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Autore: Cry_Amleto_    23/01/2017    1 recensioni
/Seguito di "Lost Time"/
[Stony!]
Tratto dalla fanfiction:
"Forse avrebbe vinto. O forse no.
Forse sarebbe sopravvissuto. O forse no.
Forse lo avrebbe salvato. O forse no.
L'unica cosa certa, è che aveva bisogno di rivedere colui che aveva perso in quel dannato disastro."
Genere: Angst, Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: Missing Moments, Movieverse, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Lost'
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[Farewell]

...You were my source of strength
I've traded everything
That I love for this one thing...
(...Eri la mia forza
Ho perso tutto quello che amo
Per questa unica cosa...)

Tre giorni.
Tre giorni passati in quella cella, sorvegliato da uomini armati che indossavano quelle divise alleate.
Tre giorni senza notizie di Tony.
Tre giorni senza sapere se l'inventore fosse ancora vivo oppure no.
Tre giorni in cui l'impotenza e la disperazione avevano lasciato posto ad una vuota apatia fatta di silenziosa agonia.

Il suo sguardo era spento, morto, mentre ripercorreva i preziosi ricordi che Steve serbava dello Stark. 
Era solito spiarlo, il Capitano, osservarlo di nascosto in un angolo del laboratorio dell'altro, lì dove Tony Stark si mostrava realmente. Tony era così preso dal proprio lavoro che non si accorgeva mai della sua presenza. Poteva rimanere a guardare per ore le sue espressioni – che alla 'luce del giorno' sembravano quasi congelate nel suo solito sorrisetto – mutare e mostrare spicchi di uno Stark che aveva lentamente ma inesorabilmente iniziato ad amare: osservava le sue labbra inarcarsi nel suo sorrisetto sardonico e sentiva la sua risata quasi sprezzante quando nel suo laboratorio collaudava qualcosa che modificava il concetto di 'impossibile', prendendosi gioco del mondo; lo udiva imprecare contro quel braccio metallico che chiamava borbottando Ferro Vecchio; lo guardava passarsi una mano sulla fronte corrucciata mentre disegnava progetti su progetti; lo scorgeva mentre si sporcava d'olio da motori, quando si ficcava sotto le sue costosissime auto per dare loro un tocco Stark; lo spiava mentre sorrideva, si illuminava come un bambino mentre spacchetta i regali di natale, quando finalmente raggiungeva la formula perfetta; lo vedeva crollare assopito sulla propria scrivania, sui fogli sparsi ovunque e con un espressione talmente innocente da non poter essere associata in nessun modo a quella del Tony Stark che si mostrava alla luce del sole.
Poi tutte quelle piacevoli immagini furono ben presto sostituite dal corpo martoriato dell'inventore, dalle sue grida di dolore, dalle ferite inferte che difficilmente si sarebbero cicatrizzate dalla propria mente più che dal corpo dell'inventore. Immagini spietate che presero ben presto a fissarsi sulla sua retina oculare come aguzzi aghi che traevano godimento nello spillare sangue e lacrime.

Ed era colpa sua. Era tutta colpa sua.
Era stato lui ad averlo coinvolto in quella storia. Ma perché lo aveva fatto? Più ci ripensava più non sapeva rispondersi. Anzi, sì, lo sapeva, la risposta era ovvia, scontata: aveva bisogno di lui. Captain America aveva bisogno di Iron Man, Steven Grant Rogers aveva bisogno di Anthony Edward Stark, Steve aveva bisogno di Tony.
Si era sempre illuso che fosse il contrario, che fosse l'inventore a dipendere dal Capitano. Ma non era così, non era mai stato così.
Tony gli dava un motivo, qualcuno a cui guardare le spalle, da proteggere, di cui prendersi cura, e senza di lui si sentiva inutile. L'inventore in tanti indiretti modi, lo aveva lasciato fare, si era reso il suo motivo. Lo aveva salvato. Di nuovo.
Sì, si era sempre illuso di essere lui l'eroe, il paladino della libertà, invece non aveva fatto altro che prendersi quasi i meriti dell'altro.
Ripercorse velocemente tutte le loro battaglie, e si accorse che era proprio Iron Man ad essere sempre in prima linea contro il nemico, lui si era semplicemente preoccupato del fatto che non si lasciasse ammazzare.
E ora non era riuscito a svolgere neanche quel compito. Per la seconda volta.
Non era riuscito ad impedire a Tony di buttarsi in quel Portale che lo aveva tenuto prigioniero per 3 lunghi anni, e ora lo aveva consegnato all'Hydra.
Indirettamente, certo, e, come il Soldato d'Inverno aveva più volte affermato, era stato l'inventore a volersi immolare. Ma anche quella era stata colpa sua. Sapeva che l'altro provava ancora dei forti sentimenti per lui, e inconsciamente si era diretto proprio verso Tony, sicuro che avrebbe fatto di tutto pur di non vederlo in quel pietoso stato disperato. Lì per lì non ci aveva pensato, ma ora riflettendoci capì di averlo sfruttato, lo aveva egoisticamente sfruttato condannandolo a morte.
E ora non poteva fa niente per salvarlo.

