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Autore: miss moonlight    29/01/2017    14 recensioni
Marzio Chiba è il tipico ragazzo ribelle, conosciuto per le sue “bravate” e sempre sulla bocca di tutti. Leader del suo gruppo di amici, è l’unico che con la sua freddezza e calma riesce di tanto in tanto a tenerli a bada. Le mattine, i pomeriggi e le serate, scorrono con la loro monotonia caratterizzati dal mancato dialogo con il padre. Tutto cambia con l’arrivo di Bunny che, con la sua determinazione e la sua bontà incondizionata, mette Marzio difronte alla realtà e alle conseguenze dei suoi comportamenti. Marzio si ritroverà spesso a scoprire un nuovo mondo, il mondo di Bunny, fin quando i due non si troveranno coinvolti in una serie di situazioni che li porterà ad innamorarsi. Ma il lieto fine per i due è ancora lontano…
Due persone e due mondi a confronto, il tutto unito dalla magia che solo un sentimento potente può creare.
ATTENZIONE: Fanfic narrata dal punto di vista di Mamoru. Personaggi OOC!
Ogni riferimento a cose o persone è puramente casuale. I fatti narrati sono frutto dell’immaginazione dell’autrice.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Mamoru/Usagi
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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Tutto nelle mie mani
 
La mia vita prese a trascorrere con un ritmo più veloce, scandito da vari momenti e tempi che iniziarono a succedersi in modo frenetico, tanto che arrivò il mese di dicembre senza che me ne potessi rendere conto. La mattina ero a liceo, la sera la passavo con il mio gruppo di amici. Vedevo Rea in gruppo con gli altri o solo se era lei a cercarmi con insistenza, credetti che la cosa migliore da fare, a causa del suo carattere possessivo, fosse quella di distaccarsi gradualmente, anche perché avevo scoperto di non soffrire particolarmente per la sua assenza. D’altro canto non avevo ancora capito se lei mi stesse assecondando oppure no. Con Bunny passavo un paio di ore quasi tutti pomeriggi, tra noi si era creata una speciale armonia, un rapporto diverso rispetto a quello che avevo intrattenuto con le persone che conoscevo, qualcosa che preferivo ancora tenere riservato per me, che non attirasse l’attenzione della mia compagnia abituale.

Infrangevamo spesso l’unica regola del nostro rapporto d’amicizia, ossia quella di non punzecchiarci come dei bambini. Ero io spesso a dare inizio ad un ironico battibecco, mi bastava una risata stridula di Bunny, un suo capello fuori posto, il suo equilibrio instabile. Lei era come un campo minato nel quale potevi muoverti ignorando dove la bomba era nascosta, sapeva lasciarsi stuzzicare senza batter ciglio, celando la sua irritazione, per poi esplodere inaspettatamente. Spesso mi bastava pronunciare semplicemente “testolina buffa” per scatenare quella divertente reazione e a dare inizio ad un gioco esclusivo tra me e lei.

Il nostro metodo di studio aveva dato i suoi buoni risultati. Avevamo raccolto il suggerimento di Marta con qualche dubbio, ma ci ricredemmo ben presto. Io riuscivo laddove Bunny cedeva: algebra, goniometria, formule matematiche e calcoli. Lei, al contrario, aveva una buona dote nell’uso della lingua inglese e le era sufficiente la metà del tempo che io impiegavo per tradurre e capire uno scritto di letteratura. Eravamo complementari, riuscivamo ad aiutarci a vicenda con il minimo sforzo.
Avevo anche scoperto di provare piacere nel lasciarmi coinvolgere dagli adorati bambini a cui Bunny dedicava il suo tempo, dopo le nostre esercitazioni ero solito accompagnarla a casa, ma spesso e volentieri preferiva deviare e fermarsi alla casa famiglia. E quelli che inizialmente dovevano essere solo ‘cinque minuti’ con loro, giorno dopo giorno, divennero di più. Dieci, trenta, un’ora…
Loro iniziavano ad abituarsi a me, io imparavo a conoscerli ad uno ad uno. Una graziosa bimba mi colpiva particolarmente, ChibiChibi. Un pomeriggio ebbi modo di conoscere anche sua madre, una donna asiatica, e lei mi spiegò che in realtà era un dolce soprannome quello con cui chiamavano sua figlia, dato dall’accostamento del termine “chibi”, ovvero “piccola” nella lingua giapponese.

- Io so anche come si dice il mio nome nella stessa lingua! – canzonò Bunny per farmi invidia, quella stessa sera. Eravamo di ritorno proprio da lì.
Sorrisi: - Sentiamo un po’…-
- Usagi ! – esclamò – Non è carino?-
Annuì pensandoci su, anche se in un primo istante mi era sembrato un po’ strano. Poi provai a mettere insieme quelle poche informazioni che avevo appreso sul linguaggio giapponese: - Chibiusa.- pronunciai incerto, sorridendo, e Bunny rimase perplessa.
Chibiusa.
Piccola Bunny.
- Chibiusa… Chibiusa…- ripeteva scuotendo la testa. – Mi meraviglio per non averci mai pensato, è bellissimo!-
- L’ho pensato io, non poteva essere altrimenti! – la stuzzicai. – Sono sincero, affinché ti si addica quel nome dovresti perdere un po’ di peso. “Chibi” non significa paffutella.-
La notai incupirsi mentre arrestavo l’auto davanti casa sua. – Non prendertela, stavo scherzando! – chiarii quando mise stizzita la mano sulla maniglia. Si voltò, pensai che stesse per salutarmi e lo fece dandomi un forte pizzicotto sulla gamba. – Ahi! – mi lamentai.
- Così impari a darmi della cicciona! –
La suoneria del mio cellulare ci distrasse, immaginavo fosse Rea, capitava che mi cercasse spesso mentre ero con Bunny. Lei pensò la stessa cosa, ma ci sbagliavamo entrambi. Corrugai la fronte mentre leggevo il messaggio che mi era appena arrivato.
- Devi andare.- le sfuggì un sospiro che evitai di interpretare. – Rea ti sta aspettando. – si affrettò a scendere dalla macchina.
- Si, devo andare. Ma non è Rea che mi ha cercato. - le risposi prima che richiudesse lo sportello – È Moran, dice di essere a casa mia e che ha bisogno di vedermi il prima possibile. Mi sembra molto strano…-
Era sorpresa: - Oh, allora dovresti affrettarti. Ci vediamo domani! – chiuse lo sportello dietro di sé dirigendosi verso l’ingresso.
Aprii il finestrino e la richiamai :- Bunny! – si voltò con aria interrogativa - Dimenticavo di augurarti la buona notte. Sogni d’oro…- me ne andai così, lasciandola con un sorriso sul volto.
 
