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Autore: Pinzu97    02/02/2017    0 recensioni
Non c'è più niente che ci può salvare da noi stessi e dal destino che decidiamo di affrontare....a meno che non abbiate un gatto.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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                                    Nessun thè per una storia

 
 
 
Tutto ciò di cui ho bisogno è una tazza di thè e un po’ di quella musica che mia sorella definisce “casino da disagiati”.
Metto su un po’ di Breaking Benjamin e subito la porta della mia stanza si apre.
“La vuoi piantare? Sto studiando!” urla la bionda.
La guardo e le rispondo con un bel ghigno.
“Mamma!” inizia ad urlare, mentre io alzo sempre di più il volume.
Non faccio troppo caso agli insulti che mia sorella continua a lanciarmi da almeno dieci secondi, ma anzi le sbatto la porta in faccia.
O almeno così penso di aver fatto, quando invece la porta sbatte in faccia a me.
“Alexandra Irving!” urla stavolta mia madre.
Sbuffo massaggiandomi la fronte.
Possibile che ogni volta debba sempre essere colpa mia?
“Cosa c’è mamma? Adesso non posso neanche rilassarmi?” le ribatto.
Gli occhi grigi di mia madre sembrano mandare scintille di fuoco.
Ormai i suoi capelli lunghi, grigiastri e pettinati in una treccia danno segno della sua vera età e la fanno somigliare più o meno ad una strega.
“Alexandra non usare quel tono con me. Tu ora spegni il lettore CD e lasci tua sorella in pace. Domani deve dare l’esame d’ingresso alla scuola privata e tu non le impedirai questa opportunità!”.
Finalmente le due megere se ne escono da camera mia.
Sono rimasta sola: senza thè e senza musica.
Fuori piove e New York è un continuo traffico.
Le luci, i suoni, il caos: tutto invita ad andarsene da questa città.
Tutto tranne l’edificio dei disagiati.
Lì si che incontri persone vere: persone con una storia.
Persone che hanno tempo per ascoltarti e per raccontare.
Anche mio nonno andava lì spesso, ma ora non più.
Mia madre fortunatamente non sa niente di tutto questo: mi rinchiuderebbe in casa se sapesse con che gente mi frequento.
Intendiamoci: non ci sono drogati e non è neanche una comunità per disagiati.
Quell’ edificio in realtà non ha un nome. Ognuno lo chiama come vuole.
Io ho voluto chiamarlo “edificio dei disagiati” solo perché chiunque io abbia incontrato lì non sembra far parte di questo mondo: siamo persone diverse.
Non siamo ragazzi che hanno bisogno di eccellere; non siamo ragazzi maltrattati; non siamo persone sempre in corsa.
Siamo semplicemente noi.
Vorrei uscire, andare lì. Ma io sono in punizione perché la principessina Annabelle mi ha incolpato di averle rubato un ciondolo che neanche so come sia fatto e mia madre non accetta il furto.
Finché non le riconsegno il ciondolo non posso andarmene.
Le gocce sulla finestra della mia camera danno una strana forma alle luci della città.
Mi butto sul letto e piombo nel mondo dei sogni.
 
   
 
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