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Autore: theethee_    26/01/2017    3 recensioni
L'amore tra carriera e sogni. Chiara, una scrittrice diciannovenne alle prese con il suo primo successo e un segreto ormai troppo ingombrante.
Alice, giovane giornalista famosa per la sua acidità e per la capacità di mettere chiunque in difficoltà. Un cuore di ghiaccio che deve fare i conti con molti aspetti della sua vita che sono ormai un peso.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yuri, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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Un mese dopo.
Giro le chiavi nella toppa. Una volta entrata in casa un profumo di cucina cinese mi invade le narici prepotente. Una voce che in questo mese ho imparato a conoscere molto più a fondo, spezza il silenzio.
-Com’è andata?-
-Ero l’unica donna in mezzo a cinque maschi zoticoni ed ignoranti-
Marta quasi si fa andare di traverso gli involtini primavera che sta mangiando. -Li hai battuti spero!- dice lei spostandosi un po' e facendomi spazio sul divano.
-Ovvio che li ho battuti, con le parole non mi batte nessuno- rispondo ironicamente.
Mi risponde con un semplice pollice alzato. Poi riprende: -abbiamo ordinato cinese anche per te- mi dice offrendomi una scatola
-Un pranzo niente male, grazie- dico con gratitudine.
-Prego- ecco che ritorna quella voce. Quella voce fredda e distaccata, quella che speravo di non sentire mai più con questo preciso tono.
Cerco di trattenere i mie pensieri e di cambiare argomento.
-Cosa stiamo guardando?- chiedo.
-Qualche serie TV sconosciuta, come al solito- mi risponde Marta.
-Guarda che non sei mica obbligata a guardarla. Anzi, potresti andare a fare la spesa, coì questa sera evitiamo di andare sul giapponese-
Immediatamente Marta si alza. -Okay spesa sia- dice impaurita vestendosi, per poi andarsene alla velocità della luce.
-Potresti trattarla meglio, sai?- le dico seria. -Sta facendo di tutto per aiutarti, Alice-
-Nessuno vi obbliga a stare qua. Anzi, non l’ho mai chiesto-
Entrambe sapevamo che quella sera tutto sarebbe cambiato. Anzi, soprattutto lei, sapeva che questa notizia sarebbe stata come un’onda anomala che in piena notte si abbatte su una cittadina dormiente.
Però come l’onda anomala non è evitabile, neanche questo lo è ora. Nulla di ciò che sta accadendo è sotto il nostro controllo. Ma, cosa ancora più importante, Alice sapeva benissimo che questa è una di quelle cose per cui non puoi tornare indietro. Non puoi prendere un telecomando e far ricominciare il film da capo. Non puoi andare indietro nel tempo e cambiare la situazione, semplicemente non si può cancellare quello che è stato. L’onda è arrivata e ora si sta abbattendo sulle case, non si può scappare, ormai è troppo tardi.
Così era stato quella sera: uno tsunami.
Appena Marta si è resa conto di ciò che stava raccontando Alice di fronte all’obbiettivo, non voleva crederci. Il senso di colpa l’ha subito presa a braccetto come le nipoti fanno con le nonne anziate e non l’ha più lasciata. Si è anche lasciata andare a qualche lacrima di troppo, che ha notevolmente destabilizzato Alice.
Marta faceva altro che scusarsi. Scusarsi per non aver visto, per non aver capito. Per non essersi fatta qualche domanda quando Alice le aveva fatto sostituire la serratura di casa, per non essersi accorta dei lividi ben nascosti. Infondo era la persona con cui passava più tempo in ufficio, era la sua assistente da quando Alice era diventata la giornalista più brava dopo il direttore ed era sempre, comunque e ovunque con lei.
Ma tutte e due abbiamo capito come fosse stata brava a nascondere il tutto. Quindi non era colpa sua, non era colpa di nessuno. L’unica colpa l’aveva un uomo solo e ora tutti sapevano chi fosse. E per tutti, intendo proprio tutti.
Perchè l’unica frase che ha detto Alice è stata: -Marta, pubblica questo video in ogni profilo che ho-
E così ha fatto.
Solo venti minuti dopo aver pubblicato il video su ogni account ufficiale di Alice Fortini, il web stava già impazzendo. Il telefono di Alice non faceva altro che illuminarsi per ogni notifica che arrivava, quindi praticamente stava sempre acceso.
Mentre Marta continuava a scusarsi quasi in modo sistematico, riempiendo il silenzio che aleggiava in casa, io me ne stavo in cucina a guardare. Ero come un arbitro che guarda il gioco ed è pronto ad intervenire quando si fa troppo fisico e falloso. Alice sembrava non prestare attenzione a nulla, probabilmente stava solo pensando e sperando che tutte le notifiche che stavano arrivando fossero positive.
E lo erano. Per la prima volta dopo tanto tempo Alice ha dormito sonni tranquilli. Quasi fosse sollevata, libera e leggera. Nessun peso la opprimeva più durante il sonno.
Ma il web non ha dormito quella notte.
Tutti, fan, colleghi giornalisti del giornale, persone normali, causali, addirittura qualche politico avevano condiviso il video. Alice Fortini era dappertutto. Continuavo a monitorare i commenti, le opinioni condivise su twitter e, per fortuna, erano tutte di supporto. O comunque la maggior parte. Tutti si chiedevano quale razza di mostro possa far male ad una ragazza per vendetta, tutti auguravano ad Alice il meglio in ogni frangente della sua vita. Tutti sapevano quello che lui aveva fatto a lei e lo stavano condannando per questo.
Il vero problema arrivò il mattino seguente.
Alice dormiva in camera sua, rintanata e schiva come al suo solito, Marta si era addormentata sul divano e io sulla sedia, ancora con il telefono in mano e in una strana posizione.
