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Autore: Ipernovae    30/01/2017    1 recensioni
"Era notte, una di quelle senza le stelle che si perdeva a rimirare con incanto e meraviglia, nascosto da tutti. Persino da Tsukki. Il freddo dell'inverno stava portando con sé brividi, ripetitivi e prolungati. I piedi, la schiena, la nuca. Centimetro dopo centimetro, quella spiacevole sensazione si andò ad impossessare delle sue ossa e pensò di essersi addormentato sul terrazzo della sua camera, proprio mentre guardava quel cielo scuro nell'attesa di scorgere quel bagliore famigliare. Quello che sapeva di casa."
TsukkiYama
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kei Tsukishima, Tadashi Yamaguchi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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It doesn't hurt anymore


“Fa male.”
Queste, furono le prime parole che germogliarono nella mente di Yamaguchi, gli occhi che cercavano di aprirsi nonostante il sonno li tenesse ancora prigionieri, catene invisibili che Morfeo non si decideva ad abbandonare.
Era notte, una di quelle senza le stelle che si perdeva a rimirare con incanto e meraviglia, nascosto da tutti. Persino da Tsukki. Il freddo dell'inverno stava portando con sé brividi, ripetitivi e prolungati. I piedi, la schiena, la nuca. Centimetro dopo centimetro, quella spiacevole sensazione si andò ad impossessare delle sue ossa e pensò di essersi addormentato sul terrazzo della sua camera, proprio mentre guardava quel cielo scuro nell'attesa di scorgere quel bagliore famigliare. Quello che sapeva di casa.
Quando, però, i suoi occhi si aprirono e si abituarono al buio che padroneggiava nella sua camera da letto, capì di essere sotto le coperte. Circondato dalle inconsapevoli braccia di Tsukishima che, fortunatamente, ancora dormiva. Il viso di Yamaguchi si colorò e gli sembrò quasi che quei brividi fossero finalmente dissolti nel nulla. Nel segreto della notte, si lasciò guidare dall'istinto e non si rese conto di aver posato le dita sulla guancia rosea di Tsukki finché non lo sentì mugugnare nel sonno. Allora, ritirò la mano e rimase semplicemente a fissarlo. Scorgeva, nonostante l'oscurità che condizionava il suo sguardo, la ruga d'espressione che prendeva possesso della fronte di Tsukishima ogni volta che stava facendo un sogno inquieto. Quando erano più piccoli, Tadashi si divertiva a premere l'indice su di essa e a stento tratteneva le risate quando Tsukki faceva certe buffe espressioni.
Il ricordo di quei momenti lo fece sorridere amaramente, il groppo che gli saliva in gola ogni volta che ripensava al passato lo faceva sentire vulnerabile e aveva paura che quella vulnerabilità la percepissero anche gli altri. Soprattutto Kei, che lo conosceva meglio di chiunque altro. Forse, in molti casi, meglio di quanto lui stesso si conoscesse.
All'inizio era spaventato da quella consapevolezza, altre volte era stato grato come quelle volte in cui si sentiva insicuro sul campo da gioco. Ora, consapevole dei sentimenti che provava per l'amico e la distanza che lui stesso aveva creato, avevano fatto in modo di essere terrorizzato da quella specie di super potere che Kei sembrava possedere.
Gli bastava uno sguardo, semplice, diretto e il mondo di Tadashi cadeva nelle mani di Tsukishima senza che potesse averne il più piccolo controllo. In quella notte fredda e buia, Yamaguchi era arrivato a ripetersi “idiota” una serie innumerabile di volte. “Sei troppo dipendente da lui”, aggiungeva, tra un insulto e l'altro. “Ti sei lasciato andare così tante volte. Guardati ora” quella voce nel cervello, quella maligna e che nei film prendeva sempre l'aspetto di un diavoletto tentatore, lo istigava, lo derideva. Buffo che la sua mente gli avesse dato le fattezze proprio di Tsukki.
