Film > L'Ultimo Dei Mohicani
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Autore: Assiage    18/01/2017    2 recensioni
Alice e Uncas, entrambi così giovani e stanchi, guardano verso un futuro insieme con speranza. Presto capiranno che la strada per la felicità non è mai facile...
Traduzione: eliana81
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Traduzione, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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L'aria della notte avrebbe dovuto essere rinfrescante, ma sfortunatamente era umida e appiccicosa; per non parlare dell'oscurità che creava tensione nei suoi occhi vigili, ma invecchiati e stanchi.

 

Chingachgook pensò tra sé e sé, con una sorta di stanca riflessione filosofica, che la vita aveva molti sentieri tortuosi. Alcuni erano facili e spianati dal calpestio di coloro che avevano fatto la strada prima di lui. Altri serpeggiavano in una maniera mutevole, che richiedeva cautela ed equilibrio. Sopra ogni altra cosa, ogni passo nel sentiero della vita doveva essere fatto con previdenza.

 

La follia della gioventù evitava questa sorta di saggezza, pensava l'uomo Mohicano mentre camminava attentamente, con passo stanco attraverso la foresta di notte accanto al suo vecchio amico Hopocan. I giovani, con il loro cieco ottimismo e la loro visione offuscata dell'incerto futuro, non avevano ubbidito all'avvertimento - Scegliete sempre i vostri sentieri con attenzione. Chingachgook era stato un padre molto saggio, che si era assicurato di insegnare ai suoi figli come scegliere un sentiero e come scegliere le battaglie importanti, per cui valesse la pena combattere.

 

Ma adesso i tempi erano diversi. Chingachgook aveva tentato di educare i suoi figli nello stesso modo in cui era stato educato lui, ma poteva vedere che loro non erano fatti come lui, come era stata la sua gente prima di lui. A Nathaniel erano stati inculcati i modi degli uomini Rossi. La sua mente era del loro popolo, il suo cuore desiderava appartenervi. Ma il suo sangue era dei Bianchi e questo faceva una macroscopica differenza. Al suo figlio bianco mancava la quiete del Mohicano, lui era teso come la corda di un arco nella sua impazienza e nelle sue opinioni. Il suo figlio di sangue Uncas aveva tutte le qualità rispettate dagli uomini Rossi, gli era stato insegnato sin dalla culla a percorrere un sentiero onorevole e a ricordare i modi del suo popolo...

 

Tuttavia aveva scelto una ragazza Yengeese, malgrado la sua educazione e la guida di suo padre. Era questo posto, pensò Chingachgook, fissando la volta blu scura che attraversava il cielo della notte, con le stelle che brillavano sopra di loro. Il mondo era cambiato nelle tante lune in cui lui era stato un ragazzo.

 

Chingachgook era preoccupato per il sentiero in cui veniva condotto ciecamente. C'erano molte cose che lui non aveva riconosciuto o tollerato. La ferocia negli occhi del suo figlio bianco impulsivo, la disperazione tenuta a bada da Uncas -  tutte queste erano emozioni accecanti. Persino la sua preoccupazione per il suo figlio minore e la ragazza dai capelli chiari. La coppia era stata troppo impetuosa nel loro amore e nella decisione avventata di sposarsi. Molte persone avrebbero disprezzato la loro unione. Ma ora la ragazza era diventata sua figlia, era il futuro di Uncas, e così lui stesso avrebbe combattuto per lei accanitamente, come se fosse stata generata da lui.

 

La notte nebulosa racchiudeva una premonizione di lotte e tribolazioni, non molto lontano da loro.

 

Riusciva a sentire i ragazzi che parlavano avanti, mentre James faceva da guida attraverso il boschetto attorcigliato.

 

"Nathaniel, non per impicciarmi o qualcosa del genere, ma un uccellino mi ha detto del tuo bisticcio l'anno scorso con la legge a Fort William Henry."

 

Nessuno disse niente per un momento irrequieto.

 

"Quale uccellino?" chiese Nathaniel con una voce neutrale, mentre Chingachgook poté a mala pena vedere il profilo di Uncas che stava percorrendo la sua strada in silenzio davanti a suo fratello.

 

"Tua moglie - Beh, Cora lo ha detto ad Annabel che lo ha detto a me. Sai com'è." James disse questo con un tono birichino. Il vecchio Mohicano sentì il suo figlio bianco sospirare pesantemente.

 

"Donne. Beh, non sono sicuro di ciò che hai sentito, ma suppongo che i fatti restino sempre uguali nel raccontarli nuovamente."

 

"Hai disertato?"

 

"Sì. Perché, James?"

 

James fece spallucce nell'oscurità, "Mi sto solo assicurando che tu capisca tutto. Hai disertato e sei stato condannato all'impiccagione, ora stai andando in un altro forte dove potrebbero riconoscerti... per far loro delle richieste."

 

"Ci ho pensato, il mio ragionamento è che William Henry è più o meno a nord da qui." Nathaniel replicò così, con un'alzata di spalle indifferente.

 

"Questo non è un ragionamento logico, Nathaniel. E' una pazzia, un suicidio. Saresti sorpreso di come possono essere piene di risorse le giacche-rosse nel far circolare i nomi dei disertori e i malcontenti."

 

Hopocan poi si avvicinò a lui e chiese di che cosa stessero discutendo i ragazzi, poiché riuscì a percepire il loro turbamento. Chingachgook mise al corrente il suo amico della situazione e osservava in silenzio, mentre i due uomini bianchi discutevano tra loro per diversi minuti. Come al solito, Nathaniel stava rifiutando tutti i consigli, non importava quanto fossero logici.

