Un anno.
Un anno fa ho iniziato questa storia.
L’ho interrotta, messa da parte, lasciata in pausa.
Avevo paura. Sì, avevo paura.
Non so di cosa, non so perché. Ma mi dispiace.
E non so nemmeno cosa dire, a ripresentarmi qui, così,
dopo tanto tempo.
Solo: scusate.
PRIMA PARTE
C |
apitolo VI
A Katia
Fango.
Camminavano sopra il fango, ne erano
circondati. Intorno a loro la terra era umida e scura.
Perché non era stato lui a pensarci?
“André,
non useremo la pece”, aveva appena detto lei, voltandosi e
interrompendolo con una mano sollevata. “Useremo
il fango.”
Spostò lo sguardo sui suoi capelli –
oro liquido che brillava al sole – e rivide Oscar marciare davanti a lui, alla
testa dei suoi uomini.
Le mancava? Versailles, il comando, casa, erano dentro di lei, almeno quanto
erano dentro André?
Lui li sentiva scoppiare dentro.
Sentiva i borbottii dei nobili, i pettegolezzi delle signore. Gli scherzi e le
risa dei suoi compagni, la presenza – mancanza
– di sua nonna.
Non l’avrebbe più rivista.
Né lei, né Alain, né la Corte. Non
avrebbe saputo quando stava male, non avrebbe udito la sua voce invocare il suo
nome – supplicarlo, maledirlo – né le
sarebbe stato vicino nei suoi ultimi giorni.
Era finita.
«André?»
Era ancora voltato verso di lei, e
gli occhi corsero a cercare i boccoli biondi che scendevano sul petto.
Qualcuno avrebbe colto l’inganno?
L’avrebbero riconosciuta?
«Sì, Oscar?»
«Non hai detto una parola.»
Lui annuì. «Scusami. Sì, penso che il
fango andrà bene.»
Non ne era sicuro, ma l’unica scelta
era provare. Camminò al suo fianco, finché non la vide piegarsi su se stessa.
La imitò, riempiendosi le mani di terra umida.
Sembrò dirgli “solo un tentativo”, e anche lui la pensava così.
Prima di procurarsi gli abiti, era
meglio essere sicuri che potesse funzionare.
Oscar strinse i capelli alle radici,
passò le dita sporche tra le ciocche, ma non era sufficiente.
Non poteva esserlo.
Serviva lui.
André le fu vicino in un attimo, ma
non sollevò le mani, non prese a toccarla, a inzupparle i capelli di fango.
Attese qualcosa – qualsiasi cosa – un cenno, uno sguardo, un segno che dicesse
“sì, puoi farlo”.
Avrebbe voluto che fosse Oscar a
chiederglielo.
Riconobbe l’esitazione sul suo viso,
come se volesse, senza avere il
coraggio di parlare.
Vide le mani di lei fermarsi,
riprendere la discesa lentamente – troppo lentamente – come se fosse stata
incerta dei suoi gesti.
D’istinto, André le afferrò le dita e
se le portò sul petto.
«Faccio io, Oscar.»
Lei annuì senza protestare. «Va bene,
André.»
Con altro fango tra le mani, lasciò
scorrere le ciocche tra le dita, la vide chiudere gli occhi, lasciarsi
macchiare il viso, tremare appena. Quando schiuse le labbra, provò l’impulso di
baciarla.
Hai
promesso, ricorda.
Aveva cambiato odore. La terra era in
lei, e le stava benissimo.
André deglutì più volte mentre
seguiva i boccoli ribelli lungo il suo petto, sulla sua schiena, stringendoli
forte per poi lasciarli andare.
Era un po’ la stessa cosa successa
con Oscar. Averla accanto per tutta la vita, amarla, stringerla contro la sua volontà per poi lasciarla andare.
Una storia già vista.
Le
cose cambieranno, pensò. Saremo lontani da Parigi, dove non ci cercherà nessuno.
Vivremo
insieme, solo io e lei. Soli agli occhi del mondo.
E
forse, allora, le cose cambieranno.
La sua vita, ora, dipendeva da quel
forse.
«André.»
«Sì, Oscar?»
«Pensi che riusciranno a trovarmi?»
Le mani si bloccarono all’altezza
delle spalle. Respirò a fondo – per l’agitazione, per la fuga, per lei – e le toccò un braccio, sporcandole
la divisa.
«Non glielo permetteremo.»
«Se dovessero prenderti… Sei ancora
in tempo, André. Puoi ancora tornare indietro.»
No, il Generale sapeva, il Generale
non l’avrebbe mai perdonato.
