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Autore: Pitty__    30/05/2009    0 recensioni
I can see in the dark è una Short Fiction (cioè durerà poco, qualche capitoletto e basta). Non vi svelo ancora nulla perché lo scoprirete da soli. L'idea di questo racconto mi è venuta una mattina ascoltando una canzone dei Placebo con un umore sicuramente non alle stelle. Insomma... lo scopo di questo è più o meno sfogarmi.
Genere: Triste, Dark, Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I can see in the dark

 

 

Capitolo 6

 

“I whispered in her ear

Fear me dear for I am Death

I'll take your hope your dreams your love

‘Till there's nothing left”

 

 

 … E come dicevo, andai a fare visita a Dane. Era da poco arrivato al lavoro e per tutto il tragitto non fece altro che guardarsi alle spalle. Sapeva che qualcuno lo seguiva, il suo istinto umano-animalesco gli diceva che in un modo o nell’altro era in pericolo… ma lui il pericolo non lo vedeva, lui non sapeva che il pericolo fossi io e non sapeva nemmeno io fossi proprio alle sue spalle. Oh quanto mi divertivo…

Arrivò stranamente in anticipo al negozio di dischi noto anche come il suo nuovo posto di lavoro, io entrai dopo di lui e mi misi a sedere su una sedia quasi rotta che riposava in un angolo del negozio, un angolo un po’ buio e non alla vista di tutti, sicuramente quella sedia non sarei mai e poi mai riuscita a rompere.

Il negozio era abbastanza piccolo come posto, Dane andò a prepararsi il caffè come d’abitudine ma a dire il vero quella mattina non era assonnato come le altre, quella mattina era agitato, sembrava che da un momento all’altro stesse per avere un attacco d’ansia.

Per inquietarlo ancora un po’ feci sbattere la porta di servizio, lui sobbalzò e il caffè bollente che prima era nella tazza ora era sulla sua maglia. Cacciò un urlo corto e acuto al quale seguì il silenzio assoluto, io sorridevo sinceramente compiaciuta.

Quando il primo potenziale cliente della giornata aprì la porta del negozio, cinque minuti dopo, Dane sussultò ancora più spaventato e corse a vedere chi fosse. Era un uomo su una quarantina d’anni ma già senza capelli, vestito abbastanza elegante e agli occhi gli occhiali da vista.

Dane lo scrutò per dei lunghi secondi facendosi notare. Il signore si schiarì la voce e parlo:

-          Mi scusi... -

-          Si, mi dica, di cos’ha bisogno? – rispose Dane meccanicamente cadendo dalle sue nuvole.

-          Tu dovresti essere Dane, vero? –

-          Si, sono io. Lei chi è? –

-          Oh scusa, non mi sono presentato, sono Collin, della casa discografica. –

Ah, mi ero dimenticata di dirvi che Dane e Ted suonavano insieme in un gruppo. Dane cantava e Ted suonava il basso e in poco tempo avrebbero firmato un contratto con una casa discografica e avrebbero registrato un disco. Essì, erano molto esaltati, ma io lo ero più di loro perché avrei rovinato tutto il loro divertimento e specialmente i loro sogni.

Lasciai Dane al suo entusiasmo e andai a svegliare il suo amico.

Quella brutta faccia di Ted faceva dei bei sogni quando arrivai là. Sognava un grande concerto con il suo gruppo, centinaia di persone a bordo palco e una bella ragazza che lo aspettava dietro le quinte. La gente urlava i loro nomi, cantavano a squarciagola insieme a loro, le ragazze lanciavano i loro reggiseni sul palco… Insomma i soliti sogni patetici di Ted.

Come sempre feci sbattere i vetri della finestra aprendola e facendo entrare una ventata d’aria ghiacciata che fece volare i fogli che riposavano sulla scrivania. Lo feci in modo più violento del solito e la ventata d’aria fredda colpì Ted direttamente in faccia che saltò su dal letto urlando come un pazzo. Un’altra ventata, un’altra ancora… i fogli volavano per la stanza di Ted mentre lui imprecava qualcosa nel suo dialetto. E mentre si guardava in giro gli tirai un cd in testa che poi cadde per terra rompendosi. Il cd del suo gruppo preferito, un cd che per averlo se lo fece mandare dai suoi parenti che abitavano negli Stati Uniti. Urlò ancora più forte; era innervosito e spaventato come non mai.

Risi per un po’ poi smisi di colpo quando capii che Ted mi stava annoiando. Me ne andai lasciandolo in preda al panico.

 

 Mi piaceva passeggiare per le strade di quella città. Ho passeggiato per anni senza essere vista da nessuno, ho passeggiato e guardato la gente cambiare, crescere. Ho visto gente che si è rovinata. In questi ultimi 2 anni di passeggiate e riflessioni continue ho vissuto le vite degli altri. Mi sono rifugiata nelle vite altrui non potendo più vivere la mia di vita e rimasi il più lontano possibile da chi faceva parte della mia vita ora non vita.  Camminavo a fianco di una ragazza un po’ più alta di me quando vidi Ebony camminare verso di me.

Decisi di farmi vedere e mi piazzai a 3 metri di distanza di fronte a lei muovendo la mano come per salutarla. Rimasi così per qualche decina di secondi con un sorriso stampato in faccia e con la mano che continuava a muoversi ed Ebony mi vide. Dalla sua gola uscì un urlo che fece girare tutte le persone intorno. Tutti la guardavano, come l’altra mattina in classe. La guardavano senza capire e pensando che fosse una malata di mente scappata qualche giorno prima dall’ospedale… beh la sua faccia in quel momento ricordava un po’ i malati di mente.

-          Ciao Ebony! – la salutai anche.

Se proprio volevo divertirmi un po’ perché non farlo? Ebony era disposta ad intrattenermi.

Quando mi sentì parlare urlò ancora e iniziò a correre.

Ah okay Ebony, se  non vuoi chiacchierare un po’ con me vai pure… ma è da maleducati andarsene correndo e senza salutare. Sembrava tu avessi appena visto un fantasma. Ah… stupida, i fantasmi non esistono!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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