borbottò, triste, sconsolato, come se l’avesse riportato alla realtà «Ora andiamo in questo cazzo di albergo e godiamoci Honolulu. Ho grandi progetti per questa settimana.»
«Tipo?» Ian sorrise, mentre aspettavano il taxi che avevano chiamato.
«Innanzitutto ora andiamo ad affittarci una macchina.»
«E con quali soldi?»
«Guarda che ho fatto un bel gruzzoletto quando eri attaccato a tutte quelle macchine, uomo di poca fede!» sbottò Mickey, guardandolo con il suo solito sguardo truce e assassino.
Oh, non avrebbe avuto il coraggio di torcergli neanche un capello, al suo Ian ….
«Dici che alla fine i tuoi fratelli si sono accorti che hai rubato il fondo cauzioni?» gli chiese, ridendo sotto i baffi.
«Non saprei, non sono neanche tornato a casa in questa due settimane e Iggy e gli altri sono stati da un tizio in Michigan a fare affari. Se la Russa se n’è accorta, be’ … non credo le importi.»
«Troverò il modo di ridarti i soldi, Mick … o almeno la mia parte.»
«Cazzo dici? Non mi devi niente!» gli disse, scuotendo la testa e diventando rosso in volto «Tanto sono soldi che ho rubato a quello stronzo di mio padre.»
«D’accordo, non scaldarti!» rise appena, quando un taxi si fermò davanti a loro.
Oh, finalmente …


«Guarda, Ian! Guarda!» non appena erano entrati nella loro camera d’albergo Mickey era letteralmente corso sul balcone, aveva iniziato a urlare e saltare come un bambino e sembrava che avesse la meraviglia stampata sugli occhi.
Ian aveva gettato il suo zaino sul letto e abbandonato le valigie, raggiungendo Mickey con il sorriso di chi vede la bellezza per la prima volta: il sole splendeva, il mare spumeggiava a pochi metri di distanza, la spiaggia era gremita di gente, e non vi era neanche un filo di vento … e faceva un caldo infernale, al contrario di Chicago in cui passavano ogni giorno a spalare la neve. E poi ovviamente c’era il suo Mick, che con quell’espressione euforica era la più grande vera bellezza di quel paradiso.
 «Cazzo …» fece Mickey, respirando a pieni polmoni l’aria che lo circondava, come se profumasse di qualcosa di incredibilmente buono «Cazzo, siamo ad Honolulu!»
Prese il volto di Ian tra le mani e lo baciò velocemente, con un sorriso che andava da un orecchio all’altro e rientrò velocemente nella camera, mentre il suo ragazzo lo guardava con un’aria perplessa e un sopraciglio inarcuato: cosa era successo a Mickey Milkovich? Chi era quel bambino di otto anni tutto entusiasta di essere alle Hawaii che saltava e ballava?
Prese la sua valigia da terra e la aprì in fretta e furia, cercando qualcosa dentro tutti quei vestiti disordinati.
«Mick, ma cosa stai facendo?»
Lanciò sul letto una stuoia da spiaggia e prese il costume da bagno blu, portandoselo davanti agli occhi e guardandolo come se fosse il tesoro più prezioso del mondo. Ian continuava a guardarlo, appoggiato alla parete e ridacchiando: lui e Mandy gli avevano regalato un costume a mutande per metterlo in imbarazzo nel suo scorso compleanno, sperava che l’avesse portato.
«Sai cosa ti dico?» esordì Mickey, iniziando a lanciar via le scarpe «’Fanculo il sesso.» si slacciò di fretta la cintura e i pantaloni, che tirò giù assieme ai boxer e si tolse la maglietta, iniziando ad infilarsi il costume.
«Be’, così non sei molto convincente mentre lo dici.»
Mickey s’avvicinò a Ian, continuando a mostrare quel sorriso che mai nessuno aveva visto sul suo volto … era come essere tornati indietro nel tempo, a quando si crede che la vita può essere ancora bella.
«Cazzo, Ian, siamo ad Honolulu! Chi ha bisogno di scopare quando è ad Honolulu?» tirò un grido strano, sembrava un pazzo per come faceva, si era già messo gli occhiali da sole e aveva la stuoia intorno al collo.
A dir la verità, ad Ian ricordava sua madre Monica in una fase maniacale del suo bipolarismo.
«Cosa ci fai ancora così? Avanti! Avanti!» lo richiamò, aprendo anche la sua valigia e mettendola tutta in subbuglio per prendere il suo costume, il suo telo e un paio di infradito.
Ian si chiedeva se si fosse fatto di qualcosa.
«D’accordo, d’accordo!» gli disse, afferrando la roba che gli aveva lanciato e cambiandosi velocemente.
Non appena Ian fu pronto per scendere in spiaggia, trascinandosi dietro anche la bombola d’ossigeno, lanciò un’occhiata a Mickey e non appena si rese effettivamente conto di com’era conciato scoppiò in una sonora e argentina risata.
«Cazzo succede, ti è venuto un attacco di ridarella?»
«Hai intenzione di venire in spiaggia con i calzini, Mick?» gli disse, sforzandosi per non ridere troppo, con scarsi risultati.
Mickey iniziò a borbottare qualcosa con qualche parolaccia in mezzo mentre si toglieva le calze cercava le infradito.
Ed Ian lo amava.
Amava il Mickey Milkovich stronzo.
Amava il Mickey Milkovich che piangeva nel suo letto.
Amava il Mickey Milkovich che ritornava bambino quando realizzava di essere ad Honolulu.
E amava anche il Mickey Milkovich che si lamentava per ogni minima cosa.
Eccome se lo amava.
Finché erano insieme, in quel paradiso, e Mickey era felice, sarebbero stati sani e salvi.