Tutte e tre siamo state svegliate da continui colpi contro la porta di casa di Alice, il campanello non smetteva un secondo di suonare. Dopo essere balzate tutte e tre sulla sedia -anzi su quella solo io- ci siamo guardate come si guardano tre bambine perse nel bosco prima del tramonto. “Che cazzo sta succedendo e cosa dovremmo fare?”
Poi, dopo aver sentito chiasso dalla porta d’entrata, notai che non proveniva solo da lì. Il mio sguardo puntò fuori dalla finestra, ed è lì che vidi ciò che non avevo calcolato e previsto: una marea di persone riversata in strada, stretta davanti al portone, che cercava di farsi avanti.
Non dovevamo preoccuparci dell’opinione pubblica, perché ovviamente era dalla nostra parte. Non dovevamo preoccuparci dei colleghi di lavoro o del direttore, perché Alice non aveva violato nessun tipo di legge nel sapere del famoso scandalo politico. E di certo non dovevamo più preoccuparci di lui, che ad Alice non si poteva avvicinare per nessun motivo visto il suo ordine restrittivo.
Dovevamo preoccuparci dei giornalisti che erano ora attaccati alla porta di Alice e che avrebbero fatto di tutto pur di intascarsi per primi due parole sulla persona del momento: Alice Fortini. Tutti lì pronti per lo scoop, per qualche dichiarazione shock di Alice Fortini, tutti ammassati davanti al portone di casa.
Inutile dire che non si sono scoraggiati. Notte e giorno erano e sono lì davanti ad aspettare qualche mossa sbagliata o qualche scatto rubato dalle finestre.
E se non vedevi nessuno in strada, beh loro erano nascosti nelle macchine parcheggiate, come mi aveva fatto notare la stessa Alice.
Per i primi due giorni neanche io e Marta siamo potute uscire da casa di Alice.
Alice che ormai era diventata quella di sempre. Una ragazza fredda e distaccata, circondata da quel muro che aveva ricostruito in un sola notte dopo averlo fatto crollare con tanta fatica. Probabilmente si era arresa, arresa al fatto che qualsiasi decisione lei prendesse non avrebbe avuto il riscontro che sperava e pensava. Era scoraggiata dagli eventi, scoraggiata perché aveva capito che loro avrebbero fatto di tutto per violare la sua sacrosanta vita privata. Inutile dire che aveva ragione. Eravamo circondate da squali pronti ad azzannarci e questo lei lo sapeva bene.
Ma se Alice da una parte si era arresa, io dall’altra no. Niente mi avrebbe messo al tappeto, non dopo tutta questa fatica. Non sarebbero stati un branco di giornalisti da quattro soldi a mettermi in difficoltà.
Ero riuscita a farmi breccia tra la diffidenza e le difficoltà di Alice, facendole fare ciò che era più giusto per la sua vita, quindi tutto questo non poteva semplicemente finire così.
Ovviamente in questo mio piano avevo trascinato con me anche Marta, perché era l’unica persona che mi poteva aiutare e che, a quanto pare, Alice aveva considerato affidabile tanto da registrare il video in sua presenza e con il suo aiuto.
Quindi c’era un unico modo per aiutare Alice a non ricadere nelle vecchie abitudini solitarie e silenziose: fare della sua casa il nostro quartier generale (non che per i primi due giorni avessimo avuto scelta).
Finalmente riuscimmo ad estrapolare un patto bello solido e promettente. Potevamo stare con lei, ma ad una sola condizione: i giornalisti non dovevano vederci. Beh, non era una clausola semplice a dire il vero, visto e considerato che la casa era circondata da giornalisti instancabili. Ma questo non ci fermò di certo: era l’unico patto che poteva uscire dalla bocca di Alice quindi dovevamo accettare.
Lo stesso giorno ci aggirammo silenziosamente per le scale alla ricerca di una qualche soluzione.
L’illuminazione ci venne dal portinaio: ci disse che c’era un entrata sotterranea e una dal retro per chi aveva i parcheggi nel cortile interno. Bingo! Era fatta. Avremmo parcheggiato la macchina dietro casa di Alice, proprio in un’altra via per non destare sospetti, saremmo venute a piedi nel cortile interno per poi entrare dal retro.
Sulla carta e in linea teorica era un piano perfetto.
In realtà?
Era stupendo e funzionava a meraviglia.
Così ogni giorno utilizzavamo questo passaggio segreto per arrivare a casa di Alice, che sembrava sorpresa dal nostro ingegno.
Avevamo addirittura fatto dei “turni” ad insaputa della Fortini. Quando Marta andava a lavorare io magicamente apparivo davanti alla porta di Alice e bussavo tre volte (successivamente aveva addirittura deciso di darci le chiavi di casa). Mi portavo da scrivere, preparavo gli incontri con Andrea, interventi o semplicemente leggevo. Quando ero io invece a dover andare ad interviste o incontri Marta teneva compagnia ad Alice.
Quello che non sappiamo e che non sapremo mai è se ad Alice effettivamente fa piacere la nostra presenza o se sta vivendo questo momento come se stesse scivolando su di sé, impotente di fermarlo e cambiando.
-Lo so che non ci hai obbligato a stare qua per tutto questo mese. Lo stiamo facendo per aiutarti, devi solo farti aiutare. Capito? Proprio come hai fatto un mese fa, fatti aiutare e andrà tutto bene-
-L’ultima volta che mi sono fatta aiutare sono finita con la casa circondata da giornalisti senza poter mettere un piede fuori casa per quattro settimane- dice spegnendo la televisione.
Ha ragione, ha tristemente ragione.
Avevo promesso che sarebbe andato tutto bene, che denunciare il tutto le avrebbe cambiato la vita in meglio. Ma solo lei aveva davvero pensato alle conseguenze vista la sua posizione nella società, io l’avevo solo vista come una donna usa semplice e qualunque donna, ma non lo è.