***

A volte nella vita ci sono circostanze inaspettate, mai immaginate, che hanno il potere di sconvolgerti in modo positivo oppure negativo. Nel primo caso, il cambiamento che coinvolge la persona la presenta sotto una luce nuova, più bella e raggiante ed è facile accorgersi di come essa si senta felice. Ma quando avviene il secondo caso, è ancora più semplice riconoscere quanto essa sia distrutta.
Moran mi aspettava in salotto, lo sguardo era vuoto e fisso davanti a sé. Non si accorse di me fin quando non gli fui davanti. Solo allora mise a fuoco il mio volto e mi riconobbe: - Ciao, Marzio. – la sua voce era di un tono differente, i suoi occhi velati da un rossore che non gli avevo mai visto. Mi preoccupai.
- Che succede, Moran? – lo afferrai per le spalle e lo scossi, era come preso da un strano intontimento. – Hai bevuto? Sei ubriaco?-
- No! – esclamò con più grinta, mentre con uno scatto si alzò facendomi indietreggiare – Sono… sconvolto.- scandì l’ultima parola con incredulità. – Ho bisogno di qualcosa di forte da mandare giù per dirti ciò che è appena accaduto.- scosse la tessa stringendo gli occhi come se volesse scacciare via dei pensieri, delle immagini. – E ne avrai bisogno anche tu per credermi, fidati. –
Guardai bene il mio migliore amico, lo conoscevo ormai dall’infanzia, era un libro aperto e nonostante il suo atteggiamento strano, intuivo che ciò che mi aveva proposto era la cosa giusta da fare per il momento. Presi dal mobiletto dei liquori una bottiglia di whiskey e due bicchieri, invitandolo a seguirmi in camera mia, dove avremmo potuto parlare indisturbati. Si versò subito un bicchiere che bevve in un sorso, poi ne riempì uno per me e me lo poggiò accanto, prese una sedia e si sedette davanti a me. Lo invitai a parlare.
- Dovevo dirlo a qualcuno, rischiavo di impazzire. Mi sento così idiota…- iniziò – Quando questa storia si verrà a sapere, diventerò lo zimbello del paese! – tamburellò con le dita sulla scrivania, lo sguardò+o lontano ancora una volta, cercava le parole giuste. Lo lasciai prender tempo. – Sono un bel ragazzo, riscuoto anch’io un discreto successo con le ragazze, eppure da quando ho conosciuto Heles non ho mai guardato nessun’altra… Oggi era il nostro anniversario, ma lo ha ignorato fin da questa mattina…- alzai gli occhi al cielo e sospirai, non era poi così grave il problema. Intercettò i miei pensieri – Non trarre conclusioni affrettate! – mi ammonì – Credevo fosse un suo gioco, che nella serata mi avrebbe fatto una sorpresa o qualcosa di simile, insomma. Ma ho voluto comunque anticiparla, le ho comprato un mazzo di fiori e sono andato a casa sua. Suo padre mi ha detto che fin dal primo pomeriggio era nella loro casa in campagna e che probabilmente si sarebbe fermata lì fino a domani mattina. Ho pensato che avesse organizzato una serata solo per noi due…- si versò un altro bicchiere che mandò giù con la stessa rapidità.
- Non era così? – chiesi, spronandolo affinché potesse continuare. Lo vidi poggiare i gomiti sulle ginocchia e sorreggersi la testa come se stesse per esplodergli: - Sì, ma non per me! Dannazione! – iniziai ad intuire qualcosa – Sono arrivato, c’era la musica alta e non ha sentito suonare alla porta, così sono entrato… guardandomi attorno avevo capito che non era da sola, in cucina la tavola era apparecchiata per due, ma la cena era già stata consumata. Abbandonati sulle due sedie, c’erano degli indumenti. – feci per parlare, ma mi fermò – Mi stava tradendo, solo un fesso non se ne sarebbe accorto dato quel panorama! Ho sbattuto per terra i fiori e sono salito di corsa per le scale seguendo la musica che proveniva da una delle camere da letto. Ho spalancato la porta e… - scossi la testa intuendo il prologo della vicenda – era come mi aspettavo. -
- Spero che tu li abbia presi a calci, altrimenti andiamo subito! Ci pensiamo ora! – scattai in piedi, invitandolo a fare lo stesso, ma lui non si mosse. Rimase nella solita posizione bloccandomi con una sola frase : - Non picchierei mai una donna e non lo faresti neanche tu.-
La frase suonò ambigua alle mie orecchie, ma non ci badai: - A Heles non torceremo un capello, ma non la passerà liscia. Né lei né il suo tipo! –
- La sua tipa…- il suo sguardo cercava il mio – Era quella musicista, ricordi? Ne parlò quando uscimmo insieme. -
Il mondo fece un’inchiodata. – Stai scherzando? –
Nessuna risposta. Chi tace, acconsente!
La scena appena raccontata mi si presentò dinnanzi come un film. Afferrai il mio bicchiere e mandai giù il suo contenuto in pochi secondi, poi ripetei l’operazione ancora una volta.
- Te lo avevo detto.- osservò.
Annuì, poi gli diedi una grossa pacca sulla spalla: - Amico, mi dispiace. Vorrei fare qualcosa, ma non mi è mai capitato di consolare qualcuno per una situazione simile…-

