Film > Big Hero 6
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Autore: LittleBloodyGirl    19/01/2017    3 recensioni
"Hiro distolse per un attimo lo sguardo dalle nuvole davanti a lui per osservare il suo riflesso in quegli specchi. Guardò il suo viso, i suoi occhi che brillavano di eccitazione e felicità. E sorrise, lasciando che un dolce ricordo ritornasse a illuminare la sua mente che era rimasta all'oscuro troppo a lungo in quei giorni di tempesta interiore.
Aveva volato da piccolo sulle spalle di suo fratello. Era sempre riuscito a volare grazie a lui.
E ora era lì, sospeso nell'aria a giocare con le nuvole mentre osservava il ricordo di quei momenti nel riflesso di uno dei grattacieli più alti della città.
Ed era felice, come se Tadashi fosse sempre stato lì con lui. Come se Baymax fosse sempre stato lì con lui."
In occasione della serie tv che andrà in onda quest'anno, una versione scritta di uno dei film più belli che siano mai stati creati. Un'analisi oggettiva delle emozioni e dei momenti più importanti che Big Hero 6 ha regalato al suo pubblico. Naturalmente ricoprirò l'intera trama del film, quindi se non lo avete ancora visto fate attenzione agli spoiler!
Spero che vi piaccia.
Genere: Azione, Drammatico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Il rombo delle automobili risuonava nel quartiere. La vita scorreva normalmente. La gente si affrettava al lavoro, si concedeva ore di svago per andare al parco o fare shopping. I negozi ospitavano i propri clienti con caldo benvenuto, vendendo i loro prodotti. Il vecchio Kikuchi, il fioraio sotto casa, era chiuso quel giorno. Lui e zia Cass avevano stretto amicizia quando la donna si era trasferita nella zona per dirigere la sua caffetteria. L'uomo aveva deciso di tener chiuso il suo negozio per rispetto.
Mochi continuava a miagolare intensamente. Stava seduto davanti alla porta di casa, in attesa che il suo padrone l'aprisse e lo accogliesse tra le sue braccia come aveva sempre fatto. Ma non succedeva più da molti giorni ormai, e il gatto continuava a miagolare, come un bambino che piange nella notte.
I petali dei crisantemi che componevano la ghirlanda fuori dalla porta del Lucky Cat Cafè danzavano delicatamente sulle note inascoltabili di una brezza fredda, accompagnando i rami dei ciliegi sul viale. Il sole era tornato a splendere, illuminando le strade trafficate. Sembrava una giornata come tante altre per tutte quelle persone là fuori.
Per Hiro, invece, le giornate dopo il funerale non erano più state le stesse. Una fiacca monotonìa aveva preso il sopravvento sulla sua vita. Il suo lato della stanza era immerso in un'oscurità affievolita dalla luce del mattino che spirava tra le fessure delle persiane. Non aveva bisogno del sole. Come avrebbe potuto goderne, quando Tadashi era metri sotto terra? Lì il sole non arrivava, solo freddo e umidità.
Se avesse potuto, anche lui sarebbe sprofondato nella terra gelida. Almeno in quel modo, sarebbero rimasti insieme.
Vedere la vita scorrere normalmente fuori dalla finestra della sua stanza gli fece ancora più male, e decise di spostarsi sulla sua poltroncina di cuoio. Si accasciò su di essa, guardando senza interesse il Megabot che teneva tra le mani. Usciva ogni sera, di nascosto da zia Cass. Aveva ricominciato a fare i Bot-Duelli, a scommettere, a distruggere i suoi avversari e a intascare i soldi senza la minima emozione. Non gli importava più nulla di niente, ormai. Sapeva che era pericoloso, e che una notte sarebbe potuta non finire bene per lui. Ma dopo la morte di Tadashi, nulla aveva più senso. Neanche il pericolo di essere massacrato di botte lo spaventava. Anzi, era proprio quello che voleva.
La spirale catatonica in cui era avvolto in quei giorni senza scopo lo abbracciava, cullandolo tra le sue mani scheletriche. La depressione in cui era precipitato era un pozzo profondo da cui non riusciva a uscire, e allo stesso tempo una grande pelliccia che lo teneva al caldo, una coperta di morte di cui non aveva paura.
Non riusciva più a fare niente da quel giorno. Non riusciva a inventare, nè a costruire, nè ad aiutare zia Cass nella caffetteria. Preferiva restare chiuso in camera, lontano da quelle persone felici e da quei sorrisi spensierati. Non poteva capirlo nessuno. E lui non poteva capire loro, nè la loro felicità. Non più.
<< Ciao, tesoro. >>
Cass si presentò sulle scale, avvicinandosi a Hiro con passo esitante. In mano teneva un piatto di frutta fresca e un muffin ai mirtilli. Quella era la colazione preferita di suo nipote, che ormai non scendeva più neanche a mangiare in cucina. Hiro procedette a nascondere il Megabot, rivolgendo alla donna un sorriso forzato.
