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Autore: effe_95    20/01/2017    4 recensioni
Questa è la storia di diciannove ragazzi, i ragazzi della 5 A.
Questa è la storia di diciannove ragazzi e del loro ultimo anno di liceo, del loro affacciarsi a quello che verrà dopo, alla vita. Questa è la storia di Ivan con i suoi tatuaggi , è la storia di Giasone con le sue stelle da contare, è la storia di Italia con se stessa da trovare. E' la storia di Catena e dei fantasmi da affrontare, è la storia di Oscar con mani invisibili da afferrare. E' la storia di Fiorenza e della sua verità, è la storia di Telemaco alla ricerca di un perché, è la storia di Igor e dei suoi silenzi, è la storia di Cristiano e della sua violenza. E' la storia di Zoe, la storia di Zosimo e della sua magia, è la storia di Enea e della sua Roma da costruire. E' la storia di Sonia con la sua indifferenza, è la storia di Romeo, che non ama Giulietta. E' la storia di Aleksej, che non è perfetto, la storia di Miki che non sa ancora vedere, è la storia di Gabriele, la storia di Lisandro, è la storia di Beatrice che deve ancora imparare a conoscersi.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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I ragazzi della 5 A
 
51.La direzione opposta, Il mio migliore amico e Creta.  


Aprile

Italia aveva un mal di testa terribile quel giorno quando uscì di casa.
Non era stata affatto una buona idea addormentarsi piangendo la sera precedente, ma non era riuscita in alcun modo a trattenersi oltre. Fingere con i suoi genitori e sua sorella che andasse tutto bene era stato più faticoso del previsto.
Sospirando pesantemente aggiustò il colletto ripiegato della camicetta rosa che aveva indossato quella mattina, strinse forte tra le mani la tracolla della borsa e aprì il portone.
Era un caldo sabato di metà aprile, quel giorno il sole sembrava volerle giocare un brutto scherzo rischiarando tutto con il suo splendore, se non fosse stata così amareggiata, triste e ferita, Italia avrebbe trovato piacevole passeggiare con quel tepore sulla nuca.
Sospirando pesantemente si passò una mano sulla tempia e controllò l’orologio da polso, aveva appuntamento a casa di Catena per studiare insieme in vista di una simulazione, ma era uscita di casa decisamente troppo presto, desiderosa di distrarsi e cambiare ambiente.
La luce le feriva gli occhi mentre scrutava distrattamente il marciapiede affollato e i negozi colorati, senza farlo apposta, incondizionatamente, infilò una mano nella tasca esterna della borsa e strinse il cellulare tra le dita.
Ivan le aveva mandato una trentina di messaggi a cui lei non aveva risposto, l’aveva chiamata altrettante volte fino a quando non aveva spento il cellulare per la disperazione.
Italia non credeva di essere pronta per affrontarlo, la delusione che aveva provato il giorno precedente in quella palestra era stata troppo forte per potervi soprassedere.
Ivan non l’aveva mai delusa come in quel momento.
Lasciò la presa sul cellulare e decise che avrebbe raggiunto Catena con un po’ d’anticipo, le sarebbe andato bene tutto pur di non pensare, pur di non rivedere nella mentre quegli occhi verdi ed imploranti seguirla mentre fuggiva dalla palestra.
Italia si vergognava immensamente di se stessa per aver avuto quella reazione esagerata. Quando lei e Catena erano rimaste sole, aveva strillato, pianto e tirato su con il naso.
Non era stata per niente razionale, nemmeno un po’.
Si chiuse lentamente il portone alle spalle accompagnandolo, e raggiunse il semaforo per attraversare, fu in quel momento che se ne accorse, mentre si trovava a metà percorso.
Dall’altra parte della strada, appoggiato goffamente alla moto, Ivan aveva lo sguardo perso aspettando chissà cosa, aspettando lei.
Italia non riuscì a fare a meno di osservarlo, indossava una maglietta a giro maniche bianca che metteva in mostra tutti i tatuaggi, un paio di jeans scuri e stracciati sulle ginocchia e i soliti scarponi rossi. Era più pallido del solito e sotto la luce la sua pelle sembrava nivea, i folti capelli neri se ne stavano tutti sparati sulla destra, come impazziti, aveva le mani infilate nella tasca dei jeans e la schiena terribilmente ingobbita.
Mentre si avvicinava inesorabilmente al marciapiede, Italia non poté evitare di osservargli gli occhi, cerchiati di rosso e tremendamente gonfi.
Nemmeno lui doveva aver dormito quella notte.
Italia provò una spiacevole stretta alla bocca dello stomaco, aveva come la sensazione che se l’avesse toccato, se anche solo avesse sfiorato la sua pelle, tutte le certezze sarebbero crollate inevitabilmente senza alcun rimedio.
E non voleva, non voleva sentirsi in colpa per qualcosa che non aveva fatto.
Non era stata lei a mentire.
Quando finalmente raggiunse il marciapiede, in quei pochi secondi che gli erano sembrati una vita intera, Ivan alzò gli occhi come per magia, come se avesse percepito la sua presenza inevitabilmente e la inchiodò con lo sguardo, scrutandola fissa.
Italia avrebbe voluto avere la forza di girarsi e andarsene, ignorarlo, ferirlo come lui aveva ferito lei e allontanarsi, ma non ci riuscì.
Non ci riuscì in alcun modo, e si sentì estremamente debole.
Rimasero a fissarsi per un tempo che ad entrambi sembrò dilatarsi all’infinito, schiacciati da sentimenti contrastanti e diversi che non avevano mai provato prima l’uno per l’altro.
Fu Italia a spezzare l’incantesimo, strinse forte i pugni conficcandosi le unghie nel palmo della mano e proseguì a camminare, intenzionata a passargli accanto ed ignorarlo.