 
La pioggia fredda che improvvisamente ci colse, riportò i miei pensieri al presente.
Non ero sicuro che fosse la soluzione migliore.
- Sei certo che sia una buona idea? – Moran mi fece quella domanda ancora una volta.
Sospirai mentre con un gesto meccanico suonavo al campanello della casa famiglia. L’idea di portare il mio amico in quel posto mi era venuta qualche giorno dopo l’accaduto che lo aveva tanto sconvolto, quando la sua apatia minacciava di imprigionarlo. Lasciargli metabolizzare il trauma, permettere al tempo di fare il suo dovere non era utile se per lui il modo migliore per uscire da quello stato di delusione e sconforto era svuotare dentro di sé intere bottiglie di tequila. Era il mio braccio destro, il complice di una vita e non potevo permettergli di distruggersi. Decisi che lo avrei aiutato in qualche modo e mi convinsi dell’idea che a Moran servisse qualcosa di radicalmente diverso affinché potesse smettere di pensare a ciò che non andava bene nella sua vita. Abitudini diverse, che non portassero guai né per gli altri e né per sé stessi. Dopo tutto, era quello che da poco tempo stava accadendo a me…
Gli misi tra le mani un pacco di caramelle, avevo imparato da Bunny a viziare con dolci quei bambini, e incoraggiandolo gli risposi: - Fidati, io so sempre quello che faccio. -
- Certo. Spero per te che quando ce ne andremo io non sia ricoperto di roba appiccicosa e colorata! Ma non viene ad aprirci nessuno? – pronunciò quelle parole mentre cercava di mettersi il più possibile al riparo sotto il porticato. Aspettai ancora qualche istante, ma quando la pioggia iniziò a diventare più insistente, dischiusi la porta ed entrammo.
Lasciai che Moran si facesse un’idea da sé del luogo, sentivo voci, grida infantili e una gran confusione provenire dall’ultima stanza infondo al corridoio e iniziai a chiedermi se ci fosse qualche adulto nei dintorni, perché se nessuno era venuto ad accoglierci e i bimbi si stavano scatenando, significava che erano stati lasciati da soli.
- Immaginavo diversamente questo posto, sai…- ammise Moran. Mi voltai e lo vidi giocare con il piede con una piastrella del pavimento che si era staccata dal terreno.
«… Sailor Moon è più forte di tutte! Io sono Sailor Moon e ho vinto io! »
« Non è vero! E’ più forte Sailor Mars perché brucia i cattivi con il fuoco! »
« Nooo! Non hai capito niente allora! »
Due bambine sembravano bisticciare a gran voce, dovevo capire che fine aveva fatto Morea, la responsabile.
- Ascoltami un minuto, Moran. – gli misi tra le braccia, oltre alle caramelle che già reggeva, i fogli e i colori che avevo io – Va in quella stanza, calmali e tienili a bada per qualche minuto, vado a vedere se c’è qualcuno qui! –  gli ordinai e corsi per il corridoio, superai la stanza da dove proveniva il baccano e mi diressi verso quello che era l’ufficio di Morea.