<< Ciao, zia Cass. >>
<< La signora Matsuda è al piano di sotto. Indossa un vestitino non proprio adatto a un'ottentenne! Dovresti scendere... >>
<< Magari dopo. >>
Solitamente, quel commento sulla vecchia cliente prosperosa del Lucky Cat Cafè lo avrebbe fatto ridere. Adesso, gli sembrava soltanto una triste battuta priva di senso. In fondo, a loro cosa importava di cosa indossasse la signora Matsuda? Declinò l'invito a scendere, non era dell'umore per affrontare tutta quella gente al piano di sotto. Tanto meno era in vena di svagarsi. Non ne aveva le forze.
<< Mmh... Hanno richiamato dall'università. I corsi sono già iniziati da due settimane, ma... Dicono che sei ancora in tempo per iscriverti. >>
Cass posò sul davanzale della finestra il piatto della colazione e prese la cena ormai fredda della sera prima. Notò tristemente che Hiro non aveva nemmeno toccato la bistecca o l'onigiri che gli aveva preparato.
Di solito divorava tutto subito.
Aprì la persiana, permettendo ad un raggio di sole di entrare e smuovere il pulviscolo invisibile da ogni parte della stanza e il suo sguardo smeraldino cadde sulla lettera di ammissione che giaceva sulla scrivania, mai aperta. La prese delicatamente fra le dita, come se fosse un petalo fragilissimo di un fiore pregiato, e la sistemò accanto al computer.
Avrebbe tanto voluto che Hiro cominciasse ad andare al college. Era sicura che lo avrebbe aiutato a risollevarsi, a superare il trauma che aveva subito e ad andare avanti. Ma Cass sapeva anche che non poteva forzare suo nipote a fare nulla, in quel momento.
La morte di Tadashi era stato come un incubo che si era ripetuto, e la donna non avrebbe mai voluto che Hiro sperimentasse lo stesso dolore che aveva provato lei quando aveva perso la sua gemella, la mamma del nipotino. Ci doveva essere una maledizione sulla loro famiglia, aveva pensato in un momento di disperazione. Il senso di colpa che l'affliggeva per non essere stata in grado di proteggere Tadashi la tormentava, come un parassita che rosicchiava pian piano le corde dell'autostima e della sicurezza. Hiro non lo diceva, ma sapeva che la zia scoppiava in lacrime una volta finita la giornata e si ritrovava da sola, di notte.
Ancora capitava che apparecchiasse la tavola per tre, e quando se ne rendeva conto era così difficile per lei trattenere il pianto.
Vederla in quello stato peggiorava soltanto la condizione di Hiro. Sapeva che avrebbe dovuto abbracciarla e cercare di farla sentire meglio, così come lei stava provando a fare con lui, ma non ci riusciva. Non riusciva a mettere piede fuori dalla sua camera se non per andare ai Bot-Duelli di nascosto, a notte fonda.
E poi l'università, l'ultimo posto dove Hiro voleva andare. Aveva perso tutto in quel luogo. L'unica persona che gli era stata accanto per tutto quel tempo era stata uccisa dalle fiamme devastanti che erano scoppiate per un motivo ignoto in uno dei suoi edifici. Come poteva zia Cass pretendere che lui tornasse lì, facendo finta che non fosse successo niente? Facendo finta che non mancasse niente?
<< Va bene, grazie. Ci penserò su. >>
La sua risposta laconica fece capire alla zia di dover togliere il disturbo. Cass sospirò e si diresse giù per le scale con uno sguardo afflitto che Hiro non ebbe modo di vedere. Gli occhi nocciola del piccolo scrutarono infastiditi quel raggio di sole che penetrava dalla finestra che la donna aveva appena aperto. Si alzò e la chiuse di nuovo.
Non voleva luce nella sua camera. Tadashi non sarebbe più riuscito a vederla, quindi non l'avrebbe vista neanche lui.
Si sedette alla scrivania e accese il computer, collegandosi alla pagina internet dei Bot-Duelli. La casella chat segnalava un messaggio-video. Vi cliccò sopra, senza il minimo interesse. Davanti a lui, apparvero i volti di Gogo, Honey Lemon, Fred e Wasabi che lo salutarono tristemente. Sui loro volti un sorriso forzato che cercava di nascondere il dolore per la perdita del loro collega.
<< Ciao Hiro, volevamo solo salutarti... E sapere come stai... >> Fece Honey Lemon, che riprendeva probabilmente con il suo cellulare.
Hiro odiava quella domanda. Era così finta e retorica in certe situazioni, che spesso si era chiesto perchè la gente sprecasse il fiato a pronunciarla.
<< Ci manchi, piccoletto. >> Aggiunse Wasabi.
<< Hiro, se avessi un super potere adesso, vorrei infilarmi dentro la telecamera e darti un abbraccione. >>
Fred aveva chiaramente gli occhi lucidi mentre pronunciava quella frase.