Mi sento di colpo impotente, di nuovo, per l’ennesima volta.
Sospiro sonoramente, penso mi abbi sentita forte e chiaro. I suoi occhi chiari mi seguono.
-Direi che è ora di aprire gli scuri, non puoi stare al buio per il resto della tua vita- dico dirigendomi verso le finestre.
-No Chiara, non aprire o ti vedranno- mi dice con tono preoccupato.
Bisogna fare qualcosa per farla muovere, per farla reagire.
Devo fare qualcosa, qualsiasi cosa.
-Non interessa, sono stanca. Sono stanca almeno quanto te! Sono qua a casa tua per starti vicino, non devo nascondere niente perché non stiamo facendo nulla di sbagliato. Prima o poi si stancheranno di stare lì ad aspettare qualcosa che non avverrà mai- dico spuntando fuori tutti i miei pensieri.
-No Chiara, non si stancheranno mai, lo so. Lo so perché io sono come loro, io sarei lì sotto come loro… anzi avrei già trovato un modo per scassinare la serratura e prendere ciò che voglio per il mio articolo. Sono una giornalista, non mi stanco mai nell’aspettare quella che reputo la mia notizia. Loro sono come me, non se ne andranno fino a quando non avranno ciò che vogliono-  per la prima volta Alice fa un discorso più lungo di due parole.
Questo mi sconvolge quasi.
-Bene allora diamo loro ciò che vogliono-
Prendo il cappotto autunnale e lo indosso. Apro la porta e mi precipito per le scale.
Avranno ciò che vogliono, ci puoi giurare.
Arrivo dalla porta del palazzo, la apro e la luce del sole di colpo mi investe.
Nessuno stava prestando attenzione alla porta principale, forse si spettavano solo un altro condomine uscire.
Ma quando i primi si rendono conto che Chiara Cerati è uscita dalla porta del palazzo di Alice Fortini tutti mi corrono addosso con i microfoni in mano. Per fortuna il portinaio capisce in tempo cosa sta per accadere e li tiene abbastanza lontano da me.
Le telecamere mi fissano ed inquadrano, la gente spinge, mille domande mi arrivano al secondo.
Quando capiscono che non sono intenzionata a rispondere alle loro domande, ma sono io a voler parlare non fanno altro che stendere le braccia e avvicinare i microfoni a me.
-Sono qua solo per dirvi una cosa molto semplice e sincera: andatevene da qua. Dietro la porta di quell’appartamento che vi siete divertiti a bussare ad ogni ora del giorno e della notte, c’è un donna. Una normalissima donna che ha bisogno di due cose che le sono state negate per tanto tempo: rispetto e tranquillità. Se siete qua per darle nessuna di queste due cose, allora potete andarvene. Perché quella ragazza ha subito già troppo, nessuno di noi può immaginare o capire cosa ha dovuto sopportare e subire. Visto che siete anche suoi colleghi, vi chiedo solo di rispettarla e  di lasciarla in pace, di lasciarla finalmente tranquilla perché si merita, dopo questo lungo cammino che ha fatto, un po’ di pace. Se cercate risposte allora andate dall’onorevole, oppure aspettate la sentenza che ci sarà tra un mese, lì troverete tutto ciò che cercate. Se volete solo gossip, allora potete andare all’inferno- dico con una schiettezza mai vista.
Immediatamente mi arriva una domanda: -Cosa ci fa lei nell’appartamento della Fortini?-
-La mia amica ha bisogno di aiuto e io intendo darglielo. Se volete portarle rispetto allora dovreste andare via e aspettare pazientemente una sua dichiarazione, solo così potete aiutarla. Non facendo li sciacalli di fronte a casa sua-
Giro le spalle a tutti.
Ecco servito il piatto forte del giorno: vendetta. Gelata.

•••

-Bene direi che la questione l’abbiamo risolta- esordisce come se nulla fosse una volta chiusa la porta alle sue spalle.
Sembra uno di quei giudici che condanna un prigioniero. È così abituato a farlo da essere normalità ai suoi occhi. Dov’è finita la Chiara Cerati timida di fronte alle mie domande, timorosa nel far sapere i particolari della sua vita privata, quella che era sull’orlo delle lacrime perché si sentiva sola? Seppellita anche lei da quello che sta succedendo, da tutte queste sconvolgenti reazioni. Probabilmente ha dovuto accantonare il suo essere debole per me. Per fami forza, per aiutarmi. Ha dovuto mettere su una corazza e io non sarò mai in grado di ripagarla per quello che sta facendo.
L’unica cosa che automaticamente faccio ora è stringerla in un abbraccio sincero, un abbraccio che non davo da tanto e che ancora mi fa bruciare la pelle come ogni altro tipo di contatto.
Posso quasi sentirla sorridere dietro le mie spalle.
Mi stacco lentamente da lei e l’unico guardo che mi rivolge è uno felice.
-Quindi sei mia amica?- le chiedo solamente.
-Alice, sono stata tua amica dalla prima volta in cui stupidamente ho messo piede in questo appartamento-
-Lo ricordo- dico. -Se non fosse stato per quel stupido gesto di invadenza della mia privacy, non saremmo qua ora- ammetto finalmente sia a me stessa che a lei.
Ridacchia piano.
-Sei ritornata quella di sempre?- mi chiede e io la guardo interrogativa. -Perché l’Alice fredda e imbronciata non riesco a sopportarla- mi dice guardandomi negli occhi.
-Non credere che comunque la tua sia stata una mossa furba. Ora ci sei anche tu in mezzo a questa faccenda e- mi fermo accendendo la tv su un canale a caso -tutti parleranno anche di te, ovunque e chissà per quanto tempo- dico quasi con un senso di colpa.
-Non mi importa Alice, non ho detto niente di sbagliato. Sono stata solo schietta e decisa. È l’unico modo per domare voi giornalisti- dice quasi come battuta.