Stavo per bussare, ma mi fermai intercettando involontariamente una discussione.
« Credi che per me sia facile? Che non sia stata la prima a cercare un’alternativa? Mi dispiace, ma io non posso far niente. »
« No, no, no! Non dobbiamo arrenderci, una soluzione la troveremo. Questo posto non può chiudere! Che fine faranno loro? Che ne sarà di Ottavia, che finalmente sta riuscendo a fidarsi di noi, dei suoi amici? »  riconobbi la voce di Bunny, aveva assunto un tono che prima d’allora non le avevo mai sentito.
Era arrabbiata e frustrata, non come quando si scontrava con me, ma in un modo che non le era proprio e che ebbe la capacità di immobilizzarmi dallo stupore. Che cosa stava accadendo?
Morea quasi urlò dall’esasperazione: « Prova tu a trovare una soluzione allora, perché io non ho trovato nessuna via d’uscita! Ho fatto qualsiasi tipo di richiesta a enti statali e privati, nessuno vuole occuparsi della questione! »  per qualche istante nessuna delle due parlò, poi fu Morea a rompere il silenzio congedandosi « Scusami, Bunny. Torno di là dai bambini…»
Non volevo farmi trovare ad origliare, così bussai alla porta prima che lei potesse uscire, dando l’impressione di essere appena giunto.
- Ciao, Marzio. – mi salutò Morea con un sorriso abbozzato. Dietro di lei intravidi Bunny, anche lei mi sorrise accennando un saluto.
- Salve, Morea. Sono arrivato qualche minuto fa, ho visto che i bambini erano da soli a far confusione e sono venuto a cercarti, pensavo ci fosse qualche problema…- azzardai sperando che mettessero anche me al corrente del motivo per cui stavano discutendo.
Questo posto non può chiudere aveva detto Bunny, quindi si trattava di qualcosa che riguardava la struttura che ormai frequentavo da tempo e che ormai mi interessava da vicino.
Evitò di rispondere alla mia domanda implicita dicendomi che sarebbe subito andata a controllare che i bambini non stessero combinando qualche guaio ed io non la trattenni. Entrai nel suo ufficio, dove vi era ancora Bunny che si era spostata verso una delle finestre, forse attirata dai suoi pensieri o dal sole che aveva iniziato a tramontare, dipingendo tutto d’arancio, lo stesso colore caldo che si rifletteva sulla sua pelle, che contrastava i suoi occhi azzurri…
- Bunny, non volevo, ma ti ho sentita discutere un attimo fa. Devi dirmi che sta succedendo. Perché questo posto dovrebbe chiudere? –
Sospirò voltandosi a guardarmi, era il ritratto dell’angoscia: - Guardati intorno, capirai. – mi rispose con voce spenta, poi continuò a darmi spiegazioni – L’intero edificio è molto vecchio e le crepe sui muri, il pavimento fatiscente, l’impianto di riscaldamento difettoso, sono i drammi minori. Questo posto ha bisogno di una completa ristrutturazione…- tornò a guardare fuori dalla finestra. – Non ci sono abbastanza fondi statali per finanziare il progetto e nessuna impresa privata vuole investire un capitale tanto alto per un’intera ristrutturazione dalle proporzioni giuste per questo locale. Perciò, se non troviamo una soluzione, chiuderanno questa struttura entro il mese di Gennaio e i bambini saranno divisi e affidati altrove. -
La rivelazione mi lasciò senza parole, ma allo stesso tempo fece scattare qualcosa in me. D’un tratto sentii l’impulso di agire, di dare il mio contributo affinché quella piccola oasi di spensieratezza e allegria, ancora alla quale Bunny, i bambini ed io ci eravamo aggrappati, continuasse ad esistere. L’impulso esplose quando lei, scoraggiata, portò entrambe le mani al volto, nascondendovi il viso e frantumando la mia immobilità. Fu così che pochi attimi dopo la attirai e la strinsi tra le mie braccia, rassicurandola.
- Non ti preoccupare, ci sono io con te.- sussurrai tra i suoi capelli, mentre lei ricambiava il mio gesto cingendomi le spalle. Ancora una volta ci ritrovammo vicini.

Ero riuscito ad accettare che potessi provare del sincero affetto anche verso chi era completamente diverso da me, verso chi cercava di conoscermi oltre l’apparenza, a passare dall’altra parte di quel muro che avevo eretto intorno ai miei sentimenti e ammettere che non sempre le persone lo facevano per un tornaconto personale. Poteva accadere che qualcuno volesse far breccia solo per rendermi più sereno, per farmi sentire bene, per far sparire la mia freddezza e far rievocare alla mia mente quanto fosse coinvolgente il calore di una stretta, quella sensazione inchiodante che mi faceva desiderare di restare tra quelle braccia il più a lungo possibile…
Immediatamente abbandonai quella percezione e mi accontentai del suo “grazie” pronunciato vicino al mio orecchio. – Cosa bisogna fare per tranquillizzarti, testolina buffa? –
- Niente. Se tu mi abbracci così, io non riesco ad arrabbiarmi, reagire o dirti quel che penso.- mi irrigidì appena, sembrava che avesse seguito il filo logico dei miei pensieri e ciò mi lasciò esitante. - Se mi abbracci così, io posso solo star bene. – disse con la voce che le tradiva un sorriso.
La strinsi più forte.

*****

Avevamo raggiunto Morea e Moran nella stanza dell’arcobaleno ormai da un pezzo. Come avevo immaginato, Moran fu subito coinvolto dai giochi e dai buffi modi di fare dei bambini e nel giro di pochi minuti si era ritrovato a intrecciare palloncini colorati per loro, insieme a Bunny e alla sua amica che lo sfidava a creare figure sempre più improbabili e complicate.
Io me ne rimanevo in disparte, sospirando. Sapevo che la soluzione al problema esisteva, doveva esserci, ma sembrava sfuggirmi.
Provenivo da una famiglia molto benestante e con gli anni ero riuscito ad accumulare una quantità non indifferente di denaro, ma il mio personale conto in banca non sarebbe bastato a risolvere la situazione.

Moran fece scoppiare uno dei palloncini, scatenando così uno spavento generale. Sobbalzai anch’io, tanto ero preso nell’inseguire i miei pensieri… - Idiota!- gli sussurrai infastidito.
- Ok, basta palloncini! A chi va di ballare un po’? – Bunny distrasse così le piccole pesti che minacciavano di scoppiare a piangere, si avvicinò alla radio accanto a me per sintonizzarla su una frequenza qualsiasi. Ne trovò una che emetteva una canzone che mi sembrava di conoscere, dal ritmo incalzante, latino-americano...
- Venite tutti qui, balliamo insieme! – riunì attorno a sé i bimbi che, ridendo, iniziarono ad imitare i suoi passi. Riuscì a disporli in piccole coppie, si unirono al ballo anche i nostri due amici. Tra di loro, la bionda ballava la bachata da sola.

When the night has come                                      //                                  (Quando viene la notte)  
And the land is dark                                            //                                     (E la terra è buia)   
And the moon is the only light we'll see       //                                       (E l'unica luce che vedremo sarà la luna) 
 
Sorrisi e la raggiunsi, le afferrai la vita ed una mano, proponendomi come suo cavaliere.
 
