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Autore: Pinzu97    04/02/2017    0 recensioni
Non c'è più niente che ci può salvare da noi stessi e dal destino che decidiamo di affrontare....a meno che non abbiate un gatto.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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                                                                      La teoria del gatto

 
Camminare per andare a scuola non è proprio il mio genere di sport preferito, ma è anche l’unico che faccio dunque non mi lamento: infondo cosa potranno mai essere 40 minuti di camminata sotto la pioggia con le macchine che prendono apposta le pozzanghere per bagnarti e persone che si divertono a darti spallate?
Ho la cartella zuppa: a quanto pare sono spariti anche gli ombrelli da casa.
Ovviamente oggi Annabelle aveva il test e mia madre non aveva tempo per portare anche me a scuola.
Sono sola con un gatto che cammina al mio fianco.
Aspetta, un gatto? Un gatto sotto la pioggia?
Mi fermo ed il gatto con me.
So che questa decisione non coinciderà con il volere di mia madre, ma prendo il gatto e me lo metto nello zaino per poi correre a casa velocemente.
Arrivo con un gran fiatone: si, devo assolutamente iniziare a fare qualche tipo di sport!
“Ora tu rimani in camera mia e non fai neanche un rumore capito?!” detto ciò ritorno alla porta d’ingresso e corro a scuola.
Non è una mattinata come tutte le altre infondo: è il primo giorno di scuola, quindi è peggio delle altre.
Di certo arrivare in ritardo e beccarsi una sgridata dalla preside non era nei miei piani, ma sono riuscita ad ottenere una mia piccola vittoria.
“La prego preside. Mia madre non potrebbe mai sopportare tutto questo. Adesso è presa da mia sorella e non voglio causarle problemi” le dico.
Mi guarda maleficamente, come se volesse eliminarmi da quell’ ufficio.
“Bene, ma in cambio dovrai fermarti tre pomeriggi a settimana per ripulire la scuola. Siamo a corto di personale signorina Irving e non ci farebbe male una recluta”.
Detto ciò mi spedisce in classe.
Tiro un sospiro di sollievo.
“In ritardo anche tu eh?!” dice qualcuno alle mie spalle.
Nel tentativo di girarmi, una ciocca dei miei lunghi capelli neri finisce sui miei occhi accecandomi per un secondo.
Il ragazzo che mi aveva parlato poco fa è sparito.
Mi guardo ben intorno, poi decido di non sprecare altro tempo.
Letteratura americana mi aspetta.
Appena apro la porta mi ritrovo gli occhi di tutti puntati sui di me, i miei capelli completamente bagnati, ed i miei vestiti di seconda mano zuppi di acqua.
“Vada a sedersi signorina!” m’invita un nuovo professore.
Non l’ho mai visto prima: giovane e di bel aspetto.
Ovviamente, come se la giornata non fosse iniziata già male, mi aspetta il primo banco vicino alla cattedra: l’unica fortuna è che non ho vicini di banco.
Tiro fuori il volume di letteratura ed inizio ad ascoltare il professore.
“Bene ragazzi. Io non sono qui per insegnare, quanto per scambiare con voi ogni sorta d’informazione riguardante la cultura americana. Sia  gli aspetti fondamentali, sia quelli più nascosti e lugubri. Perché non parlare di Sleepy Hollow o delle streghe di Salem?” chiede e fissa i suoi occhi verdi nei miei grigio perla.
Sembra quasi io gli faccia paura perché distoglie subito lo sguardo concentrandosi sul resto della classe.
“Bene, signorina ritardataria: posso sapere il suo nome?” domanda.
 
