Capitolo Uno
Il volto dell’angoscia
Un
ultimo punto e la storia
finisce. Sospirai chiudendo gli occhi e cercando di non iniziare a
singhiozzare.
Tutte le storie hanno una fine, la mia ne ha semplicemente avuto uno
doloroso
come un ferro incandescente nel petto. Ma cosa potevo aspettarmi di
più? Sapevo
che sarebbe andata così, tenevo solo questo pensiero lontano
dalla mia mente e
lontano dal cuore.
Ma
adesso che il mio cuore
si è frantumato e ha smesso di battere, perché fa
ancora così tanto male?
«Bella,
ci sei?» una voce
mi riportò alla realtà, quella che vivevo tutti i
giorni, quella che avrei
barattato volentieri con l’oblio più totale.
«Sono
qui» un semplice
sussurro, ma sapevo che lui avrebbe sentito. Infatti, da dietro la
porta, fece
capolino Joshua con un sorriso sulle labbra, ma non appena mi vide
davanti al
computer con un espressione sofferente si incupì e
sospirò.
«A
che punto sei?»
«Ho
finito. È finito
tutto» i singhiozzi che cercavo di trattenere fluirono fuori
di me come un alluvione
che spezza l’ultima diga che era rimasta. Quel semplice punto
alla fine della
storia aveva cancellato tutte le difese che ero riuscita ad alzare
attorno a
me.
«No,
piccola, non
piangere. In un modo o nell’altro si sistemerà
tutto. Non abbatterti proprio ora
dopo tutto il lavoro che hai fatto» mi supplicò
Josh correndomi in contro e
abbracciandomi forte. L’unico pezzo di me ancora intatto era
questo. Il mio
affetto per lui, la volontà di non lasciarlo solo.
Avevamo
la nostra storia
in comune. Era molto simile e a volte sospettavo troppo uguale. Ci
facevamo
forza a vicenda, cercavamo di superare tutto, o meglio, io cercavo
perché lui
ci era riuscito. Ero solo io che continuavo a rimuginare sul passato e
farmi
ferire da questo. Lui era andato avanti, cercando di dimenticare.
Eravamo così
simili, ma così diversi.
«Non
si sistemerà nulla
Josh! Lui ha creato in me un buco troppo grande perché possa
guarire»
singhiozzai aggrappandomi con disperazione alla sua maglia e poggiando
il capo
sul suo petto. Le sue braccia si strinsero sulla mia schiena e le sue
mani
facevano lenti movimenti circolari nel tentativo di calmarmi.
«Shh,
piccola. Tutto
quello che non uccide guarisce, lo sai. Per questa ferita ci vuole solo
un po’ più
di tempo»
«Lo
so, lo so! Sono solo
stanca di soffrire»
«Allora
non farlo.
Lasciati tutto alle spalle ora che anche il tuo libro è
finito» mi disse con
voce calma e pacata. Quelle parole mi entrarono nella mente e si
insidiarono
come un tarlo fastidioso. La
domanda non
era se potevo lasciarmi tutto alle spalle, ma era se volevo farlo.
L’avevo
capito tempo fa, quando Josh mi aveva aperto gli occhi. Avevo usato la
scusa
dei libri, ma adesso che anche l’ultimo era finito non avevo
più quell’appiglio.
C’ero solo io e quello che volevo fare.
«Non
so se voglio» dissi
semplicemente e sentii Josh irrigidirsi nel mio abbraccio e non
respirare
nemmeno più. Sospirai e mi staccai dalla sua presa per
guardarlo negli occhi,
che erano come due fiamme d’orate.
«Josh,
non voglio
dimenticarlo. Non voglio che quei due anni spariscano. Vorrei solo non
soffrire
più» dissi semplicemente cercando di farmi capire
come meglio potevo. Avevo
sempre avuto problemi ad esprimere i miei sentimenti e a volte mi
chiedevo se
era per questo che lui mi aveva lasciata. Ma ogni volta cancellavo
questa
ipotesi. Lui era ancora più imbranato di me ogni tanto.
«Perché?»
chiese solo il
ragazzo che mi era davanti appena si fu ripreso.
«Perché
è una parte di me
e una parte di quello che mi ha reso quella che sono. I ricordi servono
a
qualcosa Josh, non sono solo cose che puoi ignorare»
«Ma
se ti fanno solo
soffrire a cosa servono?» chiese con disperazione, cercando
di dare un senso
alle mie parole. Per lui non ce lo avevano. Non era della mia idea, lo
capivo
solo dal suo sguardo.
«A
ricordarti di non fare
gli stessi errori» sospirai chiudendo gli occhi e
appoggiandomi alla sedia con
tutto il peso, lasciandomi andare. Era l’unico momento in
cui, con un così
piccolo gesto, riuscivo a lasciarmi andare, a non dover lottare contro
tutto e
tutti. Era una piccola soddisfazione che mi prendevo quando non
riuscivo più a
resistere. Stupido, vero?