No I won't be afraid, no I won't be afraid                     //          (No, non avrò paura, non avrò paura)        
Just as long as you stand, stand by me                       //            (Finché tu sarai con me, sarai con me) 
And darlin', darlin', stand by me, oh now                //              (E cara, cara sta con me, adesso)
Stand by me, stand by me                                          //                (Stai con me, stai con me)
 
- Pensavo che non sapessi ballare …- mi disse ridendo.
- Ho mai detto di non saperlo fare?. - puntualizzai facendole fare un giro su sé stessa.
Moran intercettò il nostro discorso: - Balla benissimo, questo merito glielo devo riconoscere. La nostra infanzia è segnata da un trauma indelebile…- spiegò mentre con un abile passo di danza ci scambiavamo le dame – Le nostre madri anziché iscriverci ad una scuola di calcio con tutti gli altri, ci mandarono a scuola di danza…-

If the sky that we look upon                                                   //              (Se il cielo che noi guardiamo)
Should tumble and fall                                                         //                 (Dovesse rovesciarsi e cadere)
And the mountains should crumble to the sea             //                   (E le montagne dovessero sgretolarsi nel mare)
I won't cry, I won't cry, I won't shed a tear              //                      (Non piangerò, non piangerò, non verserò una lacrima)
Just as long as you stand, stand by me                   //                        (Finché tu sarai con me, stai con me)
 
- E fu così che imparammo la samba, la bachata ed il tango argentino… quando giocavamo a calcio, in compenso, ci spettava il ruolo più noioso. Quello del portiere! - le ragazze scoppiarono a ridere, mentre con un altro giro ritornavano ognuna dal proprio compagno. Ripresi la mano di Bunny tra la mia, mi avvicinai a lei per condurla su nuovi passi.

And darlin', darlin', stand by me, oh stand by me              //                (E cara, cara sta con me, sta con me)            
Stand by me, stand by me, stand by me                             //                  (Sta con me, sta con me, sta con me)

- E tu dove hai imparato a ballare? – smisi di cantare al suo orecchio il ritornello per chiederglielo.
- Oh, questi sono gli unici passi che le mie amiche sono riuscite a insegnarmi. Sai bene che io non sono coordinata…- abbozzai un sorriso alla sue parole, mentre le ultime note della canzone venivano sfumate per lasciar spazio alla voce conduttrice del programma radio.
Era una rivisitazione di “Stand by me” di Ben Edward King, la canzone che abbiamo appena ascoltato…
Bunny scivolò via da me allegra. Era riuscita a scrollarsi da dosso, per un attimo, tutti quei pensieri che la turbavano. Avrei voluto chiederle quale era il segreto per farlo. - Vediamo se troviamo ancora un po’ di buona musica. - si avvicinò un’altra volta alla radio per cambiare frequenza.
Tra pochissimo ritorneremo con le ultime notizie, ma prima vi lasciamo con qualche spot pubblicitario…
L’ultima parola stuzzicò la mia mente: - Shhh, aspettate un minuto…- forse lo pronunciai debolmente, nessuno sembrò ascoltarmi. Sentivo che la soluzione, che mi stavo sforzando di cercare poco prima, era ad un passo da me. Portai le dita alle meningi e strizzai gli occhi cercando di concentrarmi.
Dopo aver accennato un casquè con Morea, anche Moran si lamentò : - … e quando uno inizia a prenderci gusto, gli rifilano quella fastidiosissima pubblicità.-

Pubblicità.
Pubblicità!
In pochi secondi, si delineò nella mia mente un piano che avrebbe risollevato tutti noi e se avesse funzionato, non solo avrebbe garantito l’esistenza della stessa casa famiglia, ma avrebbe incrementato la visibilità sul campo del mercato dell’azienda di mio padre, perché davanti agli occhi mi si era ripresentata una scena vissuta qualche mese prima, dopo la serata movimentata al Cat Scrach Club, una colazione veloce e fredda con mio padre.

-Buongiorno papà…- lo salutai.
- ‘Giorno. –
Presi anch’io una bella tazza di caffè, riempiendola più di quanto ero solito fare. Speravo che la caffeina mi sarebbe stata d’aiuto.
Mi sedetti accanto a lui. – Di che stanno parlando? – chiesi indicando il notiziario.
- Ora? Di un’azienda che ha dato in beneficenza una modesta somma di denaro ad un’associazione in difesa dei diritti per gli animali…- scosse la testa.
- Che cosa c’è di strano?-
Si alzò e prese dalla sedia accanto la borsa dove teneva il materiale per il lavoro in azienda. – Di strano niente. C’è che è stata solo un’ottima trovata pubblicitaria! Guarda… questa mattina ne parlano in tutti i notiziari e certamente anche nei giornali, ne citano il nome e sarà sicuramente indicata nelle interviste a cui verranno sottoposti i membri più importanti dell’associazione e così via… Tutta pubblicità gratuita e molto più efficace. Avrei dovuto pensare a qualcosa del genere anche per la Chiba Technology and Service”


- Ma certo!!! – esclamai iniziando a passeggiare avanti ed indietro, i bambini mi guardavano incuriositi. Uno di loro iniziò ad imitare la mia andatura, gli altri ridacchiarono divertiti. – Dovranno partecipare parecchie persone, un evento di grandi dimensioni! Mi servirà l’aiuto di Marta e…- tastai le mie tasche in cerca del cellullare – Devo fare un paio di telefonate! –
- Marzio, tutto bene? Che succede? – Morea mi richiamò facendomi accorgere che su di me avevo puntati i loro occhi confusi e quelli vispi dei piccoli.
- Ho un piano! Se funzionerà tutti i nostri problemi saranno risolti e la struttura continuerà ad esistere! -
Morea era contrariata: - Aspetta un attimo, come fai a sapere della…- guardò Bunny – Glielo hai detto?! Era un’informazione riservata! – ma lei non le rispose, osservava me e nei suoi occhi lessi la speranza.
Avrei avuto bisogno soprattutto di lei in quest’impresa, il suo appoggio era essenziale e veniva prima di qualsiasi altra cosa : - Vieni, ho bisogno di parlarti. – la afferrai ed ignorando le richieste di spiegazioni dei nostri due amici, la portai fuori in macchina, preoccupato di essere sentito da orecchie indiscrete.