Ma ad Ivan bastò allungare un solo braccio e stringerle la vita per fermare quella fuga così ravvicinata, Italia si morse inevitabilmente il labbro quando si rese conto di averlo fatto intenzionalmente, quando si accorse che il suo corpo aveva reagito da solo.
Quando realizzò che voleva essere fermata da lui.
Sapeva che se Ivan avesse continuato a tenerla stretta in quel modo non avrebbe ragionato con razionalità, che se il suo profumo o il suo respiro avessero continuato a solleticarle la testa come in quel momento, non sarebbe stata in grado di riflettere come si deve.
E forse era proprio quello che voleva nel cuore.
Non riflettere, non ragionare, non più.
<< Italia … Italia ti prego, non fare così. Ti prego >>.
Quella supplica Ivan gliela sussurrò tra i capelli, seppellendo la fronte sulla sua spalla.
<< E come dovrei fare Ivan, come dovrei reagire? >> La sua stessa voce le sembrava quella di una sconosciuta mentre pronunciava quelle parole, la voce di un’estranea.
<< Mi dispiace, mi dispiace da morire! Non ho avuto il coraggio di dirtelo quando me l’hai chiesto, ho avuto paura di deluderti. Ho avuto paura che se tu avessi saputo … >>.
<< Mi hai deluso molto di più così Ivan, molto di più >>.
Ivan sentì la presa del suo stesso braccio allentarsi inevitabilmente a seguito di quelle parole, come se solo pronunciandole Italia avesse creato una barriera inespugnabile che l’aveva respinto. Non riusciva nemmeno a credere che si trovassero in quella situazione.
Non riusciva nemmeno a tollerare di perderla per una stupidaggine che aveva fatto, non dopo tutto il tempo che aveva impiegato per averla, per amarla, per toccarla, per …
Gli sembrava di impazzire al solo pensiero.
<< Quella ragazza … quella persona non era nulla per me! Io non ricordo nemmeno più il suo nome, ero … ero disperato perché non riuscivo ad avvicinarti! Volevo vedere se potevo staccarmi, se potevo dimenticarmi di te, se sarei riuscito a farti uscire dal mio cuore, ma non è servito a nulla! Lei non m’importa! Io sono stato così contento quando hai detto di voler fare l’amore con me che ho avuto paura di deludere le tue aspettative. Io … >>.
Italia non aveva mai sentito Ivan parlare così tanto, non lo aveva mai visto in panico come in quel momento, vomitava un fiume di parole senza controllo, senza tregua, senza freni, spaventato, ansioso e colpevole.
Inerme.
<< Ivan >> Ad Italia bastò pronunciare solo il suo nome perché lui tacesse di colpo, smarrito e con gli occhi bagnati di lacrime represse, che ancora non erano scese << Non mi importa di quello che hai fatto con lei, non mi importa se sei stato con un'altra. Davvero, questo non cambia quello che provo per te, né l’opinione che ho di te >>.
<< E allora perché tu … >>.
<< Perché mi hai mentito >>.
Ivan sentì le parole mancargli all’improvviso, incastrasi nella gola e non trovare via d’uscita.
Avrebbe voluto replicare qualcosa, avrebbe voluto trovare la forza di ribattere.
Ma di parole, davvero, non ne trovava più.
<< Avrei potuto accettarlo, l’avrei senz’altro capito. Ti avrei capito benissimo Ivan, io stessa sono stata assurda a pensarlo, a metterti addosso un peso come quello. Un’aspettativa insensata come quella, perché anche sapere che non sarei stata la prima, non avrebbe cambiato l’opinione che avevo di te. Ti avrei amato nello stesso identico modo >>.
Italia pronunciò quelle parole allontanandosi da Ivan, dalla sua stretta, dal suo calore, dal suo profumo e dai suoi occhi feriti, non poteva guardarlo, non poteva toccarlo.
Era arrivato il momento di dar spazio alla razionalità.
L’amore, a volte, non poteva averla vinta.
<< Invece mi hai mentito, non sei stato sincero con me Ivan. Non sei stato sincero con me! E per quanto io possa amarti, per quanto possa desiderati, la sincerità Ivan, era davvero tutto quello che chiedevo. Non volevo nient’altro da te, davvero nient’altro >>.
Quando Ivan si rese conto che Italia si era allontanata da lui, quando la cortina di dolore che quelle parole avevano creato intorno a lui si mosse leggermente rivelando la realtà, Ivan scosse la testa con disperazione e allungò una mano nel tentativo di toccarla.
Ma Italia era già troppo lontana.
<< Non lo farò più, te lo prometto, lo giuro! Non lo farò mai più, perciò tu … perciò tu, ti prego, ti supplico, non allontanarti da me. Puniscimi in tutti i modi che vuoi, ma non allontanarmi. Non … ti prego >>.
Ivan le sembrava un bambino in quel momento, le sembrava un bambino supplichevole con quelle mani protese e il volto bagnato di lacrime trattenute a stento, e le sembrava di essere diventata un po’ bambina anche a lei.
Avrebbe voluto stringerlo e dirgli che andava tutto bene, che non importava.
Ma importava eccome invece.
Per lei, aveva importanza davvero.
<< Un po’ di tempo per rifletterci su farà bene ad entrambi, credo. >>
Quando Italia pronunciò quelle parole, Ivan non riuscì a trattenersi dal lasciarsi scappare un singhiozzo lamentoso proprio come un bambino a cui era stato portata via una caramella.
<< Usa questo tempo per riflettere, studia, sorridi, mangia, esci con gli amici, ridi, e non pensare a me nemmeno una volta >>.
Italia fece qualche altro passo per allontanarsi, giunse le mani dietro la schiena, mise il petto in fuori e si sforzò di sorridergli, ma come risultato non ottenne che una smorfia esagerata.
<< Italia, ma … >>.
<< Stammi bene Ivan >>.
Girò le spalle.
Corse via.
Nella direzione opposta.
Opposta a quella del suo cuore.
If you're gonna let me down, let me down gently
Don't pretend that you don't want me
Our love ain't water under the bridge

