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Autore: Mikirise    19/01/2017    1 recensioni
"Dove stiamo andando?"
"A cercare Tony."
"E dove sta, Tony?"
"Non lo so."
"E allora dove stiamo andando?"
"Non lo so."
In cui Tony sembra scomparire (uhm), Peter parla sempre a sproposito, Steve entra nel panico e ci sono flashback a caso. Più o meno.
Genere: Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Peter Parker/Spider-Man, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Parte IV








La signora aveva un sorriso stanco, mentre si abbassava all'altezza di Peter e cercava di prendergli la mano. Era anche carina, come signora. Sembrava anche gentile. Stava facendo il suo lavoro, poi, e zio Ben diceva sempre che le persone che stanno facendo il loro lavoro meritano tutta la gentilezza in questo mondo e rispetto, non persone che si mettono a piangere e cercano di rendere loro il lavoro più difficile. In sua difesa, Peter aveva provato a non piangere, perché era un bambino grande, perché i bambini grandi non piangono, perché zia May stava all'ospedale e zio Ben… e non poteva abbandonarla. Non anche lui. E non aveva dormito per due giorni e aveva gli occhi che gli bruciavano, la testa che voleva cadere a terra e i vestiti sporchi di sudore e microbi da ospedale. Ma non poteva lasciarla lì da sola. Lo aveva detto anche il signor Stark. Ci sono persone per le quali non dormiresti la notte. Poi aveva riso istericamente, forse, e aveva guardato nella stanza 714. Stanza Sette Uno Quattro. Lì stava Steve. Steve è importante per il signor Stark-che-ha-detto-che-lo-può-pure-chiamare-Tony. Già lo chiamava Tony, nella sua testa, ma zia May diceva di dare sempre del lei alle persone più grandi e quindi lui lo faceva. Tony non dormiva da quando sono arrivati in ospedale. Peter aveva dormicchiato sulla sua spalla. Ovviamente poi si era sentito un po' in colpa, ma lo aveva dovuto fare. Non è abituato a non dormire e Tony non si era mosso di un millimetro per non svegliarlo, vuol dire che è gentile, tutti dicevano che non fosse gentile, magari sbagliavano, e quando si è svegliato si è sgranchito le gambe e ha fatto un giretto per il corridoio. Gli ha portato una tazza di latte. Peter non si era nemmeno reso conto di quanto avesse fame, prima di quel momento. Tony Stark è gentile. Lo ha lasciato dormire sulla sua spalla e gli ha portato del latte.

“Peter” aveva detto la signora, portando la sua mano sulla guancia del ragazzino. “Non possiamo lasciarti qui da solo.”

Peter aveva soltanto tirato sul col naso e scosso la testa. Non sono qui da solo, voleva dire. C'è zia May. Non sono solo. Ma erano usciti solo grugniti. E singhiozzi. Tantissimi singhiozzi. Odiava come tutto questo sembrava. “Non posso andarmene” aveva voluto dire. Era uscito qualcosa come: “Nn awarene.” Che non è una frase. E quindi si è sentito stupido perché i ragazzini della sua età sanno parlare tranquillamente e sono più forti e non piangono davanti a tutti. Li sentiva nella sua testa. Parker, che fai? Piangi? Parker è una femminuccia. Parker porta sfiga. Se ne vanno tutti da Parker. Se tocchi Parker, dicono che morirai entro la settimana. Non era divertente. Una ragazzina dai capelli rossi lo aveva a malapena sfiorato, ed era corsa a piangere in bagno. Mary Jane. Viveva nella casa di fianco alla sua, facevano tutti i giorni la stessa strada dopo scuola, a volte zia May la salutava dal loro giardino. Mary Jane aveva pianto lo stesso, però. E non voleva parlargli.

“Ma Peter non è solo.”

Non che, comunque, si fosse illuso di stare simpatico a Tony Stark. A costo di sembrare ripetitivo: sta parlando di Tony Stark. Il milionario. Quello che compare in TV. Quello che ha costruito un'intelligenza artificiale con, praticamente, sassi. Un tipo come lui, okay, anche se è gentile e gli ha dato da mangiare, un tipo come lui, i bambini come Peter nemmeno li vedeva da lontano. Soprattutto se sono lagnosi. Sopratutto quando ha altre cose a cui pensare. Steve. Non aveva mai sentito il suo nome sui giornali scientifici. Steve Con Un Cognome Che Lui Non Sa. Forse l'espressione triste sulla faccia di Tony era dovuta al fatto che non ha Steve accanto. O forse le fotografie pubbliche sono cose diverse dalla realtà. E Peter, comunque, non sta simpatico nemmeno ai ragazzini della sua età. Come può guadagnarsi la simpatia di Tony? Che, non ne era molto sicuro ma, gli pareva stesse suggerendo qualcosa come prendersi la responsabilità di un minorenne in un ospedale...? Non sembra essere molto nel personaggio.