Hiro chiuse il video prima che potesse finire e si alzò dalla sedia, più infastidito che sollevato dalla preoccupazione dei colleghi di Tadashi.
Se non fosse stato per il fratello, i ragazzi non avrebbero mai neanche saputo della sua esistenza, e il solo motivo per cui riceveva tutte quelle attenzioni era perchè si sentivano in dovere di farlo per il collega scomparso. Era per Tadashi che lo facevano, non per lui. E Hiro non aveva bisogno di altra pietà da parte loro. Voleva soltanto restare solo.
Il suo sguardo cadde sulla lettera d'ammissione accanto al suo Megabot. La prese tra le mani, sfiorando la superficie ruvida con i polpastrelli.
Aveva sudato tanto per ottenere quella lettera, quel pezzo di carta che gli avrebbe permesso di entrare nella scuola più prestigiosa della città. Il suo biglietto per il futuro.
Tadashi avrebbe voluto che ci andasse, che ricominciasse a vivere, a inventare, a costruire. A usare il suo talento per qualcosa di importante.
Tadashi avrebbe voluto che stesse vicino ai suoi amici, in modo che questi sarebbero poi diventati anche amici di Hiro.
Ma Tadashi non c'era più. Se n'era andato. E non sarebbe tornato.
Come poteva Hiro scegliere di condurre una vita nuova senza suo fratello, senza sentire la mancanza della persona più importante della sua vita?
No. Tadashi non avrebbe più potuto avere la vita che sognava, la vita che sognavano entrambi. Quindi non l'avrebbe avuta nemmeno lui.
Lasciò cadere la lettera nel cestino della carta, sotto la scrivania. Non ne valeva più la pena, ormai.
Prese il Megabot per stendersi di nuovo sulla poltroncina quando uno dei magneti che lo tenevano insieme si staccò dalla parte superiore e cadde violentemente sull'alluce del ragazzino, procurandogli un fortissimo dolore. Hiro barcollò fino al capezzale del letto, stringendo la parte lesa tra le mani.
<< Ahi! >>
Un rumore familiare si insinuò nelle sue orecchie, costringendolo a voltarsi. Rimase sorpreso nel vedere Baymax, il robot costruito da Tadashi, osservarlo dall'altra parte della stanza. L'automa guardò prima a destra e poi a sinistra, cercando un modo per spostarsi dall'intervallo tra il letto e la libreria. Mosse piccoli passi verso la sua destra e si bloccò di nuovo, osservando Hiro che nel frattempo lo guardava confuso. Alzò leggermente le braccia gonfiabili e tentò di passare in maniera goffa. Sembrava quasi un pinguino con qualche difficoltà a camminare sul ghiaccio. Al suo passaggio, urtò alcuni dei libri di studio di Tadashi, che caddero a terra con un tonfo leggero. Una volta libero, Baymax abbassò le braccia e si diresse finalmente verso Hiro, sollevando la mano bianca per simulare il saluto.
<< Ciao, io sono Baymax. Il tuo operatore sanitario personale. >>
La sua voce dal forte suono umano e caldo riportò Hiro alla prima volta che lo aveva visto.
<< Ciao, Baymax... Io non sapevo fossi ancora... Attivo. >>
<< Ho sentito un verso di dolore. Dimmi, qual'è il problema? >> Chiese il robot, inclinando un po' la testa.
<< Oh, ho solo preso una botta al piede. Sto bene. >>
Probabilmente, la sua risposta non doveva averlo convinto perchè Baymax portò leggermente in avanti il pancione, che si illuminò con la schermata della scala grafica del dolore.
<< In una scala da uno a dieci, come valuti il tuo dolore? >>
<< Uh... Zero? Sto bene, davvero. Ora puoi anche zipparti. >>
<< Ti fa male se lo tocco? >>
<< No, non serve! Non si tocca! >>
Hiro non riusciva a capire per quale motivo Baymax insistesse tanto. La botta era stata forte, ma il dolore era ormai passato e non c'era effettivamente bisogno di nessun rimedio medico. Cercò di allontanare il robot che tentava costantemente di toccargli il piede, quando nel farlo inciampò sulla cassetta degli attrezzi dietro di lui e cadde tra il letto e la scrivania. Cercò di tirarsi fuori, ma si arrese subito all'idea di essere rimasto incastrato. La solita fortuna, pensò. Solo un imbranato magro come lui poteva essere capace di incastrarsi in uno spazio così ristretto.
Baymax si chinò su di lui, scrutandolo con curiosità.
<< Tu sei caduto. >>
<< Davvero?! >>
Replicò sarcastico il ragazzino. Allungò un braccio, tentando di afferrare la mensola appena sopra la scrivania per tirarsi su quando il gancio che la teneva rigida alla parete si spezzò, inclinandola. In poco tempo, tutte le action figures, i modellini e pupazzetti di Hiro gli caddero addosso, ricoprendolo come un alberello di natale disordinato. Baymax non faceva altro che domandare quanto Hiro valutasse il suo dolore ogni volta che uno di quelli gli finiva in faccia.