La pioggia continuava a cadere, infrangendosi sull’auto nella quale eravamo rinchiusi. Prima che potessi spiegarmi, mi anticipò: - Marzio, dimmi cosa hai in mente. Ormai posso dire di conoscerti, ma la reazione che hai avuto poco fa mi ha sbalordita e… il tuo volto, i tuoi gesti, emanano positività. – la speranza nei suoi occhi si trasformò in parole.
Annuì e sorridendo iniziai a parlare: - Pubblicità, pubblicità, pubblicità! Abbiamo bisogno di questo! Di rendere più visibile la piccola realtà che domina in questo posto e di raccogliere fondi. Dobbiamo smuovere la gente, indurle ad interessarsi della casa famiglia. Hai visto Moran come era entusiasta? Lui che neanche ci voleva venire. Per non parlare di me, che mai avrei pensato di mettere un piede lì dentro.– indicai la struttura.
Sorrise al ricordo : - Ed invece ora sei sempre qui…-
- Perché tu mi hai dato modo di conoscere tutto ciò. Dobbiamo puntare a questo, Bunny! –
Corrugò la fronte: - Sono d’accordo con te, occorre pubblicità. Ma come possiamo muoverci? Organizziamo delle assemblee nelle scuole, affliggiamo dei volantini…- esponeva poco convinta le idee che le balzavano per la mente.
- No. Niente di tutto questo. – sospirai conscio dell’importanza delle parole che stavo per pronunciare. Divulgare la notizia negli istituti scolastici avrebbe senz’altro contribuito, ma non sarebbe stato sufficiente rivolgersi a giovani adolescenti per raccogliere il denaro di cui avevamo bisogno. Non conoscevo la cifra, potevo solo immaginarla. – Pensavo di organizzare un grande evento benefico, con ospiti illustri, alti dirigenti, a nome della Chiba Technology and Service. –
- La tua azienda? – sgranò gli occhi – Di cosa stai parlando? –
- Qualche anno fa, mio padre era solito organizzare per la sera della vigilia di Natale una grande cena con molti dei suoi soci d’affari. Nell’attesa della mezza notte venivano istituite delle aste, o dei giochi in denaro, quest’ultimo in qualunque caso andava in beneficenza. Voglio ripetere questa tradizione, invitando anche giornalisti e persone di rilievo. Sarà un evento a scopo benefico, dove presenteremo il progetto che elaboreremo per la casa famiglia, per dare ai bimbi la garanzia di un posto in cui continuare a stare. – cercai di trasmetterle tutta la mia buona fede nell’idea che avevo avuto, catturando il suo sguardo - In più avremo dalla nostra parte anche fattori strategici di mercato. Da mesi ormai papà cerca di far incrementare le vendite e promuovere questo progetto, con il marchio dell’azienda, attirerebbe l’attenzione di nuovi azionisti… – sorrisi a me stesso, fino ad allora non avevo mai notato quanto fosse viva in me quella vena per il mondo aziendale. Ancora una volta presi la mano di Bunny, era fredda a causa della temperatura bassa – Mancano ventitré giorni alla Vigilia di Natale e tutto ciò è una follia, lo so. Ma è l’unica possibilità che abbiamo. Potrò fidarmi solo di te…-
- Certo che è una follia. - alzò gli occhi al cielo: - Saremo due folli. – disse facendomi intuire che sarebbe stata dalla mia parte – Ma stai correndo troppo. Dimentichi la cosa più importante: avrai bisogno del consenso di tuo padre. –

Colpito e affondato. Lei conosceva perfettamente quella mia debolezza da quando assistette a quell’insolita cena a casa mia e successivamente, nei giorni in cui iniziò a frequentare la mia casa, cominciò a conoscere anche mio padre, si erano intrattenuti quelle volte in cui io non ero ancora rientrato a casa dopo la scuola. Stando alle parole di Bunny, lui le aveva fatto conoscere la storia della mia famiglia, di come mio nonno avesse creato dal nulla una piccola azienda e del modo in cui lui era riuscito a farla espandere, con il sogno nel cuore di poterla affidare a me in un futuro non molto lontano. Mi disse, inoltre, che non le aveva parlato solo del suo lavoro. Quando ebbe con lei la giusta dose di confidenza, complici anche le piccole lodi che mia sorella regalava alla sua nuova amica, le raccontò di quanto fosse contrariato dal mio modo di rapportarmi, della delusione assidua che gli provocava la telefonata del nostro avvocato per aggiornarlo sulle scomode conseguenze giudiziarie delle mie bravate. Lei era restia a raccontarmi delle sue chiacchierate con papà, credeva che avessi dei pregiudizi nei suoi confronti, che potessi intendere in una chiave sbagliata il succo dei loro discorsi. Ma per quel che mi riguardava, c’era ben poco da fraintendere. Non godevo della sua fiducia e su di me non avrebbe mai scommesso. Immaginai tutto il suo disappunto. Come potevo aspettarmi, quindi, che lui fosse a favore della mia idea?
Potevo evitare di coinvolgerlo. Sarebbe stato ancora più difficile senza la sua influenza e le sue conoscenze raggiungere il nostro scopo, ma ci avrei provato da solo. Scossi la testa e le risposi: - No, posso farne a meno. – distolsi lo sguardo dal suo viso, concentrandomi sulla pioggia che cadeva fitta.
- Ma cosa dici, Marzio! Non puoi sfruttare il nome dell’azienda, i suoi locali ed invitare a partecipare dei suoi soci tenendolo all’oscuro di tutto! – non risposi – Devi ammettere che la sua esperienza potrebbe esserci d’aiuto.- scosse la mia mano con foga – Almeno guardami mentre ti parlo! – lo feci, sospirò e con pazienza cercò di convincermi – Io credo che se tu lo affrontassi con la giusta calma e partendo dal presupposto che ti appoggerà, questo potrebbe rappresentare un punto di incontro per voi, dal quale poter ripartire.-
Sorrisi sarcasticamente: - No. Ci sono troppe incomprensioni tra di noi, lui non mi darebbe mai il suo sostegno ed io non posso affidarmi ad una persona che non crede in me. –
- Allora sii coerente con il tuo ragionamento. Mi hai detto che potrai fidarti solo di me, inizia a farlo. Fidati di quello che penso. – esitò qualche istante e la sua voce quasi tradì una certa emozione quando infine ammise – Io continuo a credere in te fin dal primo giorno in cui ti ho conosciuto. –
 
