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Autore: MerasaviaAnderson    31/01/2017    1 recensioni
•{Gallavich ~ Pericolosamente angst ~ Mickey!OOC ~ What if?}
Mickey ha convinto Ian a non arruolarsi nell'esercito.
Al Rosso non viene diagnosticato il Disturbo Bipolare.
Eppure, due anni dopo, una difficoltà molto più grande si abbatterà sui due amanti.
"Il mal di testa pulsava sulle sue tempie e ancora mezzo intorpidito si era deciso ad accendere il telefono, dove aveva trovato una numerosa serie di chiamate perse da praticamente ogni membro dei Gallagher e un’altra manciata da Mandy.
E lì ebbe la consapevolezza di non poter essere egoista: di non poter lasciare da solo Ian in una situazione del genere, di dover mettere da parte la sua sofferenza e tornare lo stronzo Mickey Milkovich che tutti conoscevano prima che quella fighetta avesse fatto breccia nella sua miserabile vita."
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Ian Gallagher, Mickey Milkovich, Un po' tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Until the end of my days

Capitolo VI:

7 YEARS

“It was a big, big world but
we thought we were bigger, pushing each other to the limits we were learning quicker. By eleven smoking herb and drinking burning liquor. Never rich, so we were out to make steady figure.”
 
 
 
