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Autore: Arpiria    03/02/2017    2 recensioni
- Resta...-
Bofonchiò, la guancia sinistra ancora premuta contro il cuscino e la mano appena sollevata dalle coperte, quasi a voler accarezzare il corpo nudo di donna seduto dritto sulla sponda del letto più vicina alla finestra.
- Perché dovrei? Non fai che tenermi nascosta. Certe volte ho l'impressione che tu ti vergogni di me.-
Aveva ragione, ma non per i motivi che inumidivano i suoi occhi.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cho Chang, Dudley Dursley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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L'ora in cui tutti dormono

 
Non t’accorgi, Diavolo, che sei, che tu sei bella come un angelo? 
{Giacomo Leopardi; Zibaldone}




Non aveva mai avuto occasione di assaggiare il gusto del proibito. 
Anni di vita legati alla più ostentata normalità spazzati via da un bacio che di normale non aveva nulla.
 Apprese lo straordinario aggrappato alle mani d'una strega, immerso in quel profumo che lo drogava poco a poco, e quella droga chissà se lo avrebbe guarito o lo avrebbe ammazzato, e chissà che non avrebbe fatto entrambe le cose.
Lei era tutto ciò che non si sarebbe mai augurato: una strega, una straniera, una diversa. Eppure aveva le labbra dolci come le crostate fatte in casa da sua madre,  e un sorriso che soggiogava la sua anima e la rendeva incapace di aggrapparsi alla razionalità che l'aveva cresciuto e che non era più capace di salvarlo.
- Dovrei andarmene?-
L'aurora era appena sbocciata fuori dalla finestra della camera di Dudley Dursley. I suoi genitori si trovavano proprio nella stanza accanto, immersi in un sonno che nessuna assillante sveglia avrebbe disturbato prima delle otto e quarantacinque minuti. Il sole distendeva i suoi rosei petali sopra i tetti delle villette a schiera tutte uguali, avvolte nella silenziosa esplosione dell'alba che ogni mattina inondava di luce le finestre oscurate e i mattoncini delle mura severamente schierati. La voce di Cho era seccata, come un cazzotto sullo stomaco infuocato del sole neonato e in quello ancora scombussolato di Dudley.
- Resta...-
Bofonchiò, la guancia sinistra ancora premuta contro il cuscino e la mano appena sollevata dalle coperte, quasi a voler accarezzare il corpo nudo di donna seduto dritto sulla sponda del letto più vicina alla finestra. 
- Perché dovrei? Non fai che tenermi nascosta. Certe volte ho l'impressione che tu ti vergogni di me.-
Aveva ragione, ma non per i motivi che inumidivano i suoi occhi. Nonostante fossero nascosti alla sua vista, Dudley riusciva a sentire il cuore rimbalzargli in petto nel tentativo di non morire annegato dalle lacrime di lei. Era la sua voce spezzata a tradirla, e chissà, forse anche i ricordi dai quali non riusciva a staccarsi. Ricordi di un amore che aveva perduto anni prima, ricordi di suo cugino che lo facevano bruciare di gelosia ed erano fiammiferi roventi nei boschi oscuri delle loro liti. Non era disposto a condividere nulla, Dudley. Non avrebbe condiviso lei.
Avvertì il suo peso lieve sollevarsi dal letto senza concedergli neanche un ultimo abbraccio. Erano di nuovo due estranei intrappolati nella stessa stanza, ognuno con la propria vita e i propri problemi che non avevano motivo di essere condivisi con l'altro. D'altra parte, Cho Chang era la ragazza che i suoi genitori non avrebbero voluto che si fermasse ad osservare neanche alla fermata dell'autobus: occhi a mandorla, tratti quanto mai distanti da quelli della fanciulla britannica che si erano sempre augurati per il loro unico, adorato figlio. Tutto questo senza mettere in conto la natura strampalata di Cho, il suo essere diversa proprio come erano diversi sua zia e suo cugino Harry. Quel tipo di diversità di cui in casa loro era proibito far menzione, un po' come non è concesso parlare di bombe quando si è a bordo di un aereo.
- Ho solo bisogno di tempo. Tempo per dirlo a mamma e papà. Si dovranno abituare all'idea, sai. E anche io...beh, sai com'è.-
Era consapevole che Cho non sapesse affatto com'era. Del resto, non lo sapeva nemmeno lui.
Si limitò a guardare con espressione arrendevole la donna che era stata per breve tempo di suo cugino, e sua molto più a lungo, mentre si rivestiva in fretta. Adorava il suo modo di sbattere la maglia contro l'aria un paio di volte perché avesse meno pieghe possibile quando la indossava, e aveva un debole anche per il suo perenne spostarsi la lunga chioma corvina da una spalla all'altra, perché non la intralciasse mentre appesantiva il suo esile corpo con la stoffa profumata dei suoi panni.
