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Autore: Sospiri_amore    25/01/2017    0 recensioni
Nico porta sulle spalle un ricordo doloroso che condiziona ogni singolo giorno della sua vita. La ribellione e il menefreghismo sembrano l'unica soluzione al male che sente dentro.
Rassegnato a vivere la vita che la società gli impone, si ritroverà a dover abbassare la testa e accettare il lavoro che gli viene imposto presso la Fabbrica dei Sogni.
Insieme ai suoi migliori amici, Lola e Ahmed, vivrà avventure a cavallo tra la fantasia e il reale, tra il sogno e la realtà, tra la finzione e la verità.
Chi sono gli Onironauti?
Cosa deciderà di fare Nico?
Chi è la misteriosa ragazza con gli occhi tristi?
Chi lo tradirà?
Scoprirà segreti su suo fratello Alex?
Troverà l'amore?
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Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NUOTARE NELL'ARIA


 ...Leggete il capitolo precedente, continua quel momento...

Molti mi hanno sempre rinfacciato che mi comportassi da sbruffone solo per attirare l'attenzione. Ne ho combinate di cotte e di crude, lo so, a scuola non brillavo per educazione, ma sono sempre stato convinto che per evitare che la gente scoprisse le cose che volevo tenere nascoste era necessario distogliere l'attenzione dai veri problemi.

Manomettere un esperimento. 
Saltare qualche giorno di scuola.
Tenere gli occhiali o fumarmi una sigaretta durante la lezione.

Cose stupide, ma almeno tutti hanno sempre evitato di fissarsi su di me. Sul mio volto. Sulla cicatrice vicino al mio occhio. Sono segni che suscitano la curiosità di tutti, se poi hai un fratello morto suicida nell'Onirocascata le domande si sprecano.

Ho provato a fingere.
Ho provato a disinteressarmi.
Ogni domanda era una stilettata al cuore.
Ogni curiosità una valanga di dolore.

Il ricordo della caduta di Alex dallo strapiombo è la cosa più dolorosa che abbia mai vissuto.

Adesso, qui al quarto piano interrato, di fronte a più di trecento ragazzi devo mostrarmi forte. Non posso fare una delle mie solite uscite, battute e spacconate. Non mi importa se fissano la mia cicatrice, la crepa stampata per sempre sul mio volto. Devo cercare di salvare la pelle ed evitare di farmi troppo male. Il Colonello Shinko e la Direttrice Xix mi scortano fino alla porta rossa. L'istruttrice Granada è dietro di loro. Sembra stiano portando un uomo al patibolo, passi lenti, incedere maestoso.

Io me la sto facendo addosso.

«La prova della matricola Songus sarà proiettata su quella parete», dice l'istruttore dalla pelle color ebano, «Mettetevi in ordine uno di fianco all'altro. Potrete vedere nella parte destra ciò che accade alla matricola e nell'altra metà ciò che il visore gli fa vedere. Si tratta un filmato base girato da Onirocomparse esperte. Non ci sono falle o livelli aggiuntivi in cui viaggiare, la scelta di azione è limitata. Prego, accomodatevi».

Il rumore di anfibi sul pavimento plastificato risuona per poco. La curiosità di tutti è molto alta, non vedono l'ora di capire cosa mi accadrà. 

La Direttrice Xix mi spinge con delicatezza dentro la stanza con la porta rossa. La Macchina dei Sogni sembra più spaventosa vista dal vivo che in fotografia. Nei laboratori scolastici ho sempre avuto a che fare con modellini o con parti più piccole della struttura. Trasformatori, pannelli di comando, impianti di raffreddamento, cose che mio padre aggiusta ogni giorno e che ho imparato a conoscere dai libri e dai racconti in famiglia.
Adesso, lì, con l'imbracatura in bella vista, gli schermi e il tubo di connessione con l'acqua multicolore dell'Onirocascata, sento le gambe cedere a ogni passo.

L'istruttrice Granada mi porta vicino a grosse cinghie in pelle con ganci e chiusure attaccate a pompe idrauliche. Mi trascina facendomi sedere su una specie di sellino mentre mi aggancia piedi, polpacci, cosce e fianchi con colpi secchi.

«Come ha detto il mio collega, l'istruttore Fry, si tratta di un video base che avresti dovuto provare tra qualche settimana, se mai avessi passato me prime selezioni. Non ci sono livelli aggiuntivi. La storia è lineare. Tu seguila. Segui quello che vedi». La donna mi lega braccia, spalle e torace in una rete di cinghie in pelle premurandosi di bloccarmi il collo prima di infilarmi degli spessi occhiali più simili a una maschera da sub. «Non cercare altro. Capito Songus, non cercare altro», mi sussurra ad un orecchio prima di infilarmi due specie di tappi che mi isolano completamente dall'esterno.