“Fa male”
Si ripeté ancora una volta, cercando di mettere a tacere ancora una volta la vocina di quello Tsukki malefico.
All'inizio, quando aveva aperto gli occhi con fatica, non aveva capito perché proprio quelle parole gli fossero venute in mente. Si era giustificato, dicendosi che forse era per via delle braccia di Kei che lo tenevano stretto. Forse, erano i brividi che lo scuotevano e portavano le braccia dell'amico a stringerlo ancora. O probabilmente era stato un incubo.
Doveva sicuramente essere stato quell'incubo dove Tsukki aveva bussato alla sua porta, gli occhi rossi ed umidi di un pianto che ancora non aveva avuto modo di sfogarsi. Il pomo d'Adamo che si alzava ed abbassava frenetico, mentre parlava e tentava di controllarsi, per non cedere. “Kuroo mi ha lasciato” lento e spezzato, disse quelle parole con un tono che Tsukki tirò fuori solo quando scoprì la menzogna del fratello. “L'università e... il suo amico d'infanzia.” aveva aggiunto, la voce più incrinata, gli occhi più umidi e il naso che tirava su nella vana speranza del trattenersi.
Yamaguchi non aveva detto niente. Quella vocina maligna gli gridava di pronunciare quel “te lo avevo detto”, che aveva urlato quando, mesi prima, si erano ritrovati a litigare. Tadashi a strillare i suoi sentimenti in frasi orrende, non da lui. Non dal Yamaguchi che Kei conosceva. E Tsukishima a ringhiargli contro che non aveva mai avuto bisogno della sua amicizia. Che non aveva mai avuto bisogno di lui.
Si strinse una mano all'altezza del petto, lasciò che le dita artigliassero la stoffa della maglietta con la stampa di una buffa porzione di patatine che faceva l'occhiolino, mentre la sua mente riportava quel ricordo a galla. Lo lasciò in balia delle emozioni per un po' e pensò a quanto fosse stato paradossale che si fossero rivisti proprio quella sera. La sera in cui Yamaguchi aveva acconsentito ad uscire con Yachi.
Era stata una serata piacevole, aveva riso e mangiato così tante patatine che anche in quel momento sentiva lo stomaco stretto per averne abusato. Erano andati al cinema, avevano guardato un film d'animazione e si erano scambiati un bacio tra una scena di combattimento e la fine del primo tempo. Non aveva provato niente, se non il senso di colpa. La stava ingannando, le stava dando false speranze. Era orribile. Yamaguchi Tadashi era una persona orribile. E come una litania quella voce maligna lo ripeteva. Incessante. Alla fine del film si ritrovarono mano nella mano a camminare verso casa della ragazza. Aveva promesso ai suoi genitori che l'avrebbe riaccompagnata a casa, non le avrebbe mai permesso di tornare da sola. Dopotutto, era ciò che tutti si aspettavano da Yamaguchi. Un ragazzo buono, responsabile, con le parole giuste da dire in ogni momento.
Ma Yamaguchi era un bugiardo e, questo, Yachi lo aveva capito ancor prima di chiedergli di uscire. Ancor prima di confessarsi sapeva che sarebbe stato inutile eppure, nel suo dolce egoismo, pensò che provare non avrebbe fatto male. Yachi glielo aveva confessato mentre camminavano nel parco che faceva da scorciatoia per la via dove abitava. “So che sei innamorato di Tsukishima” aveva un sorriso amaro sulle labbra sottili, che sotto alla luce dei lampioni luccicavano, merito del lucidalabbra che vi aveva applicato sopra.
Si era fermata vicino ad una panchina e aveva stretto la sua mano con delicatezza, le dita affusolate e le unghie ben curate senza alcun tipo di smalto troppo appariscente.