 

"Tutto quello che sto dicendo, ragazzo, è di lasciar parlare me, mentre tu te ne stai nascosto nel bosco"! James disse con un tono esasperato, "Dio non voglia che uno dei sopravvissuti al massacro ce la faccia ad arrivare a Letort e ti riconosca."

 

Nathaniel scosse la testa ostinatamente. Hopocan borbottò a voce alta per la derisione.

 

"Ahi ahchinkxe, teta peyat!" il Lenape sghignazzò e Chingachgook immaginò chiaramente il suo figlio maggiore che roteava gli occhi, davanti.

 

E' vero, Nathaniel. Non importa dove tu vada, sei testardo.

 

"Non siamo lontani," disse James improvvisamente e indicò il calmo specchio d'acqua che stava prendendo forma davanti a loro, un' ondulata massa nera che rispecchiava il cielo, "questo è Beaver Creek, adesso deviamo e ci dirigiamo a est per un po'. Siamo a meno di un miglio di distanza dal forte."

 

Uncas guardò indietro e i suoi capelli neri per un momento brillarono sotto l'iridescenza della luna illuminata pallidamente.

 

"James ha ragione, fratello. Sei un disertore e io sono un Indiano. Lascia condurre a James la discussione. Conosce il territorio e la gente qui," Uncas fece una pausa e poi disse in maniera composta, "la casa è terminata oggi. Alice sarà contenta."

 

Chingachgook inclinò la testa di lato e fissò suo figlio, intuendo la malinconia e la preoccupazione.

 

Non molto tempo dopo questo, gli uomini silenziosi si accovacciarono furtivamente dietro a un albero di betulla gialla e guardarono avanti in trepidazione. Tutti loro tenevano le armi in alto.

 

"Suppongo che questa non sia la valle?" sussurrò Nathaniel, i suoi occhi illeggibili. James ci pensò su.

 

"Non proprio. Questa è la contea di Carlyle."

 

Uncas adesso parlò apertamente, "Non come un forte in termini di dimensioni, ma sembra ben protetto." Afferrò stretta la sua carabina e continuò ad esaminare il territorio e l'edificio da ogni angolo. Nathaniel vide le difficoltà mettersi di fronte a loro immediatamente.

 

Fort Letort si ergeva in alto, su una collina inclinata, quindi le probabilità di avvicinarsi di soppiatto passarono da scarse a inesistenti. La precedente valutazione era giusta, era un forte di piccole dimensioni costruito principalmente per i coloni, affinché lo usassero per la propria difesa. Ma loro sarebbero stati avvistati da tutti gli angoli, poiché era solo un terreno erboso su una pendenza ripida. Almeno avevano il vantaggio dell'oscurità.

 

"Ci sono circa 3 guardie lassù," Nathaniel strizzò gli occhi e puntò il dito direttamente in avanti, verso il punto più alto del forte, " deve essere su, all' ingresso dell'edificio. Credo che in qualche modo potremmo causare una deviazione durante il cambio della guardia e arrivare fin lassù -"

 

"Hai perso la ragione?" intervenne Chingachgook freddamente nella sua maniera brusca, "Dunque, questo è ciò che hai in mente di fare, mettere in pericolo la moglie di tuo fratello e tutti qui prendendo d'assalto un forte Yengeese. Non ti ho insegnato niente?"

 

Le parole furono dette in Mohicano, perciò James si sentì perplesso; poté soltanto azzardare un'ipotesi secondo cui l'uomo anziano aveva assolutamente dato una strigliata a suo figlio, a giudicare dal silenzio disagevole che ora permeava l'aria.

 

"Bene," mormorò James dopo essersi mosso goffamente per qualche istante, " qualunque cosa intendiamo fare, deve essere deciso ora. Penso ancora che prima dovremmo ragionare con loro, spiegare che Alice e Stephen non volevano fare del male a nessuno e che il ragazzo Lenape deve essere rilasciato, per evitare di danneggiare la pace tra i Bianchi e i Delaware."

 

Hopocan annuì in segno di approvazione, anche se James non era sicuro quanto avesse capito. Il patriarca Lenape sembrava sempre più teso al pensiero di suo figlio tenuto prigioniero dai soldati Yengeese.

 

"Sono d'accordo," parlava ora in un inglese incerto, annuendo lentamente. Nathaniel continuò a sembrare cupo e ostinato.

 

"Bene allora," brontolò mentre cominciarono a incamminarsi verso la collina," andremo dritti verso di loro. Come delle ignare paperelle che galleggiano sull'acqua."

 

"Tu sarai l' ignara paperella, ragazzo." Disse James a rigor di logica, facendo spallucce al chiaro di luna.

 

 

Si sentì bussare alla porta e Cora corse ad aprire, seguita da vicino da Annabel. Di fronte a loro, in una piccola fila, c'erano Elizabeth Mason, Gregory Newsom e Lucy in mezzo a loro. La bambina le stava guardando con aria assonnata mentre si appoggiava al signor Newsom.

 

"Qualcuno ha visto Stephen?" chiese Elizabeth senza preamboli, con gli occhi sconvolti che analizzavano l'interno della casa quando entrarono. La notte era scesa in quel momento.

 

Gregory Newsom proseguì, "Buona sera, signora Stewart e signora Poe. Stephen non è tornato da una gita pomeridiana, non vogliamo arrecare disturbo ma è piuttosto buio. I Lancaster non lo hanno visto e Robert sta ispezionando il bosco mentre noi parliamo."

 

Le giovani donne fissarono la signora Mason, con gli occhi spalancati, finché la faccia di Elizabeth diventò estremamente pallida.