André se lo immaginava con la spada
sulle ginocchia, in attesa del loro ritorno. Le finestre che davano sul cortile
davanti agli occhi, e il desiderio – assurdo,
disperato – di rivederla.
Di rivederli.
«Ti ho portato io qui, Oscar. Non ti
lascerò andare.» Non di nuovo, non con il
Generale pronto a ucciderti.
Un sospiro, la mano di lei sulla sua.
«Grazie, André.»
Nel cortile di Versailles, si lasciò
aiutare da un servitore a salire in sella.
Piegò il ginocchio, afferrò redini e
agnellino e montò a cavallo. Aveva solo due uomini con sé, per poter viaggiare
in fretta e non attirare l’attenzione.
Fu certo che lei fosse lì, da qualche
parte, a guardarlo partire.
Fece un cenno agli altri, affondò i
talloni nei fianchi del suo animale grigio e aspettò che il cancello dorato
venisse aperto.
«Da dove cominciamo?» chiese una
delle guardie, affiancandolo.
Uscirono dalla cittadina, e lui
indicò lontano, un punto appena definito a est di Parigi.
«Vincennes.»
«C’è il castello, là. Non è dove è
stato rinchiuso De Sade?»
«Quel…» Lui si trattenne dal
commentare.
Non provava nessuna forma di rispetto
per il Marchese. Nessuna. E forse, se fosse stato al posto del Re, non avrebbe
firmato una lettre de cachet per rinchiuderlo.
Forse, al suo posto, dopo ciò che
aveva subito qualcuno a lui caro, avrebbe preferito l’esilio.
«Ora è alla Bastiglia» continuò la
guardia, incitando il cavallo al trotto.
Che
ci rimanga.
Gli chiese di non partire.
Restò appoggiata al tronco di un
albero con i capelli pieni di fango, a guardarlo andar via.
«Mi sto fidando di te, Oscar» disse,
legando il cavallo bianco dietro al suo. «Non deludermi.»
«Non mi sembra» ribatté lei. André
sentì i suoi occhi addosso. «Ti porti via il mio cavallo. Dove potrei andare, Andrè?»
Spero
da nessuna parte.
Non lo disse, ma pregò intensamente
che lei restasse esattamente dov’era.
Fece un cenno per salutarla e montò
in sella. Percorse un tratto di bosco, trovò un sentiero e lo seguì. Dovevano
esserci delle case vicino: il terreno e gli alberi erano puliti, senza rovi,
brughi, tele o rami troppo bassi, come se ci passasse abitualmente qualcuno.
Gli zoccoli dei cavalli affondarono
nella terra morbida, lasciando un segno del loro passaggio.
Oscar
potrebbe seguirmi.
Ma non lo avrebbe fatto. No, André le
aveva chiesto di aspettarlo. Perché non avrebbe dovuto ascoltarlo?
Proseguì ancora e ancora, finché, tra
le fronde, non riconobbe un gruppo di case.
Tornò indietro, legò gli animali per
nasconderli e restò acquattato a osservare le abitazioni.
Non c’era nessuno.
Si avvicinò cauto, puntando gli occhi
su due ramoscelli usati a mo’ di stendino. André avanzò con la schiena piegata,
guardandosi furtivamente intorno. Gli abiti stesi, a dieci passi da lui, gli
sembrarono lontanissimi.
Una risata. Lui che, senza guardare,
strappava la biancheria più vicina, stringendola sotto l’ascella.
Due bambini che si rincorrevano,
piccoli, sporchi, coperti con vestiti logori. Sparirono nei campi vicini.
André pensò a Oscar e deglutì. Vide
un masso piatto sul retro di una casa e lo raggiunse, lasciando cadere tutte le
monete che aveva in tasca.
Meglio
a voi che a me.
«Generale Jarjayes.»
Il Colonnello D’Arcois pronunciò quel
nome con la massima serietà. Era uscito dal palazzo e tornato in fretta. Forse troppo in fretta.
Oscar,
figlio mio, non sai in che posizione mi stai mettendo.
«Accomodatevi, Colonnello.»
Un secondo uomo entrò dietro
D’Arcois, alto, magro, dal volto lungo e sottile. Spostò gli occhi alla volta
decorata, fermandosi a osservare la statua dell’aquila.
Il Generale seguì il suo sguardo,
finché D’Arcois non mosse i piedi con un moto di nervosismo.
«Generale, lasciate che vi presenti Philippe
Barthélemy, l’uomo che potrebbe… risolvere
il vostro piccolo problema.»
«Benvenuto, signore. Il vostro titolo
e il vostro grado?»