“L'ho sempre saputo. Forse non lo sai, ma il tuo sguardo parla per te” aveva continuato, il sorriso sempre presente e gli occhi più lucidi del solito. Yamaguchi si sentì in colpa e ancora una volta quella voce gli gridò quanto fosse ignobile. Quanto fosse un'orribile persona. “Sono contenta” aveva preso un respiro, come se i suoi polmoni fossero improvvisamente a corto d'aria e per un momento Tadashi pensò di doverla portare in ospedale, che si stesse sentendo male. Ma poi vide le lacrime scendere sul sorriso che nonostante tutto si costringeva a tenere su. E Yamaguchi la invidiò con tutto se stesso in quel momento. Perché lei era stata forte, mentre lui era stato codardo. “Ti ringrazio per essere uscito con me, Yamaguchi-kun. Mi piacerebbe essere tua amica da ora in poi” si era inchinata e, senza dargli tempo di replicare corse verso casa. Tadashi si era sentito l'essere più vile del pianeta.
Così era tornato a casa con la testa bassa, aveva salutato la casa vuota e, poi, aveva sentito bussare alla porta.
E si ritrovava lì, alle tre e quarantacinque di notte, la sveglia che lampeggiava quell'orario insistentemente e creava una luce sinistra sul volto di Tsukishima che ancora lo stringeva, come se non volesse lasciarlo andare.
“Fa male”
Ancora una volta quelle furono le parole che pensò. E facevano male davvero, perché consapevolezza di non essere lui il destinatario di quella stretta. Si divincolò, i polmoni che reclamavano improvvisamente l'aria, il debito di ossigeno che si era auto inflitto mentre tratteneva il respiro senza che se ne rendesse conto.
“Fa male”
Le braccia di Tsukishima lo teneva troppo stretto, le sue dita si erano aggrappate con troppa forza al retro della sua maglietta. Quella dannata maglietta che gli aveva regalato proprio lui, che lo stava abbracciando con la disperazione di chi ha perso tutto.
Premette i palmi sul suo petto e non si rese conto delle gocce salate che presero a scorrere sulle sue guance. Rapide e incontrollabili, traditrici.
Cercò ancora una volta di mettere forza nelle braccia, nelle spinte con cui tentava di allontanarlo ma gli sembrava di combattere contro ad un muro di cemento. Un paragone perfetto per quel ragazzo che era in grado di bloccare le schiacciate di Ushijima Wakatoshi.
-T-Tsukki...- era un rantolio, flebile e così poco udibile che non si sarebbe stupito se l'altro nemmeno si fosse premurato di registrarlo come il ronzio di una mosca fastidiosa. Ma ciò a cui non era preparato, erano gli occhi aperti di Tsukishima. Scrutatori, lampeggianti. Cercatori di tempeste dell'anima.
Le mani di Tadashi si bloccarono, tremanti e insicure, l'esatto opposto di quelle di Tsukishima, che ancora erano strette attorno alla stoffa, bloccate lì sulla colonna vertebrale.
-Ts-Tsukki... Devo... Andare in bagno...- una scusa, una delle tante che si era ripetuto, che ripeteva agli altri come una lezione imparata a memoria, una poesia i cui versi noiosi e riproposti così tante volte, entravano in testa e non ne uscivano più. Kei lo sapeva. Lo conosceva meglio di chiunque altro.
-Devi dirmi qualcosa, Yamaguchi?- il respiro si bloccò ancora una volta, nella gola di Tadashi e annaspò quando quella domanda prese a rimbalzargli nella testa come la pallina di un flipper.
Scosse la testa, una, due, tre volte cercando di convincere prima se stesso e poi il ragazzo che ancora lo stringeva.
“Ti prego”, pensò disperato, non voleva rispondere. Se lo avesse fatto, si sarebbe rovinato tutto. Tutta la loro amicizia si sarebbe sgretolata e quel segreto così a lungo custodito sarebbe esploso come un palloncino troppo pieno d'acqua. Avrebbe investito entrambi con troppa potenza. Avrebbe fatto male a chiunque fosse stato loro vicino.
