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Autore: Mikirise    26/01/2017    2 recensioni
"Dove stiamo andando?"
"A cercare Tony."
"E dove sta, Tony?"
"Non lo so."
"E allora dove stiamo andando?"
"Non lo so."
In cui Tony sembra scomparire (uhm), Peter parla sempre a sproposito, Steve entra nel panico e ci sono flashback a caso. Più o meno.
Genere: Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Peter Parker/Spider-Man, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Epilogo




Steve stava bevendo della Coca-Cola, e aveva costretto Tony a bere una Fanta, cosa che il ragazzo aveva odiato con tutto il suo cuore, ma che aveva fatto, in onore alla loro neonata amicizia. O almeno così diceva, e ripeteva ogni tanto, tra la marea di parole che continuava a tirare fuori, e che non smettevano di uscire dalla sua bocca. È una sua vittoria, aveva capito Steve. Essere riuscito ad entrare all'università alla sua età era la sua prima vittoria e la stava festeggiando seguendo più corsi di quanto fosse umanamente possibile, seguendone alcuni, studiando la notte prima degli esami, seguendo di nascosto i professori nei loro studi, per rubare loro i segreti delle scienze più profonde. E ne continuava a parlare, di formule, teorie, numeri, come se anche Steve capisse tutto quello che stava dicendo. È anche vero che è sempre difficile fermare una persona che parla delle sue passioni. A Tony brillavano gli occhi. Le mani fremevano. Era pura energia. Steve si sentiva come un cane che guardava il suo padrone e non riesce a capire il cento per cento di quello che dice, ci sono parole che capta. Atomo. Forze. Esplosioni. Di cosa stava parlando quel ragazzino? Stelle. Quelle sono patatine?

Tony aveva riso ancora, portandosi alla bocca una manciata di arachidi, per poi iniziare a tossire e battersi la mano sul petto. Steve aveva alzato gli occhi al soffitto e Tony aveva alzato un lato delle labbra. “Non sei uno che parla tanto, vero?”

Steve ci aveva dovuto pensare. “Immagino di no ” aveva risposto, facendo spallucce.

“Mi piacciono le persone che non parlano tanto. Posso riempire il silenzio parlando per ore e sembra che mi ascoltino.” Tony aveva bevuto un sorso di Fanta, per poi fare una smorfia con le labbra.

“Mi piacciono le persone che parlano tanto ” aveva ribattuto Steve, stringendosi nelle spalle. “Possono parlare per ore e io li posso ascoltare senza dire una parola.”

Tony aveva sbattuto le palpebre e poi aveva riso, lasciando la Fanta sul bancone e scuotendo la testa. “Steve Rogers” aveva detto. “Sei la prima persona al mondo che non capisco se è genuinamente gentile o sta cercando di flirtare con me.”

Steve aveva sentito il sangue salire alle guance e l'aria riempire i suoi polmoni, mentre gli occhi arrivavano ad aprirsi il più possibile. “No!” Aveva lasciato andare la bottiglia di Coca-Cola e allungato la mano in avanti, col palmo aperto, come se volesse fermare Tony dal fare qualsiasi cosa. “No no no no no! I-io non… Non che… oh Dio… io…”

Tony aveva preso a ridere e non si fermava più.






“Sono preoccupato per Miles” dice un Peter seduto al tavolo, con lo zaino si piedi e una faccia ancora troppo paffuta è troppo liscia per essere un diciassettenne. Il ragazzo gira la testa verso il bambino che, seduto sul tappeto, ascolta parlare e litigare i suoi due amichetti.

“Anche io” concorda Tony, con un cenno della testa, senza alzare gli occhi dallo Starkpad. Steve sospira e abbassa la matita. “Non ci guardare così, Cap. Il ragazzino non parla. Nel senso, sì, okay, parla, ma parla poco. Come se avesse qualche filtro e…” Gesticola, per poi fare spallucce ed appoggiare lo Starkpad sul tavolo.