Mi sento ridicolo.
Mi sento un salame appeso a decine di corde.

I miei piedi non toccano più per terra. Mi stanno sollevando. Se provo a muoverli non tocco niente è come se nuotassi nell'aria.
Qualcuno appoggia una mascherina sulla mia bocca. Un risucchio improvviso la fa aderire completamente al mio muso. Dopo pochi secondi uno spruzzo umido, liquido, bagnato, mi colpisce leggermente. 
Continua. 
Continua. 
Aumenta.
Mi trovo con la mascherina piena di quella che credo sia acqua dell'Onirocascata.
Trattengo il fiato più che posso, è istinto di sopravvivenza, ma poi cedo. Spalanco la bocca sentendo il liquido fresco filtrarmi tra i denti, accarezzarmi la lingua, fino a riempirmi la gola. Un pizzicore già provato mi solletica la gola. Il mio stato di coscienza inizia ad alterarsi.

Una voce femminile parla.
Lo schermo davanti ai miei occhi si accende.

Benvenuto nella Onirosimulazione 0.1.
Camminata su ponte.

L'acqua ingerita mi confonde. Un leggero stordimento mi avvolge, non ho più coscienza di essere appeso per delle cinghie al quarto piano interrato. 
È come se cadessi in volo libero, succube della gravità e avvolto dall'oscurità. Non ho la forza per muovermi, sono ancorato e destinato ad andare verso il fondo. Un peso mi trascina verso il basso. 
Il nero che mi avvolge si sgretola. 
Non sto cadendo più nel nulla, ma intorno a me si materializzano pareti rocciose ricoperte di piante rampicanti e cespugli. Da alcuni punti sgorgano piccoli rivoli d'acqua argentati che sembrano serpenti guizzanti. Sento caldo, mi pare di sudare. Sembrerebbe una foresta tropicale o qualcosa di simile.

Di colpo mi fermo. 

Galleggio immobile tra le pareti rocciose alla mia destra e sinistra. Provo a ruotare il collo per capire dove mi trovi, ma oltre a sassi e rocce c'è solo un cielo azzurro e decine nuvole.

Sto galleggiando nell'aria, nel cielo. 
Sto volando.

Con delicatezza, quasi a rallentatore, scivolo verso il basso. I miei piedi toccano ben presto un ponticello in legno dall'aria traballante. Non so da dove sia comparso, so solo che adesso ho la sensazione precisa del contatto della suola degli anfibi sulle tavole del ponte. È una sensazione reale, la stessa che si prova la mattina appena svegli quando si appoggiano i piedi per terra.

Mi guardo le mani. Le apro e le chiudo più volte.

È una sensazione strana, diversa da quando l'ho provata con il Colonnello Shinko nel cortile della scuola. Allora c'era stato caos, paura e una sensazione di stordimento legata alla stranezza delle sensazioni provate. Adesso è come se ritrovassi veramente su un ponte in una foresta tropicale.

Provo a fare un passo, ma la scala si muove troppo. Guardo oltre la balaustra di corde intrecciate. Sotto di me c'è uno strapiombo pieno di rocce aguzze e un fiume che scorre pieno e potente. 
Non mi fido. 

«Vieni. Vieni qui», dice la voce di donna sentita poco prima a inizio simulazione.

Davanti a me, dall'altra sponda del ponticello, c'è una ragazza che sorride. Con la mano allungata nella mia direzione mi invita a andare da lei. Con i denti in bella vista, i capelli acconciati e una divisa con gonna azzurra, se ne sta immobile.
Immobile e sorridente.
È piuttosto inquietante.

Arretro un passo, non voglio stare un secondo di più lì sopra, soprattutto non ho la minima intenzione di avvicinarmi a quella tipa stramba dall'aria finta e la paresi facciale.
Con estrema cautela appoggio i piedi sulla roccia che sostiene il ponticello, diversi detriti e sassolini si staccano dal costone principale sotto il mio peso. Cercando un appiglio mi attacco alla parete rocciosa come meglio posso, ho meno di cinquanta centimetri tra la pietra dietro la mia schiena e il ponte di legno davanti a me. 
La mia schiena aderisce alla dura roccia. Sento spigoli e punte premere contro la mia carne anche se indosso la mia tuta grigia e nera del corso.

Freddo.
Roccia sulla schiena.

Io ho già vissuto tutto questo.

Il ricordo dell'ultima sera passata con mio fratello al promontorio Nord prende spazio nella mia mente. La sensazione che provo è la stessa di cinque anni fa, anche allora ero appoggiato a una roccia mentre parlavo con lui. Anche allora sentivo quella sensazione, quel fastidio e la scomodità.