 
Sei stai per lasciarmi, lasciami gentilmente
Non pretendere di non volermi
Il nostro amore non è acqua passata
 
Adele - Water Under The Bridge.
 
Lisandro a volte trovava deprimente fare la strada di casa da solo.
Quando non poteva prendere in prestito lo scooter di suo padre e gli toccava mettersi in marcia con le sue sole gambe, trovava fastidioso il modo in cui la mente cominciasse a vagare sempre nella direzione sbagliata, senza freni, senza barriere, senza pietà.
Quel giorno inoltre, era stato ancora più difficile da sopportare per due motivi: Beatrice non era venuta a scuola, ed Enea non gli aveva rivolto uno sguardo nemmeno per sbaglio.
Lisandro non era mai stato il tipo di persona pronta a compiere il primo passo, non aveva mai dovuto abbassare quella difesa protettiva che per tanto tempo aveva fatto parte della sua vita, e che da un po’ di tempo a quella parte non faceva altro che sgretolarsi in punti dove non poteva ripararla. Lisandro non era e non sarebbe mai stato pronto a parlare con Enea.
Non dopo quello che gli aveva detto.
Non dopo il modo in cui gliel’aveva detto.
Sbuffò sonoramente infilando le mani nelle tasche dei jeans, aveva il passo strascicato e pesante quel giorno, e la sua camicia verde a mezze maniche, sbottonata su una canottiera bianca, catturava inevitabilmente la luce del sole in quel caldo lunedì mattina di Aprile inoltrato. Eppure Lisandro sentiva tutto tranne che la pace di quei luoghi.
Aveva smesso di essere in pace con se stesso da quando si era innamorato della fidanzata del suo migliore amico, da quando aveva confessato il suo dolore a Sara per mancanza di sopportazione, da quando lei aveva tentato di spifferare tutto ed Enea se n’era accorto.
Aveva smesso di provare pace da quando aveva perso il suo migliore amico.
Lisandro si passò distrattamente una mano tra i capelli e cercò in tutti i modi di prestare attenzione alla strada, di affrettare il passo e allontanarsi il prima possibile da scuola, di fare qualsiasi altra cosa piuttosto che pensare.
Perché pensare gli stava divorando il cervello.
Perché pensare faceva male, gli faceva malissimo.
Sfilò le mani dalle tasche dei pantaloni e si schiaffeggiò le guance, richiamando in questo modo l’attenzione di alcune persone per strada o di studenti della sua scuola che come lui stavano tornando a casa al termine delle lezioni.
Doveva davvero sembrare uno sciocco in quel momento, con la faccia arrossata e l’impronta delle sue stesse dita stampate ad arte sulle pallide lentiggini che aveva sempre detestato.
Stava prendendo in considerazione l’idea di attraversare prima di raggiungere le strisce pedonali, per pigrizia, quando la sua attenzione venne catturata da un gruppetto di persone radunate tutte all’angolo della strada.
Non era una persona curiosa, probabilmente sarebbe passato avanti se non fosse stato che quelle parsone erano tutte suoi compagni di classe.
Lisandro aggrottò le sopracciglia e si avvicinò con passo improvvisamente accelerato individuando Aleksej, Miki, Giasone, Oscar e Catena, erano tutti vicini e chini su qualcuno che non riusciva a vedere.
<< Sei sicuro di star bene? Hai una pessima cera e ti sei scorticato tutta la mano >>.
Lisandro sentì Aleksej pronunciare quelle parole con voce preoccupata, mentre si accovacciava sulla persona che evidentemente doveva essere scivolata con il motorino alla curva della strada, da come aveva intuito Lisandro facendosi sempre più vicino.
Infatti, aveva visto il mezzo di trasporto disteso di lato sul marciapiede e dei frammenti di vetro causati dalla rottura di uno specchietto laterale.
<< Non sarà il caso di chiamare qualcuno? A scuola ci sarà sicuramente la preside >>.
Il commento di Catena era indirizzato ad Oscar, i due se ne stavano un po’ in disparte rispetto agli altri, come per lasciar spazio e respiro al povero malcapitato.
Lisandro li raggiunse con titubanza e i due lo fissarono sorpresi.
<< Cos’è successo? >> Chiese con prudenza.