“Ha amici!” esclama Peter, alzando le mani come se avesse rivelato una delle colpe più atroci del bambino. “Lo sanno tutti che le persone molto intelligenti non hanno amici e lui -il vostro Miles ha amici. Tanti amici.”

Steve sbuffa ancora e alza gli occhi al soffitto. “Come se voi due non aveste amici!”

“Io alla sua età non avevo amici.”

“Nemmeno io” continua Tony, a voler confermare le parole di Peter. “Forse uno. Jarvis, immagino. Ma non so se vale, visto che lo pagavo per sopportarmi.”

“Avete avuto un'infanzia solitaria, questo non vi rende esattamente due persone che possono etichettare qualcuno come normale o…” prova Steve.

“Invece” lo interrompe Peter, annuendo e battendo l'indice sul tavolo. “Miles ha ben due amici alla tenera età di sette anni. Kamala e Sam.”

“Tre. C'è anche Ganke.”

“Gan-chi?” Peter scuote la testa e incrocia le braccia. “E se fossero dei bulli che gli prendono i soldi della merenda?”

Steve scoppia a ridere. “Hai mai conosciuto Kamala Khan?” chiede, alzando un sopracciglio.

“Avevo intenzione di aiutarla coi compiti di Chimica, una volta cresciuta” esclama Tony, quasi fosse stato tradito dalla bambina. “Dici che porterà Miles sulla brutta strada? Sono sempre le più tranquille… ”

“Kamala è una brava bambina, cresciuta da una famiglia rispettabile e…” Steve viene interrotto di nuovo un verso di disapprovazione da parte del diciassettenne.

“Infatti, Tony.” Peter schiocca la lingua sul palato. “Io punto su Sam. Sai che cognome ha? Alexander. Sam Alexander. Chi ha un nome per cognome? Le persone con la doppia identità.”

“Questa non può essere una conversazione reale.”

“Ho un'idea!” Tony schiocca le dita. “Potrei togliere Miles dalla scuola pubblica e farlo diventare il mio assistente in formazione. Sicuramente imparerebbe più con me e Bruce e Jane, piuttosto che frequentando la scuola!”

“Cosa?” “No!” esclamano nello stesso momento Steve e Peter, facendo sì che Tony scoppiasse in una sonora risata, che attira l'attenzione dei bambini in salotto.

“Su, Steve. Peter sta soltanto preparando il terreno per quando se ne andrà al college e non potrà stare qui tutti i pomeriggi ad imporre la sua presenza.” Riprende in mano lo Starkpad e si stringe nelle spalle. “Ha solo paura che Miles prenda il posto del preferito mentre è via, quando tutti e due sanno che non voglio bene a nessuno dei due.”

Dal salotto si sente la voce di Sam che assicura Miles. Sono abbastanza sicuro che il preferito sei tu, sei più carino. La cosa fa sorridere Steve, che riprende la matita in mano. “E io che pensavo che Peter ci stesse parlando della sua genuina preoccupazione per il suo non ufficiale fratellino…”

“Miles è oggettivamente strano.”

“Non più di te quando sei arrivato da noi” ribatte Tony, portandosi alla bocca un biscotto al cioccolato. “E vorrei non dover più parlare male dei Khan. La mamma di Kamala fa dei biscotti che mi fanno venire voglia di farla trasferire sulla torre e proclamare Kamala e Amir miei unici eredi.”

“Cosa?” esclama di nuovo Peter, posando una mano sul petto.

“Come sta May?” Steve sta ancora ridacchiando ed inizia a tracciare righe sul suo quaderno bianco. Non sono i disegni che riusciva a fare prima della guerra, ma sono meglio di quanto sia riuscito a fare nei mesi subito dopo.

“Piange tutte le sue lacrime perché il suo unico nipote sta per partire per andare al college.”