<< Zero! >> Esclamò spazientito, gli occhioni castani erano l'unica cosa che spiccava tra i giocattoli.
<< Puoi anche piangere se vuoi. Il pianto è una naturale conseguenza del dolore. >>
<< N-non sto piangendo! >>
Baymax si era finalmente degnato di aiutarlo a tirarsi fuori dal minuscolo spazio vitale, prendendolo in braccio come fosse un neonato. Hiro rimase per un momento incredulo davanti alla gentilezza del robot, ma si divincolò subito dalla sua presa, imbarazzato.
<< Ora eseguirò uno scan. >>
<< Non provarci nemmeno! >>
<< Scan completato. >>
<< E' incredibile... >>
Non aveva neanche fatto in tempo a impedirgli di scansionarlo che Baymax aveva già provveduto a fargli un analisi più che accurata del suo organismo.
<< Non hai riportato alcuna lesione. Tuttavia, i tuoi livelli di ormoni e neurotrasmettitori indicano che sei soggetto a sbalzi d'umore, comuni nell'adolescenza. >>
 Hiro ascoltava in silenzio con uno sguardo di pura confusione. Sembrava che Baymax avesse preso le veci di uno strizzacervelli e lo stesse analizzando con una strana tecnica freudiana. Perchè gli stava riferendo la sua attività ormonale e neurale? Qual'era la conclusione di tutto ciò?
<< Diagnosi: pubertà. >>
<< Whoah, cosa?! >>
Baymax puntualizzò il suo resoconto, puntando un dito verso l'alto. Hiro non potè fare a meno di essere sopreso dall'inaspettata risposta del robot e sentì le guance accaldarsi. Quella discussione stava prendendo una piega molto strana. Tossicchiò, decidendosi a prendere la custodia del robot.
<< Va bene... Mmh... Ora puoi disattivarti! >>
Peccato che il robot non sembrava interessato al fatto che il suo "paziente" fosse chiaramente in imbarazzo.
<< Dovrai aspettarti un incremento pilifero. Specialmente sul volto, sotto le ascelle, sul petto, sulle gambe e... >>
<< Grazie! E' sufficiente! >>
Hiro sapeva bene quali fossero i vari stadi della pubescenza, e non aveva bisogno di sentirselo dire da un robot infermiere. Era meglio chiudere subito quella conversazione, prima che potesse degenerare!
Appoggiò la custodia di Baymax per terra e si arrampicò su di lui per tentare di farlo entrare nel piccolo spazio. L'automa, intanto, continuava ad elencare le varie caratteristiche tipiche del passaggio dall'età infantile all'adolescenza, tra cui l'urgenza di soddisfare alcuni impulsi strani e irrefrenabili. Hiro forzò le braccia, cercando di schiacciare Baymax per farlo entrare nella sua custodia, ma il vinile e l'aria compressa al suo interno gli rendevano la cosa estremamente difficile. Il risultato fu un inutile appiattimento del robot, che gli conferiva una forma grottesca.
<< Non posso disattivarmi finchè non mi dici che sei soddisfatto del trattamento. >>
Finalmente Baymax sembrò comprendere ciò che Hiro voleva davvero e gli rammentò il modo per disattivarlo.
<< Va bene! Sono soddisfatto del... Ah! >>
Si ritrovò a terra con un balzo dopo essere scivolato sopra Baymax. Sbuffò seccato, quando la sua attenzione venne attirata dalla felpa gettata sotto il suo letto. Sembrava esserci qualcosa nella sua tasca, qualcosa che si muoveva freneticamente. Hiro la prese e vi infilò la sua mano, tirando fuori il piccolo microbot che aveva usato per presentare il suo progetto alla fiera. Si ricordò d'un tratto di averlo rimesso in tasca una volta che Alister Krei gli aveva chiesto di poterlo vedere da vicino. La cosa strana era il modo in cui si muoveva. Sembrava un'ape impazzita.
<< Non capisco... Sono confuso. >>
<< Un pubescente che si affaccia alla maturità può capitare che abbia le idee confuse. >> Asserì Baymax, avvicinandosi a lui.
Hiro lo ignorò, posando il microbot in una piccola teca di vetro.
<< No. Questo qui è attratto dagli altri microbot, ma è impossibile. Sono andati distrutti nell'incendio... Forse è impazzito. >>
Lo osservò per un pò, prima di decidere di lasciar perdere, e recuperò il pezzo rotto del Megabot, sedendosi alla scrivania per ripararlo. Baymax, incuriosito dal piccolo bot, prese la teca dove Hiro lo aveva posato e ne seguì distintamente il movimento.
<< Il tuo piccolo robot cerca di andare da qualche parte. >> Informò, tenendolo tra le mani gommose.