A dirla tutta, non si era nemmeno reso conto che si fosse avvicinato a lui. Sentire una mano sulla sua spalla era stato uno stimolo ad andare sull'attenti, se non fosse stato per il calore stranamente familiare. Tony era accanto a lui. Stava sorridendo con quel sorriso da copertina all'assistente sociale e non sembrava per niente stanco. Allora è vero che non devi fidarti dei giornali. Allora è vero che tutte le persone hanno tante maschere che usano quando pensano sia più giusto usarle. Quello è il Tony che stava antipatico a zio Ben. Poi c'è quello di cui parlava quel signore, quel signor Lang, che ripeteva che le Industrie Stark non stanno in mani più sicure. E il papà rideva. Era bello quando papà rideva. Ci sono momenti in cui desideri tanto tornare indietro e questo era uno di quei momenti. Sai, per sentire papà ridere e zio Ben sbuffare. Tornare indietro, sapendo cos'è andato storto e ripararlo. Allora le lacrime sarebbeo tornate dentro i condotti lacrimali, Peter avrebbe camminato all'indietro, accanto agli infermieri che gridavano Codice rosso! Codice rosso!, sarebbe tornato sull'ambulanza, con quel tipo vestito di rosso e bianco e che cercava di strappargli un sorriso, sarebbe tornato sulla strada, con un signore sconosciuto che gli faceva domande, avrebbe detto il suo nome al contrario, avrebbe sentito qualcuno chiamare il nome di qualcun'altro, disperatamente, Steve, Steve, avrebbe visto qualcun altro chiamare un'ambulanza, aperto gli occhi sentendo male dappertutto, sentito lo schianto di una macchina contro il loro autobus, avrebbe squittito esclamando: “Non ci credo che siamo sullo stesso autobus di Tony Stark!” E lo zio avrebbe sbuffato, la zia avrebbe sorriso. Non riesce ad andare più indietro. Gli è difficile. Tutto sembra essere successo migliaia di anni fa. Zio Ben che sbuffa. Non riesce a ricordare la risata del papà. Le canzoni della mamma. Aveva cercato di andare indietro, mentre la mano di Tony era poggiata sulla sua spalla e non ci riusciva. La risata di papà. Le canzoni della mamma. Le aveva cercate dentro la sua testa e non c'erano. E allora ha pianto più forte. Non voleva piangere. Aveva fatto di tutto per non piangere. E aveva sentito il braccio che era estraneo ma poi non tanto, intorno alle spalle e ha pianto ancora più forte. Non ricordava la ristata di suo papà.

“I miei collaboratori possono occuparsi delle ultime carte” aveva detto Tony, sulla sua spalla e, forse, quello era il suo modo per mandare via la gente, come se sapesse cosa vuol dire piangere e non volere che gli altri ti vedano piangere, e per questo lo ha coperto con quel mezzo abbraccio. Non ha neanche parlato. Ha solo aspettato. Peter non sapeva che cosa e non gli importava più di tanto. Non ricorda le canzoni della mamma. Prima di quel momento in autobus, cos'è successo? C'era una vita prima dell'incidente? E prima di prima l'Incidente? Un'intera famiglia. Peter ha perso un'intera famiglia in strada. Ha solo zia May. Non può abbandonare zia May, perché lei è in gamba e saprebbe anche prendere a calci nel sederino i cattivi di New York, ma non può non avere nessuno a casa che la aspetta. Hanno perso un'intera famiglia per colpa delle auto. Zio Ben è... mamma e papà sono...

La signora che lo voleva portare via non c'è più. La sua presenza era pesante e lo rendeva pesante, e stava piangendo su una giacca che varrà più di tutti i suoi libri di scuola ed era abbracciato da uno dei suoi idoli scientifici. “Non posso lasciare qui la zia da sola, perché lei non mi ha lasciato a casa da solo quando mamma e papà sono morti. E poi potrebbe chiedere di me. Lei chiede sempre di me e dopo zio... io non voglio che pensi che anche io sia morto, perché ho paura che gli appesantisca il cuore e che poi gli spezzi, e ho sentito che si può morire di cuore spezzato, che sembra un infarto ed è la persona che crolla fisicamente e pure coi sentimenti. Io non posso lasciare che succeda. Quando una persona muore non torna più. Io lo so. Non posso lasciare che se ne vada anche lei, o che pensi che io me ne sia andato. Non posso andarmene. Non posso andarmene.” Aveva singhiozzato e non era nemmeno sicuro che tutto quello che aveva detto fosse comprensibile. I moccioli gli cadevano sulle labbra e non riusciva a respirare bene. Comunicava a sospiri. E singhiozzi. Lo odiava. “Zia May… lei non…” Non riesce a finire la frase. Lei non.

“Lo so” aveva risposto Tony e, uau, lo aveva capito, nonostante Peter parlasse per singhiozzi. Forse è una delle prove da superare per essere considerati un genio. Magari parla l'inglese, lo spagnolo, il mandarino e il singhiozzese, ne è uno dei teorici e quindi capisce. Uau. Capisce. La cosa lo voleva far piangere ancora di più, se possibile. “Lo so" aveva ripetuto e gli aveva accarezzato la testa. Poi Peter ha ricordato. Titoli di giornale. Articoli biografici. Da dove a dove. Anche Tony ha perso un'intera famiglia in un incidente stradale. Aveva pianto più forte.