“Alexandra Irving” rispondo un po’ scocciata.
Insomma, quante volte ancora dovrà sottolineare il fatto che sia arrivata in ritardo?
“Irving come il noto autore! Immagino lei sappia chi io stia menzionando” ribatte.
Sembra quasi mi stia sfidando.
“Washington Irving autore pazzo che parla del mistero di sleepy hollow nel suo orribile libro tHE SKETCHBOOK” rispondo amara.
Non si sente fiatare una mosca.
“Forse lei ritiene quest’opera letteraria orribile solo perché non sa leggere” risponde il professore.
Mi sento veramente ferita nell’orgoglio e tutto questo m’ inviperisce.
Finito di criticarmi il professore inizia a parlare dei Pilgrim fathers e la lezione continua per due lunghe ore.
Al termine esco in corridoio alla ricerca di una testa azzurra. Eccola!
Inizio a sbracciarmi finché  non mi nota.
“Alex!” urla la mia migliore amica venendomi incontro ed abbracciandomi e trascinando con lei il suo profumo di sigaretta.
“Hey!” dico allontanandomi dal suo abbraccio.
“che fine hanno fatto i piercing? E il tatuaggio alla tempia?” chiedo allarmata.
“Sai come sono i miei. Mi hanno fatto togliere tutto. Persino il tatuaggio con un’operazione laser!” dice.
Scoppio a ridere: “La mitica Michelle che si lascia sottomettere da mamma e papà!”.
Mi guarda torva.
“Beh io almeno non sono confinata in casa mia!” ribatte.
Questa affermazione mi riporta alla mia misera realtà da disagiata.
Odio quella casa e le persone che ci sono dentro.
Infondo quella non è neanche la mia vera famiglia.
Si beh, essere adottati è una cosa per cui bisognerebbe essere riconoscenti per tutta la vita, ma la mia madre adottiva e mia sorella me ne fanno pentire ogni giorno.
“Ho saputo di tuo padre quando ero a San Diego. I miei hanno telefonato, ma non potevo lasciare il lavoro” continua Michelle.
Lei ha il potere di condizionarmi l’umore ed in questo momento mi sento vuota.
“Non voglio parlarne” rispondo.
Si accorge di aver fatto un errore a parlarmi di lui, fatto sta che cambia subito argomento.
Finiamo per ritrovarci sotto i portici a fumare.
“Sai non è cosa da tutti i giorni sapere che tuo padre si è suicidato” dico fuori dal nulla.
“Oh Alex, non devi abbatterti. S e tua madre e la polizia non vogliono dirti niente riguardo al caso, beh allora troveremo qualcosa per i cavoli nostri” dice lei.
La pioggia non smette neanche per un secondo di cadere da quel cielo tenebroso.
“Non puoi inventarti una scusa con tua madre e dirle che oggi ti devi fermare a scuola cosi poi esci con me?” mi domanda Michelle facendo gli occhi dolci.
Esalo l’ultimo tiro di sigaretta.
“Mi dispiace ma devo starci davvero qui a scuola” ribatto per poi spiaccicare la cicca sotto la scarpa e rientrare seguita dalla mia migliore amica.
Purtroppo le lezioni riprendono fino alle due, quando me ne esco con lo zaino in cortile a fumare, ma la preside mi blocca.
“Signorina Irving lasci pure il fumo ad un altro momento. Le aspettano varie classi al quarto piano da riordinare” .
Il suo sguardo malefico m’impedisce di ribattere: sono alla sua mercé .
Salgo le scale fino al quarto piano. Mi sembra di aver perso un polmone nel tragitto.
 
“Ah tu sei la ragazzina. Bene. Lì c’è lo straccio ed i detersivi. Buona fortuna”.
Mi guardo intorno: non sono mai venuta quassù.
La prima classe sulla mia destra è la 5^E . Prima di mettermi al lavoro guardo la cartina del piano.
Perfetto, mi aspettano all’incirca dodici classi e tre bagni.
“Problemi?” mi volto.
Un tizio si è appena seduto sulla cattedra.
“Vattene devo pulire” rispondo acida.
Adesso non ho certo tempo per degli scherzi stupidi e battute idiote.
“Hey volevo solo aiutarti!” mi dice.
“Bene aiutami sparendo da questo piano”.
Ed in pochi secondi lui è fuori.
Inizio a pulire i banchi e poi la lavagna ed infine la cattedra.
Certo che le finestre di quel piano sono davvero grandi.
Alle cinque finisco il mio lavoro: i bagni sono stati veramente la parte più tragica!
Mi appoggio contro il muro sbuffando.
Guardo un attimo la mappa e vedo che ci sono delle scale sulla mia sinistra che sono indicate.
Mi guardo attorno.
In realtà alla mia sinistra c’è una porta, ma non si apre.
“Hey ragazzina io scendo al terzo piano. Tra mezzora devo chiudere i cancelli. Sbrigati a finire” mi dice improvvisamente la bidella spaventandomi.
Possibile che ogni persona debba arrivare di soppiatto alle mie spalle?
La osservo scendere le scale e poi riprovo ad aprire quella porta.
“Hai bisogno di questa?” il tizio di prima appare al mio fianco.
“Possibile che tu sia sempre qui?!” urlo.
Lo vedo arrabbiarsi: la sua faccia ha un’espressione orribile.
“Bene ciao”. E se ne va.
Rimango di stucco.
Ma che giornata strana è mai questa?
Prendo lo zaino ed esco da scuola.
La pioggia sembra non avere mai interruzione.
In mezzora raggiungo casa.
“Ma dove sei stata?” sono le parole accoglienti di mia madre che mi strilla contro.
“Ti aspettavamo per pranzo per festeggiare l’ingresso di tua sorella alla scuola privata dato che ha passato il test. Ma tu ovviamente non c’eri! Possibile che devi sempre creare disastri?” urla.
La fisso immobile.
“Complimenti” aggiunge la bionda dietro di lei.
“Dobbiamo fare dei servizi sociali a scuola” rispondo.
Le odio davvero tanto.  Per mia madre esiste solo la bionda: io sono solo un mostro.
“Cos’hai combinato stavolta per dover fare servizi sociali?!” urla ancora.
Ha l’aria stravolta.
“Niente. È un progetto di classe” ribatto.
Tolgo le scarpe e corro in camera non stando più a sentire né lei né la bionda.
Vorrei solo scappare da quella casa.
Apro la porta e subito calpesto una cacca.
Mi sono completamente scordata del gatto!
Lo vedo scendere da sopra il mio armadio ed iniziare a miagolare: questa non ci voleva.
“Devi stare zitto se no ti scopriranno sh!” sussurro.
 