- Non ti disturbare, Dudley. Non sarei dovuta tornare.-
Non era mai stato un bravo scolaro, e aveva sempre trovato difficoltà nell'imparare a memoria le poesiole che gli propinavano in prima elementare perché potesse ripeterle al saggio scolastico, di fronte ad un centinaio di telecamere impugnate da genitori che ritenevano più importante registrare il momento e schiaffarlo su una vecchia videocassetta destinata alla polvere piuttosto che goderselo. Eppure Cho ripeteva  lo stesso discorso talmente tante volte che persino lui era riuscito a memorizzarlo, e col tempo aveva appreso che per evitare di farla piangere non doveva dire proprio niente.
- Ehi, aspetta. Prendi una delle mie felpe dall'armadio, no? Altrimenti ti congeli.-
Non era abituato ad essere gentile, ma ci stava lavorando. A modo suo aveva imparato che il mondo era molto diverso da come glielo avevano prospettato i suoi genitori quando era un ragazzino: sono poche le persone che si rassegnano ai tuoi capricci perché gli sei simpatico, e ancora meno quelle disposte a darti un lavoro perché tua madre ha preparato loro una crostata di mele. Aveva capito che le persone sono più facili da perdere che da trovare, e lui non voleva perdere lei. Non voleva perdere Cho.
- Guarda che questo non  è il modo giusto per rabbonirmi...-
- Ma non sto cercando di rabbonirti. Non mi va che tu ti prenda un colpo, la' fuori.-
Il sole aveva appena incominciato a spazzare via le ombre dalla stanza, eppure Dudley avrebbe giurato di aver visto lo spettro di un sorriso materializzarsi sul viso di Cho. Le mani delicate di lei aprirono con calma l'armadio che sua madre ordinava tutti i martedì pomeriggio, e a differenza di quelle di Dudley riuscirono a prelevare una felpa senza ridurre la pila ordinata di vestiti ad un disordinato mucchio di stoffe.
- Addio, allora...-
Lui non volle rispondere. Si limitò ad alzare una mano in cenno di saluto e rimanere immobile ad ascoltare i passi leggeri di lei intenti a scendere le scale, poi la porta di casa che si apriva per richiudersi quasi senza far rumore. A quel punto Dudley si tirò seduto per poter spiare la figura affusolata di Cho stretta nella sua felpa mentre percorreva il vialetto di casa in un turbinio di capelli nerissimi. I vicini avrebbero potuto vederla, ma la cosa aveva smesso di importargli da un po': prima o poi mamma e papà avrebbero dovuto venire a patti con la realtà delle cose, e comunque a quell'ora lì dormivano tutti quanti. Era un momento strano della giornata: non era giorno, ma neppure notte. Se sole e luna fossero stati amanti divisi dalle leggi della fisica, quel momento sarebbe stato la loro unica occasione di sfiorarsi con un bacio prima che lei fuggisse, rapida come Cho, a rintanarsi in un'altra notte. 
Ma Dudley non aveva dubbi sul fatto che lei sarebbe tornata. Magari avrebbe tenuto il broncio un giorno o due, ma alla fine si sarebbe fatta viva e a quel punto lui non avrebbe avuto più bisogno di nasconderla, perché i suoi genitori sarebbero stati a conoscenza di tutto. Suo padre avrebbe dato di matto, sua madre sarebbe probabilmente svenuta ed entrambi avrebbero infine concordato che quella strega doveva aver gettato una fattura sul loro unico figlio.
Dudley non avrebbe saputo dire se si fosse trattato di una fattura oppure no, ma qualunque cosa fosse lo faceva sentire sollevato al pensiero che lei si fosse presa anche la sua felpa. Cho odiava essere in debito con qualcuno, quindi non avrebbe mai accettato di prendere in prestito qualcosa che sapeva di non poter restituire. Gli aveva parlato del fatto che lei fosse stata smistata tra quelli intelligenti, nella strana scuola che aveva frequentato con suo cugino. 
Si adagiò di nuovo sul cuscino e per un po' riuscì persino a dormire. Alle otto e quarantacinque in punto fu svegliato dal trillo che chiamava suo padre al lavoro dalla stanza accanto, e alle nove la voce di sua madre riecheggiò tra i soprammobili di coccio e la tappezzeria floreale:
- Didino? La colazione è pronta! Vuoi che la mamma te la porti a letto?-
L'ora in cui tutti dormono se n'era andata da un pezzo, e tutto era di nuovo intriso di quella normalità che era e sarebbe sempre stata parte di Dudley.
Solo che lui era da un pezzo parte di Cho.

 
***

 
 
  
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