 

"Che è successo a mio figlio?" C'era un tono di crescente isteria.

 

"Sedetevi, Elizabeth," Cora insistette mentre tutti camminarono verso il grande tavolo nella luminescenza della luce del fuoco. Era determinata a dare un'impressione di completa compostezza e calma serenità, a prescindere da come si sentiva veramente.

 

Più tardi quella sera, Annabel si sedette tristemente accanto al fuoco, mentre finiva di cucire le coperte del bambino su cui Alice aveva lavorato qualche ora ogni mattina. I suoi punti di cucitura erano piccoli e precisi, anche se non erano ordinati come quelli di Alice. Era una piccola attività, ma sembrava darle uno scopo mentre tutti aspettavano.

 

La signora Mason era crollata spettacolarmente ... all'inizio. Era solo adesso che Annabel pensò tra sé e sé che Elizabeth e Gregory Newsom fossero una coppia perfetta da tutti i punti di vista. Era lui che aveva calmato la donna quando era stata sul punto di crollare per un attacco isterico, subito dopo aver ricevuto la notizia dell'arresto di suo figlio. Soltanto con un piccolo tocco sul suo gomito e poche parole, lui aveva calmato il panico di lei ed Elizabeth adesso era seduta sul letto accanto a Lucy, che era raggomitolata addormentata.

 

Gregory ed Elizabeth... Più Annabel ci pensava, più sembrava chiara la cosa. Erano entrambi vedovi, ma la cosa più importante è che erano marcatamente simili nel carattere. Entrambi erano onesti, laboriosi, pazienti, straordinariamente gentili. Gregory era più grande di Elizabeth, ma avrebbe provveduto alla donna e ai suoi figli. Quella era un'altra cosa, amava molto Stephen e Lucinda.

 

"Cosa speri che sia, Annabel? Un maschio o una femmina?"

 

Annabel alzò lo sguardo per attirare l'attenzione della signora Mason, che stava sorridendo impavidamente attraverso la sua paura. Annabel mise giù l'ago e il filo.

 

"Non sono sicura," rispose Annabel onestamente, "Ho sempre pensato che gli uomini volessero i figli maschi per portare avanti il nome della famiglia e così per un momento ho desiderato un figlio, ma so che James sarebbe ugualmente felice con una bambina. Se non di più; lui adora le bambine."

 

Elizabeth annuì, sembrando stanca. Guardò Lucy per lunghi istanti, persa nei suoi pensieri.

 

"John e io abbiamo avuto solo Stephen per così tanto tempo che abbiamo pensato che non ci sarebbe stato un altro bambino. Eravamo felici, ma riuscivo a percepire che John moriva dalla voglia di averne altri. Quando Lucy è nata, eravamo oltre la Luna per la felicità. Un maschio e una femmina, uno di ciascun sesso, lui lo diceva ancora e ancora."

 

Annabel sospirò e distese le dita sul tessuto malleabile sul suo grembo. "Se potessi scegliere, sarebbe una femmina, solo perché James sembra preso con l'idea. Una femmina che sarà l'immagine di lui."

 

"Avete pensato ai nomi, signora Stewart?" chiese Gregory in modo accattivante dal suo posto a tavola; evidentemente stava affilando una delle penne di Alice per cominciare a scrivere una lettera.

 

"Mi piacerebbe che un figlio fosse chiamato come suo padre, e se fosse una bambina, a James piacerebbe chiamarla Lillian." Annabel fece una pausa. "Che state facendo, Gregory?"

 

"Sono interessato ad andare di persona a Fort Letort, signora Stewart. Forse sto pensando di scrivere dettagliatamente una dura lettera al comandante a nome di tutti noi, presentando una domanda di rilascio di quei detenuti."

 

Elizabeth fece a Gregory uno sguardo smorzato di divertita tenerezza; si chiedeva che cosa intendesse Gregory per "dura" lettera, quando il suo temperamento era così flessibile e pacato. Così benevolo.

 

Elizabeth Mason osservava mentre Cora entrò nella casa illuminata nell'oscurità e si sedette accanto a lei, sul letto.

 

"Staranno bene, signora Mason. Lo sapete, non faranno del male a dei coloni bianchi. E' il ragazzo indiano che ha bisogno di aiuto." Cora sorrise rassicurante alla donna più grande. La domanda successiva di Elizabeth la sorprese.

 

"Perché avete scelto di restare nelle colonie, signora Poe? Non intendo offendere o impicciarmi, ma la vita non è più comoda in Inghilterra?"

 

Cora rimase in silenzio per un bel po' di secondi. "In verità, la vita sarebbe stata molto più gratificante e accettabile. Ma non potete immaginare quanto fossi stanca di avere una vita preparata davanti a me e io, incapace di fermare il corso degli eventi. Desideravo rimanere con Nathaniel," Cora si voltò per guardare Annabel e il signor Newsom; loro avevano strappato dal quaderno di Alice diverse pagine da usare per la lettera.

 

"Anche mia sorella desiderava rimanere qui, vogliamo resistere e non essere alla mercé o ai capricci degli altri a Londra. Io adoro anche tutte le persone in questa stanza, che sono tanto fedeli a me quanto ad Alice."

 

Elizabeth strinse il braccio di Cora, come per confortarla. Dopo tutto, era la sua unica sorella che era sparita accanto a Stephen.