“Okay” si mormora Peter. “Okay” ripete, sistemando lo zaino sulle spalle e cercando di tenere il passo con Steve, nell'aeroporto. “Vedo vedo, qualcosa di minuscolo.” Salta sulle scale mobili. È ancora preoccupato. Ha anche un po' di sonno. Okay, va bene. Tanto sonno. Non dorme da quando sono stati in viaggio da Malibu a Houston. E adesso sono a New York e devono andare a Toronto. E lui ha sonno, ma non riesce a dormire. Però Tony dovrebbe essere lontano dalle macchine. Dalle strade in generale. Non può morire in un incidente stradale, il che è una buona notizia. (Lo è.) Doveva tornare. Ha promesso che sarebbe tornato. Ha il cuore pesante. Ha paura che Steve muoia di cuore spezzato. Ha paura anche del cuore di Tony. Forse non voleva semplicemente tornare. Perché avrebbe dovuto farlo? Un ragazzino che non ha nessun legame con lui, perché tornare da lui? Magari era il suo modo di dire che non lo voleva intorno. O che non voleva nessuno dei due intorno. Magari si sente responsabile per loro due, ma non gli vuole bene veramente e cercava un motivo, una scusa per andarsene. Magari voleva che Peter protegesse Steve dal cuore spezzato. Magari non vuole che loro lo vadano a prendere.

“Il tuo zaino” risponde con un sorriso stanco, Steve. E Peter scuote la testa.

“Almeno provaci!”

“Si deve vedere al microscopio?”

Il ragazzino sorride e scende dalle scale mobili con un piccolo salto. “Oh, sì.” Ma non c'è motivo di pensare una cosa del genere. Tony, a modo suo, le promesse le mantiene. Se dice che tornerà, tornerà. Se dice che scoprirà perché gli hanno tolto la sua famiglia, lo scoprirà. Se dice che non si devono preoccupare, non si devono preoccupare. Quindi sta cercando di non preoccuparsi. Tutto finirà con uno di quei bellissimi finali da Hollywood, con una musica in sottofondo, e il bacio del vero amore, e tanti sorrisi. È così che deve andare. Ha avuto già troppi finali tragici per non vedere un lieto fine.

“Una molecola.”

“Probabile, ma no.”

“Un atomo.”

“Direi di no, ma starei mentendo. Non è quello che avevo in mente.” Steve ci sta provando e Peter non capisce per chi. Sta provando a mantenere quella facciata serena e gli si vede negli occhi che l'unica cosa di cui vorrebbe parlare è Tony. Ha ancora quella rughetta, si guarda intorno e spera in una specie di miracolo, guarda il cellulare e spera in un miracolo più grande, ma mantiene la facciata. Non ha nemmeno fatto domande sulla storia del cuore di Tony, come sia possibile che lui abbia dimostrato la sua esistenza, ed eppure quella è la storia preferita di Tony e Peter l'aveva ascoltata con così tanto piacere, davanti ad uno Steve incosciente, con una tazza di cioccolata calda tra le mani. Non ne è sicuro, ma il ragazzino pensa sia perché, se ne parlassero, Steve crollerebbe davanti ai suoi occhi. Se Peter iniziasse a raccontare di come gli ha raccontato la storia, forse Steve scoppierebbe a piangere, come ha pianto Tony quando l'ha raccontata. E se parlasse di quanto è preoccupato, crollerebbe ugualmente, perché è questo il tipo di preoccupazione. Ma non sa se non vuole crollare perché c'è lui, Peter Parker, o perché poi non riuscirebbe più a trovare la forza per ricomporsi e continuare a cercare Tony. “Tu piangi spesso, Steve?” chiede Peter e se ne pente.

“Dipende da cosa intendi per spesso” Stanno continuando a camminare e camminare. Ha veramente fatto quella domanda. Ha ricevuto davvero una risposta. Non c'è persona al mondo con la lingua più veloce della testa. Dovrebbe pensare di più. O di meno. Peter sta sempre pensando e forse le parole gli escono di bocca perché scappano via dai suoi pensieri. Non capisce bene il perché dovrebbe succedere. “Tony mi costringe a vedere Grey's Anatomy e a volte, vedendolo, piango.”

Peter sorride. “Non ti costringe.”

“Non mi costringe.” Steve alza le spalle. “Ma comunque piango.”

“Io non piango tanto, ma a volte mi sembra che ci siano persone che piangono al mio posto.” Non sa spiegare quello che ha appena detto. Sa solo che lo sente adesso. Zia dice sempre di non far star zitte certe cose, di esprimersi, ma esprimersi è difficile. Parlare, segnalare, comunicare, anche solo per chiedere il latte, non è facile. Non ricorda chi ha questa credenza, forse era la mamma. Pensava che se anche tu non piangevi, se il tuo dolore è grande e forte, qualcun altro piange per te, perché l'energia non si distrugge, deve rimanere nel mondo, e così anche le emozioni. Non trova molto senso logico in questo pensiero, e la mamma era una scienziata, quindi non poteva essere lei a dirlo, ma a volte gli sembrava qualcosa di reale, qualcosa in cui voleva credere, come Babbo Natale e gli alieni (che esistono e un giorno verranno da noi). “Comunque erano le probabilità di vittoria degli Yankees nella Interleague.” Peter sorride allo sguardo confuso di Steve. Adesso tutti e due vorrebbero piangere. Un po' per Tony, un po' perché chissà cos'è successo al papà di Harry. Ma nessuno dei due sta piangendo. “La cosa piccola che vedevo. Le loro probabilità di vittoria.”