<< Non lo sappiamo di preciso, perché quando siamo arrivati era già successo tutto >> Cominciò a spiegare Oscar, aggrottando le sopracciglia << Ma a quanto pare Enea è scivolato dalla motocicletta per evitare un pedone che non aveva visto, e si è fatto male alla mano >>.
Lisandro si impietrì quando sentì quelle parole, guardò per alcuni secondi Oscar e Catena come se fossero due estranei, poi le gambe si mossero per conto loro.
Enea era seduto a terra sul marciapiede, aveva ancora il casco allacciato sulla testa, con la mano destra reggeva il polso della sinistra il cui palmo era scorticato e ricoperto di sangue, aveva il jeans stracciato sul ginocchio sinistro, a sua volta sbucciato, e la cartella a tracolla era finita dietro la schiena a causa della caduta.
Aleksej era chino su di lui e cercava inutilmente di convincerlo a pulirsi la mano con un fazzoletto bagnato d’acqua che gli aveva dato Miki, ma Enea sembrava del tutto intenzionato ad alzarsi e andare via senza chiamare nessuno, ignorando i suoi compagni di classe e scacciando tutti gli adulti che si fermavano per dare una mano.
<< Ho detto che sto bene! È solo una stupida sbucciatura Aleksej! >>.
Enea pronunciò quelle parole con aria stizzita, scostando con maleducazione la mano tesa del compagno di classe, il fazzoletto che Aleksej stringeva tra le dita scivolò a terra sul marciapiedi e si sporcò subito.
Lisandro vide Miki chinarsi per raccoglierlo ed il suo migliore amico (poteva ancora chiamarlo in quel modo?) tirarsi in piedi a fatica ignorando la tirata di Aleksej nei suoi confronti.
Enea non l’aveva ancora visto, e Lisandro cominciava a soppesare l’idea di scappare.
Dopotutto come avrebbe potuto affrontare gli occhi di Enea quel giorno?
Sembravano due pozzi neri pregni di rabbia e dolore.
<< Enea, smettila di prendertela con gli altri! Aleksej stava solo cercando di aiutarti >>.
Lo rimbrottò Giasone aggiustandogli rudemente la borsa a tracolla, Enea scacciò anche lui e si affrettò ad avvicinarsi alla motocicletta per alzarla.
<< Oggi non è giornata, va bene?! >> Sbottò in direzione dei tre poveri malcapitati, mentre Oscar e Catena si facevano ancora più da parte, lasciando Lisandro sempre più esposto allo sguardo di Enea << Mi dispiace di avervi fatto preoccupare, ma sto bene >> Alzò con fatica la moto e guardò con fare afflitto lo specchietto rotto << Davvero! >> Sottolineò poi in risposta allo sguardo severo ed apprensivo di Miki.
<< E va bene, ti lasciamo andare. Ma sta attento dannazione! >>.
Enea sbuffò sonoramente al rimprovero di Giasone, che aveva accompagnato il tutto menandogli anche uno scappellotto dietro la nuca, dove non era protetto dal casco, fu in quel momento che si accorse di Lisandro, mentre accendeva la moto per controllare che partisse ancora.
A Lisandro sembrò di tremare come se il terreno si fosse messo all’improvviso a ballare sotto i suoi piedi, era rimasto fermo sul posto senza sapere come comportarsi, imbambolato, intrappolato da un filo che tirava spingendo avanti e indietro per andare via o per restare.
E siccome Enea si ostinava a guardarlo fisso, con l’espressione sorpresa, Lisandro si ritrovò l’attenzione di tutti gli altri addosso, una cosa che non aveva mai sopportato.
<< Oh, Lisandro. Quando sei arrivato? >>.
Gli domandò gentilmente Miki, infilandosi il fazzoletto sporco nella tasca del giubbotto.
<< Pochi … pochi istanti fa >> Borbottò Lisandro a disagio, distogliendo lo sguardo.
<< Hai visto cos’ha combinato Enea?! Mi raccomando, digliene quattro tu eh? >>.
Lisandro guardò Giasone con gli occhi spalancati, come se gli sembrasse assurda l’idea che toccasse a lui fare la predica ad Enea.
Proprio lui, che non aveva fatto altro che spingerlo verso il baratro.
Ormai Lisandro aveva capito, l’aveva capito perché Enea aveva quegli occhi.
Lo sapeva.
Era colpa sua, erano state le sue parole.
<< Veramente io … stavo per andarmene. Ciao >>.