Lo prendo in braccio e inizio a coccolarlo.
Finalmente smette di miagolare e inizia a fare le fusa.
Mi butto sul letto con lui.
Devo assolutamente pulire.
Cambio i calzini e tolgo lo sporco dalla camera.
“Tu non hai ancora mangiato vero?” chiedo più a me stessa che al gatto.
Proprio in quel momento mia madre urla “A tavola!”.
Sbuffo e mi alzo.
Lascio il gatto in stanza e chiudo la porta.
Durante la cena mia madre non fa altro che lodare  Annabelle e la sua intelligenza e bellezza, senza scordare di mostrare la sua divisa.
“Si brava complimenti!” ribatto acida.
Fortunatamente le due sono talmente prese dalla loro discussione che non si accorgono di niente mentre metto il pollo in un tovagliolo di carta.
“Bene io vado a dormire” dico alzandomi.
Mi lanciano uno sguardo di poco interesse e le abbandono alle loro chiacchiere.
Entro in camera e dò da mangiare al gatto.
Lo osservo mentre si sbaffa tutta la mia porzione di pollo.
“Ti chiamerò Einstein perché mi sembri un gatto intelligente” dico.
Lo accarezzo e sorrido.
Un rumore però mi disturba: possibile che la pioggia sia tanto arrogante?
Mi affaccio alla finestra: il ragazzo della scuola!
Perché diavolo sta lanciando sassi alla mia finestra?
Apro e un vento gelido mi colpisce in faccia insieme a tutta la pioggia.
“Che vuoi?” gli dico.
“Scendi!” ribatte lui.
Chiudo e sbuffo. Ma quel ragazzo è proprio uno stalker.
“Mamma mi sono scordata che oggi è il mio turno di portare la pattumiera!” dico prendendo la spazzatura e uscendo velocemente di casa.
“Che vuoi?” urlo al ragazzo.
“Stai calma, voglio solo il mio gatto” dice lui.
Lo guardo spiazzata.
Sta scherzando spero. Come fa a sapere che ho un gatto? E soprattutto che sia il suo!
“Ma cosa dici?” ribatto.
“Senti tu hai il mio gatto” continua lui.
“Come fai a dirlo?” chiedo curiosa.
Questa storia è davvero strana.
“Il mio gatto non andrebbe mai via di casa, soprattutto non starebbe mai a casa di uno sconosciuto. A meno che questo sconosciuto non sia come me!” risponde.
Questo tipo dev’essere un pazzo.
“Che cosa intendi dire?” chiedo spaventata.
“Niente. Ridammi semplicemente il mio gatto se rivuoi indietro il ciondolo di tua sorella!”.
Okay, questa è una minaccia bella e buona.
“Senti tu sei fuori di testa. Stai lontano da me e dalla mia famiglia e non presentarti mai più a casa mia!”.
Torno su in casa lasciandolo fuori da solo.
Sono spaventata e inorridita. Quel ragazzo continua a perseguitarmi e deve smetterla.
“Non dovevi buttarla la spazzatura?” mi richiama la bionda.
“la pioggia è troppo forte!” ribatto.
 
Sbuffo e lancio la pattumiera da parte correndo a chiudermi in camera.
Una giornata davvero strana quella di oggi: spero solo domani vada meglio.
 
