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Autore: Candy11    29/01/2017    0 recensioni
Febbraio 1988, nasce Martin Arnaud.
Ho deciso di inserire la storia di questa ragazza, che, in un universo diverso dal nostro, è qualcuno. Qualcuno che tutti conoscono e amano. Martin è una ragazza arrivata dal basso e diventata una persona realizzata, che è riuscita ad inseguire e raggiungere il suo sogno: diventare attrice.
Durante la narrazione presenterò Martin a 360°, una personalità amabile e in continuo mutamento. I suoi amori, le sue passioni, le sue fatiche, i suoi momenti di difficoltà.
Nella storia sono presenti vari cross-over e personaggi quali Chris Evans, James Franco, Wes Anderson, Ryan Reynolds, Blake Lively ...
E' solo la storia di una ragazza, ma forse vale la pena leggerla.
*** vorrei precisare che il contesto è quello di un "universo parallelo" in cui la nostra Martin esiste e col tempo diventerà una stella del cinema... Le situazioni che la circondando, le date etc. sono il più possibile attinenti a quelle reali 🙂 ***
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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CAPITOLO 2 - ADIEU... 




“Martin… ho bisogno di parlarti”
 
Aprii gli occhi, erano le 23:00. Ero andata a dormire alle 21:30, accompagnata da un gran mal di testa.
“Mamma, che vuoi?”, dissi un po’ seccata massaggiandomi le tempie.
Improvvisamente, nella penombra della mia cameretta francese, notai una lacrima rigarle il viso.
“Mamma! Ma che succede?”
“Tesoro… io non so come dirtelo. So che non è il momento, né il modo…” disse sedendosi sul mio letto.
“Stai bene?” chiesi preoccupata.
“Io e tuo padre siamo in serie difficoltà economiche. Abbiamo cercato di trovare una soluzione e l’unica possibile è di lasciare che papà accetti il nuovo contratto statuniten…”
“EH?!” esclamai involontariamente.
Cherie… Mon cherie attends” disse in francese.
“No, no, cherie un corno…!” trattenevo le lacrime “Mamma… io sto per compiere diciotto anni, qui, in Francia, con i miei amici. Non puoi chiedermi di festeggiare uno dei giorni che ricorderò per sempre a casa. Da sola. In america!”
La mamma scoppiò a piangere. Non era la Vanessa che conoscevo. Non era la mamma forte che voleva essere e nemmeno la viaggiatrice che è sempre stata.
“Devi capirmi…” disse.
“e tu devi capire me, mamma!”
“Martin… ascoltami” mi prese il viso fra le mani e singhiozzò.
“Io e tuo padre non andiamo d’accordo ultimamente. Litighiamo per i soldi, per i problemi che abbiamo qui in Francia e l’unico modo per cercare di salvare questa famiglia è di trasferirci in America… e pregare che tutto vada bene e si sitemi”
“quindi è deciso… non sei venuta a chiedermelo, sei venuta a dirmelo”
“Sì Martin… lo sai che soffro per questo e non puoi farmene una colpa… tuo padre partirà domani e noi lo seguiremo tra due giorni, giusto il tempo di sistemare le ultime cose in Francia…”
 