«Capitano! Spero proprio che lei non si sia abituato al comfort di questa magnifica... gabbia.» la voce di Clint Barton gli giunse attutita al di là dello spesso vetro della cella.

Quando Steve alzò il proprio sguardo spento, incrociò quello dell'agente Barton, affiancata dal dottor Banner, la Romanoff e Thor.

«Siamo venuti il prima possibile, appena abbiamo saputo.» continuò Banner, mentre la parete della cella contro la quale a lungo si era scorticato le nocche nel vano tentativo di romperla, si sollevava lentamente.

Una ventata d'aria gelida proveniente dall'esterno lo fece rabbrividire.

«Andiamo a riprenderci quell'idiota di uno Stark che si è lasciato catturare.» concluse la Vedova.

Una scintilla brillò nello sguardo di Steve, dopo un lungo periodo in cui gli era stata sottratta.

Una scintilla che sapeva di speranza.

~o~

Steve. Gli stava sorridendo. Stava tendendo una mano verso di lui. Tony ricambiò il sorriso e fece per avvicinarsi e afferrare quella grande mano che sapeva essere così calda ed accogliente. Ma non riusciva in alcun modo a raggiungerlo. Si mise a correre, cercando di urlare il suo nome, ma per quanto di sforzasse la voce gli rimase imprigionata in gola. E Steve diventava sempre più irraggiungibile. Più si allontanava, più la sua espressione diventava triste, delusa, fin quando non abbassò la mano e si girò di spalle allontanandosi.
La voce del suo Capitano lo raggiunse chiara, mentre con il volto rigato dalle lacrime, l'inventore continuava a cercare di raggiungerlo e di urlare il suo nome.

"Mi hai fatto aspettare troppo"

Un secchio d'acqua gelida lo sottrasse da quell'incubo, per gettarlo in un altro da cui era impossibile svegliarsi. Spalancò gli occhi, ansimando. Doveva essere svenuto, di nuovo. Non sapeva quanto tempo era passato dalla sua cattura, ormai quest'ultimo era scandito solo dai suoi svenimenti e dai bicchieri d'acqua che ogni tanto gli lasciavano sorseggiare per tenerlo in vita il più a lungo possibile.

Il boia si girò verso il proprio 'carello degli attrezzi' schermando quest'ultimo con le sue larghe spalle e impedendo a Tony di vedere cosa stesse per usare.

Obadiah, dopo due o tre svenimenti, si era stancato, lasciando ai suoi il compito di inventare nuovi metodi di tortura. Ora se ne stava lì, seduto su quello che credeva un trono, ma in realtà era una semplice sedia. Osservava compiaciuto la scena, senza perdersi neanche una delle sue espressioni di dolore.

Ormai la sofferenza era diventata una costante, e Tony quasi non riusciva a ricordare quando non la provava, ma sapeva di aver raggiunto il limite.
Per quanto si fosse sempre vantato della sua testardaggine, sapeva che in quel momento avrebbe fatto qualunque cosa pur di mettere fine a quel supplizio. E ciò lo spaventava quanto e più del nuovo strumento impugnato in quel momento dal boia che si stava avvicinando pericolosamente a lui, uno stiletto dalla lama sottilissima.

«Questo nuovo giocattolino può raggiungere ad uno a uno i tuoi organi e graffiarli, senza però perforarli e quindi ucciderti, ed è talmente sottile che non rischierai il dissanguamento.» illustrò Stane, quasi gongolante.