<< Ah, si? Allora... Scopri dov'è diretto. >>
<< Questo stabilizzerebbe i tuoi sbalzi d'umore puberali? >>
<< A-ah, assolutamente si. >>
In realtà, era palese che Hiro non aveva il minimo interesse di sapere perchè il microbot si stesse comportando in quel modo. Riteneva certo che fosse rotto e che in realtà non stesse cercando nulla, nè tanto meno di condurli da qualche parte. D'altra parte, Baymax era solo un robot, non poteva essere così intelligente da aver capito dove voleva andare il minuscolo bot, sempre ammesso che volesse andare da qualche parte. Mentre stava avvitando uno dei ferretti che si era sganciato dal Megabot, il ragazzino sentì distintamente il campanello della porta della caffetteria, con tanto di porta chiusa al seguito. Alzò lo sguardo, sorpreso di non sentire più Baymax che gli parlava di continuo.
<< Uh... Baymax? Baymax? >>
Chiamò il nome del robot un paio di volte, cercandolo per la stanza. Quando capì che non c'era, la realizzazione lo urtò come un muro di mattoni. Si affacciò alla finestra per vedere Baymax camminare incurante in mezzo alla strada, rischiando di venire investito o di causare un incidente. I freni dei veicoli che per poco non lo avevano colpito in pieno stridevano fuiosamente sull'asfalto. Hiro urlò, si infilò in fretta le scarpe e la felpa e scese nella caffetteria per uscire e recuperare il robot. Il locale era di nuovo pieno, e molti clienti stavano ordinando o gustando le loro ordinazioni composte da caffè, cioccolata calda, muffin e crostate alla fragola. Appena Hiro fece per raggiungere la porta, zia Cass lo vide e lo fermò, sorpresa.
<< Hiro? >>
<< Eh-ehi, zia Cass! >>
<< Oh... Sei in piedi! >>
<< Già... Ehm... era arrivato il momento! >>
<< Vai a iscriverti all'università? >>
<< Ehm, si! Ho pensato al tuo discorso, è stato illuminante! >>
<< Oh, tesoro! E' fantastico! >>
Cass abbracciò forte il nipotino, un sorriso felice illuminava il suo viso. Hiro, invece, aveva una tremenda fretta di fuggire fuori per recuperare Baymax prima che fosse troppo tardi. Gettò uno sguardo con la coda dell'occhio fuori dalla porta vetrata del locale e vide distintamente il suo grosso corpo bianco girare l'angolo, concentrato a seguire la strada che il microbot gli stava indicando. Cercò di divincolarsi delicatamente da lei, che nel frattempo elencava la spesa che avrebbe fatto per preparare la cena.
<< Allora stasera preparo le ali di pollo! Quelle piccanti, che ti fanno fare le facce buffe! >> Esclamò contenta, facendo una smorfia.
<< Ok, non vedo l'ora! >> Tagliò corto Hiro.
<< Ultimo abbraccio! >>
La donna lo strinse di nuovo a sè, prima di lasciarlo andare con un sorriso malinconico. Il ragazzino si precipitò fuori, scontrandosi con il traffico e il rumore che ormai era diventato soltanto un suono attutito dalla finestra della sua camera. Svoltò l'angolo rischiando di cadere e riuscì a vedere Baymax che attraversava la strada, gli occhi neri fissi sul microbot, incurante dei camion, i motorini e le automobili che lo evitavano per un pelo o che frenavano bruscamente. Gli sguardi increduli della gente si soffermavano su quell'essere bianco e paffuto che camminava tranquillamente per la via.
Hiro chiamò il suo nome, ma sembrava che il robot non riuscisse a sentirlo. Fermato dal traffico, il ragazzino fece il giro largo del quartiere, ritrovandosi in una delle vie centrali. Si guardò intorno, cercando Baymax con lo sguardo quando lo notò serenamente appostato su un tram che percorreva la strada principale. Cercò di seguirlo, ma al suo passaggio i semafori scattarono con il verde, permettendo ai veicoli di ripartire e per poco non venne investito da un'auto. Raggiunto il tram, che si era finalmente fermato, Hiro notò che Baymax non c'era più. Attraversò un vicoletto che si estendeva dalla piazza ai quartieri commerciali. Quella zona era sempre affollatissima, la gente camminava stretta e a pochi passi di distanza come formiche laboriose.
Hiro intravide Baymax girare l'angolo di un vicolo più stretto. Cercò di raggiungerlo, facendosi strada tra le persone.
Odiava le folle, era uno dei motivi per cui non usciva spesso di casa! Il disordine inadatto che tutta quella gente procurava senza scopo, ma quasi intenzionalmente lo aveva sempre irritato.
Riuscì ad insinuarsi nella stradina imboccata dal robot poco prima e si fermò un'istante, guardando in tutte le direzioni prima di vederlo di nuovo. Corse nella direzione in cui andava, ma scivolò su uno scatolo ancora umido di sushi lasciato per terra. Si rimise in piedi e tornò ad inseguirlo, incurante della botta che aveva preso alla schiena.