Sistemare le ultime cose in Francia. Certo. Io non potevo crederci. Guardai mia madre alzarsi, spegnere la luce e andare vie col viso fra le mani.
Ero incredula. Stavo tremando e mi buttai con la faccia sul cuscino.
Gridai il più forte possibile, sbattendo i piedi sul materasso soffice.
Sollevai il viso e decisi di guardarmi bene attorno. Di imprimere nella mia mente ogni dettaglio di quella camera. Lo avevo fatto anche con la vecchia cameretta italiana. Ma penso di averlo fatto male, dato che non riesco a ricordarmi nulla. Ho solo un vago ricordo del mio poster di “freak and geeks”. Ci rimasi davvero molto male quando scoprì che non lo avrebbero più mandato in onda. C’era quell’attore statunitense, adorabile: James Franco. Mi piaceva molto, con la sua aria innocente, il suo sorriso disarmante. Di certo, nel ’99 non potevo che avere una pesantissima cotta per lui. D’altronde avevo solo 11 anni e lui sicuramente una ventina.
Ora, a quasi diciotto anni, pensavo che non solo fosse adorabile, ma che fosse decisamente sexy.
Scossi la testa, come a cacciare via un ricordo, un immagine che mi ronzava nella testa come una mosca fastidiosa.
Stavo passando uno dei momenti più brutti della mia vita e cosa facevo? Pensavo al mio vecchio poster di James Franco.
Mi sedetti sul letto e presi la bottiglia d’acqua che tenevo sul comodino. La bevvi per mandare giù il sapore amaro delle lacrime.
Mi concentrai e iniziai a guardare la ma scrivania:
C’erano un sacco di fogli sparsi, appunti di francese e di matematica. La lampada bianca, con i bordi di pizzo si poggiava sul bordo della scrivania, di fianco al pc. Il mio pc era nero, non me ne ero mai accorta. Non ci avevo mai fatto attenzione, o meglio, non avevo mai dato peso alla cosa. Di fianco c’era la mia stampante e sul muro, erano attaccate tante piccole foto. Le avevo fatte stampare dalla copisteria vicino scuola. Ero con Clotilde quel giorno. Ora che ci penso, quel giorno è stato fantastico. Eravamo uscite prima per saltare la verifica di fisica e ci stavamo dirigendo in centro. Decidemmo però, di scattarci delle foto e di riprendere a girare il nostro remake di “Pulp fiction”, avevo insistito tanto per essere io ad interpretare Mia.
Le foto erano stupende e le andammo a far sviluppare. Spesi tantissimo quel giorno, ma ne valse la pena. Ora era tutto solo un ricordo, incollato alla parete rosa confetto di una camera ormai non più mia.
Continuai a fissare gli oggetti inanimati della mia stanza come se fossero vecchi amici da salutare fino a che non mi addormentai, fra una lacrima e un incubo.
 
 
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Il giorno dopo mi svegliai con un mal di testa ancora più forte del precedente.
Mi lavai la faccia e decisi di non truccarmi. Le occhiaie e la faccia da depressa non me le sarei tolte di torno con del trucco. Infilai un maglione azzurro cielo, un po’ sbiadito sui gomiti, e un jeans scuro. Eravamo a febbraio e fuori c’era la neve. Mi infilai gli scarponi marroni e presi distrattamente il mio giaccone.
Scesi le scale controvoglia, sapendo che di sotto avrei trovato papà con le valigie e mamma in lacrime.
 
Bonjour¸ es-tu prêt ?” (Buongiorno, sei pronta?), mio padre mi guardò sorridente, con le valigie in mano vicino alla porta. Quasi come se tutta questa storia fosse una buffa barzelletta.
“Pronta? Per cosa?” chiesi in italiano.
Lui s’incupì. “Tu ne veux pas parler an française?” (Non vuoi parlare francese ?)
Scossi la testa, senza guardarlo in faccia. Lui capì, e vidi il dispiacere nei suoi occhi.
Cherie” disse avvicinandosi a me e lasciando la valigia, “lo sai che mi dispiace… non possiamo fare altro, d’altronde i soldi ci servono… e in America le feste dei diciotto anni sono sempre più belle…no?” cercava di smorzare la tensione.
“Sì, lo sono… se hai degli amici” dissi. “friends?” disse con orribile accento francese. Voleva farmi ridere a tutti i costi.
“Lascia perdere papà. Se questo servirà a sistemare le cose, facciamolo… non ho voglia ne’ tempo di mettermi a piagnucolare. Mi avete sconvolto il mondo una volta portandomi qui, in fondo immaginavo sarebbe successo di nuovo” lo guardai negli occhi “fai buon viaggio, scrivici quando arrivi e vedi di trovare una casa non troppo schifosa”.
Presi il mio zainetto giallo diedi un bacio sulla guancia bagnata di lacrime di mia madre e una su quella appena rasata di mio padre e afferrai al volo la prima cosa che trovai sul tavolo della cucina, una mela.
Uscii quasi correndo dalla porta di casa scivolando sui gradini ghiacciati.
Fuori era freddo e probabilmente avevo appena perso l’autobus. Iniziai a camminare, sperando di vederlo passare. Ma niente.
Avendo iniziato la scuola un anno prima, in Italia, avevo finito le superiori con un anno di anticipo e trascorrevo le mie giornate come tirocinante presso il municipio, dove aiutavo Mme Poulain a tradurre documenti. Non volevo iscrivermi all’università, a dire il vero avevo un’ambizione assurda. Volevo diventare attrice. Non avevo mai seguito alcun tipo di corso ma partecipai a tutte le recite della scuola. Le solite cose coeme l’intramontabile classico francese il Cyrano de Bergerac, o Notre-Dames de Paris.
Dovetti arrivare in municipio a piedi, tra freddo, neve e ghiaccio, camminando per un quarto d’ora.
Mentre marciavo, pensavo a cosa mi aspettava:
Il mio compleanno sarebbe stato fra due settimane e mezzo. Che bella sfiga… mai tempismo fu più perfetto.
 



