Capitolo 6
“I
whispered in her ear
Fear me
dear for I am Death
I'll take
your hope your dreams your love
‘Till there's
nothing left”
… E come dicevo, andai a fare visita a
Dane. Era da poco arrivato al lavoro e per tutto il tragitto non fece altro che
guardarsi alle spalle. Sapeva che qualcuno lo seguiva, il suo istinto
umano-animalesco gli diceva che in un modo o nell’altro era in pericolo… ma lui
il pericolo non lo vedeva, lui non sapeva che il pericolo fossi io e non sapeva
nemmeno io fossi proprio alle sue spalle. Oh quanto mi
divertivo…
Arrivò stranamente in anticipo al
negozio di dischi noto anche come il suo nuovo posto di lavoro, io entrai dopo
di lui e mi misi a sedere su una sedia quasi rotta che riposava in un angolo del
negozio, un angolo un po’ buio e non alla vista di tutti, sicuramente quella
sedia non sarei mai e poi mai riuscita a rompere.
Il negozio era abbastanza piccolo
come posto, Dane andò a prepararsi il caffè come d’abitudine ma a dire il vero
quella mattina non era assonnato come le altre, quella mattina era agitato,
sembrava che da un momento all’altro stesse per avere un attacco
d’ansia.
Per inquietarlo ancora un po’ feci
sbattere la porta di servizio, lui sobbalzò e il caffè bollente che prima era
nella tazza ora era sulla sua maglia. Cacciò un urlo corto e acuto al quale
seguì il silenzio assoluto, io sorridevo sinceramente
compiaciuta.
Quando il primo potenziale cliente
della giornata aprì la porta del negozio, cinque minuti dopo, Dane sussultò
ancora più spaventato e corse a vedere chi fosse. Era un uomo su una quarantina
d’anni ma già senza capelli, vestito abbastanza elegante e agli occhi gli
occhiali da vista.
Dane lo scrutò per dei lunghi
secondi facendosi notare. Il signore si schiarì la voce e
parlo:
-
Mi
scusi... -
-
Si, mi
dica, di cos’ha bisogno? – rispose Dane meccanicamente cadendo dalle sue
nuvole.
-
Tu
dovresti essere Dane, vero? –
-
Si, sono
io. Lei chi è? –
-
Oh
scusa, non mi sono presentato, sono Collin, della casa discografica.
–
Ah, mi ero dimenticata di dirvi che
Dane e Ted suonavano insieme in un gruppo. Dane cantava e Ted suonava il basso e
in poco tempo avrebbero firmato un contratto con una casa discografica e
avrebbero registrato un disco. Essì, erano molto esaltati, ma io lo ero più di
loro perché avrei rovinato tutto il loro divertimento e specialmente i loro
sogni.
Lasciai Dane al suo entusiasmo e
andai a svegliare il suo amico.
Quella brutta faccia di Ted faceva
dei bei sogni quando arrivai là. Sognava un grande concerto con il suo gruppo,
centinaia di persone a bordo palco e una bella ragazza che lo aspettava dietro
le quinte. La gente urlava i loro nomi, cantavano a squarciagola insieme a loro,
le ragazze lanciavano i loro reggiseni sul palco… Insomma i soliti sogni
patetici di Ted.
Come sempre feci sbattere i vetri
della finestra aprendola e facendo entrare una ventata d’aria ghiacciata che
fece volare i fogli che riposavano sulla scrivania. Lo feci in modo più violento
del solito e la ventata d’aria fredda colpì Ted direttamente in faccia che saltò
su dal letto urlando come un pazzo. Un’altra ventata, un’altra ancora… i fogli
volavano per la stanza di Ted mentre lui imprecava qualcosa nel suo dialetto. E
mentre si guardava in giro gli tirai un cd in testa che poi cadde per terra
rompendosi. Il cd del suo gruppo preferito, un cd che per averlo se lo fece
mandare dai suoi parenti che abitavano negli Stati Uniti. Urlò ancora più forte;
era innervosito e spaventato come non mai.
Risi per un po’ poi smisi di colpo
quando capii che Ted mi stava annoiando. Me ne andai lasciandolo in preda al
panico.
Mi piaceva passeggiare per le strade di
quella città. Ho passeggiato per anni senza essere vista da nessuno, ho
passeggiato e guardato la gente cambiare, crescere. Ho visto gente che si è
rovinata. In questi ultimi 2 anni di passeggiate e riflessioni continue ho
vissuto le vite degli altri. Mi sono rifugiata nelle vite altrui non potendo più
vivere la mia di vita e rimasi il più
lontano possibile da chi faceva parte della mia vita ora non vita. Camminavo a fianco di una ragazza un po’
più alta di me quando vidi Ebony camminare verso di me.
Decisi di farmi vedere e mi piazzai
a 3 metri di distanza di fronte a lei muovendo la mano come per salutarla.
Rimasi così per qualche decina di secondi con un sorriso stampato in faccia e
con la mano che continuava a muoversi ed Ebony mi vide. Dalla sua gola uscì un
urlo che fece girare tutte le persone intorno. Tutti la guardavano, come l’altra
mattina in classe. La guardavano senza capire e pensando che fosse una malata di
mente scappata qualche giorno prima dall’ospedale… beh la sua faccia in quel
momento ricordava un po’ i malati di mente.
-
Ciao
Ebony! – la salutai anche.
Se proprio volevo divertirmi un po’
perché non farlo? Ebony era disposta ad intrattenermi.
Quando mi sentì parlare urlò ancora
e iniziò a correre.
Ah okay Ebony, se non vuoi chiacchierare un po’ con me vai
pure… ma è da maleducati andarsene correndo e senza salutare. Sembrava tu avessi
appena visto un fantasma. Ah… stupida, i fantasmi non
esistono!
This Web Page Created with PageBreeze Free HTML Editor