Lisandro provò una vergogna che non aveva mai provato prima mentre pronunciava quelle parole, con le guance in fiamme, lo sguardo basso e le mani strette fino a far male intorno alla tracolla di pezza della cartella mezza consumata.
Sapeva che gli altri lo stavano fissando, percepiva lo sguardo di tutti perforargli la nuca mentre voltava le spalle per andare via, per scappare via.
Chiuse gli occhi e ci morse il labbro inferiore fino a sentire dolore.
Vigliacco, vigliacco, vigliacco, vigliacco.
<< Ehi Lis, perché non resti? Non vuoi parlare con me? >>.
Le parole di Enea per Lisandro ebbero la stessa risonanza di due bombe a mano, gli sembrarono esplodere fragorosamente, far tremare la terra, i palazzi, tutto, nonostante per strada nessuno le avesse sentire, nonostante in realtà nessuno stesse scappando per il terrore. Lisandro si rigirò lentamente, come un automa, avvampò ancora di più quando si ritrovò addosso gli sguardi imbarazzati di Aleksej, Miki e Giasone, mentre Oscar e Catena dovevano essersi allontanati silenziosamente qualche istante prima.
<< Noi dobbiamo andare, altrimenti perdiamo il pullman >>.
L’intervento stentato di Miki fu una condanna e un sollievo per Lisandro.
Li vide salutare educatamente, scambiare qualche parola con Enea in merito a quanto accaduto e allontanarsi frettolosamente, parlando tra di loro.
Li avevano lasciati da soli.
Lisandro continuava a torturarsi il labbro inferiore con i denti, incapace di articolare parola.
Enea continuò a fissarlo per un po’ in silenzio, poi sospirò pesantemente e si mise a controllare la motocicletta, utilizzando una lentezza nei movimenti che Lisandro trovò esasperante e punitiva.
<< Non vuoi sapere com’è andata? Hai insistito così tanto dopotutto >>.
No, Lisandro non lo voleva sapere.
Non voleva.
<< Enea, io non … >>.
<< Abbiamo litigato. Beatrice era furiosa, fuori controllo, mi ha tirato un porta pastelli in faccia. Ha detto che potevo andarmene, ha detto poteva sopravvivere anche senza di me >>.
<< Enea … >>.
<< Ha detto che sono un egoista a cui non frega un cazzo di lei >>.
Basta, basta, basta!
<< Non … >>.
<< Ah, e poi ha detto che sono peggio di quello stronzo di Mirko e … >>.
<< BASTA! >>.
Lisandro ed Enea rimasero a fissarsi per un tempo che sembrò dilatarsi all’infinito nonostante tutto il resto scorresse ugualmente, nonostante la gente passasse senza accorgersi di nulla, o guardando quei due strani ragazzi di sottecchi, perché urlavano.
Enea aveva lo sguardo impassibile.
<< Non vuoi sentirlo, vero? Alla fine non hai vinto tu? Mi hai rubato il tempo, il tempo necessario per capire che cosa volevo farne della mia vita. Il tempo per capire come non mandare tutto a puttane. L’hai fatto perché la ami, lo so. Lo capisco anche. Ti capisco >>.
Lisandro aveva come la sensazione che il sangue nelle mani si fosse completamente fermato data la violenza con cui continuava a stringere la tracolla della borsa.
Andando avanti in quel modo l’avrebbe sicuramente spezzata.
Enea sospirò, poi salì finalmente sulla moto, sgasando un po’ con l’acceleratore per controllare che partisse senza problemi.
<< Sai Lis, Beatrice mi ha ferito così tanto che non so se sarò capace di guardarla come facevo prima. Dopotutto non avevo mai amato nessuno prima, e non capisco proprio perché dovrei farlo se vuol dire stare male in questo modo, farsi trattare così da qualcuno. Quindi fa quello che vuoi, portamela via. Non mi importa più >>.
Lisandro prese a scuotere freneticamente la testa come un bambino.
Sentiva le parole montargli come un’onda nella gola, ma non riusciva a farle uscire.
Non ci riusciva nemmeno un po’.
E allora scuoteva la testa come per non sentire, come per non vedere.
<< Ci vediamo >>.
<< PERCHÉ MI DICI QUESTE COSE?! PERCHÉ NON MI URLI CONTRO?! >>.
Enea sorrise mentre passava con la moto accanto a Lisandro, sfrecciando sulla strada.
Ma Lisandro le sentì lo stesso quelle parole mormorate.
Non sei il mio migliore amico, forse?
 