 
 
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Lo sperare in una giornata migliore di certo è chiedere troppo: sembra quasi che la vita voglia farmela pagare per tutti gli sbagli commessi.
“Non sono stata io preside glielo giuro” ribatto alzando gli occhi al cielo.
“Beh signorina Irving le iniziali sono le sue. Questa è una prova fin troppo evidente!” urla lei di rimando.
“Le pare che io sia tanto stupida da commettere un reato e firmarlo pure?” urlo a mia volta.
Sono sconvolta: qualcuno è entrato nella scuola subito dopo che io ho finito di pulire e ha pensato bene d’imbrattare con le bombolette spray tutto il pavimento del quarto piano con un disegno di una prostituta fumatrice e ovviamente la colpa è subito caduta su di me, dato che il graffito era firmato AL. IR.
“Beh in effetti è alquanto strano. Ma lei era l’unica ieri presente al quarto piano. Per stavolta passa, vedremo di scoprire che cosa è successo. In ogni caso si fermerà anche oggi pomeriggio per pulire quell’ obbrobrio!” detto ciò la preside mi spedisce fuori dall’ufficio.
Appena esco vedo lo sguardo degli altri ragazzi, seduti in attesa del loro turno, scrutarmi con attenzione.
Odio questa scuola, questa città e questa gente.
Vorrei solo tornare all’edificio dei disagiati e invece sono bloccata qui.
“Ma che cavolo hai fatto?” urla la mia migliore amica in un misto tra preoccupazione e ammirazione.
“Michelle ti pare io possa aver fatto una cosa del genere?!” ribatto alquanto scossa ed infuriata.
Neanche la mia migliore amica mi crede più, lei che mi conosce più di tutti.
“Beh in ogni caso appena lo scopre Samantah tu sei in dei guai belli grossi” ribatte.
Mi volto a fissarla negli occhi con sguardo interrogativo: “che c’entra quell’ oca adesso?!”.
“Come che c’entra? Le hai fatto un vero e proprio ritratto solo versione prostituta e ti sei pure firmata!” mi spiega.
Adesso capisco perché tutti i ragazzi in quella scuola continuano a fissarmi.
Capisco perché mi scrutano con terrore e ammirazione: quel graffito è il più grande insulto alla persona più famosa tra gli studenti.
Chiunque mi abbia messo in mezzo a questo casino finisce male!
“Michelle devi aiutarmi. Qualcuno sta provando ad incastrarmi!” le dico.
Ma ecco che un suono di tacchi fa ammutolire tutti i presenti.
Sento un brivido salirmi su per la schiena.
“Guarda, guarda. Una povera ragazza adottata di terza che insulta me, la regina di questa scuola. Ma chi cavolo ti credi di essere?” sibila una voce alle mie spalle.
Michelle deglutisce rumorosamente e mi volto a fissare in faccia la rossa con le tette mezze di fuori.
“Io non ho fatto proprio niente!” le dico di rimando.
“Che c’è? Prima ti firmi e poi scappi? Ti sei messa contro la peggiore dei tuoi nemici bimba. Guardati intorno d’ora in poi, perché questo è il mio territorio e tu lo hai appena invaso. È guerra!” mi urla.
Sculetta via seguita da un povero ragazzo di prima con in spalla il suo zaino.
 