***
 
La sede della Chiba Technology and Service era situata appena fuori città, un modesto edificio che contava all’incirca trenta impiegati, la maggior parte lavorava per noi fin da quando avevo memoria e mi conoscevano bene, perciò salutai velocemente gli addetti alla portineria e la segretaria di mio padre, andando direttamente nel suo ufficio, senza chiedere se fosse impegnato in eventuali colloqui o altro.
Quel giorno doveva ascoltare solo me. Bussai un paio di volte alla sua porta.
- Avanti. - il suo tono era abitudinario. Indugiai un istante prima di far leva sulla maniglia, non avevo preparato un discorso di base, avevo fatto delle parole di Bunny una fonte di coraggio e, prima che potesse esaurirsi, ero corso via lasciando lei a spiegare ai nostri due amici il piano, certo che avrebbe trovato in loro due collaboratori. Morea avrebbe sfruttato anche questa chance, Moran non aveva nulla da perdere e poteva mettersi in gioco senza vincoli. Tutto dipendeva dal risultato che avrei ottenuto io.

Varcai la soglia dell’ufficio. Papà era seduto su un’ampia poltrona di pelle chiara, teneva lo sguardo basso su un grosso faldone di documenti poggiato sul grande tavolo di vetro a forma angolare. Alla sua destra un’ampia finestra lasciava entrare la luce del sole, che riusciva a raggiungere anche la parte opposta alla sua scrivania, dove vi erano due divanetti rivestiti di bianco e un piccolo tavolo, anche questo in vetro trasparente. Nelle vicinanze vi era una porta che dava accesso diretto alla Sala Riunioni ed un’altissima pianta verde da interno. Chiusi la porta alle mie spalle e lo vidi alzare lo sguardo, incuriosito dal silenzio.
- Marzio…- disse perplesso – credevo fosse la segretaria, le avevo chiesto di portarmi i registri degli ultimi cinque anni. - con piccolo gesto indicò il malloppo di fogli che stava analizzando. Temporeggiai, era evidentemente occupato.
- Ho bisogno di parlarti, papà. È una questione importante. – avanzai deciso verso di lui e mi sedetti su una delle due sedie, guardai velocemente l’oggetto del suo studio e notai i grafici dei bilanci dell’azienda. L’espressione sul suo volto era cambiata, aveva lasciato spazio alla curiosità e… all’apprensione. Cercai di presentarmi rilassato. – Non preoccuparti, non è successo nulla di grave. Vorrei il tuo parere su un mio progetto.-
- Oh, questa è una bella novità per me. Beh, in tal caso…- chiuse il faldone, si alzò per riporlo nel basso mobiletto alle sue spalle. Notai allora che su di esso vi erano dei quattro portafoto in argento, ognuno conteneva una foto della mia famiglia: nella prima vi erano i miei genitori da giovani, abbracciati con una meravigliosa Tour Eiffel che faceva da sfondo; nella seconda mia sorella Marta cingeva mio padre, erano divertiti e raggianti, mentre reggevano un microfono; accennai un sorriso quando riconobbi la terza, risaliva a sei anni prima e papà poggiava una mano sulla mia spalla, indossavamo entrambi lo stesso completo elegante per una serata di gala, lo sguardo illuminato dalla spensieratezza; nell’ultima era presente tutta la mia famiglia in posa, una sera d’estate, su un balcone che si affacciava sulla Costa Smeralda. Doveva tenerci particolarmente a quei ricordi se li aveva con sé. Dentro di me iniziò ad insinuarsi un dubbio, davvero potevo essermi sbagliato su di lui e averlo giudicato troppo duramente?