“Fortuna che noi abbiamo Miles.” Tony non perte un battito. Si stropiccia un occhio e alza un lato delle labbra. Peter sembra ancora più offeso di quanto dovrebbe essere. E Steve ridacchia. Perché è un traditore. “Sai cosa non ha mai fatto quel benedetto ragazzino? Non mi ha mai portato a casa drammi adolescenziali.”

“Ha otto anni!”

“Il giorno più bello delle nostre vite è stato quando abbiamo firmato i documenti per potercelo portare a casa e tu, Peter, lo hai fatto cadere dal seggiolino” sospira Steve, poggiando la guancia sul palmo aperto. “Già.”

“Perché?”

“Lo hai fatto cadere? Gravità.” Tony si sta divertendo più di quanto sia legittimo. “Stai andando al college. Pensavo il nostro discorso sulla gravità fosse stato chiaro.”

“No.” Peter prende lo zaino trai piedi e abbassa lo sguardo. “Perché Miles?”

“Ho ricevuto un biglietto da un me stesso di un'altra dimensione che diceva di prendermi cura di Miles Morales” risponde Tony in automatico, poi assottiglia lo sguardo. “Ehi, Campione” chiama, scompigliando i capelli a Peter che lo guarda con un broncio, ancora troppo bambinesco. Peter sembra sempre più piccolo di quanto sia in realtà. “Ti ricordi che ti abbiamo detto quando sei tornato a vivere con May?”

“Che nessuno avrebbe preso la mia stanza.”

“E…?” Steve alza le sopracciglia.

“E che sarebbe sempre stata la mia stanza.”

“Vale anche se vai al college.” Fa una pausa e aspetta che Peter sembri iniziare a credere in quello che dice. “Lo sai che è stato lì che io e Tony ci siamo incontrati?” aggiunge dopo qualche secondo di silenzio. “È una brutta storia. Tony era ubriaco e mi ha vomitato sulle scarpe.” Steve fa spallucce.

“Questa bugia che ti piace raccontare… Tu stavi al bar del college a chiedere i documenti alle matricole e i liceali infiltrati, categoria nella quale mi avevi infilato, e io ti ho rubato le patatine!” Tony sbuffa e scuote la testa.

“Non mi avevi detto che vi eravate incontrati che un ragazzo ti stava dando il tormento e tu gli hai tirato addosso le patatine fritte e poi Steve è arrivato per fare il principe che salva la situazione?” chiede confuso Peter.

“Sono abbastanza sicuro di averlo incontrato mentre dormiva in un cespuglio la mattina dell'inaugurazione della libreria a nome di suo padre” confonde ancora di più le acque Steve, aggrottando le sopracciglia.

“No, no. È stata Natasha a presentarci, ti ricordi? Perché dicevi che stavi in un angolo col broncio e che lei non era uscita per farti da baby-sitter” continua Tony.

“Mi state confondendo.” Peter appoggia due dita sulle tempie e sospira. Sente che gli sta per venire un mal di testa assurdo. Odia quando fanno così.

“Era questo lo scopo. Allora. Parliamo della tua vita sentimentale i ti prendiamo in giro perché hai il complesso di essere rimpiazzato e surclassato da Miles?” Tony si alza in piedi per preparare altro caffè, seguito dallo sguardo inorridito di Peter.

“Prese in giro?” tenta di salvarsi.

“Situazione sentimentale? Cosa mi sono perso?” chiede Steve, raddrizzando la schiena.

E Peter sa di essere stato fregato.







Ci sono cose che ti cambiano, è questo che pensava Steve, mentre Tony dava pugni al sacco da boxe. Le tragedie ti cambiano. E, forse, la cosa che ti cambia di più è l'essere completamente inerte, senza armi, nelle mani di un gioco troppo più grande di te. Succedono cose. Incontri persone. Le persone se ne vanno. Le persone fanno andare via le persone. Le persone scelgono di andarsene. E i tuoi occhi prima erano brillanti e adesso non lo sono più. Tony aveva dato un altro pugno e Steve lo aveva sentito sugli addominali, come se stesse colpendo lui. Un colpo. Un altro colpo. Si stava sfogando.