 

Cora guardò in basso e tracciò con la punta del dito le lenzuola del letto consumate, che lei e le altre donne avevano condiviso da un anno, adesso. Un anno che era sembrato un'eternità. Era vero perché in questo preciso momento, l'estate precedente lei e la sua sorella minore erano a bordo di una nave britannica, la Gibraltar, diretta verso le Americhe solo per un breve soggiorno. Entrambe le sorelle avevano parlato spesso, durante la loro traversata, di quanto fosse eccitante il viaggio e quanto sarebbero invidiose di loro le amiche al momento del ritorno. Mesi fa, molto probabilmente, a Londra era giunta la notizia che l'intera famiglia Munro, come anche il Maggiore Heyward, era stata trucidata dai selvaggi. Chi avrebbe mai pensato che avrebbero perso così tanto; il loro intero stile di vita e tutti quelli che ne facevano parte, ma allo stesso tempo avrebbero guadagnato  molto di più.

 

Perché questo sentimento irrequieto le si era insinuato nella pancia? Lo aveva sentito prima, in occasione della marcia, via da Fort William Henry, quando suo padre si era arreso. Come se lei fosse una donna cieca che camminava per le strade senza meta, ma molto consapevole di un potenziale pericolo che le veniva incontro; le ritornarono in mente i cavalli che avevano lasciato in Inghilterra, che percepivano un imminente cambiamento del tempo oppure se un sentiero fosse pericoloso da percorrere.

 

"Elizabeth, lo senti? Questo silenzio?" disse Cora prima di poter soppesare le parole, ma l'altra donna fece un respiro agitato e annuì, poggiando la mano sulla schiena tranquilla di sua figlia addormentata.

 

"Il silenzio che sembra riempire l'aria prima che un disastro colpisca. Qualcosa di imminente." Annabel sussurrò così delicatamente che Cora poteva essere sicura a mala pena di averla sentita.

 

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Isaac Bauman afferrò il bordo dell'elegante sedia di legno davanti a lui mentre fissava con aria critica i 5 uomini; tutti loro stavano dritti davanti a lui nell' alloggiamento libero del Generale Waddell. Due Bianchi e tre Indiani. Isaac sentì un pungente mal di testa insinuarsi nel lato sinistro della sua tempia, aggiungersi a questa seccatura.

 

Questi gentiluomini passeggiando si erano avvicinati al forte - bene, fiancheggiati dai soldati, ovviamente - e avevano detto che avevano bisogno di parlare con il comandante del forte riguardo ai loro conoscenti rapiti. Adesso erano qui. Gli occhi di Isaac si strinsero mentre fissava l'insolente che sembrava mezzo Indiano; con i suoi occhi blu e i lineamenti europei, ma abbigliamento strano e capelli ribelli. C'era una precisa aria di sfida nei suoi confronti.

 

"Cos' è questa sciocchezza che stai rigurgitando, uomo? Siamo soldati di Sua Maestà, secondo, e gentiluomini, primo. Non abbiamo rapito nessuno. A chi ti riferisci?" Lui lo sapeva certamente, altrimenti perché ci sarebbe questo gruppo di pagani davanti a lui. Ma c'era qualcosa nello sguardo duro dell'uomo arrogante davanti a lui che lo faceva sentire diffidente e polemico.

 

Un altro uomo alto si tolse il cappello, asciugandosi la fronte. I suoi capelli biondo scuro erano schiacciati sulla sua testa.

 

"Il mio nome è James Stewart, signore," disse l'uomo con una debole inflessione scozzese nella voce, "e i 3 giovanotti che avete arrestato prima sono con noi. Sono certo che si può spiegare tutto. Perdonare e dimenticare, eh?"

 

No, in realtà, non è semplice, Scozzese del cavolo. Isaac si guardò intorno e fissò ogni uomo, uno alla volta, per lunghi istanti, gli occhi che si soffermarono sull' uomo Indiano più giovane, con i suoi zigomi alti, definiti e le scure sopracciglia arcuate.

 

"Chi è il resto di voi?" chiese Isaac, tamburellando con le dita sulla sedia per l'irritazione. Non gli piaceva essere tirato fuori dal compito di sovraintendere ai turni per dover dare retta ad agricoltori e Indiani. Le presentazioni furono fatte quando la faccia di Isaac si alzò –

 

"Voi due siete fratelli, vero?" domandò lui. Perché questa informazione era così importante? Gli solleticò la memoria.

 

Quello chiamato Nathaniel strinse gli occhi e scosse la testa sdegnosamente.

 

"Questo è quello che ho detto. Voi avete incarcerato mia cognata da qualche parte in questo forte, come anche i nostri due amici. Uno di loro, il ragazzo Lenape, è il figlio di Hopocan."

 

Girò di scatto la testa in direzione dell'uomo Indiano tarchiato, silenzioso, "Non credo che io debba ricordarvi della pace tra i due popoli, un accordo che ora è molto incerto con un ragazzo Delaware in galera."

 

Isaac non poté fare a meno di notare che gli altri soldati sembravano tenersi a debita distanza dagli uomini Indiani più anziani e anche adesso li controllavano in maniera continuata, nervosamente. C'era qualcosa nei loro penetranti occhi neri e nei loro sguardi inespressivi che faceva ripensare Isaac alle antiche statue di marmo che aveva visto nelle mostre greco-romane, quando aveva viaggiato in giro per il continente da adolescente.

 

Tuttavia, loro erano soldati di Inghilterra e non scolari spaventati. Isaac guardò in modo minaccioso i suoi commilitoni.

 

"Ti ho sentito, ragazzo," replicò Isaac a Nathaniel, "ti prego di perdonare la mia ignoranza, poiché non sono molto esperto di matrimoni che producono sia un figlio bianco che un figlio rosso."