Where did I go wrong?
I lost a friend, somewhere along in the bitterness.
 
Dove ho sbagliato?
Ho perso un amico, da qualche parte nell’amarezza.
 
The Fray – How to Save a Life

<< Senti … credo che tra un po’ mi spezzerò la schiena >>.
<< Sei davvero così poco resistente? Lasciami finire il capitolo, per favore >>.
<< Quante pagine ti mancano per finire? >>.
<< Sette >>.
Oscar trovò piuttosto desolante la replica di Catena.
Era da più di un’ora che se ne stavano seduti a terra nella sua camera schiena contro schiena.
Catena trovava piacevole leggere in quel modo, affidare tutto il suo peso alle spalle larghe e accoglienti di Oscar, trovava piacevole lasciar scivolare il capo nell’incavo tra il collo e la scapola o i lunghi capelli neri sul petto ampio del fidanzato.
Era piacevole il tepore che sprigionava il corpo del suo uomo.
Oscar la lasciava fare perché l’amava, perché non sapeva dirle di no, perché anche se la sua massima resistenza era giusto quell’ora scarsa, adorava sentirla così addosso.
Pressante, schiacciante, viva e palpitante.
<< E adesso quante te ne mancano? >>.
<< Sempre sette Oscar >>.
Oscar guardò svogliatamente il libro di storia aperto su una pagina della Seconda Guerra Mondiale, e ascoltò con un sorriso sulle labbra la pacifica risposta di Catena.
Aspettò che passassero alcuni secondi di silenzio, circa una trentina …
<< E adesso? >>.
<< Adesso sei Oscar, ma … >>.
Catena pronunciò quelle parole chiudendo meticolosamente il libro che stava leggendo, voltandosi poi per osservare il fidanzato, Oscar percepì immediatamente il sollievo invadergli la spina dorsale quando il peso di Catena smise di fare pressione con ostinatezza.
Non la fece nemmeno finire di parlare che l’afferrò per entrambi i polsi e come un ghepardo la bloccò sul tappeto con il proprio corpo.
Catena aveva il respiro leggermente accelerato e gli occhi sgranati dalla sorpresa, che andò man mano affievolendosi quando Oscar sollevò la mano e con la punta delle dita prese a seguire il profilo del suo viso, passando sulla punta del naso, seguendo il contorno delle labbra leggermente schiuse, la curva della gola, il profilo del seno fino all’altezza dell’ombelico, in un punto dove Catena aveva scoperto di essere piuttosto sensibile.
Oscar aveva sempre trovato estasiate il modo in cui il corpo di Catena cominciasse a sciogliersi al tocco della sua mano, era come modellare della creta per farne una meravigliosa opera d’arte.
Era come diventare lui stesso creta e farsi plasmare.
Le guardò le labbra schiuse, arrossate dal desiderio, ansimanti, e sorrise.
Non aveva mai provato nulla del genere prima di Catena, prima di lei fare l’amore non aveva mai avuto quel significato intenso, non gli aveva mai dato quelle emozioni a cui non sapeva nemmeno dar nome.
Gli sarebbe piaciuto continuare all’infinito, infilarle una mano sotto la maglietta per toccarle la pelle calda, soffice e delicata, amarla con trasporto, entrare dentro di lei e morirne lentamente, piacevolmente, come ogni volta, ma doveva dirle qualcosa.
Aveva qualcosa di molto più importante da dirle, qualcosa che non poteva rimandare.
<< Cosa c’è che non va? >>.
La voce di Catena era leggermente roca, ma tranquilla e languida, aveva sollevato una mano per giocare con le ciocche ribelli dei suoi capelli, proprio dietro l’orecchio sinistro, proprio dove ad Oscar piaceva essere accarezzato.