Finalmente lo raggiunse. Baymax stava in piedi davanti ad un magazzino abbandonato. Il legno con cui era stato costruito era ormai marcito, e nella recinzione che lo isolava dal terreno al di fuori di esso erano cresciute erbacce e piante infestanti. Le finestre erano ridotte a semplici fori, alcuni dei vetri erano andati in frantumi.
<< Baymax! Sei impazzito! Che stai facendo?! >> Chiese Hiro, raggiuggendo il robot.
Si piegò sulle ginocchia per riprendere fiato. Quella corsa lo aveva distrutto, e aveva un dispersato bisogno di ossigeno nei polmoni brucianti.
<< Ho scoperto dove vuole andare il tuo piccolo robot. >> Affermò Baymax, con la sua solita pacatezza elettronica.
<< Te l'ho detto, non funziona! Non sta cercan... do...? >>
Hiro prese la piccola teca di vetro in cui era conservato il microbot dalle mani di Baymax e si rese conto di cosa il robot volesse dire. Il piccolo bot ora non faceva più movimenti sconnessi, ma sembrava seguire una direzione precisa. L'entrata del magazzino. Hiro si avvicinò al portone in acciaio, ma constatò subito che era chiuso a causa di una spessa catena avvolta intorno alle maniglie che culminava in un lucchetto di bronzo.
Non c'era modo di entrare.
<< Lì c'è una finestra. >> Notò Baymax, guardando in alto.
Effettivamente ad una delle finestre più basse mancava la vetrata inferiore. Ma per Hiro era comunque troppo alta. Baymax si offrì volontario per aiutarlo, permettendogli di arrampicarsi sul suo corpo per raggiungerne il davanzale scrostato. Il ragazzino non ascoltò ciò che il robot aveva da dire riguardo alla caduta da quella altezza, troppo concentrato a spiare l'interno della struttura in rovina. Dentro era buio e sembrava non ci fosse nessuno. Hiro si tirò su e strisciò per un po' sul pavimento prima di tirarsi su.
Il magazzino sembrava molto vasto, seppur completamente vuoto. Varie rampe di scale di ferro si estendevano lungo il perimetro dell'edificio e alcuni attrezzi erano stati abbandonati lì. Pezzi di vetro erano caduti dalle finestre e alcune travi di legno erano collassate, corrose dall'acqua e dall'umidità. Era una visione davvero spettrale, constatò Hiro, quando un rumore soffuso simile ad un palloncino che urta una parete ruvida lo costrinse a voltarsi.
<< Oh no. >>
Baymax aveva cercato di seguire Hiro e nel farlo si era incastrato nello spazio libero della finestra.
<< Shh! >> Fece lui, preoccupato che qualcuno potesse sentirli.
<< Perdonami. >> Disse il robot, puntando il dito verso l'alto. << Devo espellere un pò d'aria. >>
Appena finì di dirlo, cominciò a sgonfiarsi producendo l'esatto suono di un palloncino pieno d'aria che viene sgonfiato lentamente, con un rumore simile ad una pernacchia. La lentezza con cui Baymax si riduceva prese la forma invisibile di almeno un minuto di tempo, in cui Hiro non riuscì a fare nulla se non fissarlo allibito, e allo stesso tempo con il cuore in gola semmai qualcuno li avesse sentiti.
<< Hai finito? >>
<< ... Si. >>
Baymax cadde floscio sul pavimento e Hiro lo aiutò ad entrare, trascinandolo per la braccia ormai molli.
<< Mi ci vorrà solo un minuto per rigonfiarmi. >>
<< Va bene, ma non fare rumore. >>
Il ragazzino prese in mano la teca con il microbot e lo seguì giù per le scale, facendo attenzione ai gradini mancanti e a quelli distrutti. Arrivò al piano terra, notando quella che sembrava un piccolo bunker di vetro granulato proprio al centro del magazzino, da cui riuscì a distinguere delle strane sagome in movimento. Hiro deglutì, afferrando una scopa appoggiata al pilastro accanto a lui. Trasse un respiro profondo e decise di avvicinarsi un po' di più.
Sentiva il cuore battere all'impazzata per la paura. Qualunque cosa ci fosse in quel bunker, non era lì per caso. Quel magazzino sembrava abbandonato da molto tempo, perchè qualcuno avrebbe dovuto lavorare lì? E se avesse visto qualcosa che non doveva vedere? Se si fosse trovato immischiato in una faccenda losca da cui non sarebbe più potuto uscire?
Era tutto così tranquillo e silenzioso. Troppo tranquillo. Si sentiva osservato, come se ci fossero mille occhi nell'oscurità rivolti verso di lui.
Quella scopa sicuramente non sarebbe bastata a proteggerlo, ma era meglio di niente.