Non appena Mickey e Ian arrivarono all’aeroporto di Chicago, trovarono i Gallagher al completo, Kevin, Veronica e Mandy che li aspettavano: Ian fu letteralmente travolto dal tornado generato dai suoi fratelli, che lo avvolsero in un forte abbraccio di gruppo; Kevin tirò qualche pacca sulla spalla a Mickey, che aveva abbracciato sua sorella, dandole un goffo bacio sulla guancia.
Che con le dimostrazioni di affetto Mickey non ci sapeva fare era ben risaputo.
«Allora, com’è andata?» aveva chiesto Mandy, mettendosi in mezzo a Mickey e Ian e prendendoseli a braccetto «L’hai trovato Mago Merlino?» chiese ridendo al fratello, che nel frattempo era diventato rosso come i capelli del fidanzato.
Ian trattenne una sonora risata: ora era tutto chiaro il motivo per cui parlasse di Mago Merlino nel sonno.
«Di’ qualcosa a riguardo e ti ammazzo.» lo minacciò Mickey, puntandogli un dito contro.
«Che ha combinato?» chiese Mandy, mentre li trascinava dietro i Gallagher verso l’uscita dell’aeroporto «Non mi dire che ha comprato una di quelle collane di fiori colorati e si è messo a ballare?!»
«Sì, qualcosa di simile lo ha fatto!»
«Non è vero.» borbottò Mickey, seppellendo le mani dentro le tasche del cappotto. Faceva un cazzo di freddo a Chicago.
«Ho un video che lo prova. E per non parlare del fatto che appena siamo arrivati stava andando in spiaggia con i calzini ai piedi.»
«Ma cosa cazzo, Mickey?» rise Mandy, burlandosi di lui che aveva messo il broncio.
«Ero preso dall’euforia, non me ne ero accorto.» si giustificò, camminando a testa bassa «Ed Ian non si sa fare i cazzi suoi.»
«Ah, e mi ha portato a cena.»
«Ian, ti prego …»
«Dovevi vederlo, Mandy, si è messo una camicia con le foglie di Marijuana e dei pantaloni così stretti che gli facevano un culo bellissimo!»
«Ian, smettila, cazzo!»
«Comunque Iggy ha scoperto del fondo cauzioni rubato.» comunicò Mandy, con un tono un po’ preoccupato «È andato a riferirlo a Terry in galera e adesso meditano su come ucciderti.»
«Tanto starò a casa dei Gallagher.» disse Mickey, con un ghigno abbastanza menefreghista «Mi sarei preoccupato se ci fosse stato quello stronzo di Terry fuori dalla gatta buia, ma ad Iggy non fotte più di tanto, con quei soldi si comprava i fucili. Vuole solo fare il lecchino con il babbo.»
Non appena misero piede fuori dall’aeroporto, nel parcheggio innevato il freddo gelo li travolse, una settimana al sole delle Hawaii era bastata a farli disabituare dal clima invernale di Chicago.
Assurdo, entrambi volevano solo trovarsi ancora in quel paradiso terrestre.
Ian pensò che, in fondo, non gli sarebbe dispiaciuto morire lì, anche se la sua famiglia la pensava sicuramente in maniera differente.
«Siamo venuti con due macchine.» annunciò Lip, che fece tirare un sospiro di sollievo ai due «Io, Mandy, Ian, Mickey e Fiona andiamo con la macchina dei Milkovich.» si era messo al centro di tutti e stava parlando come se fosse un insegnante che guidava i suoi alunni in gita scolastica, tutti lo guardavano abbastanza perplessi «Gli altri vanno con quella di Kevin, intesi?»
«Va bene, Biondino,» lo interruppe Mickey, ridendo con scherno «non siamo in una lezione di Università. Torniamocene al ghetto, ora.»
Mentre Lip e Mandy camminavano verso la macchina, seguiti da Mickey che, carico di valigie, li scrutava con uno sguardo assassino, Fiona s’avvicinò ad Ian e gli avvolse un braccio intorno alle spalle, sorridente.
«Come va?» gli domandò, stringendolo un po’ di più.
«Tutto okay, sono stato bene.»
«Sai perché Lip fa così?» rise Fiona, indicando il fratello con un cenno di capo «Vuole a tutti i costi stare in auto con Mandy, mi sa che si è innamorato.»
«Wow, due Milkovich fidanzati con due Gallagher … chissà cosa ne uscirà fuori!»
Fiona si fermò per abbracciarlo e stringerlo con tutto l’affetto del mondo: avrebbe protetto da tutto il suo fratellino, proprio come gli aveva salvato la vita quando erano bambini e Frank e Monica li avevano lasciati da soli in macchina.
Voleva solo potergliela salvare anche adesso …
«Mi sei mancato, pel di carota.» mormorò, accarezzandogli la nuca, dondolandosi in una sottospecie di balletto aggrappata a lui, che aveva ancora l’ossigeno attaccato. Perché la strada per arrivare al parcheggio era troppo lunga per lui e Mickey aveva minacciato di prenderlo in braccio se non si fosse collegato a quel trabiccolo.
Quando si staccarono notarono che gli altri erano già in auto: Mickey seduto al volante, il posto del passeggero libero per Ian e Lip e Mandy si erano stretti per far spazio a Fiona sui sedili posteriori. La ragazza poté intravedere le loro mani che si sfioravano timidamente e sorrise, perché Lip non ci aveva mai saputo fare con qualcosa di diverso dal sesso … Un po’ come lei, praticamente.
Nelle ore successive, dopo aver cenato tutti insieme stretti nel tavolo di casa Gallagher si ritrovarono a ridere davanti ad un filmato di Mickey, con addosso solo il costume a mutande che gli avevano regalato Mandy e Ian, una collana di fiori colorata e degli occhiali da sole che ballava energeticamente una canzone molto esotica. Ovviamente Ian mostrò il filmato a tutti quando Mickey aveva fatto una lunga pausa bagno. Questo, insieme a tante altre foto, tra cui una di loro due che si baciavano, con Ian che raccontava a tutti che aveva dovuto predicare tantissimo affinché si convincesse a farla.
Non appena scese, Kevin non riuscì a trattenere le risate e si voltò verso di lui, guardandolo con quell’espressione ingenua e burlona che solo lui riusciva a fare.
«Però, te la cavi bene nei movimenti, Milkovich junior!» rise «E devo anche ammettere che quel costumino ti sta davvero bene!»
Mickey impallidì, volgendo lo sguardo verso Ian, fissandolo praticamente in cagnesco, mentre il Rosso tentava di fargli la solita faccia da cucciolo a cui non riusciva mai a resistergli.
«Gli hai fatto vedere il cazzo di video?!» urlò contro di lui, sbattendo una mano sullo schienale del divano.
«Mick, ti prego …» tentò di giustificarsi, forse in fondo non pensava neanche che si arrabbiasse in quel modo. È che il Mickey di Honolulu gli sembrava così diverso, sotto certi punti di vista. Così cambiato.
Ma tutti sapevano che Mickey Milkovich avrebbe perso le staffe con chiunque in una situazione del genere ed Ian si sentì terribilmente stupido a non averlo pensato prima.
Perché ormai l’aveva capito, che Mickey aveva un maledetto timore del giudizio altrui.
«No, ti prego un cazzo, Ian! Ti avevo detto di non farlo vedere a nessuno!»
«Kev, porca troia …» commentò Veronica, coprendosi il volto con una mano per l’imbarazzo.
«Non pensavo che te la saresti presa, Mick. Era solo un video, era per scherzare.» Ian s’alzò, cercando di avvicinarsi a lui, che lo respinse in malo modo.
«Mi hai messo in ridicolo davanti a tutti, stronzo!» era arrabbiato. E anche tanto. Avrebbe solo voluto spaccare la faccia ad Ian, ridurlo in poltiglia «Vattene a ‘fanculo, pezzo di merda!» e se ne andò, sbattendo rumorosamente la porta, lasciando tutti imbambolati davanti quella scena.
Kevin era senza parole, il senso di colpa lo stava divorando dall’interno. Ian crollò seduto sul divano, il suo cuore iniziò a battere forte nel suo petto dolorante, l’aria ricominciò a mancargli, s’attaccò immediatamente all’ossigeno. Kevin gli mise una mano sulla spalla, Fiona s’apprestò ad avvicinarsi a lui preoccupata nel vederlo accovacciato su se stesso e con il fiato corto, il torace sembrava in fiamme e le lacrime premevano sui suoi occhi.
Sentiva tutto ovattato, i suoi fratelli gli dicevano qualcosa, Kevin cercava di scusarsi in qualche modo e lo stesso faceva Mandy, a nome del fratello.
La gola gli bruciava, le mani tremavano visibilmente e la sua testa era così confusa che non riusciva neanche a capire chi fosse davanti a lui.
Riuscì a comprendere solo un:«Lo porto di sopra per farlo tranquillizzare.» di Lip prima di essere preso di peso e trascinato per le scale.
Non aveva la forza di controbattere, ogni muscolo sembrava privo di energia, ci vedeva doppio e il suo volto scottato dal sole era terribilmente pallido. Cosa aveva combinato? Non avrebbe mai dovuto mostrare quel video agli altri.
Ma Mickey gli sembrava cambiato e la situazione lo divertiva così tanto …
E la vita faceva terribilmente schifo.
E Mickey se n’era andato.