Ciò che ho vissuto nella realtà è uguale a lì dentro.
Ma che sta succedendo?

Un rivolo di acqua color arcobaleno irrompe a pochi metri da dove sono appoggiato. Così, senza nessuna apparente logica. Dalla parete rocciosa un altro sbuffo luminescente irrompe prepotente. Dopo pochi secondi un paio di altri getti distruggono la roccia riempiendo l'aria di scintille colorate. Sembra una sequenza infinita, decine di flussi d'acqua distruggono le rocce intorno a me, sommergendomi, inzuppandomi da capo a piedi. 
Il liquido che cade è così tanto che rende instabile la mia presa.

Sto per cadere.
Gli anfibi sono instabili, sento l'acqua scivolare sotto la suola di gomma.
Ho due scelte: attraversare il ponticello di legno e andare verso la ragazza fantoccio o buttarmi nel vuoto.

Non ho dubbi.
Salto.

Non nuoto più nell'aria. 
Non galleggio. 
Cado come fossi di piombo.
L'acqua che schizza dalla roccia accompagna il mio volo, mi avvolge, mi accarezza.
Ci vuole poco prima che raggiunga il fondo, centinaia di rocce aguzze attraversare da un fiume che scorre impetuoso mi aspettano. 
Manca poco prima che mi schianti.
Guidato da un istinto umano e animalesco, per niente filtrato dalla ragione, mi metto le braccia sul volto come se potesse bastare a salvarmi.
Non voglio vedere la mia fine.
No.
No.

Poi c'è solo il buio.

Lampi di luce.
Un turbinio.
Assenza di suoni.

Questa è la fine?

Avvolto nella melma muovo le braccia e gambe a fatica. Sono stanco, distrutto. Non ho idea in cosa sia immerso. Non riesco a vedere nulla, c'è solo un fastidiosissimo suono, lontano, sottile. Sembra un urlo, un pianto acuto. È la somma di pianti. Mi guardo intorno, cerco qualcosa, cerco qualcuno. È come se sapessi dove sono, come se volessi ritrovare un posto che non vedo da tempo.

«Sei tornato. Non credevo saresti venuto di nuovo». La ragazza con gli occhi tristi, che ho visto settimane fa, è sempre seduta in un angolo da sola.

La fisso. Non so che dire. Gli occhi scuri, i capelli castani leggermente spettinati che le cadono sulle spalle e quell'aria triste sono impossibili da dimenticare: «Scusa il ritardo», le dico.

La ragazza accenna a un sorriso mentre allunga la mano nella mia direzione.
Provo a raggiungerla anche se la sostanza melmosa in cui naviga il mio corpo oppone resistenza. Provo a raggiungerla, ci metto tutta la forza possibile, ma non riesco.
La ragazza fa qualche passo nella mia direzione.
Manca poco.
Pochi centimetri ci dividono.
La distanza di un soffio.

Onirosimulazione terminata.

Una luce accecante mi investe. Il mio corpo crolla, la mia mente viene risucchiata lontana dalla ragazza che tra un battere di ciglia e l'altro svanisce proprio come è comparsa.
La realtà irrompe inaspettatamente. Sento decine di cinghie stringermi il corpo e la mascherina indossata soffocarmi. Scalpito, ma sono limitato nei movimenti.
Un groviglio di nausea e malessere mi colpisce  lo stomaco.
Sento mani che mi toccano, che mi slacciano.
In pochi secondi cado a terra come fossi morto. Il peso del mio corpo è triplicato, i miei muscoli non riescono a reggere lo stress fisico appena provato. Conati e spasmi comprimono il mio ventre. Sto per vomitare.

«Aiutatemi a metterlo a testa in giù. Con la bocca verso il basso». L'istruttrice Granada urla a pochi centimetri da me.

Mi sento rovesciare, manipolato come fossi una bambola, un bimbo incapace di camminare. C'è chi mi solleva le spalle e chi mi tiene il torace. Il vociare intorno a me è confuso, non riesco a cogliere tutto quello che viene detto, solo piccoli frammenti.

Raccogliete la sfera di energia prodotta.
Sta male potrebbe vomitare.
È uscito dalla Onirosimulazione.
Un caso interessante.
Tenetegli la testa.

Una frase però mi arriva forte e chiara, quella che l'istruttrice Granada mi bisbiglia in un orecchio: «Sei un idiota Songus. Ti avevo detto di non cercare altro».

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Se avete voglia di pubblicizzare o consigliare la storia fare pure.
Non so come farla conoscere se non con il passaparola.
Grazie!
   
 
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