Avvicinò il viso al vetro granulato del bunker e riuscì a intravedere quelli che sembravano due braccia meccaniche impegnate a lavorare, sembrava che stessero producendo qualcosa. Un leggero suono metallico proveniente da appena fuori la piccola struttura lo condusse verso un nastro trasportatore di cuoio verde, da cui fuoriuscivano piccole scheggie di ferro nero che affondavano in un barile pieno.
Hiro li riconobbe subito. Sgranò gli occhi, affondando le mani in quella marmaglia nera come il petrolio e fredda come un cadavere.
<< I miei microbot...? >>
Alzò lo sguardo confuso davanti a lui, riconoscendo moltissimi altri barili di quel tipo. Tutti pieni di microbot.
<< E sono anche un bel pò... >>
I suoi occhi nocciola caddero su un'enorme lavagna appesa ad una parete alla sua destra, su cui erano incollati quelli che sembravano vari ritagli di giornale di qualche anno prima, articoli di vecchie riviste scientifiche e fogli con calcoli e formule. Al centro, un disegno di una rondine faceva capolino tra la confusione di quei pezzi di carta, posando sovrana su una mappa di tutta la città di San Fransokyo.
Gli occhi di Hiro seguirono un sottile filo rosso che correva dall'angolo della lavagna ai vari fogli lì appesi, culminando in uno dei luoghi della cartina.
Forse era meglio andarsene, pensò. Aveva una brutta sensazione. Sembrava che qualcosa di macabro fosse in procinto di accadere, ma per qualche strana ragione non riusciva a non essere curioso di quello che stava scoprendo.
<< Hiro. >>
<< Ah!! >>
Sussultò spaventato, una mano sul cuore che batteva furiosamente. Baymax lo guardava con i suoi occhi neri, incurante del fatto che lo avesse appena terrorizzato a morte. Il silenzio e la suspense gli avevano messo addosso così tanta tensione che si era completamente dimenticato del robot.
<< Mi è venuto un infarto! >>
<< Le mie mani hanno la funzione defibrillatore. Libera. >> Baymax si strofinò le mani, che si illuminarono di un vivace colore blu elettrico, e le avvicinò ad Hiro.
<< Fermo! E' solo un modo di dire! >>
Un rumore viscido e insidioso ma terribilmente familiare arrivò alle sue orecchie, costringendolo a voltarsi lentamente.
<< Oh no. >>
Baymax rivolse lo sguardo appena sopra di lui, indicando la fonte di quel macabro suono. I microbot che giacevano nei vari barili avevano tutti preso vita, creando un'altissima e pericolosa muraglia nera e informe. Hiro gridò, correndo verso l'uscita, quando si accorse che Baymax era decisamente troppo lento per seguirlo come avrebbe dovuto. Camminava tranquillamente, ignaro del pericolo che correva.
<< Oh, andiamo! >>
<< Io non sono veloce. >>
<< Già, me ne sono accorto! >>
Tornò indietro e lo afferrò per il braccio, trascinandolo via con sè il più veloce possibile. Cercò di aprire il portone del magazzino con un calcio, ma si ricordò troppo tardi che era chiuso a chiave. E lui era troppo mingherlino per poterla abbattere. Con il respiro mozzato per la paura, supplicò Baymax con lo sguardo di aiutarlo.
<< Buttala giù! >>
Baymax alzò una gambetta di vinile e urtò gentilmente la superficie annerita della porta.
<< Prendila a pugni! >>
Chiuse la mano gommosa a pugno e di nuovò toccò appena il portone, rimbalzando delicatamente. Hiro urlò frustrato. Dietro di loro, i microbot si avvicinavano velocemente, come un'onda furiosa in procinto di travolgerli. Il ragazzino prese Baymax e lo spinse davanti a lui, costringendolo a correre. Si infilarono in corridoi stretti e il robot sbattè imperterrito contro varie tubature. Hiro lo spinse lungo uno stanzino strettissimo per il robot, che si contrasse, sfregando la superficie ruvida con un fastidioso rumore. Una volta usciti da quello spazio ristretto, il ragazzino provò a chiudere il portello, ma vennero entrambi spinti via violentemente dall'ondata di microbot che riuscì a spezzare completamente quella porta di ferro.
Caddero supini sopra una grata arrugginita e Hiro riconobbe subito uno dei condotti di scarico ormai inutilizzati.
<< Forza, muoviamoci! >>
Spinse Baymax nel condotto, strisciando sul pavimento di acciaio freddo mentre l'istinto di sopravvivenza prendeva lentamente il sopravvento sulla paura di essere fatto a pezzi dall'orda di microbot che li inseguiva inarrestabile. Il suono tetro dei piccoli bot sul ferro lo fece rabbrividire. Sembravano tanti piccoli scarafaggi che morivano dalla voglia di cibarsi del suo corpo. Arrivò ad un bivio e seguì la luce emanata da una delle grate rimaste aperte, alla sua sinistra.