«MICKEY!» un urlo destò il ragazzo steso su una panchina del campo da baseball, la voce di Fiona Gallagher era carica di rabbia e odio. Quasi irriconoscibile.
«Che cazzo …» Mickey era ancora mezzo stordito, era mattina e lui era riuscito ad addormentarsi solo una o due ore prima, all’alba. Il pensiero di Ian era troppo forte.
Passò la notte a chiedersi cosa diamine gli fosse preso, del motivo per cui aveva avuto quella reazione di merda, del perché aveva dovuto rovinare tutto, cretino per com’era.
Prima di pensare a qualcos’altro di concreto, però, un dolorosissimo gancio destro lo colpì sullo zigomo, cosa che sicuramente lo fece svegliare del tutto.
«Okay, okay, me lo sono meritato.» borbottò, incrociando lo sguardo truce di Fiona e solo a quel punto s’accorse che vi erano anche Liam, Debbie e Carl, questi ultimi due lasciavano trapelare sul loro volto un’incredibile voglia omicida.
Non ebbe neanche il tempo di replicare che Fiona gli lanciò un altro pugno sull’altro lato del viso e Carl pensò bene di prendere a calci le sue parti basse.
«Ehi, ragazzino, quelli mi servono!» urlò, aggiustandosi il cappotto e tastandosi gli zigomi tumefatti e doloranti.
Probabilmente i Gallagher erano venuti a comunicargli che non volevano vederlo mai più, di non farsi vivo, magari era stato Ian stesso a dir loro di mandargli quel bel messaggio.
Tanto aveva già perso tutto.
«Ian ha detto a Lip che probabilmente ti avremmo trovato qui … Maledetto stronzo!» gli urlò addosso Fiona – la stessa Fiona che fino a tre settimane prima piangeva sulla sua spalla? – tirandogli anche uno schifosissimo sputo «Si è sentito male! Si è sentito male a causa tua!»
«Che cazzo stai dicendo?» Mickey diventò una maschera di terrore, la sua voce scemò e sentì la fottuta ansia percorrergli tutto il corpo come se si stesse cibando di lui.
«Ha passato tutta la cazzo di notte a provare a chiamarti e a mandarti messaggi. E non c’è stata una cazzo di volta in cui hai risposto! E questo perché? Perché devi fare lo stronzo orgoglioso per uno stupido filmato!» Fiona urlava ancora, con le lacrime agli occhi e il volto rosso e Mickey s’allontanò, vedendola pronta a tirargli un altro pugno.
E si sentiva in colpa, perché lui quei messaggi li aveva letti, tutti quei “Perdonami”, tutti quei “Ho bisogno di te”, quei “Ti prego, Mick”, in cui gli sembrava di poter sentire la sua voce in quel campo isolato.
«Dov’è adesso?» sussurrò a malapena, voltando le spalle alla maggiore dei Gallagher perché – porca puttana – stava per piangere.
«In ospedale.» Fiona esitò, asciugandosi le lacrime sulle guance e prendendo la mano del piccolo Liam «In condizioni critiche, anche se l’hanno stabilizzato.» la sua voce tremava. Fiona Gallagher era un uragano di terrore, con il cappello storto sui capelli scompigliati e l’aria di chi è stato messo sotto da un tir.
In condizioni critiche.
«E quel cretino anche mentre lo stavamo portando in ospedale si chiedeva dove fossi.»
«Chi c’è adesso con lui?»
«Lip e tua sorella Mandy.» gli rispose secca, voltandogli le spalle «Se ti degnassi di seguirmi in ospedale forse potrebbe stare meglio, a patto che Lip non ti spacchi la faccia prima.»
Il Biondino gli avrebbe spaccato la faccia? Be’, era sicuramente un rischio che per Ian avrebbe corso senza problemi.
Cazzo, era il suo Ian.
«C-Certo che vengo.» balbettò, cercando di reprimere le lacrime e di scaldarsi, strofinando le mani tra di loro.
«E allora muovi quel cazzo di culo passivo, accompagniamo Debbie, Carl e Liam da Sheila Jackson e andiamo da lui.»
«Frank vive ancora lì?»
«Sì, ma sai …» si girò verso di lui, minacciosa «anche un padre di merda come lui si è degnato di aiutarci e invece tu non hai fatto altro che peggiorare la situazione. E tutto per un cazzo di video e per un commento di Kevin?! Ma per favore …»
«Okay, lo so, sono stato un coglione. Posso rimediare?»
Fiona scattò, prendendolo dal collo del maglione e avvicinando pericolosamente il suo ghigno omicida verso il volto di Mickey.
«Ian sta morendo, brutta testa di cazzo. Non si sa neanche se farai in tempo a rimediare!»
E la Gallagher lo mollò lì, portandosi dietro i suoi fratelli e prendendo in braccio il più piccolino: «Andiamo.» disse «Se questo coglione ci tiene davvero ci va da solo in ospedale.»
Ian sta morendo.
Fu l’unica cosa che riuscì a metabolizzare, prima che le lacrime scorressero libere sul suo volto abbronzato e che iniziasse a correre il più velocemente possibile verso l’ospedale.