Gli occhi dell’uomo guizzarono su di
lui. «Non sono importanti ora…»
Il Generale si risentì, ma rimase in
silenzio.
«Raccontate anche a lui ciò che avete
detto a me, Generale» lo invitò D’Arcois.
Ma lui non era più così sicuro di
volerlo fare… quello sguardo da faina, quel sorriso famelico, non promettevano
niente di buono.
«Mio figlio Oscar, lui…»
«Lo conosco» lo interruppe Philippe,
con un gesto secco della mano. «Non conosce me, ma io conosco vostra figlia,
Generale. Grande è la sua fama… così vicina alla Regina, agli intrighi di
Corte, e d’improvviso così lontana. Cosa posso fare per voi?»
Il Generale gli diede le spalle,
piegò un braccio dietro la schiena e prese a guardare la finestra.
«Mio figlio» disse, marcando bene la parola
“figlio”. «Si è macchiato di tradimento. Mi ha disobbedito. E nonostante il
perdono del Re, nonostante la promessa di tornare, è scomparso.»
Quando si voltò, anche nello sguardo
di D’Arcois riconobbe una strana luce. Come se non aspettasse altro che
sentirlo continuare…
«Ora, se anche tornasse, tutti
saprebbero di quali colpe si è macchiato» Fece una pausa, socchiuse gli occhi e
si sforzò di continuare. «La vergogna sul nome della nostra famiglia è un’onta
che non possiamo permetterci, signore.»
Philippe si leccò le labbra, facendo
un passo avanti. Parlò più lentamente di prima. «Cosa volete che faccia
esattamente?»
Dire o non dire?
Era l’ultima possibilità per tornare
indietro.
Ne era davvero convinto?
Parlò senza riflettere, in modo
meccanico. Ripetendo ciò che D’Arcois aveva già sentito.
«Voglio che mettiate fine al
disonore.»
La trovò sdraiata all’ombra di un
albero, proprio dove l’aveva lasciata.
Sembrava essersi assopita, ma quando
André spezzò un ramoscello sotto i piedi, avvicinandosi, Oscar aprì di colpo
gli occhi.
Passò dal suo viso alla stoffa
appallottolata che teneva sotto il braccio. Strinse le palpebre, come se si
rifiutasse di vedere, e rimase a terra, le mani dietro la testa, a guardare il
cielo.
«Tieni, Oscar.»
Le lanciò alcuni abiti senza nemmeno
guardarli.
Tra le mani una casacca grigia con un
tricolore, una camicia logora e dei pantaloni larghi. André si guardò intorno
per cercare un po’ di intimità – o di lasciarla a lei… - quando la sentì
alzarsi in piedi.
«André!»
Non si voltò in tempo, trovandosi con
il capo coperto dai vestiti che aveva rubato.
«Mettili tu se ci tieni tanto.»
Quando liberò il viso, vide cosa
stava stringendo tra le mani.
Abiti
da donna.
Sorrise. Era chiara la sua reazione,
era giustificata. Non c’era nulla da temere. Non stava fuggendo, non lo stava
lasciando.
«C’erano dei bambini» disse André,
guardando gli abiti che gli restavano tra le mani. «Ho preso senza guardare.»
«Non vestirò da donna.»
Lui annuì, lasciando cadere la gonna
lunga. Aveva preso alla rinfusa, ma c’erano diversi capi appesi fuori dalle
case. Era certo di aver visto altri abiti maschili, nascosto dietro le fronde.
Lasciò cadere un corpetto, poi le
lanciò una redingote e un paio di pantaloni grigi. Allungò nella direzione di
Oscar anche un bavero rosso, ma lei non lo prese.
«Indossa almeno questo» insisté
André, dandole un berretto. «Per nascondere i capelli.»
Si allontanò per cambiarsi,
indossando pantaloni, camicia lunga, casacca – e larga, troppo larga, tanto che dovette legarla in vita – e al collo il
bavero rosso.
Come
Alain. Da rivoluzionario.
Pensare a ciò che avevano perso
faceva male. Non lo avrebbe più rivisto, né lui né nessun altro.
Sistemò la stoffa larga sopra agli
stivali, in modo che fossero poco riconoscibili.
«Posso venire, Oscar?»
«Sì, André. Vieni pure.»
Non sembrava un contadino. Non
sembrava nemmeno un uomo.
Prese gli abiti rimanenti e si fermò
accanto a un salice. Scavò in fretta – la terra sotto le unghie era un
particolare fondamentale per il suo travestimento – avvolse gli abiti e le
divise nella gonna bianca e li schiacciò in quella specie di buca.