Seguì il sentiero e fu fuori, tirando via anche Baymax. Corsero per raggiungere le scale, quando un'improvviso sbalzo verso l'alto li catapultò violentemente in aria. Hiro lanciò un grido soffocato. Si schiantarono contro una piattaforma al piano superiore, e il ragazzino avvertì lo stomaco contrarsi violentemente all'urto. Un dolore lancinante colpì la pancia magra e i muscoli delle braccia. A niente era servito il tentativo di Baymax di attutire il tonfo, avvolgendogli le spalle con il suo braccio gonfiabile.
Qualcosa non quadra, pensò Hiro. I microbot non potevano semplicemente aver preso vita. Il suo trasmettitore neurale che aveva usato per controllarli alla presentazione era rimasto nell'edificio che aveva preso fuoco. Ma se i microbot erano stati portati via da qualcuno, allora anche il neurotrasmettitore era stato messo in salvo. O meglio, finito nelle mani di qualcuno che sapeva bene come usarlo e stava controllando i microbot per ucciderlo.
Aprì gli occhi e il suo sguardo si scontrò con una sagoma nera in fondo al ponte.
Un tenue raggio di sole pallido illuminava la figura che stava dritta in piedi, in silenzio, le mani coperte da guanti neri che controllavano i movimenti dei piccoli bot.
Hiro osservò meglio il suo volto. Aveva qualcosa di strano. La sua faccia non era... umana.
Gli occhi gialli privi di iridi, lacrime di sangue che fuoriuscivano dalle orbite e un volto pallido come il viso di un fantasma.
Una maschera. Chiunque fosse quella persona, indossava una maschera kabuki.
Sembrava un demone, un incubo che tormenta i sogni e la mente nel cuore della notte, rifugiandosi nelle tenebre più nere.
Si diresse verso Hiro con improvvisa velocità, costringendo il ragazzino a rimettersi in piedi e a dirigersi verso la finestra da cui erano entrati. Spinse Baymax davanti a lui e lo forzò ad uscire, ma il robot rimase incastrato. Hiro si voltò verso il loro inseguitore, che avanzava sempre più minaccioso. Dietro di lui, i microbot si estendevano come un nido di serpi brulicante di pericolo.
<< Avanti, sgonfiati! >> Ordinò a Baymax, cercando di spingerlo giù, ma la forza che ci mise questa volta fu troppa e in un attimo si ritrovò sospeso nel vuoto, aggrappato alla gamba del robot. All'improvviso, una forte spinta dall'interno li catapultò nell'aria, rischiando di farli schiantare al suolo. Tutto rallentò in quel momento. Hiro vide il cielo terso sopra di lui, e quasi non riusciva a credere che quella poteva essere l'ultima cosa che vedeva. Nessuno avrebbe saputo dove trovarlo, nessuno avrebbe saputo chi lo aveva spinto giù. 
Poi intorno a lui, due braccia morbide e sicure lo strinsero, schiacciandolo delicatamente contro un letto soffice. L'aria fredda che gli aveva sferzato il viso si arrestò per un attimo, diventando calda e rassicurante.
Come una coperta di lana in una notte d'inverno, una pezza fresca sulla fronte accaldata dalla febbre.
Hiro avvertì Baymax proteggerlo mentre cadevano giù. Per un attimo, si sentì al sicuro. Quasi non sembrava che di lì a poco si sarebbero schiantati al suolo.
L'atterraggio fu, però, più morbido del previsto. Baymax rimbalzò su se stesso e finì a terra, lasciando finalmente andare Hiro, che si ritrovò seduto sul pavimento fuori dal magazzino. Il piccolo guardò il robot per un attimo, indeciso su cosa fare. Avrebbe dovuto ringraziarlo per avergli salvato la vita, ma quando il suo sguardo volò sulla finestra da dove erano usciti, i suoi pensieri si congelarono.
Il fantasma in nero era ancora lì, gli occhi gialli scrutavano il ragazzino senza alcuna pietà o rimorso per ciò che aveva tentato di fare.
Hiro si alzò in piedi e aiutò Baymax a mettersi su.
<< Forza, andiamo via! Subito! >>
Corsero via, lasciandosi alle spalle il magazzino abbandonato. Il fantasma scomparve.

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Sono tornati gli angoli dell'autrice!
Ebbene, niente di nuovo qui. O forse si? Devo essere sincera, questo è stato uno dei capitoli più difficili da scrivere, perchè c'è così tanto movimento che per un attimo non ero sicura di poter stare dietro a tutta questa frenesia. Ma questo è anche uno dei motivi per cui amo Big Hero 6 quindi, touchè, film.
Io come al solito ringrazio tutte le persone che stanno leggendo questa storia, Emmydreamer_love2004, fenris e Emmett Brown per le recensioni e noi ci vediamo ad un prossimo capitolo. (-semicit.)

LittleBloodyGirl
  
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