“Stanza 162” gli aveva detto la receptionist.
Ed era davanti alla porta della 162, con il fiatone ed il fianco destro dolorante, ma no, non gli importava del dolore, non gli importava del fiato corto: voleva solo vedere Ian, voleva solo potergli chiedere scusa, o forse picchiarlo al tempo stesso, per avergli fatto quasi venire un attacco di cuore.
All’improvviso, di quel video non gliene fotteva più nulla.
Entrò all’improvviso nella camera e subito gli occhi di Lip e Mandy si posarono su di lui, non gliene importò, non gli interessavano, erano come inesistenti nella sua mente in quel momento. Voleva solo vedere Ian. Il suo Ian.
E lo vide, non riuscendo a credere come quell’essere ricoperto di flebo e tubi che gli uscivano da ogni parte del corpo potesse essere lui. Era collegato a un’infinità di macchinari di cui lui non conosceva neanche la funzione e il terrore lo pervase nuovamente, tanto da schiacciare la schiena contro il muro, cercando di allontanarsi da quell’immagine: non aveva mai visto Ian in quelle condizioni.
«Cazzo …» mormorò, cercando la maniglia della porta con le mani per uscire. «Cazzo …» e uscì seriamente, strisciando fuori dalla camera e rannicchiandosi a terra come un riccio ferito.
Si teneva la testa sulle ginocchia, coprendosi le orecchie con le mani.
Quello non poteva essere Ian, ma i capelli rossi erano i suoi, quel corpo perfetto e lentigginoso era il suo … e allora perché gli sembrava un alieno?
All’improvviso qualcuno lo sollevò dal collo del maglione – e non se ne era neanche accorto! – Lip lo guardava con gli occhi iniettati di odio puro «Prova a rifare una cazzata del genere e ti strappo le palle.»
Annuì debolmente, scosso, prima di ricevere un altro calcio nello stomaco. Non riuscì neanche a rispondere.
Era già tornato a rannicchiarsi quando sua sorella gli venne a lato, avvolgendo un braccio intorno alla sua spalla e tirandolo verso di lei.
«Devi andare là dentro, Mickey. Ha bisogno di te come non mai.»
«Ma lo hai visto com’è?» farfugliò, confuso e spaventato «L’hanno legato a tantissime macchine e tutti quei tubi e quella cazzo di macchina che fa bip-bip!»
«Non riusciva a respirare e l’hanno dovuto intubare. Gli è anche salita la febbre, Fiona era preoccupatissima.» Mandy gli si accovacciò di fronte e posò le mani sulle sue ginocchia, guardandolo con sicurezza e Mickey non poté fare a meno di notare le occhiaie violacee. Per la prima volta era lei a doverlo prendere sotto la sua ala, a dovergli infondere coraggio. «Non aver paura, Mickey.»
«Io non ho paura.» scosse la testa, con decisione, guardando con una strana fierezza la sorella negli occhi. Ma non era vero: lui era un pisciasotto e stava per farsela addosso.
«E allora va’ in quella stanza e resta con lui, ha chiesto di te fino all’ultimo secondo.»
«Non ce la faccio a vederlo così, cazzo.» si strofinò gli occhi con due dita e tirò su con il naso «Non per colpa mia.»
«È migliorato un po’ rispetto a ieri notte. I medici vogliono risvegliarlo pomeriggio.» gli comunicò, tenendogli stretta una mano, mentre Lip faceva ritorno con un caffè in mano. Mickey abbassò gli occhi, temendo che se solo si fosse azzardato a guardarlo gli avrebbe davvero staccato le palle. «Vai, Mickey, ti prego. Sei la sua unica speranza.»
Mandy s’alzò, andando a sedersi al fianco di Lip, poggiandosi alla sua spalla e prendendogli la mano. Erano diventati piuttosto affiatati, quei due.
Lip aveva la testa poggiata alla finestra, guardava fuori con aria distrutta, mentre la giovane Milkovich seppelliva il volto nel giubbotto del Biondino, forse tentando di rilassarsi e dormire un po’, mentre lui le mormorava qualcosa.
Mickey sapeva che se non fosse corso in quella stanza e non avesse affrontato quella sua paura del cazzo, non avrebbe vissuto mai più un momento del genere con Ian e la prossima volta che l’avrebbe visto sarebbe stato in una cassa di legno.
S’alzò lentamente e varcò quella fottuta porta, senza versare alcuna lacrima, con passo sicuro, ma che al tempo stesso lasciava trapelare una certa paura, agitazione.
«Gallagher, cazzo.» sussurrò, sedendosi accanto al suo capezzale e prendendogli con delicatezza la mano, da cui uscivano delle strane flebo, che stava ben attento a non spostare. «Sono un coglione, okay? Lo sai già, ma ci stavamo divertendo e quel video mi ha fatto andare su tutte le furie.» ovviamente Mickey non ricevette risposta, l’unico rumore nella stanza era quello dell’aggeggio che gli monitorava i battiti cardiaci e Mickey detestava quel suono, voleva solo sentire la voce di Ian, voleva immaginare che non avesse un tubo nella gola. La sola idea gli faceva venire i brividi.
Si scostò per guardare il suo volto, gli zigomi erano rossi, ancora scottati dal sole delle Hawaii, la fronte scottava un po’, tentava di carezzare i suoi capelli in mezzo a tutti quegli aggeggi che aveva intorno, sapeva che era l’unica cosa che gli avrebbe potuto dare una misera consolazione.
Ci riusciva a malapena, piegato su di lui, cercando il suo calore, la mano sinistra a scompigliare i suoi capelli, la destra intrecciata con le sue dita.
Eppure trattenne le lacrime, resistendo al dolore che gli stava divorando anche la più piccola parte del corpo.