«E
quale sarebbe l’errore
Bella? Cosa sai che non devi più fare?»
«Fidarmi
a tal punto di
qualcuno da lasciargli tutto il mio cuore» era vero. Era
stato il mio più
grande errore. Se non gli avessi dato tutta me stessa adesso non sarei
ancora
così profondamente tormentata da quei momenti. Riuscirei ad
andare avanti senza
compiangermi ogni giorno.
«Ma
sei all’eccesso ora!
Non ti fidi proprio più. Quand’è
l’ultima volta che hai avuto una storia dopo
di lui?»
domandò marcando l’ultima
parola. Ci pensai e ghignai all’idea.
«Molto
tempo. Ma non ne
sento la necessità, allora perché
sforzarmi?»
«Perché
l’amore è la cosa
più bella che ci sia!»
«No,
l’apatia lo è! Il non
provare sentimenti è la cosa più
bella!» urlai in preda al dolore. Ero stanca
di provare qualsiasi sentimento. Stanca di soffrire per una vita per
pochissimi
attimi di felicità in cambio. Per ogni cosa bella ce ne
erano venti di brutte e
non era un prezzo equo da accettare.
«Ti
sbagli Isabella. Stai
sbagliando tutto» scosse il capo e se ne andò
verso la sua camera sbattendo la
porta dietro di lui.
Rimasi
immobile, ferma e
impassibile. Avevo già pianto troppo per un giorno, non
volevo farlo ancora.
Ero troppo stanca, non ce la facevo più.
Tutto
per colpa sua! Tutta
per colpa di quell’idiota che mi aveva sconvolto
più volte la vita. Perché il
mio mondo doveva girare attorno a lui? Perché non potevo
essere io la padrona
della mia esistenza? Una singola lacrima nera mi scivolò
sulla guancia e subito
la pulii. Non dovevo piangere, non più!
Salvai
il file e lo inviai
alla casa editrice con una semplice e-mail. Non avevo voglia di
muovermi di
casa e consegnare il libro era l’unica cosa che mi avrebbe
fatto sentire
meglio. Dovevo solo aspettare che gli arrivasse e mi sarei sentita
quasi bene.
Dopo
neppure un minuto
suonò il telefono. Con passi veloci e sicuri arrivai fino in
cucina e risposi.
«Bella?
Sei stata
bravissima! Lo manderemo domani in stampa! Non sai che gioia
sarà per le fan
sapere che tra una settimana al massimo uscirà il libro. Hai
fatto felici
moltissime persone!» trillò Georg il capo della
casa letteraria che aveva
pubblicato i miei primi due libri: Twilight e New Moon. Eclipse era
l’ultimo e
tutte le mie lettrici lo aspettavano. Non sarebbero però
state soddisfatte dal
finale, come non lo ero stata io quando lo avevo vissuto.
«Preparale
allo shock,
baby, perché ti chiederanno il risarcimento»
ridacchiai e sentì dall’alto capo
Georg deglutire rumorosamente.
«Perché
stella? Cosa hai
combinato?» cercava di tenere il tono tranquillo, ma sentivo
l’agitazione che
serpeggiava dentro di lui.
«Il
finale è triste, babe.
Non piacerà a molte» risposi sinceramente. Per
quello stupido libro avevo già
detto troppe bugie.
«Non
potevi scriverne uno
felice stella? In fondo sei tu l’autrice!» Ecco.
Come volevasi dimostrare.
Avevo detto che questa storia era inventata, per lo più, ma
che lo spunto me l’aveva
dato una mia conoscenza che aveva vissuto la storia in prima persona.
Nessuno
sapeva che quella ragazza ero io.
«Oh
George. Non potevo. È questa
la fine e posso garantirti che non piace nemmeno alla
sottoscritta»
«Se
non ti piace potevi
cambiarlo!» insistette con forza. Non gliene importava niente
della trama,
voleva solo prendere soldi.
«Non
potevo! Mettitelo in
testa. Se non ti piace non pubblicarlo. Io non lo riscriverò
e così non
prenderai più un soldo!» ghignai malefica. Sapevo
i punti deboli che aveva e
non mi facevo scrupoli ad usarli.
«Va
bene demonio!» sbuffò
irritato e io scoppiai a ridere.
«Su
su! Non sono un
demonio, solo un demonietto» scherzai facendomi beffe di lui.
Sentì un grugnito
dall’altra parte del telefono e capii di aver fatto centro.
«Domani
devi fare un
intervista per lanciare il libro e tra una settimana devi andare ad
autografarli» mi disse spiccio ancora arrabbiato per i miei
continui scherzi.
«Signorsì
capitano!»