Steve scuote la testa e ride. Chissà chi sta piangendo al posto loro, in questo momento.





Quel momento. Steve aveva capito, niente gli sarebbe rimasto marchiato a fuoco nella memoria come quel momento. La mano di Tony chiusa in un pugno, intorno alla sua maglietta e io momento della realizzazione della sua di mano, sul petto, a spingerlo via. E gli occhi sbarrati. L'espressione spaventata, di scuse. E poi la risata nervosa. Le dita che sembrano star tremando. Gli occhi persi. Ma è solo quel momento, prima che riprenda il controllo e torni Tony Stark. (Sai, quello che è entrato al MIT a quattordici anni e lo ha portato fuori a bere e ha un sorriso bellissimo, è intelligente, divertente a modo suo e… ed era un bambino, santo cielo!). Steve era rimasto a guardarlo in silenzio, mentre sentiva ancora la sua mano sul petto e la mano di Tony sulla pancia. E cercava di normalizzare il respiro ma…

Santo cielo. Aveva solo quindici anni. Cosa stava facendo? Cosa aveva in testa?

“Uaaaau” aveva biascicato il ragazzo, lasciando andare la maglietta di Steve e tirandosi indietro. Aveva anche fatto quel sorriso infantile, quello che fanno di solito i bambini particolarmente vivaci, quando vogliono coprire una qualche malefatta. O quando vengono scoperti a fare qualcosa di proibito. Se, cinque secondi prima, Tony non avesse avuto il suo petto premuto contro quello di lui, se non avesse sentito il suo cuore battere così forte, se non avesse percepito l'esitazione sulla punta delle dita, ci sarebbe anche cascato. Avrebbe creduto a quel sorriso, a quei gesti, a quelle risate. E tutto suonava così falso che Steve sentiva il bisogno di prendere un respiro profondo e chiudere le mani in due pugni, per riprendere il poco autocontrollo che gli rimaneva e non riprendere tra le sue mani il viso di Tony Stark e farlo sciogliere tra le sue braccia, come stava facendo prima, come ha sentito che stava facendo. “Ho fatto bere Capitano Scopa su per il Culo e l'ho anche baciato alla francese, tutto in una sera.” Aveva ridacchiato. “Uaaaaao. Sono più bravo di quello che pensavo.” Aveva fatto un passo indietro, ancora ridacchiando. La mano di Steve non stava più toccando il petto di Tony. Perché riusciva a pensare solo a questo? Il petto. La mano sul petto. “Non ti preoccupare, Cap. Sono un gentiluomo. Non approfitto di ragazzi brilli.” E poi aveva cominciato a cercare di camminare in linea quasi retta, cercando qualcosa nelle sue tasche e borbottando qualcosa.

“Tony…”

Aveva preso in mano il cellulare e glielo aveva mostrato, dopo aver digitato dei tasti. “Sto chiamando Rhodey, perché deve sapere dei miei prodigi e perché, non so esattamente per quale magico motivo, adora sapere quando ho bevuto. È proprio un cane da guardia.” Aveva portato il cellulare all'orecchio, scuotendo la testa. “Non ti preoccupare, Cap.” Gli offriva un sorriso sincero con la testa inclinata. Gli stava offrendo una scappatoia, una via d'uscita per i suoi valori morali. Tony era un ragazzino e, per quanto fosse intelligente, per quanto potesse essere uno dei migliori del college, del mondo, rimaneva sempre un ragazzino. E gli stava offrendo una via di fuga.

“Okay” aveva risposto lui, annuendo piano. O forse la stava offrendo ad entrambi. Forse stava leggendo troppo nella situazione. (Ma c'era stato quel momento). Magari Tony non stava neanche pensando a lui in quel modo. Bacerebbe tutti, anche se stesso. Lo ha detto lui. (Ma è stato lui a spingerlo via.) “Va bene, allora. Lo aspetto qui con…”

“Rhodey” aveva piagnucolato al telefono il ragazzo. Cinque minuti prima quelle labbra non erano attaccate al telefono ma alle sue labbra. Stava respirando sulle sue labbra. Stava sorridendo tra le sue labbra. Steve. Autocontrollo. “Lascia perdere la tipa bionda. Ho bisogno di gelato. Tre chili di gelato e il quarto film di Star Wars. Perché il quarto è il migliore... Sei degradato a un quarto di amico per aver detto questo. Ho un amico e un quarto... Guarda, ci andrei pure, ma non è andata molto bene, quindi… che vuol dire che devo regalare fiori alla gente? Guarda, dobbiamo fare un pigiama party. Carol può anche rimanere, sai?”

“Tony.”

Tony aveva alzato le spalle e se n'era andato via. Steve non era riuscito a muoversi e fermarlo.





Peter si era addormentato sulla spalla di Steve, quando si era reso chiaro che il viaggio sul pullman sarebbe stato più lungo di quanto fosse stato il viaggio in aereo. I pullman non sembrano suscitargli lo stesso interesse, alla fine. Non può tormentare l'autista di domande. Non c'è nessuna hostess o nessuno steward che risponde pazientemente alle sue teorie e sembra che lui non sia tipo da auto. (E Steve non è di molta compagnia, ha anche sbuffato.)