L'inventore provò a sottrarsi, ma il dolore alle spalle – che nel frattempo si erano lussate nello sforzo di reggere il suo corpo – lo fece desistere dal futile sforzo.

Sentì la lama entrargli lentamente nel costato, tra una costola e un'altra, e 'graffiargli' il polmone. Una nuova esplosione di dolore gli annebbiò la vista e dalle sue labbra sfuggì un sordo gemito. Non aveva più la forza per urlare.

Quando il pugnale fu estratto dalla ferita, il dolore se possibile fu anche maggiore. Il sangue defluì velocemente dalla ferita, accarezzandogli il busto e creando una pozza sempre più larga sul pavimento, andando a unire le altre piccole pozze di sangue che lo circondavano.

«Ops, forse dopotutto il dissanguamento lo rischi.» commentò Stane sardonico «Ma c'è un modo, Stark, per porre fine a tutto questo. Io non ero d'accordo, ma i capi delle altre fazioni della mia... società, hanno molto insistito. Quindi ti è stata data una chance: lavora per noi, e non solo avrai salva la vita, ma potrai ritornare a casa. Come infiltrato e dopo esserti sottoposto al lavaggio del cervello, ovviamente, ma queste sono solo sottigliezze.» continuò, alzandosi dalla sua postazione per avvicinarglisi.

Lo guardò dall'alto in basso, con l'aria di chi sa di aver già vinto.

E fu proprio quell'atto e quelle parole a fargli capire che non c'erano più vie di fuga, non c'erano più speranze. Ma non per questo avrebbe rinunciato a tutto ciò che era.

Accarezzò con la lingua la capsula si cianuro che gli era stata impiantata quando era entrato a far parte degli Avengers e a cui si era sottoposto senza pensarci due volte, figurandosi uno scenario come quello. 

Chiuse brevemente gli occhi e rincontrò nuovamente in cangiante sguardo di Steve nei propri ricordi.

"Mi dispiace Capiscle,  ma non può essere altrimenti."

Approfittò di un momento di distrazione di Stane – un uomo dell'Hydra era appena entrato trafelato per segnalare alcuni problemi di una certa urgenza – e ruppe la capsula.

Il veleno gli invase amaro la bocca e gli scivolò giù per la laringe. I suoi effetti – essendo questo stato potenziato in modo tale da essere istantaneo – non lo fecero attendere. Il cuore iniziò a battere talmente forte da rimbombargli nelle orecchie in modo quasi doloroso. Poi fu colto da qualcosa molto simile ad un capogiro, mentre la testa gli sembrava volergli esplodere, e di accasciò su sé stesso. Chiuse gli occhi, mentre, con difficoltà dovute al trisma, mosse le labbra ad articolare un nome. Spirò sussurrandolo.

«Steve.»

~o~

«TONY!» 
La voce del Capitano rimbombò tra le pareti dell'industria abbandonata.

Dietro di lui, gli Avengers. Ancora più indietro una settantina di uomini dell'Hydra, chi morto, chi svenuto, chi si contorceva per il dolore.
Lo scontro era stato fulmineo. Erano entrati dall'altro, dai cinque fori lasciati nel soffitto dal decollo delle armature. I primi 30 li avevano presi velocemente di spalle, gli altri 40 li avevano affrontati in un corpo a corpo e ne erano usciti vittoriosi con nessuna ferita se non qualche graffio superficiale. Il dottor Banner era rimasto a guardia del Quinjet che li aveva portati fin lì e che li avrebbe riportati indietro. Tutti insieme, loro sei dopo fin troppo tempo.

«Capitano! Che piacevole sorpresa! Non attendevo una tua visita, mi dispiace non aver indossato il mio abito migliore.» Obadiah Stane fece il suo ingresso, accennando distrattamente alle proprie vesti inzaccherate di sangue. Il sangue di Tony.

Steve serrò la mascella, lo sguardo inferocito.

«Lui dov'è?! DOV'È?!» urlò il Capitano, il volto contratto in un espressione di collera.

«È ancora vivo, forse, se è questo che vuole sapere. Ma se vi aspettare che ve lo dia in regalo siete proprio degli scioc-» il vociare fastidioso del capo dell'Hydra fu messo a tacere da un colpo netto della Vedova Nera, apparsa alle spalle dell'altro.