 
 FINE CAPITOLO IV
 

 

Note d’Autrice:
Anche questo martedì ce l’ho fatta ad aggiornare in tempo, fortunatamente!
Ho adorato scrivere questo capitolo, visto che è uno dei più leggeri di tutta la storia e, secondo me, uno in cui Mickey dimostra una parte del suo vero essere, che nasconde ogni giorno sotto la maschera da duro che porta al South Side.
Ammettiamolo, è adorabile.
In questo capitolo possiamo vedere la sua paura di mostrarsi in pubblico per quello che è, convinto che dovrà spaccare la faccia a qualche omofobo. Perché vivere in un quartiere come il South Side e avere come padre Terry Milkovich non lo fa sicuramente vivere in pace con la propria omosessualità.
Fortunatamente Ian lo compensa in questo, vivendo la sua sessualità liberamente e spronando anche Mickey a farlo.
Ora, Ian che non vuole far sesso: ecco, questa devo cercare di spiegarmela anche io. Semplicemente, se già non può camminare due minuti senza affannarsi come può riuscire a fare sesso dopo nove ore di aereo?
Be’, non la vedevo una cosa molto plausibile così sono dovuta sfociare in questo tremendo OOC.
E poi avevo bisogno di una scusa per quella fantastica reazione di Mickey non appena arrivano in albergo, visto che immaginarlo felice in quel modo mi riempie il cuore in maniera incredibile.
Mi piace immaginare una parte più “umana” di Mickey, la parte che in un quartiere pieno di delinquenza e criminalità lui non può mostrare.

Mi piace immaginare questa versione “bambina” di Mickey, che ha ancora dei desideri accesi, dei sogni che può coltivare e raggiungere.
Be’, non credo di aver altro da dire.
I versi che sono stati associati a questo capitolo sono quelli di “Safe and sound”, una famosa canzone dei Capital Cities.
E qui vi lascio una GIF che secondo me rappresenta al meglio Mickey in questo capitolo.
Concludo ringraziando Hil 89, Willkick e Lex_in_Wonderlend che hanno recensito la storia, Katie_P, kenyz, pensavate e (ancora una volta) Hil 89 e Lex_in_Wonderlend che l’hanno inserita nelle preferite, bananacambogianachiquita che l’ha inserita nelle ricordate e Enzo98, ophelia15362 e (ancora una volta) Willkick che l’hanno inserita nelle seguite.
Ringrazio anche i lettori silenziosi, nella speranza che possano farsi sentire!
Grazie per tutto,
a martedì prossimo con il V capitolo!
Merasavia Anderson.

 
   
 
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