Ha lottato per avere il posto più vicino al finestrino, lasciato le impronte sul vetro, osservando le smisurate pianure e le colline dai lineamenti duri, che sembrano montagne. Aveva anche scritto su un quaderno che aveva chiamato il Quaderno della Scienza, osservato di nascosto Steve, aveva provato a distrarlo e Steve aveva sorriso, aveva ascoltato, lo sta coprendo con un plaid, mentre lui gli sbava la maglietta e mormora qualche parola. Neanche addormentato riesce a sopportare il silenzio. Peter non riesce a parlare con gli sconosciuti se non ha una base sicura a cui tornare, o un posto, o una maschera dietro la quale nascondersi. Anonimato virtuale, diceva Tony. Steve è felice del fatto che il ragazzino pensi che siano una base sicura.

“Steve” biascica il ragazzino, strofinando la guancia sulla sua spalla. “Non volevo portarvi tutti questi problemi.”

Steve scuote la testa e cerca di coprirlo meglio. “Tu non hai portato nessun problema” risponde a bassa voce, incrociando le braccia e posando la testa contro il sedile, in modo da guardare il tettuccio del pullman. Intorno a loro le persone dormono. Steve non riesce a farlo. Sospira di nuovo e scuote la testa. Dormire è per la gente qualunque, dice sempre Tony.

“È colpa mia se zio Ben è morto in quell'incidente ed è colpa mia se tu sei stato in ospedale.” Peter ha gli occhi chiusi e la sua voce è un sospiro. “È per colpa mia che Tony se n'è andato. E se sta male, è colpa mia.” Aggrotta le sopracciglia. “Mi dispiace” sussurra e rimane immobile, come se avesse svelato il segreto più recondito dell'Universo e non avesse dovuto. Poi sospira, ed il sospiro sembra tanto un'avvertimento prima di un singhiozzo. Come se cercasse di non piangere, ma il suo corpo si rifiutasse e Steve lo trova ingiusto. Cos'hanno fatto a questo bambino? Che errore hanno commesso lui e Tony? (È troppo giovane per sentimenti del genere.) (Non lo dice ad alta voce.) (Ha già ferito una volta così qualcuno, non ripeterà lo stesso errore.) Quali pesi gli hanno lasciato sopra le spalle che Steve non ha percepito? Forse portarlo con lui a giocare ad acchiapparella con Tony non è stata una mossa giusta. Forse dovevano veramente rimanere a Malibù ed aspettare. Tony… non sa se Tony torna, normalmente, perché di solito si è visto andare via, ma non restare. Di solito è Tony che rende casa casa. Steve non sa se riesce a fare la stessa cosa, non sa se ne è emotivamente capace, il che sarebbe una barzelletta, raccontata a qualcuno che non li conosce.

Posa una mano sulla testa castana del ragazzino. “A volte le persone fanno cose” inizia e gira la testa verso Peter, che lo guarda con occhi spezzati, come non è giusto che nessuno li abbia. “Cose terribili, o cose stupide. Cose che possono fare male ad altre persone ma, vedi, solo perché queste persone fanno male a te, solo perché capita che tante cose brutte capitino a te, non vuol dire che sia colpa tua. Non sei stato tu ad investire la tua famiglia, non eri tu alla guida di quelle auto e, francamente, Tony ha deciso di partire per questa sua assurda e sconosciuta missione da solo ed è andato via con le sue gambe. E sta bene. Hai visto Pepper, sarebbe stata la prima a chiamarci, se gli fosse successo qualcosa di brutto.” Steve accarezza la testa di Peter e abbassa la testa quanto basta per poter intercettare il suo sguardo. “Le persone fanno cose. Cose belle e cose brutte. Sono sicuro che sarebbe bellissimo se tutto dipendesse dalle nostre mani, perché tu sei un bambino intelligente e anche troppo buono, ma non è così. Noi possiamo soltanto controllare noi stessi, fare azioni buone e sperare che le persone intorno a noi facciano lo stesso, ma non possiamo sentirci male, o in colpa, se le persone fanno male agli altri, o a noi. Lo capisci questo, vero?”

Peter annuisce, poi si passa il dorso della mano sotto il naso. “Ma” inizia, tirando su la schiena e tenendo la testa bassa. “Tony ha promesso che avrebbe tenuto al sicuro me e zia May. Quindi è colpa mia.”

“Fidati, figliolo” sospira Steve, scuotendo ancora la testa. “Niente di quello che fa Tony è colpa di nessuno. Neanche di Tony.” Poi non dice più niente. Peter non capisce, ma sente gli occhi chiudersi di nuovo.

Si avvolge nella coperta e si addormenta in pochissimo tempo.







“È la cosa più brutta che io abbia visto” aveva commentato Steve, con lo sguardo assottigliato e le labbra arricciate. “Orrenda.”

“È bellissima!” gli aveva parlato sopra Tony, con un ampio sorriso e poggiandogli una mano sulla spalla. “Io e JARVIS lo troviamo un'opera d'arte.”