Se quell’ oca vuole la guerra allora l’accontenterò. L’unico problema è che sono io contro tutta la scuola.
Prendo Michelle a braccetto e andiamo insieme verso la classe.
Tutte quelle occhiate mi spaventano.
In classe mi sento un po’ più al sicuro, eppure le ore di lezione sembrano passare troppo velocemente.
Inoltre oggi termino le lezioni alle quattro del pomeriggio e devo fermarmi per pulire quel graffito che occupa tutto il corridoio.
A pranzo aspetto che i corridoi si svuotino per poi andare in bagno e chiudermi lì a mangiare: non sono così stupida da andare in mensa a mangiare.
Sicuramente l’oca mi aspetta per bullizzarmi.
Mi chiudo bene in bagno ed inizio a mangiare e dopo il panino fumo anche una sigaretta: mi serve a calmare i nervi.
Guardo la luce pallida invadere le piastrelle del bagno. Sono completamente sola, o così penso.
“Hey piccola, problemi?” riconosco istantaneamente quella voce.
Le mie giornate sembrano solamente un incubo di questo periodo.
“cosa vuoi? Sbagliato bagno? Sai questo è per le donne. E poi credevo di aver chiuso!” ribatto.
“Lo sai cosa voglio. E stai tranquilla dovresti conoscere bene la mia dote di riuscire a sgattaiolare in qualsiasi posto” risponde.
Lo fisso.
Ha questi capelli castani continuamente spettinati che sembra si sia appena svegliato, gli occhi color miele che sembrano sempre divertiti e delle gambe davvero lunghe: probabilmente è alto un metro e novanta.
Fortunatamente non è troppo magro se no sembrerebbe una ridicola spiga di grano.
Quello che mi colpisce è il suo piercing al sopracciglio destro.
“Senti tu sei davvero uno psicopatico. Io non ho il tuo gatto e devi smetterla di stalkerarmi!” .
Lui inizia a ridere e si volta a guardare fuori dalla finestra.
“Io ho bisogno del mio gatto indietro e se non me lo dai con le buone allora devo ricorrere ai metodi cattivi. Sono stato fin troppo buono con quel graffito. Alla fine non ottieni mai una vera e propria punizione. Non è per niente divertente!” dice lui ghignando.
Cerco di rielaborare i dati e l’unica parola che mi viene in mente è: Stronzo!
È tutta colpa sua!
“Tu sei pazzo! Mi spieghi perché quel gatto è tanto importante? Non lo avresti lasciato da solo per strada se ci tenessi tanto a lui! Quindi fammi un favore e sparisci dalla mia vita!!” urlo.
In quel momento si spalanca la porta del bagno.
“Eccoti qua. Sai, ti cercavo!”  m’interrompe Samantah.
Ho ben poco da scappare dato che si è accerchiata di tre ragazze, una delle quali sembra un armadio.
So già cosa mi aspetta e mi dò della stupida per aver scelto il bagno come nascondiglio.
Mi giro verso il ragazzo, ma lui si è completamente volatilizzato.
La finestra è aperta.
“Preparati. Non sarò indulgente con te!” ghigna la rossa.
Mi prendono per i capelli e mi mettono la testa nel water tirando ripetutamente lo sciacquone e gettandovi dentro carta igienica e assorbenti trovati nel cestino.
“Bene e sappi che questo è solo l’inizio” conclude la rossa ghignando.
Finalmente escono lasciandomi stesa sul pavimento del bagno, da sola e completamente sporca.
La mia vita fa decisamente schifo.
Sento la campanella suonare: penso salterò la prossima ora.
 
Appena vedo dalla fessura della porta che non c’è più un singolo individuo nel corridoio, esco e mi dirigo ai sotterranei.
Cerco di non farmi notare dalle bidelle.
Finalmente raggiungo le docce. Mi spoglio e mi metto sotto il getto d’acqua calda tenendo in mano i vestiti: hanno bisogno anche loro di una lavata.
Faccio scivolare via tutti gli insulti che lancerei a quell’oca e mi calmo.
Chiudo l’acqua e sospiro.
“Allora ti sei decisa a darmi quel gatto?” mi sorprende una voce.
“Possibile che mi segui fino a qui?” ribatto acida.
Non ho proprio voglia di vedere la sua faccia ed in più sono nuda sotto la doccia.
“Ti ho portato un asciugamano” è la sua unica risposta.
Me lo lancia dall’altra parte della tendina: adesso è anche gentile?
Mi asciugo e mi vesto velocemente ed esco dalla doccia.
“Sei tu che mi pensi ed ecco che io arrivo” aggiunge appena lo vedo.
Ha un ghigno insopportabile.
“Mi puoi spiegare perché fai tutto questo per un gatto? E come fai a sparire e apparire così improvvisamente? E cosa significa che siamo simili?!” le mie domande sono infinite ma m’incentro solo su quelle tre.
La sua presenza è insopportabile, ma deve chiarirmi molte cose.
“Quel gatto è mio e lo rivoglio e le altre cose te le spiegherò più avanti!” risponde.
Persino il suo essere così calmo mi dà sui nervi: non lo sopporto.
“Niente risposte, niente gatto” e detto questo mi avvicino alla porta di uscita.
Mi sento afferrare per il polso e tirare indietro. Le sue braccia mi cingono il collo come in un abbraccio.
Non sono più abituata a quel tipo di contatto con un ragazzo e arrossisco istintivamente.
“Qui l’unico che può dettare legge sono io. Ci vediamo oggi a scuola Alex” sussurra.
Sento un brivido lungo la schiena; le sue braccia si staccano dal mio corpo.
Non può trattarmi così! Mi giro per gridargli contro ma è scomparso.
Ecco a cosa è buono quel ragazzo: a scomparire. Sempre.
   
 
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