 

Gli occhi di Nathaniel Poe luccicarono per la rabbia, ma Isaac rimase sconcertato quando il signor Stewart gettò la testa all'indietro e fece la sua sonora risata, ad alta voce. La sua risata, simile a un latrato di cane, fece venire in mente a Isaac un cane randagio meticcio.

 

"Sì," disse lui dopo che la sua allegria era diminuita, per passare a delle risatine soffocate ansimanti, "avete ragione, signor...?"

 

"Bauman. Isaac Bauman, originariamente stanziato a Fort Loudoun, ma fui mandato a Letort con alcuni del reggimento per dare una ripulita, eliminando invasori francesi o indiani." Isaac poté soltanto fissare lo Scozzese. Era leggermente matto? Perché stava ridendo come un cretino?

 

"Sfortunatamente il Generale Waddell non è presente, lo aspettiamo domani," Isaac stava dritto e poggiò il suo cappello sulla piega del braccio, sentendosi stanco e volendo allontanarsi da questi selvaggi e contadini maleducati. Vide il signor Poe aprire la bocca furiosamente.

 

"Prima che lo chiediate, Poe, la risposta è no. E' fuori questione l'idea di rilasciare i nostri detenuti senza il permesso del Generale. Tornate domani a mezzogiorno circa. Ora, vi prego di perdonarmi ma devo congedarmi da tutti voi. Sarete scortati fuori."

 

Il ragazzo indiano più giovane camminò attentamente, con i suoi occhi neri fissi su Isaac.

 

"Alice è trattata bene?" chiese l'uomo rosso. Perché t'interessi? pensò Isaac acidamente; quando all'improvviso tutti i pezzi di questo inquietante puzzle combaciarono.

 

"Tu-" Isaac quasi rimase di sasso per lo shock, "tu sei l'Indiano con cui la signorina Alice è fidanzata?"

 

L'uomo indiano batté gli occhi lentamente e rimase in silenzio, probabilmente più che sorpreso del fatto che la ragazza avesse rivelato questa cosa. Isaac era perso nei suoi pensieri per parecchi istanti, meravigliandosi di nuovo al pensiero della graziosa Alice Munro, una rosa inglese, e di questo bifolco dalla pelle di rame, uniti in una qualche parodia, in una qualche buffonata di matrimonio.

 

"Lei ha detto qualcosa, delle vostre nozze imminenti." Isaac omise il fatto che l'informazione, in realtà, era stata carpita esclusivamente origliando, "Quindi sua sorella è sposata con... questo gentiluomo?"

 

Nathaniel Poe annuì risolutamente.

 

Un altro spreco, pensò Isaac sospirando mentalmente. L'uomo era tanto selvaggio quanto la famiglia che reclamava come propria. Forse ancora di più, almeno gli altri mostravano una qualche parvenza di etichetta e di comportamento decente.

 

"Lei è in una cella di custodia con gli altri due. Le ho già dato del cibo. Tornate domani," disse Isaac e se ne andò a grandi passi, rapidamente. Guardò negli occhi Edward Lamberth, "assicurati che partano e che non ritornino fino a mezzogiorno."

 

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Tschitani si piegò per evitare un vaso di argilla che volò sopra la sua testa, mentre sua madre urlava forte. La ragazza di 11 estati andò velocemente in un angolo e si fece vedere occupata a intrecciare un tappetino di giunco, per paura che sua madre notasse la sua inattività e cominciasse a rimproverarla.

 

Tuttavia, lei si meravigliava per la compostezza di sua sorella Tankawun alle prese con la sgridata della loro madre. La nonna era abituata ormai da troppo tempo a questo spettacolo costante e rimase in silenzio, polverizzando il grano con una profonda espressione accigliata sulla sua faccia marrone, segnata dalle intemperie. Tankawun si inginocchiò a terra, con la testa chinata e in silenzio.

 

Gli occhi di Tshitani si spalancarono allarmati, quando vide sua madre strappare via la corda spessa, fatta di pelle non conciata attorcigliata, dalla parete del wigwam. Lei piagnucolò.

 

Gli occhi di sua madre erano grandi e più furibondi di quanto lei avesse mai visto, ma la donna non picchiò Tankawun. Anzi, sfogò la sua furia sul terreno, e fece schioccare la frusta in un arco rivolto verso il basso. Schioccò quando colpì la superficie.

 

"Piccola bestia ingrata!" la madre urlò con voce stridula, scuotendo la testa così energicamente che le sue trecce nere volarono nell'aria, "mi hai fatto diventare lo zimbello di tutto il villaggio! Questo è ciò che volevi?"

 

Tankawun scosse la testa lentamente, con il suo collo chinato e la sua schiena ancora rivolta alla sua sorella minore terrorizzata. Le loro altre due sorelle erano raggomitolate nei rispettivi posti letto, probabilmente fingendo di dormire.

 

"No?" disse la loro madre, facendole il verso causticamente, "non ti rendi conto di quello che hai fatto? Tutti qui sanno che stavi incontrando quel demonio bianco! Per Mannitto, se avessi saputo che te la stavi squagliando con uno di loro, ti avrei fatto a pezzi!" Lei agitava la frusta in faccia alla sua figlia maggiore, in modo minaccioso.

 

Chemames inclinò la testa e fissò Tankawun, diventando costantemente più arrabbiata. Questa volta la frusta schioccò molto vicino alle ginocchia della ragazza, facendo in modo che saltasse e fissasse sua madre con gli occhi spalancati. Bene, pensò Chemames, aveva bisogno di vedere una reazione da parte della sua figlia insolente.

 

"Non hai idea, figlia, di quanto tu sia bella..." Adesso il tono di Chemames era più delicato, per il momento, "il problema è sempre stato questo. Sei troppo sognatrice per capire che puoi usare la bellezza a tuo vantaggio, a nostro vantaggio, per un buon matrimonio. Voglio solo vederti accudita da un buon uomo, che provvede alla famiglia, un guerriero."