“Non ho mai detto queste parole, signore” si era difesa l'intelligenza artificiale, per poi zittirsi mentre Steve alzava un sopracciglio e girava le spalle verso Tony, che continuava a sorridere e scuotere la testa.

“Tony, è una delle cose più orrende che tu abbia mai portato a casa” aveva continuato Steve, prima di scoppiare a ridere e passarsi una mano sul viso. Non era riuscito a razionalizzare il pensiero. Aveva solo riso e guardato Tony, che aveva alzato le sopracciglia due volte e poi gli aveva sorriso indietro, come se vederlo sorridere lo potesse rendere la persona più genuinamente felice su questa Terra. (Non c'è più tanta rabbia.) “Un segnale stradale con un…” Steve aveva gesticolato, e Tony aveva scosso la testa. “Con vernice addosso!”

“Come? Non mi avevi detto tu che questa è street art, al pari del flaw, il rap, le treccine sui capelli, i cappelli col berretto e i pagliacci sulle strade?” Tony muoveva le mani con l'indice e il dito medio alto mentre teneva le labbra arricciate. “ La società d'oggi fa schifo. Yo yo, bro, Beyoncé, Brooklyn, Jay-Z, Guido, fratello, break dance.”

“Okay, adesso stai soltanto dicendo parole a caso.” Steve gli aveva preso i polsi, nel tentativo di farlo stare fermo, ma Tony continuava a ciondolare la testa in modo comico. “E stai offendendo gli artisti di strada e l'arte underground.”

“E allora?” Aveva alzato un angolo della bocca e alzato leggermente il mento. Le mani di Steve tenevano ancora strette le mani, e sarebbe bastato alzarsi con la punta dei piedi. Poco poco. Nemmeno tanto. Giusto a sfiorare. Un bacio giusto sfiorato. Steve si sarebbe dovuto abbassare giusto un po'. Giusto quello che bastava. “Catene d'oro, murales, battles, freestyle, beat. Non mi ferma nessuno. Ghetto, get down, Bronx.”

La presa sui polsi si era allentata e forse Steve si era abbassato abbastanza per entrare nello spazio personale di Tony. Continuavano a sorridere divertiti e cosa c'era di così tanto divertente? E perché ad un certo punto le loro due fronti erano così vicine? E da quando…? (Non c'è più tanta rabbia.) Steve aveva sospirato e mancava così poco perché il suo respiro arrivasse sulle labbra di Tony che…

“Capriole.” Aveva inclinato la testa e assottigliato lo sguardo, come se stesse cercando qualcosa nella sua memoria. “Parkour.” Si stava alzando in punta di piedi, Steve lo sentiva a pelle. Era anche troppo vicino. “Metropolitana.” E la punta dei loro nasi si stavano toccando. Gli occhi erano puntati gli uni verso gli altri. La stretta sui polsi di Tony era diventata praticamente nulla, così come il fiato di Steve, fermo, immobile, bloccato. Poi Tony si era tirato indietro. “Ah. Nessuno mi ferma.” Aveva mosso la mano con nonchalance. “Tutto questo parlare di arte di strada mi ha fatto venire voglia di un hotdog. Voglio un hotdog. JARVIS. Hotdog. Due hotdog. Due e mezzo. Quanti ne vuoi, Steve? Tre? Allora quattro hotdog. Uno per me e tre per Steve. Tanto poi va in palestra. Facciamo quattro per Steve. Cinque hotdog. JARVIS, trova un posto che fa hotdog e che li porta a domicilio e ordina cinque hotdog. Di quelli ignoranti, con la cipolla dentro.” Steve era rimasto fermo, dove lo aveva lasciato pochi secondi prima, incapace di muovere un muscolo, seguendo solo con gli occhi i movimenti dell'altro.

“Fatto, signore.”

Tony si era gettato di peso sul divano bianco, afferrando dal tavolino il suo Starkpad e giocandoci, o lavorandoci sopra, Steve ancora non capiva la differenza, con lui. “Che schifo la società moderna, eh Cap?” E la frase era uscita dalle sue labbra con una falsità tale dal far ridere Steve.

Quando aveva smesso di scuotere la testa, aveva intercettato lo sguardo di Tony, che si mordeva il labbro, guardandolo da sopra lo schermo davanti a lui.

(Non c'è più rabbia.)







Peter segue Steve in mezzo ad infiniti campi coltivati di qualcosa che sembra mais, o che forse è solo erbaccia e si guarda intorno, chiedendosi perché il taxi abbia detto che questa strada non è stata ideata per macchine moderne, che non siano trattori. Tiene strette le spalliere dello zaino e lo sente. Sente che sono vicini, che Tony è lì vicino e ci saranno risposte, finalmente, risposte. È un po' stanco, fisicamente parlando. Gli sembra che camminino da ore, sono scesi poco fa da una macchina, però. È che fa freddo, ha le mani arrossate e le labbra screpolate. Forse questi sono campi di barbabietole. Non ha mai visto una barbabietola e nemmeno così tanta neve su così tanta pianura. Non sa nemmeno se sono buone le barbabietole. Però sono belle parole. Barbabietole. Barbabietola. Barba. Bietola. Bio. Rio. Pio. Pi-nguino.