«Non
scherzare Bella!»
«Ricordati
domani di non chiamarmi
così! Sai che come scrittrice mi chiamo Alexis
Bishop!» gli ricordai con
fermezza. Non volevo che si sapesse il mio vero nome e quindi mi ero
creata un
altro nome da usare nel mondo reale. Era molto utile perché
la mia casa era
intestata a Isabella Swan e nessun fan riusciva così a
trovarmi.
«Si
che me lo ricordo, non
preoccuparti!» borbottò arrabbiato. Una volta
aveva quasi sbagliato a chiamarmi
e da quel momento mi accanivo su di lui ricordandoglielo ogni volta.
Lui si
arrabbiava, perché diceva che lo trattavo come un bambino,
ma preferivo un
Georg arrabbiato che la mia identità svelata.
«Bene,
era solo un
ripasso. Adesso devo scappare. A che ora è
l’intervista e dove?»
«Alle
10 sulla libreria a
Park Avenue»
«Perfetto,
allora a
domani!» non gli diedi tempo di rispondere che riattaccai.
Sentii una porta
aprirsi e Josh uscì dalla sua camera con lo sguardo basso e
strascicando i
piedi. Faceva così quando si sentiva in colpa e voleva
scusarsi. Ormai lo
conoscevo troppo bene per non accorgermi di queste cose.
«Mi
dispiace. Non dovevo
attaccarti sapendo quanto ci stai male» mormorò a
voce bassissima, ma sapeva
che lo avrei sentito. Io e Josh eravamo come fratelli. Conoscevamo ogni
più
piccolo segreto l’uno dell’altra e riuscivamo a
comprendere meglio l’alto di
noi stessi. Era un po’ strana come relazione, era come una
specie di simbiosi.
Se ci allontanavamo troppo o se litigavamo in maniera così
seria da non
parlarci per giorni sentivamo il vuoto dentro di noi. Un vuoto
così forte che
ci sembrava di morire se non ci fossimo riavvicinati subito. Lui era
l’unico di
cui mi fidavo ciecamente, l’unico a cui avrei donato il mio
cuore se non fosse
stato così spezzato.
«Tranquillo
Josh. Posso
capirti benissimo» piccole parole, in apparenza, ma enormi
per noi. Come se
avessimo pensato la stessa cosa ci lanciammo, nel medesimo istante, in
un
abbraccio. Josh era più alto di me, così
poggiò la sua guancia sulla mia testa.
«Scusami
tesoro,
veramente» il suo alito caldo mi solleticò dei
ciuffi di capelli e rabbrividii
appena.
«Tranquillo,
tutto perdonato»
e lo pensavo veramente. Mi sentivo bene stretta nel suo abbraccio. Era
come la
mia coperta di Linus, senza mi sentivo persa.
«Allora,
pronta per la tua
intervista? Devi essere in forze se non vuoi scoppiare a piangere
davanti ai
giornalisti» mi disse facendomi un buffetto sulla testa. Io
ridacchiai e sfoderai
un sorriso enorme, da orecchio a orecchio.
«Non
lo farò mai! Ho una
mia dignità da difendere» scherzai alzando il
mento e gonfiando il petto. Josh
cercò di rimanere impossibile, ma iniziò a
mordicchiarsi il labbro cercando di
non ridere. Ma quando mi misi sull’attenti lui non
riuscì più a resistere e si
piegò in due tenendosi la pancia da quanto stava ridendo.
«Sei
troppo buffa» mormorò
tra una risata e l’altra e io mi unii a lui. Così
tutta la tensione che si era
creata quella sera svanì, lasciando solo una dolce allegria
che ci accompagnò
fino all’ora di andare a dormire.
Sotto le coperte e al buio, però, tutte le tue paure tornano sempre a galla e un volto era il mio incubo peggiore, quello che non mi lasciava respirare e mi faceva dormire malissimo, quando l’angoscia che mi portavo dentro era troppo forte per combatterla. Il suo volto: il volto di Edward Cullen.
Angolino Autrice:
Buon di a todos! ^-^ Sono qui con la mia prima storia su Twiligh quindi siate clementi please!
Anche se non si capisce
molto quello che succede vi chiedo di pazientare perché nel
prossimo capitolo capirete perché la nostra Bellina soffre
tanto per Eddy!
Inoltre cercherò di tenere un po' di mistero il
più tempo possibile, quindi cercherò di essere
più evasiva possibile dando nello stesso tempo piccoli
indizi che vi facciano arrivare alla soluzione dell'inghippo... spero
di fare un lavoro decente @-@
Penso non ci sia altro da dire se non buona lettura e pleeeeeeeeeeeeaseeeeeeeeeeee commentate! Le critiche e soprattutto i complimenti (xD) fanno molto bene per scrivere una buona storia!
Besos
Blackpanter!