E fugace arrivò il pomeriggio e già tutti quei macchinari non circondavano più il corpo di Ian, dovevano solo aspettare che si svegliasse: Mickey seduto con i gomiti poggiati sul bordo del letto e le mani giunte, che stringevano una delle mani di Ian ed il volto tumefatto ad esse appoggiato. Fiona stava dall’altro lato del letto, seduta nell’angolo a tracciare invisibili sentieri sul suo volto e Mandy si era addormentata sulla spalla di Lip, seduto accanto alla sorella.
«IAN!» il semiurlo di Fiona fece sobbalzare Mickey dalla sedia, che immediatamente si voltò verso Ian, che stava sbattendo un paio di volte le palpebre per mettere a fuoco.
Sembrava uno zombie appena uscito da una tomba, ma comunque pareva che stesse meglio. Un flebile sorriso si formò sul suo volto quando vide il viso della sorella.
«Fi …» sussurrò, mentre lei posava un bacio sulla sua fronte e delle carezze sui capelli, diverse da quelle di Mickey, più … materne.
«Ci hai fatto prendere un grosso spavento, Ian.» lo rimproverò, mentre lui a fatica spostava un braccio per salutare Lip con un pugno, che finalmente aveva un volto più rilassato.
Si voltò verso Mickey, che era stato in silenzio, lottando ogni millesimo di secondo per non scoppiare a piangere davanti ai Gallagher, perché finalmente si era svegliato, finalmente quelle macchine non c’erano più, finalmente aveva visto i suoi occhi verdi, aveva sentito la sua voce stanca, bellissima.
«Ehi, Mick.» farfugliò, mentre lui gli si avvicinava, mordendosi il labbro perché già una lacrima era scesa sulla sua guancia e non poteva permettersene altre.
Non sembrava arrabbiato, anzi, non era neanche sorpreso di trovarlo lì.
«’Fanculo, Gallagher.» gli rispose con la voce che tremava, mollando la sua mano per accarezzargli la guancia e posare un bacio in mezzo ai suoi occhi.
«’Fanculo a te.» era sarcastico, e sorrideva. E quel sorriso era oro. «Che cosa hai combinato alla faccia?» gli domandò, allungando una mano verso il suo viso, sugli evidenti lividi lasciatigli da Fiona.
«Chiedilo ai tuoi fratelli.»
Ian guardò Fiona, che sorrise facendo spallucce, mentre lui le tirava uno sguardo tra il divertito e il preoccupato.
«Se lo era meritato.» concluse la sorella.
«Sì, un po’ sì.» l’appoggiò, mentre guardava Mickey sorridendo, facendolo scoppiare in una piccola risata, che non riuscì a trattenere.
Il loro chiacchiericcio fece svegliare Mandy, che s’alzò per baciare la guancia di Ian, che le sorrideva rassicurante.
«Va bene,» disse Fiona, alzandosi e strofinandosi le mani sui pantaloni, nervosa «io vado ad avvisare i medici.»
«Vengo con te.» Lip la seguì a ruota, lasciando Ian con Mickey e Mandy.
Carl aveva ragione: cocco dei Milkovich.


Da lì in poi il tempo passò in fretta, Ian fu dimesso e i giorni scorrevano veloci, anche Mandy si era ormai, più o meno, trasferita a casa Gallagher e Fiona non protestò, anzi, aveva trovato in lei una sottospecie di punto di appoggio; a Debbie faceva piacere, era un po’ come la sua confidente e consigliera; Lip ne era ancora più felice, visto che lei si rintanava nel suo letto a fare sesso selvaggio.
«Pregate ogni divinità esistente che non vi veda.» aveva borbottato Mickey.
Frank andava e veniva, chiedeva di Ian, si scolava un paio di birre e poi se ne tornava a casa di Sheila Jackson. Non che agli altri importasse.
Kevin e Veronica erano sempre a cena da loro, con Amy e Gemma e quando Svetlana andava al “Centro Massaggi” c’era con loro anche Yevgeny.
Una sera, in cui erano tutti seduti a tavola a mangiare, Ian, stanco, con il volto pallido e collegato alla bombola d’ossigeno pensò che amava quel calore così familiare. Amava al mano di Mickey costantemente stretta nella sua, le nottate passate con Lip a chiacchierare sul divano, con la TV accesa e cibo spazzatura, i buffetti affettuosi di Mandy, il casino che facevano Carl, Debbie e Liam e anche le preoccupazioni di Fiona.
Pensò che non poteva chiedere altro, che, anche se un po’ strana e complicata, la sua famiglia era meravigliosa.
L’unico a risentirne di quella situazione era Carl, che aveva trasferito il suo letto nel sottoscala, stanco di condividere la camera con due coppiette sdolcinate che scopavano sotto le coperte praticamente ogni notte.
Era il sedici di marzo, ormai, ancora un po’ di giorni e l’inverno sarebbe finito, in teoria.
Le neve si stava già sciogliendo, ma il freddo restava secco e pungente, penetrante fin dentro le ossa.
Mickey Milkovich sapeva che da quell’inverno in poi il freddo non l’avrebbe abbandonato mai più.
«Potrebbe arrivare al massimo alla primavera.»
Ed ora il tempo stava scadendo.