-Non sottovalutarli- dico seria.
-Tu invece li stai sopravvalutando e stai facendo esattamente il loro gioco. Ti vogliono indifesa e debole. Vogliono che tu sia stanca del loro assedio per farti parlare più in fretta-
Probabilmente ha ragione, io stessa aspetterei che la mia “vittima” non ne possa più e che, estenuata, mi racconti tutto.
-Non dare loro questa soddisfazione, Alice. Sei una ragazza furba, intelligente, sei ancora la giornalista più brava e giovane d’Italia. Loro non vedono l’ora di dimostrare il contrario- continua.
Annuisco decisa in risposta.
-Bene, allora se vogliono giocare… giochiamo- dico seria. Vado verso le finestre e le apro. -È ora di aprire questi scuri dopo giorni di luce a led. Mi dai una mano?-
Sorride fiera.
Si avvicina all’altra finestra e la apre, pronta ad aprire li scuri.
-Vai- dico solo.
Quasi simultaneamente apriamo tutte le finestre, l’aria fresca dell’autunno mi arriva diritta in faccia. Cerco di non prestare attenzione a tutti i giornalisti sotto di noi che sembravano intenti a caricare tutte le loro attrezzature nelle macchine. Non hanno subito notato che stiamo aprendo gli scuri e le finestre, che ci stiamo mostrando in un’azione quotidiana, perché quando impugnano la macchina fotografica forse è già troppo tardi.
Richiudo le finestre.
Se mi hanno fotografato, non importa. Se hanno catturato la mia faccia distrutta da notti insonne, non mi importa. Questa sono io, sono quello che ho vissuto e sto vivendo. Sono forte nonostante tutto.
Sono forte, grazie a qualcuno.
Poso i miei occhi sui suoi color dell’ambra, finalmente meno preoccupati e cupi.
-Questa è l’Alice che conosco-
Sorrido imbarazzata.
-Com’è che me ne vado via mezz’oretta e voi fate le paladine della giustizia asfaltando quei giornalisti?- dice Marta entrando in casa mia quasi correndo.
Una risata esce dalla mia bocca e anche da quella di Chiara. Forse era la prima volta in un mese di quasi convivenza, che si lasciava andare davanti a me con qualcosa di poco professionale e colloquiale. In fondo ero ancora tecnicamente il suo capo.
Ma ora, proprio non mi importa. Mi ha aiutato così tanto e così duramente che non devo e non posso riprenderla per una stupidaggine del genere.
Continuiamo a ridere per la sua entrata e per la sua frase.
-Ridete pure, ma anche io volevo il mio momento di gloria- dice incrociando le braccia in modo buffo.
-Puoi sempre entrare dall’entrata principale, così avrai il tuo momento di gloria-
Sbuffa. -Non sanno neanche chi io sia, Chiara è famosa, io no-
Chiara continua a ridere sotto i baffi.
-Ti metterò nei ringraziamenti della mia biografia, dai- le dico scherzosamente.
-Ma che le hai fatto mentre ero via?- chiede rivolgendosi a Chiara.
-Io? Niente! Tutta farina del suo sacco-
Ridiamo di nuovo tutte e tre.
Oggi deve essere un nuovo inizio, lo deve essere per forza.


Il giorno della sentenza era arrivato più veloce del previsto.
Dal giorno in cui finalmente avevo reagito erano cambiate tante cose.
Quel giorno, grazie a Chiara, era stato uno spartiacque. Non lo era stato il giorno in cui ho denunciato tutto, non lo era stato il giorno in cui ho detto tutti cosa stava accadendo, lo era stato proprio quando Chiara mi aveva dato l’esempio di cosa dovevo fare e di come dovevo comportarmi. Mi aveva fatto vedere che stare chiusa in casa non avrebbe aiutato, guardare serie tv inglesi neanche, l’unica cosa che mi avrebbe aiutato era io stessa. E così è stato.
Quella sera stessa avevo cominciato a ringraziare i miei fan, le persone che mi avevano dato supporto anche solo una semplice frase, insomma… tutti. Passai quasi tutta la sera su twitter a leggere e a rispondere a tutti i messaggi di supporto. Mentre rispondevo, notavo come tante donne e ragazze avevano subito violenze di ogni genere, da quella fisica a quella psicologica, stalking e ricatti.
In quel momento ho capito.
Ho capito che dovevo essere il modello per chi ha subito la mia stessa storia. Dovevo essere quella persona a cui guardare e dire: “Voglio essere così”. Immediatamente i miei pensieri andarono a Chiara, quella dolce e gentile ragazza che non conoscevo neanche così bene ma che stava dormendo accanto a me sul divano. Forse lei era stata il mio modello?
Il giorno seguente mi presentai al lavoro.
Senza commenti o nessun tipo di annunci mi infilai subito nel mio ufficio. Dietro di me, come al solito, Marta che mi aveva accompagnata da casa mia.
Sentivo gli occhi indiscreti della gente su di me. Percepivo anche la loro compassione. Chiusi le tende e iniziai a lavorare come avevo sempre fatto negli anni precedenti.
Nei giorni seguenti il mio ufficio si riempiva gradualmente di fiori dal profumo dolciastro. Tutti regali di colleghi, fan, lettori e donne qualsiasi perse in qualche parte d’Italia. Mi mostravano il loro affetto e io per gratitudine ogni sera li caricavo in macchina e li portavo a casa. Alcuni li davo a Marta e Chiara, da portare nelle loro case, altri li tenevo per me.
Il giorno in cui ne ricevetti di più fu quello seguente alla pubblicazione del mio editoriale sulla violenza. Avevo scritto queste poche colonne con tutto il mio cuore. Avevo scritto di quanto sia difficile e di quanto faccia male. Mi ero aperta ai lettori con un solo scopo: essere il modello da seguire, essere colei da cui prendere esempio.