<< Vorrei dirti una cosa, ma non so come farlo >>.
Commentò Oscar chiudendo gli occhi per soffocare un mugolio di piacere.
<< Ho un’idea, fammi alzare >>.
Oscar rimase leggermente interdetto da quell’affermazione, ma dopo un attimo d’esitazione lasciò la presa e la fece alzare, scrutandola attentamente mentre si dirigeva verso l’interruttore della luce e la spegneva, riducendo la stanza al buio più totale.
<< Che cosa stai facendo? >>.
<< Guidami con la tua voce Oscar, altrimenti mi farò male >>.
Fu il commento di Catena alla domanda del fidanzato, Oscar continuò a parlare fino a quando allungando le mani la prese per i fianchi e la fece sedere con difficoltà proprio di fronte a lui.
Era strano starsene seduti in quel modo nel buio più totale.
Ad Oscar sembrava quasi di poter percepire Catena addirittura con maggior forza, come se fosse esattamente l’unica cosa viva e reale in quel buio infinito.
<< Raccontami tutto adesso, non è più facile in questo modo? >>.
All’inizio Oscar trovò piuttosto strana quella frase, avrebbe voluto ridere e affermare che era una sciocchezza bella e buona, ma non poteva farlo.
Perché in quel modo era davvero più facile.
<< Ci sono cose difficili da dire, cose che proprio non riusciamo a cacciar fuori a volte, vero? Ma se non puoi vedere la mia faccia, se hai la certezza che io sono qui, ma senza giudicarti, allora puoi avere anche la certezza di dirmi proprio tutto quello che vuoi Oscar >>.
Oscar chiuse involontariamente gli occhi e si permise di sorridere come un bambino.
Aveva ringraziato poche volte Dio in quegli anni, ma per avergli mandato Catena non avrebbe smesso di farlo mai più.
<< Qualche giorno fa ho incontrato Luca … >>.
Le parole vennero da sole, raccontare fu facile, fu semplice, fu una vera e propria liberazione.
Fu un po’ come tornare indietro nel tempo, fu come resettare il cuore e farlo partire di nuovo, avere la sensazione di plasmare il proprio corpo ancora come creta.
Fu come avere una pelle nuova e immacolata.
I rimpianti avevano fatto il loro tempo quella sera.
E per Oscar era stato facile rimuoverli dalle spalle come fossero una piccola valigia sovraccarica, si era fermato al limite di quella strada che aveva fatto tutta di corsa.
Aveva guardato nel precipizio più volte, aveva rischiato di cadere e rimanere prigioniero di quel buio infinito in cui aveva tramutato il suo cuore in paura.
Si era fermato di colpo, vi aveva guardato dentro un’ultima volta e quella valigia pesante, quella valigia gravida del nulla, l’aveva gettata via con facilità.
Perché non aveva più paura di cadere, non aveva paura di precipitare.
La sua catena di sicurezza l’avrebbe sempre tenuto saldo su quel terreno.
Sempre, nei giorni a venire.
<< … e allora mi piacerebbe … mi piacerebbe che tu mi accompagnassi al cimitero quando tutto sarà finito, quando avremo il diploma in mano e il mondo intero per noi. Perché sei stata tu ad insegnarmi che gettare tutto fuori non fa altro che guarirci, giusto? Perché voglio davvero mettere la parola fine a questa storia >>.
Quando smise di parlare Oscar aveva la voce roca ma si sentiva bene.
Aveva due polmoni nuovi per respirare.
<< Ti accompagnerò dove vuoi >>.
<< Lo so >>.
E lo sapevo entrambi davvero che la strada in da quel momento in poi sarebbe stata tutta in discesa.
Per quella sera, tuttavia, si limitarono a fare l’amore, riprendendo lì dove si erano interrotti, desiderosi, felici.
Liberi.
 