Ian era peggiorato nel giro di qualche settimana, nonostante il riscaldamento al massimo aveva sempre freddo, tremava in continuazione e i mal di testa si facevano sempre più forti, senza contare i dolori in quasi tutto il corpo, quelli al petto, la stanchezza e la terribile tosse. Aveva quasi smesso di mangiare, toccava due o tre bocconi ed era già sazio, era andato giù di diciassette kili e il suo corpo scolpito si era trasformato in pelle e ossa, superava appena i cinquanta kili e Mickey aveva paura persino di abbracciarlo, temeva quasi di romperlo per quanto era fragile, poteva sentire le sue ossa sporgenti sotto le dita. Era gravemente sottopeso.
Ci provava a farlo mangiare di più, ma prontamente si trovava piegato sul cesso a vomitare, con lui a tenergli la testa … e andava a finire che anche quel poco che aveva mangiato veniva rigettato.
Era stato in ospedale un altro paio di volte, gli avevano fatto un mucchio di procedure, lo avevano imbottito di antidolorifici, ma tutti sapevano che la sua situazione non poteva fare altro che peggiorare.
Mickey era seduto sul dondolo che stava fin da sempre nel cortile di casa Gallagher, quello tanto vecchio quanto indistruttibile, era avvolto in una pesantissima coperta ed Ian era steso sulle sue cosce, con la testa poggiata sul suo ventre, collegato all’ossigeno, anche lui stretto in numerose coperte e con i capelli rossi scompigliati delle troppe carezze. E vi erano anche le guance scavate, la carnagione più pallida del solito, gli occhi lucidi, consumati dalla malattia, pur sempre meravigliosi.
Eppure Mickey, anche in quella tenuta, lo trovava terribilmente bellissimo.
Bellissimo quanto straziante.
A tenere su il Moro non era altro che l’incredibile forza di Ian, che anche in mezzo a quell’inferno, con il fiato corto e la morte vicina trovava il coraggio di sorridere.
Ora il Rosso stava in silenzio, immobile e cullato dalle braccia di Mickey, di cui ormai non restava altro che il fantasma spaventato di un bambino.
«A cosa pensi?» gli domandò, facendogli l’ennesima carezza tra i capelli rossi (proprio non ne voleva sapere, di lasciarli in pace), un po’ impacciato, mentre mostrava al ragazzo l’espressione più dolce del suo viso.
«Momenti felici.» rispose semplicemente, sorridendo con innocenza «Momenti felici di quando ero piccolo, più che altro.»
Oh, momenti felici … per il bambino che era stato Mickey Milkovich erano una vera e propria rarità.
E forse proprio per questo voleva farsi raccontare qualcosa da Ian, sentire qualche storia, godere di ogni sua felicità, di ogni suo sorriso.
Avrebbe fatto di tutto per vederlo felice.
«Tipo?» gli domandò, trattenendosi dal fare qualche battuta stupida che gli era passata per la mente o, peggio, scoppiare a piangere.
«Ricordo solo alcuni dettagli, a dire il vero, tipo … Una volta avevo sette anni e stavamo festeggiando il Ringraziamento – l’unico, che abbiamo mai festeggiato veramente tutti insieme. Frank era brillo e Monica che al tempo si era convita a prendere le sue medicine aveva cucinato un tacchino bruciacchiato.» deglutì, iniziando a carezzare il polso di Mickey per qualche assurda ragione «Io giocavo con Lip, con Fiona che ci teneva a bada; Debbie e Carl erano piccolissimi e continuavano ad azzuffarsi, Liam non era ancora nato. Quelli erano dei rari momenti in cui ci scordavamo che i nostri genitori non erano altro che alcolisti e drogati, o forse non ce ne rendevamo conto, ma … non so come mi è venuto in mente, so solo che è uno dei ricordi più belli della mia vita.»
Mickey annuì, ingoiando la saliva come se stesse inghiottendo il boccone più amaro della sua miserabile vita.
Era effettivamente così.
«Poi ovviamente ci sono anche quelli con te.» continuò, guardandolo intensamente negli occhi e sorridendo.
«Ah sì?» la sua voce era incrinata, come se stesse per spezzarsi da un momento all’altro.
«Come le sere passate a fumare erba, bere e scopare selvaggiamente nel campetto da baseball.»
«Oh, piccolo Palle di fuoco …» sorrise Mickey tristemente, scostandogli una ciocca di capelli dalla fronte.
«O quando finalmente il mio grande culetto passivo non ha avuto più paura di baciarmi. E quando mi hai impedito di arruolarmi nell’esercito. E la tua trasformazione da stronzo finto etero ad agnellino da pascolo.»
«Oh, ’fanculo, Gallagher.» lo strinse un po’ di più a sé, perché percorrere tutti quei ricordi faceva un male cane.
«E quando sei diventato forte e hai confessato di amarmi per primo perché io ero troppo codardo per farlo. E le notti passati sotto le coperte, nudi e abbracciati. O quando provavamo ad essere genitori decenti, badando a Yevgeny quando Svetlana era via. E tu che ti lamentavi di Yev e poi gli davi un bacio sulla guancia quando pensavi che non ti vedessi.»
Si dice che prima che muori ti passa tutta la vita davanti agli occhi.
Mickey non ne poteva più, non ce la faceva a rivivere tutti quei ricordi quando aveva la dannata consapevolezza che non ne avrebbe più costruiti. Non di così felici. Non con Ian Gallagher.
«Basta.» sussurrò, poggiando il volto sui suoi capelli e stringendolo ancora più forte «Ti prego, basta.»
Ed Ian annuì, rilassandosi tra le sue braccia e cercando di trovare un po’ di pace … perché non riusciva a respirare bene neanche legato a quell’aggeggio e il petto di faceva incredibilmente male. Ed anche la testa. Il suo fragile corpo era intorpidito dal freddo.
Negli ultimi tempi era capitato che in certi momenti non riuscisse neanche a camminare e doveva farsi trasportare in braccio da Mickey o da Lip. Per lo più dall’ultimo, perché Mickey aveva una stazza troppo piccola per reggerlo bene e si sentiva in colpa.
Ian odiava essere un pacco postale, ma lì capì che la fine era più vicina di quanto credeva.
«Sta finendo, Mick.» sussurrò semplicemente, con un’innata tranquillità.
Certo, avrebbe voluto vivere di più, fare altre mille cose, ma alla fine gli andava bene così.