Speravo di aver fatto la cosa giusta e forse i fiori che riempivano il mio ufficio erano una risposta affermativa.
Quel giorno decisi di scattare una foto al mio ufficio riempito da fiori bellissimi. Decisi di metterla ovunque, di nuovo. Se volevo essere un modello, dovevo anche espormi ed essere “socialmente attiva” - così l’aveva definito Marta.
@AliceFortini: Grazie per tutto l’affetto che mi regalate.
Con tanto di foto allegata.
Era la mossa giusta da fare.
Per tutto il mese successivo Chiara era rimasta con me e con lei anche Marta. Ora il clima era diverso, meno teso, l’aria era meno pesante e più rilassata. Probabilmente loro stesse si erano abituate a venire a casa mia, perché ormai era quasi un appuntamento quotidiano.
Ovviamente per me e Marta era tutto più semplice, lavorando insieme ci era automatico partire e tornare a casa mia. Ora che poi i giornalisti avevano abbandonato le loro postazioni era tutto più semplice.
Per Chiara invece la situazione era molto diversa. Dopo essersi esposta così tanto per me, anche per lei le conseguenze erano arrivate veloci come una lettera da Hogwarts. Anche casa sua era stata assediata per qualche giorno dai giornalisti, ma ben presto abbandonarono la causa. Perché? Perché Chiara Cerati non si nascondeva. Andava ad eventi, incontri, conferenze, quindi bastava andare ad una presentazione ed il gioco era fatto. I suoi incontri non erano frequentati solo più da fan, ma anche da giornalisti incalliti. Le uniche domande che le facevano erano su di me, sulla nostra amicizia, su come sto, su chi mi aiuta, se la mia famiglia sa qualcosa, se la mia famiglia esiste. Inutile dire che Chiara era allo stremo delle forze e della sopportazione.
Ma all’ultimo incontro che fece, circa due settimane fa, diede spettacolo. Si era talmente arrabbiata con chi faceva domande non pertinenti al suo lavoro e al suo libro, che li ha di nuovo cacciati a calci in culo con le parole.
Da quel giorno di sono calmati.
Anche lei era diventata un punto di rifermento per tante persone che la ringraziavano per il suo aiuto e per la sua tenacia nei miei confronti.
Io cercavo di ringraziarla ogni giorno per quello che stava facendo, ma mi sembrava sempre troppo poco.
Così l’unica cosa che mi rimaneva era offrirle un posto sicuro e accogliente dove rifugiarsi quando non ne poteva più. Quel posto poteva essere solo casa mia, dove loro mi hanno accudito e rinforzato e dove ora potevo tenere d’occhio Chiara.
La sentenza era andata in mio favore, sebbene nessuna teste avesse assistito alle vere e proprie violenze, c’erano abbastanza prove per dire che era stato lui e che doveva pagare per questo. Probabilmente le prove schiaccianti furono le testimonianze di Marta e Chiara. La prima diceva di aver dovuto cambiare la serratura del mio appartamento sotto mia nervosa e impaurita richiesta, la seconda diceva di aver visto lividi e segni dei maltrattamenti. Io dall’altra parte ho fatto il possibile per spiegare ogni dettaglio doloroso di quello che è avvenuto. Forse è stata la parte più devastante di tutto il processo. Lui che mi guadava con i suoi occhi carichi d’odio, di sete di vendetta, io che cercavo di non lasciarmi andare, di essere forte. Non mi poteva più fare male. Non poteva più.
Tornate a casa, spossate dalla lunga giornata che abbiamo sopportato, ci accasciamo sul divano.
Tutte e tre sospiriamo quasi in coro.
Prendo il telefono.
            @AliceFortini: oggi c’è stata un piccola vittoria per tutte quelle donne che non l’hanno avuta. Grazie di cuore per la vicinanza.

-Vedo che hai imparato ad essere social- mi dice Marta scherzando.
-Scusate devo rispondere a mia madre, oppure si preoccupa come al solito- dice Chiara.
Annuiamo gentilmente.
Da quello che avevamo capito, non appena la mamma di Chiara aveva visto la faccia di sua figlia su ogni telegiornale e sito, era andata in panico. Chiamava sua figlia praticamente ogni giorno chiedendo come stesse andando e se ci fossero novità. Diciamo era preoccupata per la figlia e di come stesse gestendo i giornalisti e la “fama”. Ma mai si era presentata a casa sua o qua per vedere se fosse, effettivamente, tutto a posto. Probabilmente si fidava.
-La mia pausa è finita, dice Marta. Il direttore mi vuole al lavoro oggi pomeriggio- dice quasi sbuffando.
-Salutamelo- dico scherzando.
-Con molto piacere- dice alzando gli occhi al cielo.
Saluta con un cenno Chiara, che si trova nella cucina a parlare al telefono.
Mentre aspetto che Chiara finisca le sue faccende famigliari accendo la tv.
Ripensandoci Netflix può darci il giusto riposo. Netflix and chill, no? Così decido di accenderlo e di aspettare.
Involontariamente sento quasi tutta la conversazione di Chiara.
-Mamma non mi interessa-
-Ti ho detto che non mi interessa quello che pensa-
-Non importa, sto solo aiutando un’amica-
-Sì mamma, te lo giuro!-
Non devo origliare, non è da me farlo.
Non voglio essere maleducata, però non voglio neanche che Chiara abbia problemi con la sua famiglia per essersi esposta ai media per difendermi. Non vorrei creare subbuglio nella sua vita più di quanto non ne abbia già fatto.
Sospiro.
Sono un costante problema per le persona che mi stanno accanto. Anche ora, che tutto dovrebbe andare a meraviglia, sono comunque il problema della situazione.
La mia vita era un casino al principio, e non vedo perché questa condizione dovrebbe migliorare nel tempo. Anzi, sembra peggiorare.