-Fa male-
-Che cosa?-
Ma le parole non le pensò solamente, Yamaguchi. Quella volta furono le sue labbra a pronunciarle, a dar voce a quel pensiero che lo stava torturando da quando Tsukki aveva bussato a quella dannata porta.
Gli occhi di Tadashi si spalancarono e distolse lo sguardo alla ricerca di qualsiasi cosa che potesse salvarlo. Ma ancora una volta quella vocina maligna gli sussurrò “diglielo”.
-Ti amo- e il silenzio cadde nella stanza, la presa sulla schiena di Yamaguchi cessò e lui fu finalmente libero di mettersi a sedere. Prese respiri profondi e la mano di Tsukki si posò sulla sua schiena, le sue labbra si accostarono al suo orecchio e la sua voce glielo riempì.
-Respira- un sussurro che gli provocò una stretta allo stomaco e distolse ancora una volta lo sguardo. Gli occhi zampillanti acqua fin troppo salata e amara, riversante i sentimenti tenuti legati con catene spesse.
-Devi andartene, Tsukki. Ti prego. Ti prego...- ma Kei rispose un secco “No” e il petto di Yamaguchi vibrò di un'improvvisa aspettativa, una speranza che riteneva morta e sepolta. E la mano di Tsukishima gli fece voltare il viso, non prima di aver incontrato una resistenza che nemmeno Tadashi sapeva di possedere. “Ti prego”, pensò ancora, implorando ogni dio esistente di risparmiargli tutto ciò che stava provando, il dolore del rifiuto. Stringeva gli occhi, in un tentativo goffo di trattenere le lacrime che comunque continuavano a sgorgare.
“Fa male. Ti prego.”
Poi ci furono solo le labbra di Tsukishima sulle sue e il cuore che martellava in ogni parte del suo corpo come se dovesse schizzargli via dal petto in qualsiasi momento. Stava sognando, era sicuramente così. Era certamente, così.
-Non ho mai amato, Kuroo. - un sussurro, dei tanti di quella notte ormai infinita la cui alba sembrava non arrivare mai, un sole destinato a non sorgere prigioniero della luna. -Non hai mai capito che eri tu.-
“Impossibile”, era la parola che ora gli martellava la testa, scavava in ogni più insignificante neurone del suo cervello e mandava in corto circuito qualsiasi suo pensiero razionale.
L'unica cosa che riuscì a rantolare fu un “Tsukki”, poi le labbra di Kei cercarono di riappropriarsi delle sue, come se bastasse solo quel semplice gesto per sistemare quei mesi di silenzio, quegli anni di dolore.
Era difficile, però, impedire al suo cuore di ragionare per lui e frenarsi dal recuperare quell'assenza, toccando il corpo di Kei con il desiderio di possederlo che aveva represso fino a quel momento.
-N-Non è reale... Domani sparirai...- un singhiozzo che fece assumere al viso di Tsukki una smorfia disgustata, più addolcita, però, al pensiero di quanto male avesse fatto con il suo egoismo. Perché era di questo che si era trattato. Tsukishima che non riusciva ad accettare i suoi sentimenti. Tsukishima che non concepiva di accettare i sentimenti di Yamaguchi. Tsukishima che si lasciava andare tra le braccia di Kuroo. Tsukishima che tornava da Yamaguchi, piangendo il dolore della loro lontananza e mai, mai dell'abbandono di Kuroo.
Il dorso della mano gli asciugò le guance, i pollici si premurarono di carezzare gli occhi umidi e le labbra di sanare il dolore e l'insicurezza. Fu risposta muta a quella paura che la voce di Yamaguchi aveva sputato fuori. “Non scomparirò”, “Sarò qui domani. Per sempre”, “Riprendimi con te”.
E Yamaguchi rispose, la mano stretta sul petto dell'altro e le labbra che cercavano di più, mangiavano la pelle e rubavano il respiro nella promessa di non separarsi mai.
“Non fa più male”



   
 
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