Non sapeva cosa altro avrebbe potuto fare, al South Side. Al momento gli importava solo di avere Mickey e la sua famiglia al suo fianco, niente contava di più.
Non aveva paura della morte, non ne aveva mai avuta, solo … solo che morire a diciotto anni era fottutamente ingiusto.
«Cazzo, com’è che è arrivata così in fretta?» le lacrime premevano per uscire dagli occhi, un grosso groppo si era formato nella sua gola, la sofferenza aveva iniziato a divorarlo nuovamente.
«Non lo so, forse l’abbiamo sottovalutata, ignorata …» scosse la testa, anch’egli sull’orlo del pianto e, a dir la verità, qualche lacrima di paura gli era già scesa, ma lui non se ne era accorto e neanche Mickey.
«Pensavamo di essere più grandi di lei.» concluse il ragazzo, crogiolandosi nella magra consolazione di avere ancora un paio di giorni da trascorrere con Ian Gallagher.
Ian Gallagher, l’uomo con cui avrebbe voluto trascorrere la vita intera.
All’improvviso Mickey sentì una mano gelida posarsi sulla sua guancia glabra e istintivamente calò lo sguardo su Ian che stava facendo una fatica immane nel tentativo di sporgersi verso di lui e baciarlo, allora Mickey lo issò meglio sulle sue braccia e lo fece avvicinare al suo volto per congiungere le loro bocche, affamate dell’amore dell’altro. Istintivamente le mani di Mickey si posarono nei capelli di Ian, continuando a disordinarli con le sue mille carezze, con i suoi maldestri tentativi di non far crollare il suo ciuffo sulla fronte. Nel frattempo la mano destra del Rosso era ancora posata sulla guancia del fidanzato e continuava ad accarezzarla come se tutto l’amore del mondo si potesse convergere in quel gesto. Era l’unico movimento che aveva la forza di fare, a parte – ovviamente – baciarlo con tutta la passione che aveva nel suo corpo debole.
Stava incanalando tutta l’energia che aveva in quel bacio.
Sperava solo di non sentire le lacrime di Mickey scendere e bagnargli il volto, come accadeva ogni notte, quando l’uno stretto tra le braccia dell’altro cercavano un minimo conforto a tutto quel dolore. E non vi era modo di fermare Mickey, che piangeva tutta la notte fino ad addormentarsi alle prime luci dell’alba.
Ma il suo ragazzo pianse lo stesso, silenziosamente e solo dopo s’accorse di star piangendo anche lui.
Ma per adesso l’unica cosa che potevano fare era continuare ad assaporarsi le labbra, sentire il calore dei loro corpi, delle loro braccia che non smettevano mai di stringersi, nella disperazione e nell’amore che vi era in ogni loro gesto.
Il loro bacio appassionato e salato dalle lacrime di entrambi sembrava non finire più, si baciavano sempre come se fosse l’ultima volta, ma quella volta …
Le mani di Mickey vagavano tra le guance rosse e screpolate di Ian e i suoi capelli che non avevano più una forma.
Non voleva smettere di baciarlo, Mickey. Non voleva perché sapeva che se l’avesse fatto e avrebbe rivisto i suoi occhi verdi le lacrime silenziose sulle sue guance si sarebbero trasformate in un pianto sonoro. Cosa sicuramente non da tipi duri come i Milkovich. Ma lui ormai era diventato una checca.
Nel frattempo si godeva l’infinito amore di quella mano fredda e debole che gli accarezzava la guancia e di quelle calde labbra che baciavano le sue, quelle labbra che sembravano dargli un soffio di vita e ucciderlo al tempo stesso.
Quando Mickey s’accorse che entrambi erano rimasti senza un briciolo di fiato si staccò da Ian, provando in ogni modo a non incrociare i suoi occhi, in compenso strinse la mano che il Rosso teneva ancora posata sulla sua guancia gremita di lacrime.
«Ti amo, Mick.» aveva debolmente sussurrato sulle sue labbra, per poi tornare a poggiarsi tra il suo collo e la sua spalla, tentando di respirare meglio e raggomitolandosi nelle coperte assieme al fidanzato per il troppo freddo.
E Mickey non lo voleva neanche immaginare quel freddo senza Ian.
E forse – troppo preso da strani pensieri – passò anche qualche minuto prima che s’accorgesse che il debole respiro di Ian non si infrangeva più sul suo collo, prima che notasse con orrore che il suo petto non compiva più alcun movimento.
Entrò in un panico che non era proprio panico, era più qualcos’altro, qualcosa di più abissale che non riusciva neanche a definire.
Un vuoto.
«Ian?» era un sussurro roco che era uscito dalle sue labbra mentre gli scuoteva la spalla. Nel farlo mollò la mano che Ian teneva sulla sua guancia e s’accorse che il braccio era crollato come quello di una bambola di pezza.
«IAN!» cercava di urlare, le lacrime avevano ripreso a scendere, i singhiozzi avevano iniziato a prendere il sopravvento «Ian, ti prego, cazzo!» lo scuoteva con violenza, piangeva, lo stringeva a sé come se fosse un bambino in fasce «Ian, se non ti svegli ti stacco quella fottuta testa rossa che ti ritrovi.» ma lacrime e singhiozzi lo tradivano, facendo sembrare la sua minaccia una supplica. E lo era. «Ian, non puoi essertene andato via così, cazzo … mi avevi detto che non saresti mai andato da nessuna parte.» Mickey aveva poggiato la sua fronte a quella di Ian, così le lacrime del Moro cadevano sul volto del fidanzato.
Con le mani che tremavano terribilmente gli accarezzò prima il viso, poi i capelli e il collo, posò un bacio umido sulla sua fronte.
«Pensavamo di essere più grandi, Ian.»
Lo sussurrò sulle sue labbra, prima di posarvi sopra le sue.
Fu l’ultimo ricordo di quel tragico giorno, perché venne investito dalla folla dei Gallagher che avevano sentito i suoi lamenti e si erano precipitati in cortile.
Forse ricordava qualche frammento, come Fiona che crollava a terra e Lip che piangeva stringendo la mano di Ian. E il tocco caldo di sua sorella Mandy, che gli aveva circondato il collo con un braccio e piangeva sui suoi capelli scuri.
Così il mondo gli crollò addosso in un freddo pomeriggio di marzo.
Ian Gallagher se ne andò con la pace negli occhi e le urla di Mickey Milkovich che lo circondavano, gridando disperatamente il suo nome.
Correva il sedici di marzo … ed Ian Gallagher si congedava dalla vita a solo diciotto anni.
 