-Scusa, rompe le palle come al solito- dice sedendosi di nuovo sul divano che ormai trova familiare. -È solo preoccupata, cerca di capirla-
Annuisce solamente. -Hai optato per Netflix vedo?-
-Mi voglio rilassare un po’. Mi fai compagnia?- chiedo.
-Volentieri- mi risponde con un sorriso.
 
•••

Avevamo optato per “Little miss Sunshine”.
Però ero solo più io a guardarlo ora. Alice si è addormentata solo una ventina di minuti dopo l’inizio. Non voglio svegliarla, perché merita un po’ di riposo anche lei. Ma non voglio neanche vedere il film senza di lei.
Decido comunque di far andare avanti il film, ma non ci presto attenzione. Allungo una mano e afferro il telefono. Giro sui vari social network e rispondo a qualche fan come al solito.
Dopo la mia “asfaltata” ai giornalisti  di un mese fa, la mia popolarità era aumentata in modo esponenziale. Mi fa piacere ovviamente, anche se avrei preferito accadesse per un altro motivo.
Di colpo sento un peso sulla mia spalla. Mi giro lentamente e vedo solo una massa di capelli castani appoggiati su di me.
Sorrido.
Probabilmente non è in una delle posizioni più comode per lei.
Cerco di spostarla lentamente, facendo attenzione a non svegliarla. Quando la sposto, capisco che l’unica posizione possibilmente comoda è appoggiarle la testa sulle mie gambe. Prendo un cuscino e lo faccio.
Ritorno al mio solito cazzeggio, intanto scambio qualche messaggio con Andrea che finalmente aveva capito chi fosse l’amica in pericolo che dovevo aiutare. In questi mesi mi aveva aiutato a tenermi calma. Tra i miei impegni e Alice, la situazione non era semplice. Era un via vai e un correre continuo da una parte all’altra della città. Ma per fortuna Andrea mi aiutava, mi dava qualche passaggio, mi portava il pranzo quando ero troppo presa dal ricordarmi che le persone normali alle 13 mangiano e via dicendo. Insomma, era stato una vera e propria benedizione.
Il film è ormai ai titoli di coda quando Alice ritorna tra noi: -Cavolo scusami, mi sono addormentata- esordisce stropicciandosi gli occhi.
-Ehy, non ti preoccupare. Ne avevi bisogno- le rispondo gentile.
-Ho preso la parte del chill troppo letteralmente- dice alzandosi.
Non ho minimamente idea di cosa stia parlando. La guardo stranita.
-Cavolo non ci credo, ho pure invaso il tuo spazio personale! Sono un disastro-
Rido di gusto.
-In realtà ti ho messo io così- ammetto. -Eri malamente appoggiata sulla mia spalla, ho pensato che così saresti stata più comoda-
Vedo del rossore comparire sulle sue guance.
-Scusa lo stesso per essermi addormentata- dice in modo sincero.
Sorrido in risposta.
-Stavo pensando…- esordisce di nuovo.
-Alice Fortini pensa mentre dorme?- dico dispettosa.
-Io penso sempre- mi risponde ironica. -Stavo pensando che voglio ringraziarti-
-E per cosa, scusa?-
-Per cosa? La lista sarebbe infinita, Chiara- mi risponde. -C’è un ristorante brasiliano a mezz’ora di macchina da qua. Se hai voglia di sopportare la mia musica in macchina ti ci posso portare-
-Mi stai invitando a cena, Fortini?-
-Sì, sto invitando Chiara Cerati a cena- mi dice seria.


Ed eccomi di nuovo davanti al mio armadio a cercare dei vestiti appropriati per Alice Fortini. Era successo all’inizio di tutto e sta succedendo di nuovo oggi. Oggi in cui la sua vita deve essere cambiata e deve iniziare in un modo positivo e nuovo.
La sto maledicendo internamente.
Mi ero fatta convincere dopo aver sentito “all you can eat di sola carne”, lì mi ero persa e avevo accettato immediatamente. Forse avevo seguito troppo il mio stomaco e meno la mia testa, ma ormai il danno era fatto.
In più non mi dispiace continuare a passare del tempo con Alice, sebbene il peggio sia ormai passato. Trovo giusto continuare la nostra amicizia, anche se d’ora in poi il legame che ci unirà sarà il sentimento in sé e non l’aiuto che voglio darle. Quindi tutto sommato la combo carne + Alice mi va bene.
Il problema stava solo nei miei vestiti.
Alice è sempre impeccabile, anche nelle situazioni più casual e tranquille. Persino in casa, con la sola tuta addosso, sapeva essere sempre perfetta. È questo che mi mette un po’ d’ansia: il suo essere sempre perfetta e posata per ogni situazione al confronto con i miei pantaloni e magliette.
Sospiro.
Non importa, infondo è solo una semplice cena.
Mi infilo i miei pantaloni blu, quelli che considero “eleganti”, mi abbottono la mia camicia grigia e mi sistemo un po’ i capelli.
“Sto partendo da casa, tieniti pronta”, mi scrive.
Prendo borsa, chiavi e mi catapulto fuori da casa.
Riconosco la bellissima macchina di Alice parcheggiata davanti a casa mia.
-Spero di non averti fatto aspettare- dico salendo.
-No, tranquilla. Sono appena arrivata, siamo state coordinate-
Ringrazio tutti i santi per questo.
-Sei pronta? Andiamo?-
Annuisco felice.
-Puoi scegliere la musica- dice dopo un po’.
-No, sono curiosa di sentire cosa ascolti tu di solito-  rispondo.
-Io amo la musica rock inglese, sai tipo i Muse, i Pink Floyd, Alt-J, Arctic Monkeys…-
-Approvo. Anche a me piacciono!- dico alzando il volume.