Martin!”, sobbalzai. Ero assorta nei miei pensieri quando sentii il mio nome da una delle più adorabili voci. Nicolas.
“Ciao Nicolas”, dissi in francese e sorridendogli. Lui però aggrottò la fronte, coperta da qualche ciuffo biondo e dal berretto di lana blu e verde.
“Che succede?”, mi chiese. Fino a quel momento non mi ero accorta delle lacrime che mi scorrevano sul volto.
“Oh…” dissi toccandomi le guancie. “Nulla…” lo guardai. “forse tutto…”
“Martin? Stai bene?” mi chiese guardandomi con i suoi occhi azzurri sopra ad un adorabile naso all’insù.
“No Nicolas… purtroppo no” mi fermai, smisi di camminare, “mi trasferisco, mio padre ha trovato lavoro negli Stati Uniti e ovviamente io e mia madre andremo con lui”
Nicolas era confuso, un po’ amareggiato. “E il tuo compleanno?” mi domandò.
“Lo festeggerò in America… sta tranquillo, mi farò un sacco di amici in tempo se è questo che ti preoccupa”.
“Ho un regalo per te, Martin”, disse prendendomi la mano. Io mi voltai di scatto a guardarlo, sorpresa.
“Non era necess…” m’interruppe con un veloce “ssshh, ssshh” e tirò a sé.
Stava succedendo. Le mie gambe tremavano. Questo sarebbe stato il mio primo vero bacio.
Ora starete pensando “ma che sfigata! A 18 anni non ha mai avuto un ragazzo?!”. Sì, è proprio così. Ho avuto qualche flirt infantile e da bambini in Italia con Marco, il mio migliore amico. Ci scambiammo un bacio a stampo sotto la cattedra della prof di italiano delle medie. Sicuramente non un vero bacio, ma pur sempre da ricordare.
Ora ero con Nicolas, il ragazzo per cui perdevo la testa. Mi stava attirando a sé, vidi tutto a rallentatore. I suoi occhi ghiaccio si confusero con l’ambiente glaciale e le nostre mani ti toccavano mediate da spesi guanti.
E successe. Mi baciò. Lo fece e io ero… ero…
Triste.
 
 
Ero disperata, il mio primo bacio con il ragazzo che adoravo… sarebbe stato non solo il primo, ma l’ultimo.
Io non avrei mai più rivisto Nicolas. Io non volevo più rivederlo. Ora capisco Clotilde, lei è scappata. Scappata dalla responsabilità del dolore di una separazione.
Non solo la capisco, ma non la biasimo.
Le sue labbra screpolate dal freddo erano sulle mie, coperte di burro cacao. Eravamo davanti casa di Mme Croiseau che ci spiava da dietro la finestra con in braccio il suo gatto Bretaudeau.
Nicolas mi mise una mano sul fianco e l’altra sul viso. I nostri nasi rossi e freddi poggiavano sulle guancie l’uno dell’altro e improvvisamente smisi di avere freddo.
Una vampata di calore invase il mio corpo fino ad arrivare alle insensibili e ghiacciate punte dei piedi.
 
Mi allontanai da Nicolas, mettendogli una mano sul petto. Sentii il suo cuore battere all’impazzata e in quel momento capii che anche il mio andava ai cento all’ora.
“Scusa, forse non avrei dovuto…” disse imbarazzato.
“no, non è questo, stai tranquillo”, dissi sistemandomi il berretto. “Mi piaci Nicolas, ma penso che sarebbe meglio se questa fosse l’ultima volta che ci vediamo”
Lui annuì, mettendosi la mano in testa e abbozzando un sorriso. Il sorriso più triste che io avessi mai visto.
“Ho capito, mi dispiace… sappi che mi mancherai e che il regalo non era proprio .. ehm, questo” disse. “Ti ho comprato una cosa ma ce l’ho a casa… te la farò trovare nella buchetta della posta… per evitare momenti… imbarazzanti diciamo”
Mi sentii una persona orribile. Ma volevo evitarlo a tutti i costi. “D’accordo… grazie Nicolas…”.
“Mi mancherai Martin”.
“Mi mancherai anche tu”.
   
 
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