Non era profonda, qualche animale avrebbe
potuto trovarli, ma André li coprì senza preoccuparsene.
«In caso di bisogno?» chiese Oscar,
aiutandolo a buttare terra sopra il fagotto.
«Sì. Se dovesse succedere qualcosa
potrebbero sempre tornarci utili. E in questo modo nasconderemo le casacche.»
Lei fece cenno di sì con la testa.
«Hai fatto bene, André.»
Era ora di dirglielo.
Non voleva metterla in pericolo, e Vincennes
era vicina. Guardie, il castello, la gente. Tutto poteva mettersi contro di
loro.
«Ascoltami, Oscar.»
Fece un passo verso di lei, pulendosi
le mani sui pantaloni. Guardò i capelli infangati, legati in una coda bassa
sotto il berretto, e poi il suo viso.
Avrebbe capito? O si sarebbe
rifiutata di lasciarlo andare? Di nuovo?
«A Vincennes potrebbe mettersi male.
Voglio dare uno sguardo al paese prima di entrare.»
Lei annuì. «Andiamo.»
«No» Sollevò una mano per fermarla.
«Tu resti qui, Oscar. Solo uno sguardo veloce, e sarò subito di ritorno.
Nemmeno ti accorgerai che mi sono allontanato.»
Oscar scosse la testa, ma non disse
niente. Era inutile discutere ormai.
André si allontanò lasciandosi lei e
i cavalli alle spalle.
Seguì le tracce lasciate dagli
zoccoli e ritrovò le case; le aggirò, trovò una strada e la percorse seguendola
dal bosco. Non c’era nessuno, ma più si avvicinava a Vincennes, più i rumori
della vita si facevano forti.
Mercato, lavoro, castello.
Suoni che lo attiravano e
spaventavano al tempo stesso.
Quando si trovò sotto le mura, decise
di aggirarle, di cercare un punto da cui guardare all’interno. Ma era
difficile… era in alto, André ricordava di averlo visto da Versailles.
Grattò la pelle sotto al bavero,
sentendo il collo irritato, e si inginocchiò per spiare il ponte sul fossato
intorno al castello.
Aspettò, senza sapere nemmeno lui che
cosa.
Era sicuro per Oscar?
Sarebbe stato sicuro per loro,
all’interno? Avrebbero dovuto lavorare, rubare, o fare cosa?
Di cosa avrebbero vissuto?
Gli bastò ricordare le parole del
Generale per convincersi che era la scelta giusta. In ogni caso, il primo passo
lontano da Parigi, lontano dalla fine di Oscar.
Poi sentì qualcosa pungergli la
testa, scivolare sul collo e fermarsi.
«In piedi.»
Un calcio alle gambe, André si rovesciò
su un fianco, poi sollevò le mani.
Uno,
due, tre. Tre guardie, tre fucili puntati alla testa.
Ci
hanno già trovati?
«Alzati, disgraziato!»
Un uomo lo afferrò per il gomito,
issandolo in piedi. Cosa avrebbe dovuto dire? Quale parola avrebbe potuto salvarlo?
Tenere Oscar al sicuro…
«Finalmente ti abbiamo preso.»
«Come mi avete trovato?» borbottò
André, mentre gli legavano le mani.
E
Oscar? Avete preso anche lei? Dov’è?
«Una donna ti ha visto uscire da
Vincennes questa mattina» spiegò una guardia. Poi gli strappò il bavero rosso.
«Eravamo diretti alle case dei contadini quando ti abbiamo visto aggirarti qui
intorno.»
Uscire
da Vincennes? André incespicò sul sentiero mentre lo
spingevano avanti. Non sono io,
pensò. Avete preso l’uomo sbagliato.
Non lo disse.
Parlare avrebbe compromesso Oscar,
avrebbe attirato l’attenzione su di lui.
«Perché gli parli?» chiese un’altra
guardia, premendo il calcio del fucile sulla sua schiena.
«Non si sprecano parole con un
morto.»
Note
dell’autrice:
Vorrei dimostrare quanto sia felice
di essere di nuovo qui. Ed è così, giuro, scrivere di André e Oscar, tornare a
Catene è stato bello, molto. Ma dirlo, o fare chiacchiere inutili, mi sembra
una presa in giro.
Perché sono sparita.
Perché sono tornata.
Posso citare Harry Potter? “Silente
sapeva che me ne sarei andato.”
“Silente sapeva che saresti voluto
tornare.”
Vale lo stesso per me (e nel mio caso
Silente porta il nome di Katia). Scusate ancora.
Celtica