 

Chemames si lamentò e si attorcigliò la corda tra le mani strette, agitata. "Uncas sarebbe stato il compagno perfetto! Ultimo della sua stirpe e suo padre è un capo assai rispettato-"

 

"Madre," Tankawun intervenne delicatamente e sospirò mentre tentava di dissuadere sua madre, "Uncas ha scelto l'altra ragazza."

 

"Perché non dici quello che è, figlia? Una ragazza Yengeese che ha usato qualche specie di stregoneria su Uncas per farlo allontanare."

 

"Farlo allontanare da cosa?" chiese Tankawun, ma questa volta c'era un tono di stizzosa impazienza nella sua voce.

 

"Da te!" Tankawun alzò lo sguardo per vedere il labbro di sua madre arricciarsi per il disgusto, prima di continuare ad assillare sua figlia, "Non c'è da meravigliarsi che tu abbia fallito così miseramente nell'assicurarti Uncas. Ti sei data per vinta così velocemente davanti a una certa sgualdrina Yengeese dal viso pallido, una certa-"

 

"Non lo è, madre! Per favore, perché dovete sempre dire cose così terribili? Lui ha scelto lei anziché me, e devo accettarlo e voltare pagina, passare oltre." Tankawun si pentì della sua scelta della parola, proprio appena l'aveva pronunciata, e alcuni istanti dopo, la ruvida punta della frusta arrivò lentamente al suo mento, inclinando il suo viso allo sguardo infuriato e imperturbabile di sua madre.

 

"Passare oltre... a cosa?" Chemames sussurrò, esaminando accuratamente la faccia di sua figlia.

 

La mente di Tankawun diventò completamente vuota, mentre cercava di tenere costante il battito del suo cuore. L'immagine istantanea nella sua mente era capelli rossi in coppia con occhi gentili. Il pensiero del suo amico Stephen fece in modo che le si chiudesse la gola, ma anche che il calore le si accumulasse nelle viscere, mentre lei ripensava al suo gran sorriso di traverso, al suo sguardo gentile e a come il suo tocco rimaneva sempre sulla sua pelle, per molto tempo dopo che loro si separavano lungo le loro strade.

 

Cosa sentiva? Tankawun non era più sicura di cosa provasse per chi. Nel caso di Uncas, era solo una brama ardente, una palpitante ossessione che si era stabilizzata in lei, in giovane età, e rifiutava di allentare la sua presa. Uncas un tempo le faceva battere il cuore a mille e le faceva sudare i palmi delle mani. Con Stephen si sentiva molto più felice e a proprio agio, il mondo sembrava illuminarsi. Qualche volta i giorni passavano senza che lei si ricordasse dei colori contrastanti della loro carnagione. Ripensò, con una dolorosa fitta nella sua pancia, a quando lui le regalava i gingilli e i dolcetti Yengeese, e a come le teneva stretta la mano mentre guardavano il mondo, lasciandosi trasportare dalle emozioni.

 

"Vuoi dirmi che provi dei sentimenti per il ragazzo Yengeese dai capelli rosso fuoco?" Chemames avvicinò sempre di più la sua faccia, fino a quando si trovò occhi negli occhi con la ragazza nervosa.

 

"Io..." la gola di Tankawun era diventata secca, ma in quel folle momento sapeva di non poter mentire.

 

"Io- Io credo di sì. Sì."

 

Tschitani, ascoltando ogni parola, cominciò a singhiozzare quando la mano della loro madre volò in aria e colpì sonoramente la guancia di Tankawun, facendo ruzzolare sua sorella a terra.

 

Ciò che successe dopo fu una confusa successione di voci e colori, quando la Nonna si alzò in piedi dalla sua posizione a gambe incrociate e diede il suo ordine più severo a Chemames di lasciare in pace Tankawun. Era un ordine al quale Chemames non disobbedì. Dopo molte urla e tempeste nell'angusto wigwam, la Nonna e la Madre uscirono fuori per discutere di Tankawun, in privato.

 

Non molto tempo dopo, le sorelle stavano fianco a fianco, Tschitani tirava su col naso per aver pianto, mentre Tankawun le accarezzava i capelli e il braccio scoperto.

 

"Ami veramente quel ragazzo Yengeese?" chiese delicatamente la giovane ragazza.

 

Tankawun smise di accarezzare i capelli scuri, annodati di sua sorella.

 

"Non è semplice."

 

"E Uncas?"

 

"Non è destino. Ora non piangere e vai a dormire, piccolina." Tankawun baciò la calda fronte di sua sorella e aggrottò le ciglia quando la piccola cominciò a tremare.

 

"Sono spaventata! Mamma dice che sei malvagia e ti manderà via. Non le permetterò di farlo, Tankawun. Verrò con te."

 

Tankawun sospirò e scosse la testa, desiderando più di qualunque cosa che le cose fossero diverse. Che potessero essere una normale famiglia, che potessero parlare liberamente senza doversi preoccupare del carattere brutto e imprevedibile di sua madre. Le donne erano uscite fuori dal wigwam per un periodo piuttosto lungo.

 

"Sorellina, sai come ti è stato dato il tuo nome?" chiese gentilmente Tankawun, osservando mentre la faccia di sua sorella registrò questa domanda.

 

"Papà?"

 

"Mmm. Quando avevi 4 estati, un serpente velenoso ti ha morso ed eri quasi morta, hai smesso di respirare. Papà ti ha portata nel nostro wigwam dopo averti trovata, e tutti noi abbiamo cercato di curarti per farti guarire, ma non ti svegliavi. Abbiamo fatto persino i preparativi per la tua sepoltura."