 
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Effe_95

 
Buonasera a tutti :)
Eccomi qui prima del previsto (?), con un nuovo capitolo.
Devo confessare che mi aspettavo sarebbe stato più difficile da scrivere, e invece per una volta mi è venuto quasi naturale come respirare.
Non so se questa cosa sia stata un bene o un male.
Soprattutto perché il capitolo sembra un campo da guerra e distruzione ^^”
Partiamo dalla parte di Ivan e Italia, so che per molti di voi sarà un colpo durissimo la decisione presa dalla nostra ragazza, per alcuni potrà sembrare esagerata e insensata, fuori luogo, melodrammatica e mille altre cose.
Non per me, ad ogni modo.
Come avete potuto notare, non ho messo definitivamente la parola “fine” tra quei due.
Non potevo farlo perché si amano alla follia e perché non sono così cattiva (non ho il cuore per farlo, lo confesso) xD
Per questo motivo e molti altri, ho ritenuto che il “tempo” fosse la soluzione migliore per entrambi, per risanare le ferite e rinforzare i sentimenti.
Dopotutto spero possiate capire il reale motivo della decisione di Italia, il perché si sia sentita così ferita ;)
La parte di Enea e Lisandro è stata particolarmente “dolorosa” da scrivere, non riesco a trovare davvero altro termine per descrivere le sensazioni che ho provato.
Anche in questo caso la reazione di Enea potrà suscitare innumerevoli reazioni, ma vi prego di comprendere cosa sta passando questo povero ragazzo ( parla quella che ha combinato tutto il casino ^^”). Credo che provare amarezza e rabbia sia normale.
Sono curiosa, in realtà, di sapere cosa ne pensate del modo di comportarsi di Lisandro ;)
Avrete inoltre notato che alla fine delle due parti ho inserito delle frasi tratte da alcune canzoni, non l’avevo mai fatto prima, ma questa volta ne ho sentito la necessità perché mi hanno praticamente accompagnato assiduamente nella stesura del capitolo.
La parte di Oscar e Catena spero davvero che vi sia piaciuta.
Ovviamente questa non è una conclusione definitiva per loro (non usciranno assolutamente dalla storia), ho ancora altre scene per loro, solo che saranno più tranquilli adesso, più sereni mentre mi concentrerò su altri elementi, e inoltre lo potremmo definire solamente un inizio questo, no?.

E adesso finalmente il momento che aspettavate tutti con ansia (?).
Sono lieta di comunicarvi che i vincitori del super quiz del professor Riva sono ….
 
 
IGOR E TELEMACO!
 
Ve lo aspettavate? :P
Per le persone che hanno indovinato (ovvero: Kim_Sunshine, Claddaghring8 e sky35) ho deciso di mettere un premio in palio :)
Se vorranno, ovviamente a propria scelta, potranno chiedermi una curiosità sulla coppia che preferiscono.
Ovviamente risponderò in privato e ovviamente vi consiglio di non chiedere qualcosa di troppo spoileroso (si può dire?) perché potreste rovinarvi la lettura in futuro.
Detto questo, grazie mille come sempre per il supporto.
Siete le mia forza, sempre.
Alla prossima.
 
 

 
 
 
 
  
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