Aveva provato a farlo parlare della sua preziosissima ingegneria, dei numeri, delle stelle, dell'energia e le leggi, ma Tony aveva sorriso, detto qualche parola e poi aveva iniziato a bere. Tony aveva provato a farlo parlare dei bei paesaggi, dei colori, dell'architettura, e Steve aveva detto qualcosa e poi era rimasto a fissare davanti a sé. Succedono cose nella vita che ti cambiano. E Tony continuava a dare pugni ad un sacco da boxe. “Vuoi un…” ricorda di aver detto. “Un avversario degno?”

“Tu sei un soldato.” Si era asciugato il sudore sopra il naso e sbattuto le palpebre, prima di annuire.

Steve aveva passato il tempo a guardare i suoi occhi, più che le sue mosse. Spezzati. Arrabbiati. Tristi. Vuoti. Anche mentre parlavano delle sue amate macchine, invenzioni, robot, di quella cosa che lui chiamava AI e poi JARVIS. Un pugno. Non cambiavano tanto espressione. Un altro pugno. Bloccato. Alcuni eventi sono più traumatico di altri. Risvegliarti a ventun'anni e non avere più una famiglia, ti segna. Perché non c'è la malattia, non ti dici che c'era tempo per dirgli addio, magari soffri anche per meno tempo, perché non soffri prima ma sei pieno di rimpianti, di rimorsi. L'ultima cosa che Tony ha detto a suo padre è di andarci a far fottere. L'ultima cosa che Steve ha detto a sua mamma è stata che voleva mangiare il suo purè di patate per cena. Niente di speciale. Sono cose che entrambi dicevano ai loro genitori così tanto spesso da non aver dato loro peso nel momento in cui le hanno dette. Vai a farti fottere. Sai il purè di patate che fai tu, non lo fa nessuno. Niente messaggi importanti. Niente ti voglio bene. L'ultima cosa che Tony ha detto a sua madre è essere adulti fa schifo. Non c'è nessuna macchina del tempo per cambiare tutte queste parole, per godersi l'ultimo sorriso di Sarah Rogers, l'ultima volta che Maria Stark ha suonato il pianoforte, o l'ultima volta che Howard è sembrato orgoglioso della sua famiglia. Solo rimpianti. E una condanna.

Steve ha voluto condannare le persone dall'altra parte del mondo, per avergli tolto la mamma. Tony ha condannato se stesso. Chi dei due ha fatto la mossa peggiore? Un altro pugno.

La cosa triste è questa: Tony ha gli occhi vuoti e quando parla di tutto quello che ama, i suoi occhi non brillano. Non c'è ritorno indietro, non c'è niente che si possa fare per salvarlo, se non aspettare che il tempo cicatrizzi le ferite e non capisce perché in questa situazione il tempo gli sembra rendere le cose peggiori. La cosa triste però è che Tony cerca di vedere gli occhi di Steve brillare, come brillavano i suoi. Ha provato a fargli parlare di paesaggi, di arte, lo ha portato ad una mostra e Steve si era ritrovato a dover difendere l'arte e gli artisti di strada. Ma Tony continuava a cercare e cercare e Steve non sapeva perché. Ovviamente non sapeva.

Gli occhi di Steve erano vuoti come erano vuoti quelli di Tony.

Tony non riusciva a ricordare l'ultima volta che Maria ha suonato il pianoforte per lui. Steve non ricorda l'ultimo sorriso di Sarah. Ed erano entrambi dannati. Si muovevano in punta di piedi, cercando vie di mezzo per non dover soffrire agli estremi, senza fare rumore, con strane abitudini, con ancora più strani e alti muri per proteggersi da quel dolore che sapevano poteva arrivare senza preavviso.

(Finché Tony non ha detto che sarebbe potuto essere la sua casa.)


 
  
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