 

 La piccola sembrava stupita, "Ero così malata?"

 

"Sì, abbiamo promesso di non parlarne mai, ma meriti di sapere. Nonna ti ha fatto il bagno. Abbiamo messo le ceneri sulle nostre facce e abbiamo pianto e pianto. Papà ti ha messo i tuoi indumenti migliori e ha pregato affinché la tua anima raggiungesse i felici terreni di caccia, mentre la tua fossa veniva scavata. Poi..."

 

"Che è successo?"

 

"All'improvviso ti sei messa seduta e hai detto che avevi sete." Tankawun ridacchiò delicatamente per l'esagerato sussulto di stupore di sua sorella.

 

"Papà ti ha dato il tuo nome, che significa più forte, proprio per questo. Perché il tuo spirito è venuto a noi più forte di quanto non lo sia mai stato, e anche come promemoria per tutti gli altri, affinché non dubitino mai di te."

 

Tschitani sembrò così emotiva per lunghi istanti, ma il cuore della sua sorellina era appagato per il fatto che Tankawun le aveva raccontato questo; ciò le dimostrava che Papà doveva averla amata. Le aveva dato un nome potente, come lo era stato il suo. Lui era stato Eluwak -  significava colui che è fiero; il più potente. Tra tutti nella sua famiglia, Tschitani era colei che adorava di più sua sorella Tankawun, e che ammirava di più la sua spensieratezza e leggiadria.

 

"Guarda che ho, naxisemes." Tankawun tirò fuori uno strano oggetto tagliente, che sembrava aver intrappolato la luce dentro di sé.

 

"Che cos'é?" chiese Tschitani affascinata e vi sbirciò dentro. Balzò indietro, spaventata.

 

Tankawun rise musicalmente, "E'...hmm... il riflesso che vedi nelle acque calme. Mi sono dimenticata di restituirlo alla famiglia Yengeese."

 

Si distesero sulle loro pelli di animali e, durante il resto della notte, guardarono la luce del fuoco riflettersi nel frammento di specchio rotto e danzare intorno a loro.

 

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Il giorno ebbe inizio presto, vividamente ottimistico quando gli occhi di Stephen si aprirono. Si svegliò confuso e disorientato, ma sopra ogni cosa turbato. Ogni articolazione gli pulsava dolorosamente.

 

Oh sì, ora mi ricordo... Guardò curiosamente Anicus, mentre il ragazzo stava guardando in giù, verso le assi impolverate che formavano il pavimento, imperturbabile nel suo sogno ad occhi aperti. Sembrava come se il suolo avesse tutte le risposte che lui cercava così disperatamente.

 

"Buongiorno, laggiù..." Stephen sussurrò e il giovane dalla pelle di rame borbottò soltanto, con gli occhi ancora rivolti verso il basso. Non poteva farci niente, Stephen ridacchiò per l'espressione quasi imbronciata e infantile dell'altro ragazzo. Si ricordò dell'altra loro compagna di cella.

 

"Alice!" Stephen si guardò intorno nella stanza, muovendo di scatto la testa, finché trovò la sagoma della sua amica in piedi, di fronte alla parete lontana, che allungava il collo, simile a una bambina smarrita. L'apertura della minuscola finestra era troppo in alto (dopo tutto, era una cella di custodia di ripiego, per arrangiarsi), lei poteva soltanto starsene lì in piedi con la testa piegata all'indietro, lasciando che i piccoli raggi di sole facessero diventare quasi bianchi i suoi capelli biondi.

 

"Buongiorno, signorina Alice," disse Stephen allegramente, cercando di non sembrare preoccupato per la particolare posizione della ragazza.

 

"Buongiorno, ragazzi." La voce di Alice era delicata e sembrava stanca.

 

"Quando ti sei svegliata?" Stephen chiese in tono colloquiale, come se fossero ancora nelle loro case, nella Delaware Valley.

 

"Temo di non aver dormito. Stavo cercando di vedere l'alba ma la finestra è troppo alta."

 

La sua voce sembrava così distante che Stephen si preoccupò. Si agitò di continuo –

 

"La testa mi prude. Anche la faccia. Mi darai una grattatina, Alice? Credo di essere un po' legato al momento," la voce di Stephen era allegra e lui fece tintinnare le proprie catene per essere sicuro, sperando che lo scherzo la rendesse felice.

 

"Suppongo," replicò Alice in dettaglio, ma stava sorridendo quando si voltò per andare verso i ragazzi, trascinandosi dietro le catene.

 

"Come stai, Anicus?" chiese Alice mentre grattava la cute e la faccia di Stephen, mentre lui sospirava felicemente.

 

Il ragazzo Lenape fece spallucce, sembrando schiacciato. Alice lo esaminò attentamente, notando che i suoi pantaloni di pelle di daino e la camicia di calicò color thè blu erano strappati e sporchi. Alice si sedette accanto a Stephen e i due si tennero le mani per diversi istanti.

 

"Puoi appena immaginare quanto devono essere preoccupate le nostre famiglie, Stephen?" borbottò Alice contro la spalla di Stephen. Lei esaminò pigramente la minuscola finestra, finché la porta si aprì di nuovo per la prima volta, dalla notte precedente. Gli abitanti sgranarono gli occhi appannati.

 

L'uomo chiamato Edward Lamberth fece loro un gran sorriso in modo sfrontato, mentre si appoggiò alla sua carabina, la sua uniforme vistosamente rossa.