 
FINE CAPITOLO VI

 



Note d’Autrice:
Ci sarebbero tantissime cose da dire su questo capitolo, così tante che giuro che non ho la minima idea da dove partire.
Innanzitutto è stato scritto la notte tra il quattro e il cinque dicembre, proprio nel momento in cui andava in onda la 7x10, così, mentre scrivevo io stavo guardando in diretta le nuove e bellissime scene Gallavich che quella puntata ci ha regalato e ridendo per i tweet di Noel Fisher e Cameron Monaghan.
E sì, nel frattempo, scrivevo questo capitolo letteralmente straziante, mentre in TV su ogni canale musicale passava “Potremmo Ritornare” di Tiziano Ferro, che è stata praticamente la colonna sonora di questo capitolo e dei Gallavich in generale, principalmente dopo la 7x11.
Perché loro ritornano.
Sempre.
Ricordo anche che quella notte avevo la febbre e stavo malissimo, ma resistevo per scrivere questo capitolo … perché si sa, l’ispirazione arriva sempre nei momenti meno opportuni.
E poi, be’ … non volevo perdermi il grande ritorno del King Mikhailo Aleksandr Milkovich.
Dopo questa “piccola” premessa che probabilmente neanche vi interesserà, passiamo al capitolo.
Okay … ammetto che in questo capitolo ci sono cose che non avevo previsto mentre strutturavo la storia, come la lite tra Ian e Mickey per il video, che è stata totalmente improvvisata durante la stesura e giuro che non avevo la più pallida idea di cosa stessi scrivendo, semplicemente ad un certo punto mi allettava poter creare un’altra scena drammatica (come se il capitolo in sé non lo fosse abbastanza) e qualche momento Hurt/Comfort tra i Gallavich.
Vorrei concentrarmi su Mickey, sul fatto che è seriamente terrorizzato da ciò che la gente possa pensare di lui, motivo per cui si è arrabbiato con Ian dopo il filmato e ha perso le staffe.
Semplicemente, non vuole farsi conoscere per quel che è, timoroso che la gente possa giudicarlo in maniera poco gradita, specialmente al South Side.
Sono consapevole anche del fatto che in questo capitolo l’OOC sia grande a dismisura, giuro che ho cercato di rendere le situazioni più realistiche possibile, ma non sono riuscita ad immaginarle in maniera diversa.
Inoltre, mi scuso per le probabili vicende mediche poco accurate, ho fatto moltissime ricerche, ma non sono riuscita a scovare qualcosa di preciso, così mi sono dovuta … diciamo “arrangiare”.
Questo è probabilmente una delle Note d’Autrice più lunghe che abbia mai scritto, ma ci tengo a precisare moltissime cose a voi lettori, visto che io – mentre scrivevo – mi sono innamorata di questa storia e spero di trasmettere queste emozioni anche a voi.
Probabilmente, dopo aver letto la fine, starete bestemmiando davanti allo schermo del computer/cellulare, ma credo che far vivere Ian per qualche strano miracolo sarebbe stato abbastanza irrealistico e, se fosse vissuto, questa storia non avrebbe avuto motivo di esistere.
Ci sono delle vicende particolari sotto, che verranno spiegate nel prossimo (e ultimo!) capitolo, in cui rivelerò parecchi motivi delle mie scelte.
Ian che muore tra le braccia di Mickey mi ha spezzato il cuore, ero così impersonata in loro mentre scrivevo, che quasi potevo sentire le urla di Mickey. Ho immaginato tutta la storia nella mia testa come se fosse un film.
Adoro le ultime parole che il nostro Milkovich gli dice, quel “Pensavamo di essere più grandi”, spero che abbiate capito che si riferiva alla Morte.
Nonostante avevano deciso di provare a vivere una vita più normale possibile, la Morte è arrivata a prendere Ian e a trascinarlo lontano dalle persone che amava.
Avrei davvero, davvero, voluto inserire molte più scene tra i fratelli Gallagher, ma essendo una Gallavich dovevo concentrarmi per lo più su Ian e Mickey.
 Okay, adesso credo proprio che dovrei dileguarmi, visto anche questa volta sono stata anche troppo prolissa!
I versi che ho associato a questa canzone sono di “7 Years” di Lukas Graham, che riprendono il racconto di Ian su quando era piccolo.
Non mi resta che salutarvi e ringraziare come sempre Hil 89, Willkick e Lex_in_Wonderlend che hanno recensito la storia, dashuria, Katie_P, kenyz, pensavoate e (ancora una volta) Hil 89 e Lex_in_Wonderlend che l’hanno inserita nelle preferite, bananacambogianachiquita e valelmekawy che l’hanno inserita nelle ricordate e Enzo98, ophelia15362, GwenJ,  e (ancora una volta) Willkick e valelmekawy che l’hanno inserita nelle seguite.
A martedì prossimo con il settimo ed ultimo capitolo/Epilogo!
Vi ringrazio ancora tantissimo!
Merasavia Anderson.


 
   
 
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