“Non…” Steve sospira e una nuvoletta di anidride carbonica so materializza davanti a lui. “Sto provando a… ma non…” Rallenta il passo e scuote la testa. A Steve non piace il freddo. Almeno adesso non nevica. Peter alza gli occhi su di lui e inclina la testa.

“Ai vostri amici piace il Canada? Da noi dicono sempre che è il momento di trasferirsi in Canada, ma poi non si trasferiscono mai.” Il ragazzino alza le spalle e prende il passo di Steve. “Alla fine devi nascondere qualcosa di grosso per vivere in un posto così.”

“Come il Canada?”

“Come questa campagna sperduta, lontana da ogni centro commerciale, ogni cinema, ogni fumetteria e ogni scuola.” Peter fa una pausa, prima di ricominciare a parlare, più perché ha il fiato corto che per qualche altro motivo. “Per caso, il vostro amico fa di cognome Kent? Tipo Clark Kent? Si sono trasferiti qui dal Kansas, più precisamente, da Smallville?” chiede.

“Smallville non esiste per davvero.” Steve scuote la testa e sorride. Lo fa spesso. Sa di genitore quando lo fa. Come quando zio Ben lo guardava con quegli occhi e gli diceva Buonanotte, Campione. Come quando la mamma gli raccontava qualche storia. Come quando papà gli sorrideva e rispondeva a tante domande senza senso, fatte durante la colazione, per allungare quel momento in cui erano tutti e tre seduti a tavola e Peter non voleva che se ne andasse. C'è quell'affetto nel sorriso di Steve. È una bella sensazione.

“Lo so” risponde Peter e aspetta. “Ma sarebbe stato bello. Sai. Viviamo qui per nascondere questo ragazzo con superpoteri. O perché hanno dei superpoteri. Sarebbe forte.”

“Beh, loro -loro hanno qualcosa che vogliono proteggere.” Steve alza le spalle, si guarda intorno. “Vite di bambini che -loro non hanno un lavoro come altri. Ma sono dalla parte dei buoni. Hanno aiutato Tony con le Stark Industries, immagino questa sia una garanzia ora che conosci Tony, no? Ma il lavoro di Clint non tiene al sicuro la sua famiglia. Non è giusto che bambini non possano essere bambini.” Abbassa lo sguardo, continua a camminare. “Proteggono loro.”

“È una bella cosa.”

“Già.”

Peter gli saltella affianco. Sembra davvero un'eternità da quando hanno iniziato a camminare al freddo e la sciarpa copre le guance del ragazzino, ma il naso sente che sta per perderlo tra poco tempo. Ha le orecchie calde, però. Non sa esattamente che stregoneria sia mai questa, stregoneria per modo di dire, ovviamente, lui è uno scienziato a certe cose non ci crede, ma ha le orecchie bollenti. La casa dev'essere quella a qualche centinaio di metri. Non è lontano. Manca poco.

“Posso farti una domanda, Peter?” chiede Steve, e rallenta un altro po' il passo. “Come ho fatto a dimostrare a Tony che ha un cuore?”

Peter alza le spalle e valuta se raccontare la storia corta o la storia breve. Sente che se parlerà più del dovuto gli cadrà la lingua gelata. “Glielo hai spezzato.” Opta per la storia breve. Poi alza un lato delle labbra. Steve non sembra nemmeno sorpreso. Annuisce e continua a camminare. Peter ha la strana sensazione che questo sia il suo modo di affrontare le cose. Annuire e continuare a camminare, metaforicamente parlando. Si chiede se piangerà quando vedrà Tony. Questi due piangono sempre. Piangeranno anche al rivedersi. Sicuramente. Sarà imbarazzante. Intanto Steve annuisce e cammina, perché non sa cosa succederà quando si fermerà.

Camminano.

Camminano.

Peter vorrebbe aggiungere altro a quello che ha detto, qualcosa di sdolcinato, o di stupido, o di strano, ma non riesce a farlo. Sente la lingua ghiacciata, le labbra incollate tra loro. Non deve dire niente. Qualcuno corre davanti alla casa innevata e inizia a gridare parole incomprensibili. Qualcun altro risponde. Peter e Steve cercano di aguzzare lo sguardo ed altre persone gridano qualcosa in risposta.

“È arrivato!” grida una bambina. “Sono arrivati!” risponde un bambino. Ed entrambi corrono senza meta, tra la neve. “Zio! Zia! Sono qui!”

Peter inclina la testa, puntando gli occhi in alto prima suo cielo e poi su Steve. Odia parlare con gli sconosciuti, soprattutto se sono della sua età. Soprattutto se sa che non può tornare immediatamente alla base sicura, se qualcosa andrà storto. Peter deve parlare con quei ragazzini. Qualcosa andrà storto. Steve e Tony devono parlare, quindi non può andare a nascondersi da alloro se qualcosa non va e non ha una maschera da mettersi, né l'anonimato di internet. La cosa sembra che andrà male. “Immagino parlino di noi” commenta Steve e prende un respiro profondo. Annuisce e cammina.

Camminano.

Camminano insieme.