Quando tornò a sedersi alzò il telefono - … si, solo un’altra richiesta. Continui pure con il lavoro che le ho assegnato, ma me lo porti quando sarò io a chiederlo. Non voglio essere disturbato. - riagganciò e sprofondando nella sua poltrona, mi invitò a parlare con un gesto delle mani. – Come vedi, sono tutt’orecchi. -
Decisi di partire puntando sulla simpatia per la mia amica: - Sono stato alla casa famiglia con Bunny questo pomeriggio. -
- Davvero? Mi fa piacere. Come sta? – chiese sincero. Bingo!
- A dire il vero è preoccupata, mi ha parlato di un problema e mi piacerebbe aiutarla.- corrugò la fronte, aspettando che potessi essere più chiaro. Spiegai allora del rischio che incombeva sulla Casa Famiglia, del dispiacere che avrebbe portato la chiusura della struttura su di noi, delle conseguenze psicologiche sui bambini che ormai si riconoscevano come un bel gruppo, dell’unica alternativa che poteva cambiare la situazione: la ristrutturazione. Ascoltò tutto annuendo, non aveva staccato gli occhi da me neanche per un secondo.
- Se è come dici tu, non credo che ci sia qualcosa che tu possa fare. Mi rammarica sapervi così amareggiati…
- Papà, il progetto di cui voglio parlarti riguarda questo. Vorrei promuovere una completa ristrutturazione a nome della Chiba Spedizioni. Ho in mente anche cosa fare, seppur a grandi linee per ora.-
Il suo sguardo cambiò, la curiosità lasciò spazio all’incredulità: - Aspetta un attimo. Tu stai cercando di parlare con me di affari? L’azienda non è mai stata una tua priorità, me lo ribadisci da tempo, Marzio.-
Scossi la testa:- Non nel tuo senso…-
- Il mio senso? - il tono era irritato.
Sospirai, cercando di mantenere il controllo:- Ne parli come se non avessi altra scelta! Come se a me non potesse essere consentito sperimentare strade diverse da quella che avete fatto tu e il nonno, come se non potessi avere nessun’altra aspirazione!
Si alzò con uno scatto:- Dovrei crederti in base a cosa? L’ho visto dove ti hanno portato le tue aspirazioni! A farti espellere dal miglior istituto dello Stato, a risse da bar, in ospedale con un tasso alcolico ogni volta più alto…- si stava lanciando ancora una volta nell’elenco delle mie bravate, distolsi lo sguardo da lui e strinsi i denti- Solamente Dio sa quante lacrime di tua madre ho asciugato, spaventata di perderti in qualche tunnel da cui non saresti più uscito. Ma cosa credi? Che a me faccia piacere veder mio figlio distruggere le sue doti, le sue possibilità? Io ti ho offerto un’alternativa e tu l’hai sempre rifiutata!-
Scossi la testa:- Alternativa? Hai sempre influito su tutte le mie scelte per far sì che diventassi la tua copia, che ricalcassi i tuoi passi.- lo guardai – Io voglio solo essere libero! Libero di avere le giuste responsabilità per un ragazzo della mia età, di non avere nessuno con cui essere messo a confronto! Soprattutto se devi essere tu. Non ho mai accettato il fatto per te l’azienda venisse prima della nostra famiglia…- dissi, infine, senza ritegno, liberandomi di quell’ultimo pensiero che da anni avevo soffocato. I suoi occhi chiari si velarono per una manciata di secondi.
- Quindi è questo quello che pensi? – non risposi. – Che delusione mi dai, Marzio. Quello che ho costruito qui, l’ho fatto solo per voi, per darvi il meglio. Passo giorni e notti in studio e in questo ufficio cercando di mandare in porto ogni affare, solo perché voi possiate essere orgogliosi del nome che portate… e tu ora quasi lo rinneghi.-
Mi alzai anche io, ma mi diressi verso la direzione da cui ero entrato:- Sai cosa c’è? Oggi ero venuto qui con le migliori intenzioni. Volevo fare qualcosa per l’azienda oltre che per Bunny. Per un attimo ho anche creduto alle sue parole, diceva che poteva essere un punto di collaborazione tra noi. – mi voltai verso di lui ancora una volta – ma finché resterà il desiderio di solo uno tra tutti e due, non potrà mai funzionare nulla.- conclusi aprendo la porta per andare via.

- Aspetta!- mi bloccò. – Ti dimostrerò che ti sei sempre sbagliato. Facciamo un tentativo.- sospirò.
Immediatamente fui attraversato da una sensazione di positività: - Mi stai dicendo che sarai d’accordo? Che appoggerai le mie azioni?-
Mi indicò di chiudere la porta. Aspettai prima la risposta: - Ti sto dicendo che adesso mi spiegherai nei dettagli quello che vorrai fare, che lo valuteremo insieme. - accennai a parlare ma mi precedette – Ti piaccia o no, sono io il Dirigente e funziona in questo modo. Se l’idea mi convince sarai libero di far tutto come meglio credi, altrimenti dovrai abbandonare qualsiasi proposta che coinvolga l’azienda. Sia chiara un’ultima cosa – prese un respiro – se sto decidendo di darti fiducia è perché nell’ultimo periodo ho notato un atteggiamento più responsabile da parte tua. Mesi fa non sarebbe stata la stessa cosa.-
Annuì e richiusi, mi andava più che bene. Tornai a sedermi accennando un sorriso di soddisfazione per il compromesso che avevamo appena raggiunto.
Sapevo che la mia era un’idea vincente e che lo avrebbe sorpreso.



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Cucù!!! Guardate un po' chi si rivede dopo qualche sett.. anzi no! Sono passati ben 4 anni.
Avevo lasciato questa long perchè ero presa dalla maturità e ora... sono laureata e ho iniziato anche la specialistica! 
Direi che mi è sfuggito di mano il tempo, giusto un tantino!
Ma non ho mai perso l'idea di terminare questa long, perciò eccomi qui! Carica di positività e di buone aspettative!
EFP, mi sei mancato tanto. Giuro che non ti lascio più...

Per quanto riguarda questo capitolo,ho accellerato un pochino i tempi di narrazione. Nei capitoli precedenti avevo cercato di presentarvi Marzio e il mondo nel quale girava la sua vita, i personaggi che avevano influito. Adesso, invece, è tempo per lui di rimboccarsi le maniche... Si passa all'azione. E prossimamente ne vedrete delle belle.
Non so dirvi quando arriverà il prossimo aggiornamento, parte del prossimo capitolo è già scritta... e anche la fine della storia, per non perdermi nella narrazione :P
Però non passeranno più 4 anni. Promesso!

Perciò spero che i lettori più affezionati siano ancora qui... e spero di aver fatto breccia anche nei nuovi! Fatemi sapere cosa ne pensate!
Ho il batticuore come se fosse la prima volta :)
Vi ringrazio per aver letto, per avermi dedicato il vostro tempo.
Debora
   
 
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