Ascoltiamo la musica in silenzio per il resto del viaggio. La vedo tamburellare a tempo le dita sul volante.
Finalmente è tutto calmo e tranquillo. Questa sembra di nuovo una vita normale.
In men che non si dica siamo già arrivate. -È questo il posto- mi dice mentre parcheggia e spegne la macchina.
-Sembra carino- dico sincera.
-Lo è! Ma soprattutto è pieno di carne-
Una volta entrate, ci fanno accomodare. Il posto non è troppo affollato, ma per essere durante la settimana è decisamente pieno, soprattutto visto che si trova in un paesino fuori dalla grande città.
Ordiniamo il famoso menù all you can eat e, tra una parola e l’altra, arriviamo a quel punto in cui tutte e due ci accasciamo sulla sedia dicendo “Sono pienissima”.
-Pensi che ci sia ancora un po’ di spazio per un drink, lì dentro?- indicando la mia pancia.
-Ma se devi guidare!- rispondo svelta.
-Ma tu no! Poi una birra dopo un pasto non ha mai ucciso nessuno- dice.
-Va bene, ma prenderò solo una coca-cola-
Sbuffa.
Andiamo alla cassa a pagare: ovviamente ha voluto offrire lei a tutti i costi.
Che testarda!
Una volta uscite la brezza fresca dell’autunno mi colpisce facendomi venire qualche brivido.
-Conosco un bel pub, qua vicino-
Una volta entrate ci ritroviamo nel classico ambiente da pub. Arredamenti e bancone in legno scuri, spillatori per la birra ovunque e una musica rock di sottofondo.
Prima di sederci ci avviciniamo al bancone per ordinare.
Alice mi anticipa e dice: -Due leffe bionde, grazie-
Le prende e ci avviamo al tavolo.
La guardo di storto.
-Non muori per una birra, Chiara!-
-Ma io non la volevo- rispondo.
-Dai, so che in realtà la vuoi-
-La birra mi fa uno strano effetto- ammetto.
-Ovvero?-
-Mi stende subito- dico imbarazzata.
Ride sonoramente.
-Beh hai tempo per dormire in macchina e stanotte- mi risponde prontamente. -Allora, tua mamma è ancora preoccupata per te?- mi chiede buttando già un sorso di birra.
Faccio lo stesso. Ammetto che sia buona e che non ne bevevo una da molto tempo.
-Ma è sempre preoccupata, è normalità- dico semplicemente.
-È una cosa bella- dice solamente.
Annuisco. -I tuoi non si sono fatti sentire dopo tutto questo subbuglio?- non so se sia la domanda migliore da farle.
Ride amaramente. -Figurati! Io non sono neanche più la loro figlia-
Le sue parole sono quasi dette con disprezzo.
-Mi dispiace Alice, io non volevo parlare di questo argomento. Era per fare pura conversazione-
-La conversazione non può essere solo su argomenti felici. Credo che io e te siamo l’esempio vivente di questa frase- dice seria alludendo a tutti i discorsi che abbiamo affrontato da quando ci conosciamo.
-Non vedo mia madre da quando ho undici anni- riprende. -Non si è fatta viva nei momenti migliori della mia vita, non vedo perché dovrebbe farlo ora che la situazione è difficile e delicata. Mio padre dall’altra parte, se non è già morto di overdose è un miracolo. Quindi probabilmente ora è ancora fatto di qualsiasi cosa esista al mondo- dice fissando il bicchiere riempito a metà dalla birra.
-Però ce l’hai fatta lo stesso anche senza di loro- dico cercando di trovare il lato positivo di tutto questo.
Annuisce convinta. Bevo un sorso.
-Quindi non ti lamentare per tua mamma, ti vuole solo bene- dice.
Alice ha ragione, mia mamma è solo preoccupata perché ci tiene alla mia sicurezza e al mio benessere. Se non mi volesse bene non mi telefonerebbe con costanza per assicurarsi che tutto vada per il meglio.
-Hai ragione, infatti ne sono felice anche se a volte faccio trasparire il contrario-
Mi sorride felice.
-Lo sai che abbiamo un patto, vero?- chiede dal nulla. -Io ti dovevo dire cosa succedeva nella mia vita, ma tu dovevi dirmi cos’è successo quel giorno in cui hai deciso di cancellare i tuoi impegni per il mese successivo, lo stesso in cui piangevi senza sosta- dice riportando la mia mente a quei giorni tristi.
Annuisco, so di cosa sta parlando. Lo ricordo bene.
-Solo che dopo aver sganciato la bomba ci siamo concentrate solo su di me fino ad oggi… quindi adesso che tutto sembra essersi risolto è ora di adempiere alla tua parte del patto- aggiunge seria.
-Cosa vuoi sapere?- chiedo quasi impaurita.
-Chi ti ha ridotto in quel modo?- chiede diretta.
-Una persona a me cara-
Mi guarda di storto, come se stesse dicendo: “Vuoi spiegare meglio o devo farti mille domande?”.
-Okay, okay. Lei era la persona più importante della mia vita, sai? Hai presente quando tutto incomincia a girare intorno a quella persona, quando senti solo lei, quando vedi solo lei, quando paragoni gli altri solo a lei? Lei è il tuo solo metro di misura, il tuo solo hobby, la tua sola persona compatibile. Ecco, la situazione era questa, ma anche più complicata perché abitavamo in due città diverse. Eppure per quattro anni non ci siamo scoraggiate e per quattro anni lei ricambiava tutto questo, ma quando ho deciso di aprirmi a lei ho scoperto che lo ricambiava ma solo di un gradino dietro al mio. Il mio era praticamente amore, ma per lei ero solo l’amica più importante della sua vita- bevo un sorso. -Abbiamo chiuso la faccenda talmente male che ho finito per odiarla, anzi penso di odiarla ancora adesso. Probabilmente il mio sentimento si era già rovinato da tempo, ma ero comunque ancora offuscata dalla speranza che potesse ricambiare e migliorare il tutto… mi sono illusa e ne ho pagato le conseguenze-
Mi guarda seria.