Tony si era inginocchiato per parlargli occhi negli occhi, lo faceva spesso e intorno a loro c'erano persone che correvano, infermiere che spettegolavano, dottori che ridevano. Peter stava bevendo della cioccolata calda. Tony si era accarezzato il retro del collo, prima di abbassarsi per poter parlare con Peter.

“Campione” aveva iniziato, poi si era leccato le labbra e aveva scosso la testa. Peter aveva bevuto un altro po' della sua cioccolata. “Devo chiederti di fare una cosa da -lo so che non vuoi lasciare tua zia e…” Aveva di nuovo scosso la testa. “Sei un ragazzo grande, vero?”

“So contare fino a cento usando solo i numeri primi.”

“Cento non è un numero primo.” Tony aveva alzato un sopracciglio, con un sorriso storto e gli occhi ancora puntati su di lui.

Peter aveva alzato le spalle.

“Peter. Devo chiederti un favore enorme. E per farlo devo dirti delle cose che devono rimanere soltanto tra me e te e che forse non dovrei dirti perché sei…” Aveva arricciato le labbra, alla ricerca delle parole giuste. Non le aveva trovate ed aveva sospirato. “Sembra una stupida -ascoltami. I tuoi genitori erano dei geni, vero? Ti hanno portato in uno dei loro laboratori, sono sicuro, e stavano lavorando a qualcosa d'importante, di rivoluzionario.” Gli aveva posato una mano sulla spalla.

“La cura per tante brutte malattie.” Peter aveva annuito, intrecciando le dita intorno alla tazza di cioccolata. “Io l'ho visto.”

“I tuoi genitori -loro lavoravano per me. Nel senso. Non per me-me. Per un'azienda gemellata alle Stark Industries, diciamo così. Per questo non -hanno fatto una scoperta miracolosa. E pericolosa. Un modo per giocare con il DNA, a quanto pare. Sai che alcuni di noi nascono con geni diversi, i mutanti, ne hai sentito parlare? Molti pensano sia una leggenda ed è un bene che le persone continuino a pensarla così. Sono ragazzi come te e me, e come tu sei un genio, loro hanno abilità spettacolari, fanno parte di loro. Non escono allo scoperto per paura. Prima che tu nascessi, ci sono stati -sono successe brutte cose. E tanti di loro continuano ad essere spaventati, soprattutto da loro stessi. I tuoi genitori, partendo dal loro DNA, hanno trovato il modo di togliere e ridare queste abilità alle persone. Ovviamente non hanno mai pensato a questo. Togliere le abilità ad uno di quei ragazzi, sarebbe come togliere a te i capelli.” Si era passato una mano sul viso, abbassando lo sguardo. Non era nemmeno sicuro che star dicendo queste cose a Peter fosse la cosa giusta. Il ragazzino aveva aggrottato le sopracciglia. “Appena hanno capito quello che avevano in mano hanno chiamato il dottor Banner. E quindi anche me.” Aveva sorriso, alzando le spalle. “Avevano paura che le loro formule e le loro ricerche, finissero nelle mani sbagliate, lo capisci? Peter. Forse, l'incidente dell'autobus non è stata una coincidenza. Non esistono le coincidenze. Hanno attaccato le nostre famiglie. Lo capisci?”

Il ragazzino aveva annuito e Tony aveva annuito di riflesso.

“Te lo sto dicendo perché ho bisogno che tu mi aiuti a -queste persone cattive hanno trovato la tua famiglia, e vogliono fare del male alla tua famiglia, perché i tuoi genitori hanno nascosto qua dentro…” Aveva posato il dito indice sulla tempia di Peter. “…le formule. È inutile che ti racconti tutta la storia del cervello, vero? L'unica copia di tutto quello su cui hanno lavorato, sei tu. Sei diventato un doppio tesoro. E allora ti dobbiamo proteggere. Lo capisci? E non lo posso fare in ospedale, perché se rimaniamo qui anche dopo le dimissioni di Steve, non potrò lavorare in laboratorio, non potrò contattare quelle fantastiche spie che stanno tenendo d'occhio i possibili cattivi, e non posso parlare con l'avvocato che manderà in galera chiunque abbia fatto tutto questo.” La voce di Tony era salita di pochissimo, quasi a cercare di coprire quella rabbia che i suoi occhi si lasciavano sfuggire. “Quindi. Posso chiederti di venire a casa con me?”

“Io voglio aiutare” aveva detto Peter, annuendo. “Ma non posso abbandonare zia” ripete per l'ennesima volta in giorni e scuote la testa. “Non posso.”

“Ti giuro che la terremo al sicuro.” Tony aveva accarezzato la testa del ragazzino, annuendo. “Ti giuro su quello che ho di più caro che la proteggeremo. E la faremo pagare a quei figli di puttana.” Aveva chiuso gli occhi nella realizzazione di quello che aveva appena detto. Una parolaccia. Peter aveva sorriso. “Ti prego, non dire a Steve che ho detto una parolaccia davanti a te. Ti compro l'ultima PlayStation. Ti farò andare a dormire all'ora che vuoi. Potrai vedere la TV fino alle tre del mattino.”

Peter aveva sorriso e bevuto l'ultimo goccio di cioccolata. “Okay.”

“Okay a quale parte della mia corruzione?”

“A tutt'e tre.”









 

 

  
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