«Con te facciamo i conti più tardi.» commentò la donna.

In breve, però, altri uomini in divisa nera si riversarono nella stanza.

«Vai, ti copriamo noi le spalle.» disse Clint, aprendo l'arco con uno scatto.

Steve gli rivolse un cenno, esprimendo la sua gratitudine con lo sguardo, poi si dileguò, aprendosi un varco tra i nemici.

«TONY!» urlò ancora a gran voce, quando si ritrovò in un'enorme stanza per lo più vuota.

Girando per il vasto ambiente, finalmente intravide la figura dell'inventore, appeso per le mani ad un nastro trasportatore. Come un animale da macello.

Gli si avvicinò fin quando non si ritrovò a pochi centimetri da lui, il corpo martoriato in modi che non osava neanche immaginare, le spalle lussate dallo sforzo di sostenere il corpo, una larga pozza di sangue che si apriva sotto di lui.

Sentì un gemito sordo, come quello di un animale morente. Ci mise un po' a comprendere che erano state le sue labbra ad articolarlo.

«Tony...» il suo ora, era un sussurro spezzato.

Con un gesto secco, ruppe le catene che lo imprigionavano con il proprio scudo.
Lo afferrò delicatamente prima che toccasse terra. 
Un ginocchio puntato per terra, l'altra gamba piegata, sostenne l'inventore senza staccare gli occhi dal volto dell'altro.
Nonostante i lividi, il sangue che gli incrostava metà viso, la sua espressione era distesa, innocente, la stessa che aveva visto addormentata sulla scrivania di quel laboratorio, circondato da marchingegni e fogli di carta blu. 
Con il volto rigato dalle lacrime, prese a scuoterlo prima delicatamente poi sempre con maggiore forza, invocando il suo nome. Ma niente, non rispondeva. Così come il suo petto immobile, dentro cui non soffiava più vita.

Rimase a cullare dolcemente il corpo sempre più freddo dell'altro, ripetendo il suo nome come in una litania, un incantesimo, una preghiera. 
Tante volte, nei suoi incubi, era stato tormentato da immagini come quella che stava vivendo e si illuse per qualche attimo che da un momento all'altro si sarebbe svegliato e avrebbe trovato l'inventore al suo fianco, come sempre.
Quando capì che non ci sarebbe stato nessun risveglio, il suo corpo fu scosso da capo a piedi, come se avesse appena ricevuto il colpo di una pistola in pieno petto. 
Prese ad accarezzare i capelli del moro, per poi posargli un lungo bacio sulla fronte insanguinata, senza smettere neanche per un secondo di cullarlo dolcemente. 
Se lo strinse con forza al petto, accarezzandolo come nel tentativo di cancellare tutto il dolore che aveva subito. Per colpa sua.

«Oh... Tony... È colpa mia... È tutta colpa mia...»

Gli aveva fatto una promessa, tanto tempo prima: avrebbero vinto insieme oppure sarebbero caduti insieme. E invece lo aveva abbandonato alla mercé del nemico. Pianse, pianse tutte le sue lacrime, stringendo al petto il corpo di quell'uomo che l'aveva amato così tanto da sacrificare la propria vita per la sua felicità.

"Ma come potrò, Tony, essere felice senza di te al mio fianco?"

Non era riuscito a dirglielo, non era riuscito a dirgli quanto l'amava. Tony era morto pensando di non essere nient'altro che un bel ricordo per lui. Era morto prima che Steve gli chiedesse scusa per averlo dimenticato. Era morto, e ormai niente di quello che avrebbe potuto fare sarebbe riuscito a portarlo indietro.

 

____________

*Dondola lanciando fazzoletti a caso* Avvolte non so neanche io perché scrivo queste cose oscene.............. In questo momento mi sto odiando non poco, ma... beh... sono una stronza sadica masochista.

Dopotutto vi avevo promesso un happy ending, quindi... aspettatevi di tutto per il prossimo capitolo (e perdonate questo coso sproporzionatamente lungo e feelsoso e cososo).

Non posso chiedervi di non bestemmiarmi in cirillico, ma se cado per le scale so a chi dare la colpa XD.

Al prossimo capitolo ~~~

 
   
 
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