 

"Oh, svegli! Buongiorno a tutti voi, signorina Alice, signor Mason...lui." La faccia di Edward si distorse per il disgusto mentre esaminava Anicus in modo odioso. Annusò come se nella stanza ci fosse qualcosa di nauseante. Alice aggrottò le ciglia.

 

"Non ci avete dato abbastanza cibo la notte scorsa, signore," disse Alice freddamente, "Noi tre abbiamo dovuto dividerci la misera porzione che era assegnata a me. Se sareste così gentile -"

 

"Sono solo venuto a dirvi che la colazione vi sarà portata quanto prima," interruppe Edward, lanciandole un'occhiataccia, "e intorno a mezzogiorno vi incontrerete con il Generale. Qualcos'altro, ragazza?"

 

Alice batté i piedi stizzosamente mentre continuava a guardare in cagnesco l'uomo rozzo. I ragazzi rimasero attentamente in silenzio.

 

"Queste condizioni sono deplorevoli, signor Lamberth."

 

Edward piegò la testa di lato e le sorrise, "Siete stata maltrattata in qualche modo? Abbiamo picchiato qualcuno di voi?"

 

Alice guardò in basso, verso il suolo impolverato. No, lei supponeva che non erano stati maltrattati troppo, ma l'ambiente circostante era estremamente sporco e loro non avevano delle sedie adatte. Disse questo all'uomo, facendolo ridacchiare di cuore.

 

"Perdonatemi, Vostra Grazia!" disse l'uomo con esagerato decoro, "scriverò immediatamente al St. James's Palace per farvi mandare le vostre cose."

 

Fece una serie di risate per la sua espressione offesa e camminò verso la porta. All'ultimo momento si voltò bruscamente-

 

"Dimenticavo quasi, signorina Alice." Il sorrisetto di Edward era ancora lì, ma c'era una crudeltà nelle sue sopracciglia e nella sua bocca, adesso. "Alcune persone sono venute a cercarvi."

 

"Quando?" chiese Stephen con entusiasmo, drizzandosi con un sussulto, ma il soldato lo ignorò.

 

"Sono venuti la notte scorsa e hanno chiesto un incontro con il Generale, che non era nemmeno presente al forte. I loro nomi..." Edward si sforzò di ricordare, "Nathaniel, quello che sembra essere in parte pagano, anche Stewart. Questa coppia di anziani Indiani e anche un altro ragazzo."

 

"Chi?" chiese Alice avidamente, ma poteva sentire un brivido attraversarla; era qualcosa che aveva cominciato a provare mesi prima. Quando Uncas era vicino oppure quando stava per essere nominato in una conversazione, tutto il suo corpo in qualche modo ne era consapevole.

 

"Sapete chi," Edward abbassò la voce in un sussurro ammaliatore, "quell'Indiano che avete scelto come vostro amante."

 

Adesso Stephen parlò apertamente, con i suoi occhi infuocati per la rabbia moralista, "Potreste essere un soldato, signor Lamberth, ma non siete un vero uomo per rivolgervi a una donna in questo modo."

 

"Chiudi la bocca, piccolo rospo. Se fossi un vero uomo, le diresti di non infangare se stessa o il nome di suo padre con un selvaggio," la voce di Edward era forte e ostile, "e tieniti pronto per mezzogiorno. Incontrerai il Generale Waddell."

 

Proprio allora una ragazza, più o meno dell'età di Alice, camminava timidamente dietro Edward, con gli occhi compassionevoli e tenendo in mano una pentola di ciò che sembrava essere porrigde. Edward gliela prese dalle mani e le fece un cenno col capo, rigidamente.

 

La pentola fu poggiata a terra con forza davanti a loro tre, e parte del porridge farinoso si rovesciò lungo i lati. Non aveva un aspetto molto invitante, e questo forse doveva trasparire nello sguardo di Alice, perché Edward Lamberth ruotò gli occhi verso Alice in modo austero e uscì dalla cella senza guardare indietro, camminando intorno alla ragazza.

 

"La Duchessa disprezza il cibo che serviamo qui, Millie," disse Edward sprezzante quando la porta si chiuse, la sua voce si poteva ancora sentire debolmente, "ricordati di chiudere la porta col catenaccio."

 

"Suppongo che non gli piacciamo," Stephen fissò la fredda poltiglia nella pentola, disgustato, e ripensò a come quest'uomo lo chiamava costantemente "rospo lentigginoso" e cose del genere.

 

"Ma specialmente tu, Alice."

 

Alice non prestò a questa osservazione nessuna attenzione, poiché stava guardando acutamente l'altra ragazza. La ragazza di nome Millie indossava un abito lilla chiaro che sembrava molto sciupato, la sua faccia dietro i capelli scuri era stanca. Era piuttosto semplice, ma poteva essere a causa della stanchezza. Sembrava timida e imbarazzata per tutto quello che aveva detto Edward Lamberth. I suoi occhi avevano qualcosa che Alice riconobbe, ma non riusciva a individuarlo.

 

"Grazie per la vostra gentilezza, signorina Millie," disse Alice dolcemente con ciò che sperava fosse un caldo sorriso, "per averci dato il cibo più del necessario. Mi sforzerò di ripagarvi per la vostra ospitalità e benevolenza."

 

"Il mio nome è Amelia," spiegò la ragazza arrossendo per le cortesi parole di lode, "puoi chiamarmi Millie."

 

"Lo farò sicuramente," Alice continuò a guardare Amelia pensierosamente, mentre la ragazza dai capelli marroni si precipitava fuori. La serratura fece un piccolo scatto, mentre loro furono di nuovo chiusi dentro.

 

   
 
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