-Mi spiace molto Chiara. Non ti vedo come la persona che possa odiare qualcun altro, quindi se la odi è perché ti ha fatto molto male. Per questo motivo non ti merita, se c’è una cosa che ho capito è che chi ti tratta male non ti ama, chi ti abbandona non ti ama. Quindi non meritava la nobiltà del tuo sentimento- mi dice.
-Hai ragione, ma l’ho capito troppo tardi- dico finendo la birra.
-Hai molto tempo per rimediare, non ti affliggere-
Dopo aver parlato ancora un po’ di lavoro e musica, usciamo dal pub e torniamo a casa in macchina. Una volta parcheggiata la macchina davanti a casa mia, scende con me e mi accompagna davanti al portone.
-Vuoi salire? Potremmo finire il film che abbiamo cominciato oggi- le chiedo gentilmente.
-Ma è mezzanotte e mezza Chiara!- mi risponde guardando l’orologio al suo polso.
-Eh bhe? Siamo giovani! Non ho sonno e in più mi sono abituata alla tua presenza, non so se riesco a starne senza-
Ecco la birra che parla! Porca birra!
Mi guarda stupita dalla tue parole.
-Ho capito cosa intendi con “stende”- ride. -Va bene, ma appena finisce il film vado via alla velocità della luce-
Una volta entrate a casa ci mettiamo subito sul divano, accendiamo la tv e facciamo partire il film.
L’unica luce che arriva è quella del televisore, che illumina il viso concentrato di Alice. Mi perdo in lei e la scruto, occhi chiari, linea della mascella di una perfezione assurda, le cavicole fanno capolino dal suo maglione dandomi quella voglia di passarci il dito sopra e seguirne il profilo.
-Cosa c’è?- mi chiede beccandomi in pieno.
-Niente, le tue clavicole sono scoperte- mi lascio scappare questo piccolo particolare.
-Lo so, il maglione ha il collo largo. È fatto così- dice ridacchiando un po’.
Mi rannicchio sotto la coperta.
-Cos’è tutta sta timidezza? Credevo che la birra ti facesse l’effetto contrario- dice ridendo ancora.
-Ohh, zitta e guarda il film- le rispondo ironicamente.
Invece mi continua a fissare. Mi rimetto di nuovo seduta. Cos’è questa una sfida? Mi metto a fissarla anche io.
La luce che cambia colore e forma, fa diventare il suo viso quasi come un quadro interattivo. I suoi occhi sono puntati sui miei, i miei al contrario scorrono su tutto il suo viso.
Timidamente appoggio le dita sulle sue clavicole sporgenti. Ne seguo il profilo. Lei quasi trasalisce al contatto.
-No Chiara…- dice con un filo di voce.
No? No alla mia mano sulla sua pelle?
Mi rendo conto del confine che ho superato e subito mi faccio indietro.
Faccio per ritornare al film quando una mano calda sia appoggia sulla mia guancia, facendomi ritornare nella posizione di prima. Neanche il tempo di capire cosa sta succedendo che due labbra calde si appoggiano sulle mie, una mano si appoggia tra i miei capelli. È un bacio sensibile, dolce e quasi timido che stavo cercando di ricambiare come (non) sapevo. Possono essere passati secondi o minuti ma comunque ci stacchiamo. Mi guarda negli occhi e mi sorride dolce per poi avvicinarsi di nuovo a me per baciarmi di nuovo. Questa volta con meno timidezza, con le labbra che si incastrano perfettamente tra loro. Prende il mio labbro superiore tra le sue labbra, lo cura con delicatezza facendomi aprire la bocca ulteriormente. Le nostre lingue incominciano a cercarsi e rincorrersi, intanto il mio cuore batte a mille.
Ci stacchiamo nuovamente e io cerco di dire quello che mi preme: -Scusa, io non ho-
-Shh- mi dice prendendomi tra le sue braccia e trascinandomi vicino a se.
Ci ritroviamo coricate sul divano. Nessuna guarda l’altra, tutte e due riprendiamo la visione del film.
Sento il suo calore dietro di me, sento il suo respiro tra i miei capelli, poi cinge un braccio attorno a me.
-Chiara, sai di felicità-
 

Signori e signore (okay secondo me siete tutte ragazze, ma non vorrei fare discriminazioni involontarie)… finalmente è arrivato il fatidico bacio! È stata una slow-burn davvero lunga, lo ammetto. Però dai io amo le cose lente, costruite, quindi non me ne volete.
Spero che comunque questo capitolo vi piaccia, ho notato che l’altro ha ricevuto poche recensioni. C’era qualcosa che non vi ha convinto? Perché potete benissimo parlarmene.
Se c’è qualche errore segnalatemelo perché è mezzanotte ed un quarto, e ho subito giorni interi di studio reclusa in casa quindi non posseggo più molta sanità mentale.
Tra l’altro come ha anticipato la carissima 5AM_ abbiamo deciso dopo lunghe chiacchierate su tumblr di fare un crossover tra le nostre due storie quando le coppie saranno ben salde. La sua storia è questa: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3478261&i=1 e a me piace molto. I suoi personaggi sono belli e soprattutto sarebbe bello farle incontrare per qualche capitolo. Quindi vi coniglio di leggerla per avere un’idea dei personaggi.
Spero di ricevere pareri da voi lettori.
Un abbraccio dalla mia cameretta piena di libri, nella fredda Dublino.

p.s. Lettrice con la passione per The 100, ti ho vista, ho visto le storie sulla serie che segui e grazie di cuore per avermi rimesso voglia di The 100 e per avermi ricordato della bellezza clexa. (questa parte sa un po’ di stalking)



 
  
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